ILLUMINOTECNICA
. Gli studi e le ricerche condotti a livello applicativo, nel campo della tecnica dell'illuminazione (v. XVIII; p. 819; App. II, 11, p. 7), nell'ultimo decennio, non hanno prodotto progressi sensazionali e fortemente innovativi, ma piuttosto numerosi piccoli perfezionamenti delle soluzioni tecnologiche e altrettanto numerose precisazioni e messe a punto di questioni più generali. Queste ultime hanno consentito di chiarire meglio certi aspetti delle soluzioni convenzionali date ai problemi della fotometria e della colorimetria, nonché di quelle, strettamente connesse, dell'individuazione delle grandezze atte a rappresentare le condizioni che si usa chiamare di benessere visivo, nonché dei valori da far assumere a tali grandezze per realizzare le condizioni anzidette.
Non potendo dare un'informazione compiuta di tutti questi perfezionamenti e chiarimenti, ci si limita a fornire alcune notizie sulle modificazioni dei criteri d'individuazione dei requisiti illuminotecnici ambientali, su alcuni progressi compiuti nei riguardi della tecnologia dei materiali impiegati, infine sui perfezionamenti dei metodi di progettazione.
Requisiti illuminotecnici. - Il problema dell'individuazione dei requisiti illuminotecnici di un impianto, cioè delle condizioni d'illuminazione che questo deve realizzare in un determinato ambiente perché in esso si realizzi la condizione di benessere visivo, è stato oggetto di studi e di ricerche sperimentali di rilevante interesse sia sul piano concettuale che su quello direttamente applicativo.
Si è cercato infatti di migliorare la conoscenza dei diversi aspetti fisico, fisiologico, psicologico della visione e di comprenderne meglio le mutue implicazioni ai fini di stabilire correlazioni obiettivamente controllate tra una o più delle diverse grandezze fotometriche e quella che è stata chiamata buona qualità della visione (visual performance, visual efficiency), avendo valutato questo nuovo parametro attraverso l'individuazione di indici del livello di accuratezza della visione stessa (percentuale di risposte esatte fornite da gruppi di osservatori nei riguardi del riconoscimento di determinati oggetti osservati in diverse condizioni di contrasto di luminanza o cromatico col fondo, di luminanza del fondo, di ampiezza angolare dell'oggetto).
I risultati ottenuti hanno consentito di fornire delle indicazioni utilizzabili a livello progettuale; notizie al riguardo possono essere agevolmente ottenute dall'abbondante letteratura specializzata. Essi hanno anche consentito la redazione di norme o raccomandazioni quali, per es., il "Codice per la buona illuminazione degli ambienti interni" pubblicato in Inghilterra nel 1961 o le più recenti raccomandazioni edite dalla Illuminating engineering society statunitense.
Perfezionamenti tecnologici: sorgenti di luce artificiale. - S'intende come sorgente il complesso costituito dall'elemento produttore di luce, la lampada vera e propria, e dall'apparecchio illuminante che si accoppia alla lampada con lo scopo di modificarne il solido fotometrico (cioè la distribuzione spaziale del flusso emesso) ed eventualmente la composizione spettrale.
Lampade (v. XX, p. 437; App. II, 11, p. 148). - Le lampade di gran lunga più usate, quelle che trasformano energia elettrica in luce, sono ripartite in modo ancora piuttosto equilibrato tra le due categorie che utilizzano rispettivamente l'incandescenza di corpi condensati e la scarica in corpi aeriformi.
I perfezionamenti realizzati nei riguardi delle lampade a incandescenza riguardano essenzialmente provvedimenti diretti a migliorare l'efficienza specifica attraverso l'aumento della temperatura del filamento, per la costruzione del quale continua a impiegarsi esclusivamente il tungsteno (la ricerca di materiali caratterizzati da emissione selettiva più favorevole è attiva, ma non sembra abbia dato risultati apprezzabili).
L'aumento della temperatura del filamento, senza riduzione apprezzabile della vita media, viene reso possibile, oltre che con l'aumento della pressione del gas inerte introdotto nell'ampolla, attraverso l'impiego di additivi chimici aventi compiti diversi, tra cui vi è quello di assorbire il tungsteno, sublimato, del filamento impedendogli di ricondensare sulla faccia interna dell'ampolla stessa.
Il miglioramento più interessante in questa direzione è stato attuato con le lampade a ciclo di iodio, con le quali è stato possibile far salire sensibilmente la temperatura del filamento (fino a oltre 3000 °K) senza aumenti apprezzabili della velocità di sublimazione, cioè senza sacrifici della vita economica della lampada la cui durata è stata anzi sostanzialmente aumentata (oltre 3000 ore di accensione) in relazione all'aumentato costo della lampada stessa (circa 8 volte maggiore di quello della lampada a incandescenza normale).
Il contenimento della velocità di sublimazione del tungsteno è ottenuto con l'elegante artificio di porre entro l'ampolla una piccola carica di iodio metallico che, appena la lampada si accende, passa allo stato di vapore.
Il vapore di iodio tende a combinarsi col vapore di tungsteno liberato per sublimazione dal filamento, formando uno ioduro di tungsteno in fase gassosa che non può condensare sulla faccia interna della parete dell'ampolla: questa infatti, realizzata in silice pura, è tenuta a una temperatura elevata (≈ 800 °C) superiore a quella critica dello ioduro di tungsteno. Lo ioduro perciò resta in circolo e, quando arriva in prossimità del filamento, si porta a una temperatura sufficientemente elevata che ne provoca la scissione. Così lo iodio e il tungsteno tornano a essere disponibili, il primo per nuovi cicli, l'altro per contribuire a ripristinare la pressione parziale di vapore al livello di equilibrio, impedendo nuove sublimazioni dal filamento. Di conseguenza è possibile, come si è detto, incrementare, a un tempo, la temperatura di funzionamento e per conseguenza l'efficienza della lampada, nonché la durata della vita economica di essa. La completa eliminazione dei depositi di tungsteno sulla faccia interna dell'involucro è poi un altro marginale vantaggio. Le lampade a ciclo di iodio (fig. 1) sono disponibili nel tipo lineare, alimentate dai due estremi, che richiedono il montaggio in posizione orizzontale, e nel tipo alimentato da un solo lato e utilizzabile in posizione qualsiasi.
L'efficienza luminosa può superare i 20 lm/W, la vita economica, le 3000 ore di funzionamento: le potenze vanno da 200 a 20.000 W; la resa cromatica è eccellente (temperatura colore ≈ 3100 °K); il contenuto di ultravioletto nello spettro di emissione, più elevato che nelle normali lampade a incandescenza perché prodotto in maggior copia e meno assorbito dal quarzo della parete dell'ampolla, è tuttavia ancora nei limiti di sicurezza.
Nel settore delle lampade a scarica è da segnalare la comparsa sul mercato e la diffusione ampia, seppure limitata a campi determinati, delle lampade a vapori di sodio. Queste sono tanto del tipo a bassa pressione, caratterizzate da un'efficienza luminosa elevatissima (fino a 150 lm/W) e da una resa cromatica molto scadente (l'emissione è costituita quasi esclusivamente da radiazioni intorno alla doppietta del sodio, 5890 e 5896 Å), quanto del tipo ad alta pressione con resa cromatica sensibilmente migliore, ma ovviamente con efficienza specifica più bassa (80 ÷ 90 lm/W). Ambedue i tipi s'impiegano specialmente nell'illuminazione stradale.
Nel campo delle lampade a vapore di mercurio a bassa pressione fluorescenti e ad alta pressione con o senza strato fluorescente, è da segnalare una serie di perfezionamenti, tendenti a migliorare sia la resa cromatica sia l'efficienza specifica, basati sull'impiego di svariati tipi di additivi nel gas di scarica (specialmente ioduri metallici) e nel materiale fluorescente.
Le efficienze specifiche massime raggiunte, dell'ordine dei 70 ÷ 80 lm/W, per ambedue i tipi di lampade, tendono a diminuire quando la resa cromatica migliora. Ricerche recenti sulla struttura degli spettri d'emissione hanno consentito di contenere le conseguenze di questa tendenza.
Qualche sviluppo interessante, con primi esempi d'impiego pratico specialmente nel campo dell'illuminazione di impianti sportivi, hanno avuto le lampade della classe ad arco breve in ambiente confinato e in atmosfera particolare (xeno, mercurio-xeno) che (fig. 2) vengono prodotte, almeno per ora, in unità di potenza piuttosto elevata da 1000 a 20.000 W; hanno resa cromatica buona ed efficienza ragionevolmente elevata (crescente con la potenza, 30 ÷ 55 lm/W).
Ancora praticamente allo stato sperimentale, salvo che per applicazioni particolari (indicatori digitali, elementi di segnalamento, ecc.) sono le lampade a luminescenza di solidi in cui l'emissione di luce è dovuta a un materiale fluorescente eccitato da un campo elettrico pulsante. In sostanza sono realizzate sotto forma di un condensatore nel cui dielettrico (di plastica o di ceramica) è incorporato il materiale emittente (fig. 3). Possono essere realizzate facilmente in forme anche complesse: hanno luminanza superficiale bassa (che aumenta in genere con la tensione di alimentazione), colori svariati (giallo, blu, verde, bianco), vita economica lunghissima (per il tipo in ceramica, 20.000 ore prima che la luminanza cada al 50% di quella iniziale).
Per desiderio di completezza si ricordano infine i diodi per emissione di luce (v. semiconduttori, in questa App.); l'estrema piccolezza dell'elemento attivo (0,06 ÷ i mm2 di area) consente di realizzare unità piccole (2 ÷ 6 mm in diametro); hanno vita economica assai lunga e si prestano alla realizzazione di segnalatori di tipo particolare.
Vi sono inoltre sorgenti di luce a energia nucleare, che sono delle lampade a fluorescenza in cui lo strato fluorescente che riveste il bulbo di vetro viene eccitato dalle emissioni β o γ di un appropriato materiale radioattivo. Sono in corso molte ricerche riguardanti principalmente la scelta di quest'ultimo (stronzio, cripton, radio, trizio, ecc.). Ma, per quanto risulta, allo stadio di primi tentativi d'impiego pratico sono giunte solo alcune lampade al trizio impiegate per usi speciali (per es. lampade da minatore).
Corpi illuminanti. - I perfezionamenti relativi all'altro componente della sorgente artificiale, il corpo illuminante, riguardano in piccola parte i materiali utilizzati per la costruzione dei riflettori, rifrattori o difrattori (fondamentalmente vetri e tipi diversi di resine termoplastiche) e, in modo più importante e significativo, i processi costruttivi che consentono ormai, almeno ai produttori più competenti e più progrediti industrialmente, di mettere in commercio materiali di caratteristiche esattamente definite e controllate. Conseguenza immediata di questo fatto è che, almeno in tutti i casi in cui le soluzioni costruttive degl'impianti d'illuminazione consentono poche variazioni (illuminazione stradale, di spazi industriali aperti o chiusi, di impianti sportivi, di ambienti chiusi fortemente caratterizzati come uffici, scuole, ecc.) la verifica della soluzione stessa diventa estremamente rapida e agevole potendo basarsi sull'impiego di tabelle o di grafici costruttivi partendo dalle caratteristiche ottiche dei corpi illuminati.
Tra i metodi più recenti e più completi per la verifica dell'illuminazione di ambienti chiusi vanno ricordati, il metodo BZ (British Zonal), messo a punto nel 1961 dalla Illuminating engineering society inglese e completamente revisionato nel 1971, e quello sostanzialmente analogo adottato dalla Società nord americana d'Illuminotecnica (IES): ambedue permettono di calcolare il fattore di utilizzazione (rapporto tra il flusso luminoso prodotto e flusso ricevuto, direttamente e indirettamente dal piano di lavoro) e di verificare molti altri parametri caratteristici dell'impianto (fattori di abbagliamento, fattori di manutenzione, rapporti flusso diretto/flusso diffuso, ecc.).
Sono state preparate anche tabelle per il calcolo rapido dell'illuminazione stradale: tra questi si ricordano quelle di J. B. de Boer fondate sull'analisi di un numeroso gruppo di impianti in esercizio e sui risultati sperimentali ottenuti dal Laboratorio Philips di Eindhoven.
Infine si ricorda che anche per lo studio dell'illuminazione diurna (previsione dei valori del fattore di luce diurna e studio degl'impianti d'illuminazione artificiale d'integrazione) sono oggi disponibili svariate raccolte di tabelle o grafici che semplificano lo studio delle soluzioni.
Bibl.: M. Cohu, Photométrie éclairage intérieur et extérieur, Parigi 1966; id., Sources lumineuses, ivi 1966; R. G. Hopkinson, P. Peterbridge, J. Longmore, Daylighting, Londra 1966; J. B. De Boer, Public lighting, Eindhoven 1967; ACEC (Ateliers de Costruction Electrique de Charleroi), Manuel d'éclairage, Charleroi 1969; R. G. Hopkinson, J. B. Collins, The ergonomic of lighting, Londra 1970: W. Eleenbaas, Fluorescent lamps, ivi 1971; S. I. Henderson, A. M. Marsden, Lamps and lighting, ivi 1972; IES (Illuminating Engineering Society), Lighting handbook, New York 1972; M. Bonomo, L'illuminazione delle strade e delle gallerie, Milano 1974; G. Lo Giudice, Principi d'illuminotecnica, ivi 1975; M. Paribeni, G. Parolini, Tecnica dell'illuminazione, Collana di fisica tecnica, vol. III, Torino 1976.