Imaging molecolare
Per imaging molecolare (IM) si intende la rappresentazione, la caratterizzazione e la quantificazione visiva dei processi biologici a livello cellulare e subcellulare, all'interno di organismi viventi. L'IM nasce all'inizio degli anni Novanta del 20° sec. grazie alla parallela evoluzione e integrazione di discipline diverse quali la biologia cellulare e molecolare, la diagnostica per immagini, la genetica, la farmacologia, la fisica medica, la biomatematica e la bioinformatica. Da una parte i progressi nelle tecniche di biologia cellulare e molecolare, che hanno reso disponibili sonde molecolari altamente specifiche e modelli animali transgenici, dall'altra lo sviluppo di tecniche di imaging molto sofisticate, adattate per lo studio di animali di piccola taglia, hanno focalizzato l'attenzione della ricerca sulla possibilità di studiare i fenomeni biologici, fisiologici e patologici in animali vivi.
Tali premesse, in era postgenomica, hanno consentito di coniugare gli studi sperimentali in vitro su colture cellulari con studi sull'imaging nei soggetti viventi. Se le tecniche di imaging si sono basate sull'analisi di caratteristiche fisiche (ma anche di quelle fisiologiche e metaboliche) macroscopiche e non specifiche per differenziare i tessuti sani da quelli patologici, l'IM utilizza sonde molecolari specifiche come fonte di contrasto per generare immagini. Questo permette non solo di studiare i processi biologici fisiologici ma anche di individuare e caratterizzare le patologie prima che abbiano causato alterazioni macroscopicamente evidenti, addirittura quando queste sono ancora a livello potenziale (screening fenotipico). L'altra caratteristica fondamentale dell'IM è la possibilità di studiare i fenomeni biologici fisiopatologici in modo dinamico e seguirne l'evoluzione nel tempo e nello spazio. La possibilità di studiare un fenomeno molecolare come l'espressione genica, in un ambiente reale, con il contributo di interazioni e regolazioni molecolari sistemiche, rende gli studi in vivo più significativi di quelli in vitro. Le caratteristiche enunciate fanno dell'IM una disciplina sperimentale potenzialmente in grado di chiarire processi biologici cellulari e molecolari complessi, comprendere la patogenesi delle malattie, valutare il meccanismo d'azione e l'efficacia dei farmaci. L'importanza dell'IM appare ancora più evidente in relazione agli sviluppi e agli obiettivi della terapia medica: l'uso di anticorpi monoclonali, la terapia genica, i trapianti di cellule staminali hanno come presupposto la comprensione delle basi genetiche e cellulari delle malattie. In questo scenario l'IM permette, per es., di seguire in ogni istante le tappe di un processo riparativo. Le tecniche di IM che sono disponibili per la ricerca su animali di piccola taglia sono la PET (Positron Emission Tomography), l'OI (Optical Imaging), la MRI (Magnetic Resonance Imaging), la CT (Computed Tomography), la SPECT (Single Photon Emission Computed Tomography). Queste metodiche differiscono fra loro per il tipo di radiazione elettromagnetica utilizzata per creare le immagini, per la risoluzione spaziale e temporale, per la profondità di penetrazione tissutale, per la disponibilità di sonde molecolari adeguate e di sistemi atti a rilevarne il segnale. A differenza delle altre tecniche, già affermate nell'ambito della diagnostica umana, l'OI è una metodica di imaging in vivo nata alla fine degli anni Novanta, come evoluzione delle tecniche di immunofluorescenza in vitro. Si basa sull'impiego di mezzi di contrasto e sonde molecolari in grado di emettere luce nel campo dell'infrarosso (lunghezza d'onda di 650÷800 nm) e di rivelatori molto sensibili della luce emessa dal soggetto in studio. I presupposti sono la facilità con la quale la luce di tale lunghezza d'onda attraversa i tessuti e la scarsissima fluorescenza spontanea dei tessuti animali normali, che permette di ottenere immagini anche da piccole sorgenti luminose. Esistono essenzialmente tre tipi di mezzi di contrasto ottici (fluorofori): i fluorofori non specifici diffondono e si accumulano nei tessuti in base al grado di vascolarizzazione degli stessi; i fluorofori con specificità molecolare sono ligandi di molecole specifiche, come i recettori; i fluorocromi attivabili sono molecole in grado di emettere luce solo dopo avere interagito con un enzima specifico. Questa metodica è quindi in grado di rilevare la presenza, la localizzazione e l'entità dell'espressione di una data molecola, nonché di studiare la funzione anche enzimatica dei tessuti. I maggiori limiti di impiego per l'imaging ottico sono la modesta penetrazione tissutale e la non tridimensionalità delle immagini, che lo rendono utilizzabile soprattutto per piccoli animali, a scopo di ricerca. Per quanto riguarda l'applicazione all'uomo, è stato proposto l'impiego di questa metodica nello studio del tumore della mammella, con ottimi risultati. La ghiandola mammaria, organo esterno e con relativamente scarsa profondità dei tessuti, si presta bene a questo tipo di studio, in considerazione delle caratteristiche dell'OI. Nonostante questa metodica sia ancora in fase sperimentale, grazie allo sviluppo tecnologico e scientifico nel campo delle biotecnologie, è lecito aspettarsi un progresso estremamente rapido, come anche un'applicazione efficace nello studio e nel trattamento di patologie umane.