Imaging diagnostico computerizzato. Neuroimaging
Le tecniche di diagnostica per immagini del sistema nervoso comprendono sia l’imaging morfologico come la tomografia computerizzata (TC) e la risonanza magnetica (RM) che permettono di valutare la struttura cerebrale, sia gli studi funzionali come la PET (Positron emission tomography), la SPECT (Single photon emission computed tomography) e la fMRI (Functional magnetic resonance imaging) che visualizzano l’attività cerebrale. Negli ultimi decenni si è assistito a un enorme sviluppo delle tecniche di neuroimaging: ciò ha consentito di intraprendere lo studio in vivo del cervello sia per migliorare la comprensione degli aspetti funzionali, sia per analizzare con il miglior dettaglio possibile le alterazioni che si verificano nelle patologie neurologiche, con il fine ultimo di sviluppare nuove ed efficaci strategie terapeutiche.
La TC è stata la prima di queste tecniche a essere utilizzata nello studio del cervello, già negli anni Settanta del XX sec. Essa sfrutta le radiazioni ionizzanti per produrre immagini di sezioni corporee. Attualmente è impiegata principalmente nelle emergenze cliniche che riguardano il cranio e l’encefalo, negli studi vascolari del circolo cerebrale e nella valutazione dello stadio di progressione dei tumori.
La RM è la principale tecnica di studio del cervello consentendo un’eccellente valutazione morfologica grazie all’elevata risoluzione di contrasto e una valutazione funzionale grazie alle nuove tecniche RM quali la fMRI. Essa non utilizza radiazioni ionizzanti ma un campo magnetico statico e onde di radiofrequenza per produrre immagini in tutti i piani dello spazio. È la tecnica più indicata per lo studio delle patologie del sistema nervoso centrale, dalle anomalie di sviluppo alle patologie acquisite neoplastiche, vascolari, infettive, degenerative, post-traumatiche e da coinvolgimento del cervello in corso di patologie sistemiche. Un notevole impatto clinico lo ha avuto l’applicazione della RM in regime d’urgenza, con tecniche di diffusione e perfusione per la valutazione dell’ictus cerebrale ischemico: ciò consente l’attuazione immediata di terapie specifiche per limitare i danni neurologici.
Le tecniche di medicina nucleare sono state, fino allo sviluppo della fMRI, le uniche in grado di fornire immagini rappresentative della funzione cerebrale, ovvero che rendevano possibile individuare spazialmente determinati processi fisiologici e patologici. Le metodiche utilizzate in campo neurologico sono la SPECT e la PET.
La SPECT cerebrale viene eseguita somministrando al paziente un radiofarmaco marcato con isotopi emettenti radiazioni γ, mentre la PET è basata sulla somministrazione di radiofarmaci marcati con radionuclidi emettenti positroni (β+). Con queste metodiche si producono immagini che riflettono la distribuzione all’interno dell’organismo del tracciante, consentendo pertanto d’identificare le aree in cui avvengono determinati processi. Queste tecniche trovano applicazione principalmente nella patologia vascolare, la patologia neoplastica e quella neuro-degenerativa.
Nel corso degli ultimi due decenni le tecniche di neuroimaging – sia di tipo morfologico come la TC e la RM che permettono di valutare la struttura cerebrale, sia di tipo funzionale come la PET, la SPECT e la fMRI che visualizzano l’attività cerebrale – sono andate incontro a una tumultuosa evoluzione, anche grazie al miglioramento degli strumenti informatici che consentono l’elaborazione grafica dei dati ottenuti. I recenti sviluppi tecnologici hanno reso possibile lo studio del sistema nervoso, in particolare lo studio in vivo del cervello, con la finalità di comprendere la relazione intercorrente tra specifiche aree cerebrali e le funzioni da esse svolte, localizzare le aree coinvolte nelle patologie neurologiche, e infine sviluppare nuove strategie terapeutiche per trattare tale categoria di malattie.
L’interesse verso le neuroscienze e le tecnologie di neuroimaging è legato anche all’impatto che le malattie che colpiscono il sistema nervoso hanno sulla salute pubblica: le malattie del sistema nervoso rappresentano una delle principali cause di ospedalizzazione; gli ictus sono la terza (la seconda, stando ad alcune stime) causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, essendo responsabili del 10÷12% di tutti i decessi per anno. L’aumento dell’aspettativa di vita media e l’invecchiamento della popolazione, inoltre, con il conseguente incremento di incidenza e prevalenza delle malattie neurodegenerative, costituisce un altro motivo d’interesse da un punto di vista sanitario.
Il cervello è stato il primo organo a essere indagato con la tomografia computerizzata (TC), introdotta alla fine degli anni Settanta del secolo scorso. Solo successivamente si è cominciato a impiegare la TC nello studio di altri distretti corporei.
Le apparecchiature TC attuali sono dotate di multiple file di detettori a elevata efficienza, e possono quindi acquisire in pochi secondi i dati relativi a estesi volumi (TC multistrato). I vantaggi della TC multistrato comprendono: (a) riduzione della durata della scansione, la quale riduce gli artefatti da movimento (bambini, traumatizzati), migliora l’efficienza dell’utilizzo del mezzo di contrasto (ben definite fasi di contrast enhancement), e consente l’esecuzione di studi perfusionali; (b) maggiore ampiezza del campo di scansione, particolarmente importante negli studi vascolari (angio-TC) dove è necessaria la scansione di un ampio distretto corporeo mantenendo un’alta risoluzione spaziale; (c) sezioni più sottili con alta risoluzione spaziale; è proprio il voxel, isotropico, cioè la possibilità di avere voxel con dimensioni uguali sui tre assi spaziali x, y e z, che permette di effettuare post-elaborazioni valide dal punto di vista diagnostico.
L’acquisizione volumetrica consente il post-processing delle immagini attraverso programmi di ricostruzione: (a) MPR (Multiplanar reformations): sono immagini riformattate bidimensionali ricostruite secondariamente in piani arbitrari a partire dai dati delle immagini assiali; con le curved reformations è possibile visualizzare su uno stesso piano strutture che giacciono su piani differenti; (b) MIP (Maximum intensity projection): è utilizzata per evidenziare un volume d’interesse (VOI); le immagini sono generate proiettando il volume d’interesse su un piano dove vengono visualizzati i voxel a più alta intensità. Il MIP è usato per studi angio-TC; (c) SSD (Shaded surface display): è una tecnica che fornisce una realistica rappresentazione tridimensionale della superficie di strutture d’interesse all’interno di un volume di dati acquisiti. Una sorgente luminosa virtuale illumina l’oggetto e un software calcola l’intensità della luce che è diffusa e riflessa verso l’osservatore. È possibile modificare il punto di osservazione; (d) VRT (Volume rendering techniques): combina le caratteristiche del SSD e del MIP. Nella creazione di un’immagine con VRT, una curva di opacità determina l’opacità dei vari tessuti in relazione al numero TC di ogni voxel. L’attribuzione di un colore differente in base all’intensità consente di differenziare questi diversi tessuti nell’immagine finale.
L’indagine TC può essere effettuata nelle sole condizioni basali o con somministrazione di mezzo di contrasto organo-iodato. Quest’ultimo normalmente non può raggiungere il tessuto cerebrale per la presenza della barriera emato-encefalica (BEE): in corso di processi patologici che alterano la BEE si verifica il passaggio di mezzo di contrasto attraverso la barriera stessa, con una migliore documentazione della patologia. Le indicazioni all’uso del contrasto in TC sono molte: tumori, processi flogistici, patologie vascolari.
L’evoluzione tecnologica dei macchinari consente, attraverso la recente introduzione di apparecchi ad acquisizione volumetrica (TC multistrato), anche l’esecuzione di studi angio-TC del distretto intracranico ed extracranico: questi consistono nella somministrazione del mezzo di contrasto e nell’acquisizione mentre esso è all’interno delle arterie (fase arteriosa), cosicché possano essere visualizzati i vasi nel momento in cui è massima la concentrazione del mezzo di contrasto al loro interno. Questi dati vengono poi utilizzati per produrre delle immagini tridimensionali delle strutture vascolari attraverso appositi algoritmi di ricostruzione (MIP, MPR, VRT).
In tal modo è possibile studiare sia il distretto extracranico che intracranico. La patologia carotidea extra-cranica è la prima causa di ictus ischemico, sia per steno-ostruzione diretta della carotide interna sia per embolizzazione.
Una recente applicazione della TC con mezzo di contrasto è la TC perfusionale in cui si studia la perfusione caratteristica in una specifica regione, misurando il flusso entrante (in-flow) e uscente (wash-out); questi dati vengono poi rappresentati mediante immagini parametriche che ne descrivono i diversi aspetti: flusso cerebrale, volume ematico cerebrale, picco di arrivo del contrasto (TTP) e tempo di transito medio (MTT).
I valori flussimetrici in TC vengono elaborati attraverso un algoritmo di deconvoluzione che fornisce valori assoluti e non relativi come quelli forniti dalla risonanza magnetica.
La TC, per la buona risoluzione spaziale e di contrasto, è una tecnica fondamentale nello studio della patologia cranioencefalica. È la tecnica di scelta nelle condizioni di urgenza poiché consente lo studio sia delle strutture ossee sia dell’encefalo, permettendo la rapida diagnosi di emorragie intracraniche (ematomi intraparenchimali, epidurali e subdurali, emorragie subaracnoidee) e di lesioni parenchimali contusivo-emorragiche.
La TC è anche utilizzata per valutare l’eventuale coinvolgimento cerebrale in pazienti neoplastici ai fini della stadiazione: in questo caso l’indagine è completata dalla somministrazione di mezzo di contrasto, che aumenta il valore di attenuazione in quei distretti in cui, per motivi patologici, la BEE è alterata. È il caso delle neoplasie in cui spiccano i fenomeni di neoangiogenesi caratterizzati da proliferazione di vasi sanguigni strutturalmente anomali che non sono in grado di svolgere azione di barriera.
La BEE è anche alterata nei processi infiammatori-infettivi sia per la liberazione di sostanze mediatrici dell’infiammazione sia per l’azione citotossica diretta sulle cellule dei vasi sanguigni.
L’angio-TC del distretto arterioso intra- ed extracranico consente lo studio delle principali arterie cerebrali che possono essere soggette ad aterosclerosi, con conseguente riduzione dell’apporto ematico cerebrale. L’angio-TC è anche utile per la valutazione della patologia aneurismatica e vasculo-malformativa cerebrale, che può essere responsabile di emorragie intracraniche atraumatiche.
La risonanza magnetica (RM) è una tecnica che usa potenti magneti e onde di radiofrequenza per analizzare le strutture interne del corpo. Essa fornisce immagini tomografiche con eccellente risoluzione spaziale e di contrasto, non usa radiazioni ionizzanti e produce immagini orientabili variamente; inoltre è in grado di fornire informazioni sui processi metabolici a livello tissutale. Anche la RM, come la TC, può essere eseguita in condizioni basali o con mezzo di contrasto paramagnetico, il gadolinio-DTPA (acido dietil-entriamino-pentacetico): questo amplifica le differenze di segnale tra tessuti che differiscono nell’apporto ematico e nella integrità della BEE.
Negli ultimi anni sono state inoltre sviluppate diverse tecniche RM per caratterizzare le differenze neuroanatomiche in vivo. Queste tecniche possono essere distinte in: valutazione morfologica macroscopica (DBM, Deformation-based morphometry) e valutazione dei differenti tipi di tessuto presenti a livello cerebrale (VBM, voxel-based morphometry). Per eseguire la VBM è necessaria una normalizzazione delle immagini RM a un modello; successivamente le immagini sono segmentate in sostanza grigia e bianca; alla fine si esegue il confronto tra la quantità di sostanza grigia e bianca in diversi gruppi di soggetti. Il risultato è una mappa statistica parametrica avente lo scopo di individuare le singole differenze di volume delle diverse componenti del tessuto cerebrale. La VBM è efficacemente impiegata per caratterizzare le sottili differenze nella struttura cerebrale in un’ampia varietà di disturbi neurologici e psichiatrici, quali: patologie congenite, epilessia temporale, encefaliti, malattia di Parkinson, demenza di Alzheimer, corea di Huntington, autismo, disturbo bipolare, afasia progressiva, schizofrenia.
Con la RM, data l’eccellente risoluzione spaziale e di contrasto della tecnica, negli ultimi due decenni si è assistito a uno sviluppo imponente nel campo dell’imaging non invasivo delle funzioni cerebrali grazie alle nuove tecniche di imaging funzionale, tra le quali la fMRI ha suscitato il maggior interesse. Inizialmente lo studio delle funzioni cerebrali si è avvalsa della correlazione tra sede della lesione identificata mediante esame RM morfologico e specifici disturbi neurologici, col fine di correlare determinate funzioni cognitive a specifiche strutture nervose. Successivamente la RM morfologica è stata utilizzata per correlare parametri fisiologici ottenuti da metodi d’analisi funzionali quali la PET, la magneto-encefalografia e l’elettroencefalografia.
I più recenti sviluppi nelle tecniche di acquisizione dei dati in RM e l’avanzamento delle tecnologie hardware/ software, hanno dimostrato che il segnale RM può essere reso sensibile ai cambiamenti del flusso ematico e dell’ossigenazione ematica fornendo così importanti informazioni fisiologiche relative alle funzioni cerebrali. Numerose strategie RM sono state utilizzate per analizzare i vari fenomeni che si associano ai cambiamenti dell’attività neuronale. L’approccio più utilizzato è quello che combina la variazione del contenuto di desossiemoglobina tissutale all’attività neuronale. È stato dimostrato che i cambiamenti in vivo dell’ossigenazione ematica potevano essere dimostrati con la RM: il segnale RM derivante è noto come segnale BOLD (Blood oxygenated level dependent). Poiché più una regione cerebrale è attiva maggiore è l’apporto di sangue ossigenato che riceve, ne consegue che con la tecnica BOLD si possono ottenere immagini relative all’attività neuronale e alle sue modifiche nel tempo. L’applicazione durante stimoli sensoriali, motori e cognitivi ha consentito di dimostrare le modificazioni del flusso ematico nelle aree cerebrali coinvolte consentendo una loro definizione funzionale.
La fMRI è pertanto diventata la tecnica di scelta per molti studi di attivazione funzionale poiché: (a) fornisce in un’unica sessione di studio sia informazioni anatomiche sia funzionali; (b) non è invasiva, e può quindi essere ripetuta più volte senza rischio; (c) è accessibile in molti centri che hanno una RM; (d) ha una migliore risoluzione spaziale e temporale di altri metodi che sfruttano lo stesso fenomeno emodinamico per localizzare l’attività neuronale (per es., la PET).
La DW-MRI (Diffusion weighted magnetic resonance imaging) è invece una sequenza che misura i movimenti microscopici delle molecole d’acqua (moti browniani). La diffusione dell’acqua nei tessuti biologici si verifica all’interno, all’esterno, intorno e attraverso le strutture cellulari, ed è primariamente causata da fluttuazioni termiche casuali. Le membrane cellulari ostacolano la libera diffusione dell’acqua a livello dell’interstiszio cellulare.
Poiché i processi di diffusione nei tessuti sono complessi, si calcola un parametro assoluto che è il coefficiente di diffusione apparente. Nelle immagini DWI l’intensità luminosa di ciascun pixel (ciascuno degli elementi puntiformi che compongono l’immagine) è espressione della perdita di segnale RM: pertanto le aree con basso coefficiente di diffusione appariranno iperintense rispetto a quelle con elevato coefficiente di diffusione nelle quali la perdita di segnale è maggiore.
Nelle mappe ADC (Apparent diffusion coefficient), l’intensità luminosa di ciascun pixel riflette il valore assoluto, relativo al coefficiente di diffusione apparente misurato. Conseguentemente in queste immagini le aree con basso coefficiente di diffusione vengono rappresentate ipointense, mentre quelle con alto valore di ADC sono iperintense.
Il rigonfiamento cellulare (che si verifica in caso di danno tossico-ischemico, per l’ingresso indiscriminato di acqua) o l’aumentata cellularità (tumori), determinano una restrizione della diffusività. Viceversa, la necrosi, che consiste in una rottura delle membrane con morte cellulare, causa un aumento della diffusività dell’acqua.
Questa tecnica ha trovato un’ampia applicazione nell’ambito delle neuroscienze, in particolare nella valutazione dello stroke, della patologia neoplastica e infettiva, nelle malattie demielinizzanti e nelle anomalie di sviluppo cerebrale.
L’impatto maggiore tuttavia è nella valutazione della patologia ischemica: l’area ischemica appare come una zona in cui vi è una riduzione dei coefficienti di ADC e può essere così facilmente distinta dal tessuto sano; è utile soprattutto per la diagnosi di lesioni ischemiche acute (circa dopo 30 minuti dall’evento sintomatico) dove le altre tecniche di neuroimaging sono inefficaci.
Sulle caratteristiche della diffusione dell’acqua è basata anche la DTI (Diffusion tensor imaging), una tecnica RM capace di esaminare l’organizzazione delle fibre nervose nella sostanza bianca. Il concetto fondamentale su cui si basano le tecniche di DTI e di trattografia consiste nel fatto che la diffusione delle molecole di acqua viene ostacolata dalla presenza delle strutture cellulari. In altre parole la diffusione dell’acqua nella direzione perpendicolare a un fascio di fibre assonali è ostacolata dalle membrane cellulari degli assoni stessi. Al contrario, il movimento casuale dell’acqua nella direzione parallela al fascio di fibre non trova ostacoli. I tessuti, come la sostanza bianca cerebrale, che possiedono un’architettura con un particolare orientamento spaziale a livello microscopico, mostrano valori differenti se la diffusione viene misurata nelle diverse direzioni dello spazio. Nell’eventualità dell’esistenza di una direzione preferenziale della diffusione, la diffusione viene detta anisotropa. Il livello di anisotropia può essere quantificato per mezzo di un oggetto matematico chiamato .
Il tensore è la descrizione matematica della diffusione per ciascun voxel, quindi nello spazio tridimensionale. Con il tensore sia il grado di anisotropia sia la direzione delle fibre possono essere mappati voxel per voxel, fornendo un’unica possibilità di studiare in vivo l’architettura della sostanza bianca.
La diffusione dell’acqua non è la medesima in tutte le direzioni, ma dipende dalle caratteristiche strutturali del mezzo: nella sostanza bianca l’acqua diffonde principalmente lungo l’asse maggiore delle fibre nervose, piuttosto che trasversalmente, dando origine a una diffusione anisotropica. Con questa tecnica si ottiene una misurazione quantitativa della direzione media di diffusione (mean diffusivity) e della diffusione anisotropica (fractional anisotropy). Inoltre, l’analisi con 3DAC (3D-anisotropy contrast) e fiber tracking consente di rappresentare i fasci di fibre della sostanza bianca, evidenziando pertanto anomalie di connessione tra centri nervosi. Nel breve periodo dalla sua introduzione, il tensore di diffusione è stato impiegato in un’ampio spettro di patologie, quali la valutazione di anomalie di maturazione cerebrale, nell’ischemia, nelle malattie demielinizzanti, e nei tumori cerebrali.
La tecnica PW-MRI (Perfusion weighted magnetic resonance imaging) sfrutta invece la variazione dell’intensità del segnale indotta dalla somministrazione di mezzo di contrasto per calcolare il flusso ematico cerebrale, il volume ematico, il tempo di transito medio e il tempo di picco, secondo parametri relativi e le curve intensità-tempo.
È utilizzata nello stroke insieme alla diffusione per la definizione della cosiddetta penombra ischemica, ovvero quell’area di tessuto cerebrale ipoperfusa ma salvabile con il ripristino dell’adeguato afflusso ematico.
Informazioni sulla composizione chimica e l’attività metabolica di specifiche aree del tessuto cerebrale sono fornite dalla MRS (Magnetic resonance spectroscopy), una spettroscopia che consente anche di determinare la quantità dei diversi metaboliti: questi vengono rappresentati su uno spettrogramma, in cui l’ampiezza di ogni singola curva corrisponde alla quantità della sostanza rappresentata dalla curva stessa.
Le tecniche spettroscopiche più utilizzate sono la 1H-MRS, che sfrutta gli ioni idrogeno presenti in molecole diverse dall’acqua, e la 31P-MRS, che misura le molecole contenenti fosforo.
Nella 1H-MRS vengono quantificati l’N-acetil-aspartato (NAA, 2.0 ppm) che è un marker di integrità neuronale, il quale diminuisce in tutti quei processi che causano morte neuronale; il lattato (Lac, 1.3 ppm) che aumenta in condizioni di ipossia; la colina (Cho, 3.2 ppm) coinvolta nei processi metabolici che avvengono a carico della membrana cellulare, indice di intensa replicazione cellulare (molto utile nella valutazione di lesioni tumorali); la creatina (Cr, 3.0 ppm) e alcuni neurotrasmettitori (il glutammato, l’aspartato, il GABA).
Con la 31P-MRS viene quantificato il metabolismo dell’ATP, il pH intracellulare e il metabolismo dei fosfolipidi. Questa tecnica è stata sfruttata per lo studio delle alterazioni metaboliche nei pazienti con patologie organiche quali tumori, ischemie, focolai epilettogeni, traumi, diverse forme di demenza compresa la demenza di Alzheimer, ma anche nello studio di patologie psichiatriche quali il disturbo bipolare, la schizofrenia, i disturbi d’ansia.
La RM è l’esame di scelta per lo studio del sistema nervoso per la risoluzione di contrasto superiore alla TC, l’assenza di artefatti ossei in fossa cranica posteriore e per la multiplanarietà diretta. È pertanto utilizzata per lo studio di uno spettro ampissimo di patologie.
Nella patologia cerebro-vascolare (l’ictus rappresenta la terza causa di morte e una delle più importanti cause di invalidità permanente), causata nella maggior parte dei casi da occlusione trombo-embolica di un vettore cerebrale arterioso, esiste attualmente la possibilità di intervenire terapeuticamente usando fibrinolitici per ricanalizzare il vaso occluso. Tuttavia, la possibilità di intervento efficace dipende dalla precocità della diagnosi, poiché da questo dipende l’estensione del danno. L’utilizzo della DWI e PWI permette di valutare l’estensione dell’area infartuata e dell’area salvabile che è soltanto ipoperfusa ma non ancora infartuata, e che pertanto è recuperabile con la ricanalizzazione del vaso occluso. La DWI rappresenta l’area infartuata come un’area iperintensa in quanto per l’edema cellulare la diffusione dell’acqua è ristretta; mentre la PWI documenta l’estensione dell’alterazione emodinamica. L’area di tessuto cerebrale ipoperfusa che circonda l’area infartuata (DWI) è quella non irreversibilmente danneggiata e quindi salvabile, limitando i danni sofferti dal paziente.
Nelle patologie neoplastiche la RM rappresenta la tecnica di elezione nello studio dei tumori cerebrali primitivi e secondari (metastasi) cerebrali. L’80÷90% dei tumori cerebrali primitivi si verifica nell’adulto, in particolare in sede sopratentoriale. Il ruolo dell’imaging è innanzitutto il riconoscimento iniziale e la caratterizzazione della lesione (intra- o extra-assiale, primitivo o secondario, ipotesi istotipica, malignità), ma anche la valutazione degli effetti meccanici legati allo sviluppo di una massa all’interno di una struttura rigida (cranio). Sfortunatamente, allo stato attuale le capacità dell’imaging superano di gran lunga le possibilità terapeutiche. Un altro aspetto peculiare dei tumori cerebrali è il concetto di benignità-malignità che a differenza di altri tumori non è solo in funzione del tipo istologico di neoplasia ma anche della localizzazione, ovvero del coinvolgimento di aree funzionalmente fondamentali, per cui è spesso preclusa la possibilità di intervenire chirurgicamente. Di conseguenza la RM è il mezzo diagnostico più importante, anche più dell’analisi istologica che in molti casi ha scarso impatto da un punto di vista pratico. L’esame viene eseguito sia mediante acquisizioni basali, sia dopo somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico per documentare la componente neoangiogenetica, e completato con la spettroscopia che mostra un’incremento della colina, marker di proliferazione cellulare. Quest’ultima tecnica può essere utilizzata sia per lo studio di lesioni dubbie, sia per una più accurata definizione del grado di malignità e per la valutazione dell’infiltrazione tumorale non evidente all’imaging convenzionale. La fMRI e il fiber tracking forniscono ulteriori informazioni relative ai rapporti spaziali rispettivamente con strutture funzionalmente eloquenti e con i fasci di fibre nervose sensitive, motorie e associative, informazioni fondamentali ai fini del planning terapeutico.
La RM ha anche un ruolo importante nella diagnosi e nel trattamento delle malattie demielinizzanti e degenerative. Nel gruppo delle malattie demielinizzanti la più importante, in quanto più comune, è la . È una malattia su base infiammatoria autoimmunitaria caratterizzata dalla distruzione della guaina mielinica delle fibre nervose, che può essere accompagnata o meno a perdita neuronale, determinando la comparsa della lesione tipica che è la placca. Le modalità di presentazione clinica sono molteplici e strettamente dipendenti dalla localizzazione delle placche: in genere l’esordio è caratterizzato da disturbi visivi, astenia, disturbi dell’equilibrio e dell’andatura; il decorso è caratterizzato dall’alternanza di periodi di riacutizzazione a periodi di remissione. Le placche appaiono in RM come aree di alterato segnale, localizzate a livello della sostanza bianca disposte perpendicolarmente ai ventricoli cerebrali, ovvero lungo l’asse delle venule cerebrali. Lo stato di attività della placca viene valutato con l’utilizzo del mezzo di contrasto, il quale permette di evidenziare solo le placche attive, ossia quelle in cui è in atto l’infiammazione. La RM, oltre alla diagnosi e alla valutazione dell’estensione iniziale della malattia, è utile per monitorarne sia il decorso sia la risposta alla terapia.
Nell’ambito delle malattie degenerative quelle a maggior impatto sanitario sono la demenza di Alzheimer e la malattia di Parkinson.
La demenza di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa progressiva caratterizzata da uno spiccato grado di atrofia cerebrale, in particolare a livello dell’ippocampo e della corteccia entorinale, con dilatazione del sistema ventricolare e dei solchi. La MRS documenta una riduzione dell’NAA. La prevalenza della patologia è 5,7% nelle persone al di sopra dei 65 anni.
La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa che colpisce il 3% della popolazione al di sopra dei 65 anni di età, manifestandosi con rigidità, bradi-cinesia e tremore. È causata dalla perdita di neuroni dopaminergici nella sostanza nera mesencefalica, in particolare a livello della pars compatta. I reperti RM sono aspecifici.
L’imaging medico-nucleare ha come scopo lo studio di processi metabolico-biochimici e fisiologici in vivo mediante la somministrazione di un appropriato radiofarmaco, denominato tracciante, e costituito da una molecola biologicamente attiva legata a un isotopo radioattivo. Le immagini ottenute riproducono la distribuzione all’interno dell’organismo del tracciante, consentendo pertanto di identificare le aree in cui avvengono determinati processi fisiologici.
Il tracciante è un composto scelto in base al tipo di processo biochimico di interesse, e marcato con un radionuclide; quest’ultimo in seguito al decadimento radioattivo può essere fotone emittente o positrone emittente. La radiazione emergente dal paziente è poi rivelata da apparecchiature dedicate. Le metodiche utilizzate in campo neurologico sono la SPECT e la PET.
La SPECT cerebrale viene eseguita somministrando al paziente un radiofarmaco: gli isotopi più impiegati in neurologia sono il 99mTc e lo 123I, che emettono radiazioni γ, rivelate dalla gammacamera che in seguito produce un’immagine della distribuzione del radiofarmaco all’interno del paziente. Un limite generale delle immagini di medicina nucleare è quello dalla scarsa informazione anatomica. A tal proposito sono stati messi a punto dei software in grado di coregistrare e correlare le immagini di medicina nucleare con quelle provenienti da altre modalità, come la RM e la TC, che forniscono un dettaglio anatomico eccellente. Di recente sono state sviluppate macchine ibride SPECT/TC che consentono insieme l’acquisizione di immagini funzionali (SPECT) e morfologiche (TC), che sono poi fuse insieme per formare una mappa anatomica dei dati funzionali, con una migliore accuratezza dello studio.
La PET è una metodica di imaging basata sulla somministrazione di radiofarmaci marcati con radionuclidi emettenti positroni (β+), prodotti da acceleratori di particelle (ciclotroni).
Il radioisotopo più comune è il 18F che viene utilizzato per la produzione del [18F]-fluorodesossiglucosio(FDG), il radiofarmaco più usato nella clinica; in ambito neurologico vengono impiegati anche altri radioisotopi come il 11C e il 15O.
Una volta emesso all’interno del paziente, il positrone percorre una breve distanza all’interno dei tessuti (per es., distanza media percorsa dai positroni del 18F in acqua è ca. 1 mm), interagisce con un elettrone e va incontro al processo di annichilazione: le masse delle due particelle scompaiono e al loro posto vengono generati due raggi γ da 511 keV emessi in direzione opposte. Se i due raggi γ vengono rivelati simultaneamente (entro un intervallo di tempo chiamato finestra temporale di coincidenza) da due diversi rivelatori si ottiene una ‘rivelazione in coincidenza’.
I rivelatori nei tomografi PET sono disposti ad anello (full-ring scanner); più anelli sono connessi tra loro costituendo un campo di vista cilindrico (di ca. 15 cm), all’interno del quale viene posta la regione corporea da esaminare. L’acquisizione delle immagini può avvenire con due modalità: (a) 2D, in è permessa, cui con la presenza di setti di tungsteno o di piombo, una collimazione dei fotoni emergenti lungo la linea di rivelazione dei detettori contrapposti, all’interno di ciascun anello. Questo tipo di acquisizione determina una riduzione degli eventi scatter (raggio γ che subisce una deviazione all’interno del paziente, non fornisce un’informazione corretta relativa alla posizione del decadimento), una maggior risoluzione spaziale e un minor tempo di ricostruzione, ma comporta una riduzione nel conteggio provocando quindi una minor sensibilità; (b) 3D, la cui applicazione eliminando i setti, permette di mostrare eventi anche tra rivelatori appartenenti ad anelli diversi aumentando l’efficienza di rivelazione, a scapito però di un incremento dello scatter e delle coincidenze casuali che determinano un peggioramento della qualità dell’immagine.
Nel caso delle PET cerebrali la modalità 3D garantisce complessivamente prestazioni superiori rispetto a quella 2D. Infatti, mentre da un lato si assiste all’incremento dell’efficienza di rilevazione, dall’altro il problema dello scatter e delle coincidenze casuali, date le dimensioni dell’organo in studio e dell’attività in esso presente, non è così rilevante come per altri distretti corporei.
La metodica PET, non richiedendo sistemi di collimazione per la determinazione della direzione di volo delle radiazioni, ha intrinsecamente un’efficienza di rivelazione di gran lunga superiore rispetto alla SPECT; inoltre, la risoluzione spaziale, cioè la capacità di distinguere due punti vicini tra loro, in PET (4÷6 mm) è migliore rispetto a quella che si può raggiungere in SPECT.
Un’innovazione relativamente recente è costituita dalla PET-TC. Questa apparecchiatura combina un tomografo PET con una TC, consentendo di correlare l’eccellente dettaglio anatomico fornito dalla TC con l’informazione funzionale della PET e di migliorare la qualità delle immagini. Oggi i tomografi PET disponibili sul mercato sono tutti costituiti da macchine ibride PET/TC, che rappresentano pertanto, la standard tecnico di riferimento.
Ancora in fase sperimentale è la messa a punto di un tomografo PET/RM dedicato agli studi di imaging cerebrale, che rappresenterà sicuramente una novità molto interessante in questo campo.
Esistono diversi tipi di radiofarmaci. I traccianti di perfusione cerebrale si concentrano nel cervello in funzione delle variazioni, fisiologiche o patologiche, del flusso cerebrale regionale. Il flusso cerebrale è infatti considerato l’elemento macroscopico basilare della funzionalità neuronale in quanto fornisce i substrati per i processi metabolici. Una modificazione della normale funzione neuronale può derivare da una riduzione del flusso ematico cerebrale (come nella patologia cerebrovascolare) o essere espressione di una primitiva alterazione del neurone a cui consegue una riduzione delle richieste energetiche e quindi del flusso cerebrale (come nelle malattie degenerative o in alcune forme di epilessia).
La valutazione del flusso ematico cerebrale mediante SPECT ha luogo mediante l’iniezione endovena di 99mTc-esametil-propilene-amino-ossina (HMPAO) oppure di dietil-estere dell’etil-cisteinato (ECD). Questi radiofarmaci superano rapidamente la BEE in virtù della lorolipofilia, e si distribuiscono nel cervello in proporzioneal flusso ematico; la molecola diffonde poi dallo spazioextracellulare a quello intracellulare dove viene intrap-polata attraverso un meccanismo di tipo enzimatico.L’informazione è pertanto duplice flusso-dipendente e metabolica.
I traccianti gluco-metabolici sfruttano il fatto che il glucosio è il principale substrato metabolico del tessuto cerebrale e la sua completa ossidazione produce l’energia necessaria per un adeguato svolgimento dell’attività cerebrale. Pertanto, lo studio in vivo del metabolismo del glucosio consente di valutare non solo le modificazioni metaboliche indotte dall’attività neuronale ma anche le disfunzioni metaboliche causate da vari stati di malattia nonché gli effetti funzionali di strategie terapeutiche.
Il glucosio attraversa la BEE ed entra nelle cellule (neuroni e astrociti) dove viene metabolizzato per la produzione di energia. È noto da tempo che il consumo locale di glucosio è associato all’attività neuronale aumentando in modo proporzionale a essa.
Il tracciante per lo studio in vivo del metabolismo del glucosio è l’FDG che attraversa la BEE, entra nelle cellule come il glucosio, ma a differenza di quest’ultimo non viene metabolizzato, accumulandosi nel tessuto cerebrale per un tempo sufficientemente lungo per consentire l’acquisizione PET.
L’utilizzo di traccianti recettoriali prevede la marcatura con radionuclidi dei ligandi di specifici recettori. In questo modo è possibile caratterizzare i recettori: per es., è stato possibile distinguere i recettori D1 e D2 dopaminergici, i sottotipi di recettori serotoninergici e istaminergici; un loro ulteriore impiego in questo ambito è quello di valutare l’azione di farmaci attivi a livello di questi recettori.
I cosiddetti indicatori positivi sono invece radiofarmaci SPECT (99mTc sestamibi, 99mTc tetrofosmin, 123I-alfa-metil tiroxina) e PET (8FDG, 11C-colina, 11C-metionina) a tropismo tumorale che si accumulano preferenzialmente nelle lesioni neoplastiche.
Nelle patologie cerebro-vascolari, gli studi SPECT perfusionali cerebrali eseguiti con i più comuni traccianti tecneziati (99mTc HMPAO e 99mTc ECD) descrivono direttamente la distribuzione tomografica attuale della perfusione cerebrale e offrono informazioni sullo stato metabolico energetico delle cellule nervose. Essi attraversano la BEE ed entrano nella cellula nervosa dove vengono trasformati, per cui rimangono intrappolati al loro interno. La distribuzione della perfusione ottenibile con questi traccianti necessita pertanto sia di un flusso tale da garantire un’adeguata pressione di perfusione sia della vitalità cellulare. Lo studio SPECT di perfusione consente quindi in modo diretto di valutare l’impatto tissutale di una caduta del flusso in termini perfusivo-metabolici cellulari, permettendo di distinguere le aree potenzialmente recuperabili da quelle ormai in evoluzione necrotica. Inoltre, in base alla distribuzione delle alterazioni rilevate è possibile stabilire il livello di ostruzione vascolare, e di differenziarle da quelle causate da altre patologie (per es., lesioni occupanti spazio o foci epilettici). La SPECT consente infine di identificare precocemente iperemie precoci da ricanalizzazione spontanea o farmaco-indotta, di valutare il recupero perfusionale o eventuali stati ipoperfusivi che sono importanti determinanti prognostici.
Per le patologie neoplastiche, la SPECT e la PET consentono di valutare e quantificare in vivo e in maniera non invasiva numerosi parametri fisio-patologici utili nell’analisi dei tumori cerebrali. Possono essere utilizzati diversi traccianti. Il 201Ta, un analogo del potassio, è un tracciante a distribuzione intracellulare. Le immagini ottenute sono analizzate attraverso il posizionamento di ROI (regioni di interesse) sulla lesione e sulla zona controlaterale indenne al fine di calcolare l’indice di ritenzione del radiofarmaco tra le immagini precoci, che danno informazioni relative al flusso, al volume ematico principale e alla permeabilità della BEE, e quelle più tardive, che riflettono i meccanismi di funzione cellulare. È stata dimostrata una buona correlazione tra l’indice di ritenzione e gli indici di proliferazione cellulare; inoltre, l’alterazione della BEE, indotta dal tumore, determina una maggior concentrazione del tracciante a tale livello, mentre il danno della BEE da altre cause (radionecrosi, ematomi) non comporta aumento del tracciante.
Il 99mTc-sestamibi e il 99mTc-tetrofosmin sono traccianti tecneziati che forniscono immagini di qualità superiore rispetto al 201Ta; non sono in grado di differenziare tra tumori a basso grado e tumori ad alto grado, ma possono essere utilizzati per la diagnosi differenziale tra recidiva di malattia e radionecrosi. La 123I-alfa-metil tiroxina (123I-IMT) è un tracciante utilizzato nello studio dei tumori cerebrali in quanto la sua captazione dipende dalla proliferazione cellulare. L’FDG è invece utilizzato per individuare tumori cerebrali ad alto consumo di glucosio: la captazione del tracciante è correlata con il grado di malignità, con la densità cellulare e con l’aggressività biologica. Infatti, i tumori a basso grado di malignità e a bassa attività metabolica sono difficilmente identificabili. L’analisi quantitativa effettuata mediante il calcolo del SUV (Standardised uptake value) correla con la prognosi: tanto maggiore è il SUV (alto grado di malignità, elevato metabolismo) tanto peggiore è la prognosi. Anche l’FDG è impiegato nella diagnosi differenziale tra ripresa di malattia e necrosi/fibrosi dopo trattamento radioterapico: in quest’ultimo caso infatti non vi è aumentata captazione dell’FDG. Come tracciante viene usata anche la 11C-colina, un precursore dei lipidi di membrana presente in elevate concentrazioni nei tumori cerebrali, specialmente quelli ad alto grado di malignità, e captata anche dai tumori a basso grado di malignità consentendo lo studio anche di questi ultimi. La 11C-metionina è invece un amminoacido utilizzato perché indicativa della proliferazione cellulare.
Per le malattie neuro degenerative, e in particolare per la demenza di Alzheimer e la malattia di Parkinson, le tecniche di imaging nucleare rivestono un grande interesse. Nella demenza di Alzheimer il paziente presenta disturbi della sfera cognitiva e comportamentale ad andamento progressivo, iniziando con deficit della memoria per arrivare alla demenza completa. È causata dalla deposizione di una molecola, la beta-amiloide, sia a livello intercellulare sia intracellulare causando un danno tossico ai neuroni. È stato osservato che le prime alterazioni funzionali interessano l’ippocampo e la corteccia entorinale, prima ancora che si manifesti l’atrofia. Gli esami di neuroimmagini funzionali con 18FDG PET e 99mTc HMPAO o 99mTc ECD SPECT evidenzieranno un’ipofunzione di queste regioni. Successivamente sono colpite le aree associative neocorticali che manifestano ipofunzione e atrofia, prima a livello temporo-parietale e poi a livello prefrontale. A tal proposito è importante poter disporre, oltre che del dato funzionale, anche di immagini morfologiche per apprezzare quanto di una data area di ipocaptazione è ascrivibile a un vero deficit funzionale o quanto non sia semplicemente dovuto alla mancanza di tessuto nervoso per l’atrofia. Attualmente grazie ad alcuni software di coregistrazione è possibile unire le immagini funzionali a quelle morfologiche per apprezzare direttamente le aree di ipocaptazione che esprimono una vera ipofunzione. L’estensione e la severità dell’ipofunzione corticale è correlata alla severità della malattia. La sensibilità della PET e SPECT nella diagnosi della demenza di Alzheimer cambiano in funzione dello stadio della malattia, raggiungendo il 100% nei casi di malattia conclamata.
La malattia di Parkinson è la seconda più comune forma di malattia neurodegenerativa. Le alterazioni neuropatologiche caratteristiche della malattia sono la perdita di neuroni dopaminergici nella pars compacta della sostanza nera e la presenza di depositi proteici nei neuroni (corpi di Lewy). I neuroni dopaminergici proiettano allo striato intervenendo nei meccanismi di controllo extrapiramidale del movimento: nel Parkinson si determina quindi una disfunzione del sistema nigrostriatale.
L’imaging con SPECT e PET consente di valutare in vivo l’entità della disfunzione dopaminergica in pazien-ti con malattia di Parkinson, utilizzando vari tipi ditraccianti tra cui uno dei più utilizzati è il [123I]FP-CIT (DatSCAN), che si lega a una proteina trasportatrice della dopamina (DAT) presente sui neuroni nigrostriatali a livello presinaptico e che riflette la funzione di tali neuroni. Studi multicentrici hanno dimostrato che la SPECT con [123I]FP-CIT ha un elevata sensibilità (95÷98%) e specificità (83÷94%) per la diagnosi di parkinsonismo rispetto all’invecchiamento normale e al tremore essenziale. La SPECT del DAT ha quindi un’elevata sensibilità nell’identificare in vivo la presenza di disfunzione nigrostriatale.
Altri tipi di traccianti sono quelli specifici per i recettori che legano la dopamina (recettori D2), utilizzati sia nel monitoraggio della terapia farmacologica sia nello studio di alcuni aspetti fisiopatologici del morbo di Parkinson.
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