ILLIRICO (Illyricum)
La provincia romana. - Nei tempi più antichi i Romani riservarono il nome d'Illiria al tratto costiero fra la Dalmazia e l'Epiro, nel quale i Greci avevano fondato i due grandi emporî di Apollonia (presso Valona) e di Epidamno (Dyrrachium, Durazzo), stabilendosi anche più a nord, sulle isole di Issa (Lissa), Pharos (Lesina), Corcyra Nigra (Curzola), e che per il resto era occupato da forti tribù illiriche, sovrappostesi a stirpi traciche e miste di elementi celti. In questa regione verso la metà del sec. III a. C. si era formato un ampio stato estendentesi dalterritorio degli Atintani sin oltre il Narenta.
La conqista romana dell'Illirico. - Il re Agrone, figlio di Pleurato, che stava alla testa di questo stato, alleatosi con Demetrio di Macedonia, minacciò l'Epiro e le città greche del Mare Ionio, e con la sua pirateria non risparmiò gl'interessi dei commercianti italici, sì da spingere il Senato romano a chiedere riparazione; ma la regina Teuta, succeduta nel 231 a. C. al marito Agrone, diede ordine che si attentasse alla vita di uno degli ambasciatori romani. Scoppiò in tal guisa la prima guerra illirica. I consoli Cn. Fulvio e L. Postumio nel 229 a. C. passarono con sufficienti forze di terra e di mare nell'Illiria, costringendo la regina Teuta a rifugiarsi nel golfo di Cattaro e inducendo le città greche a porsi sotto la loro protezione, e i Partini e gli Atintani ad allearsi con loro. Nell'anno successivo Teuta dovette acconciarsi a un trattato di pace per il quale rinunciava alla massima parte dei suoi dominî, e si obbligava a non navigare al sud di Lisso (Alessio) con più di due navi. I territorî, ceduti dagl'Illirî, furono dai Romani attribuiti in massima parte a Demetrio di Faro, che, al principio delle ostilità, tradendo la causa illirica, aveva ceduto loro l'isola di Corcyra. La conclusione rapidamente vittoriosa della guerra pose i Romani nella luce di paladini della libertà delle città greche contro l'oppressione dei Macedoni, e aprì loro l'ammissione ai giuochi istmici, mediante la quale essi furono in certo modo riconosciuti come Elleni.
Pochi anni dopo, quando già si profilava all'orizzonte il grande conflitto di Roma con Cartagine, Demetrio di Faro, alleatosi con Antigono Dosone, la ruppe con i Romani, che inviarono immediatamente contro di lui il console L. Emilio, il quale lo vinse rapidamente, costringendolo a fuggire presso Filippo, successore di Antigono. Faro e Dimallo divennero possedimenti romani e in tutto il territorio fu stabilito il predominio di Roma, mercé il protettorato di dinasti amici.
Durante la 3ª guerra macedonica il re illirico Genzio si alleò nel 169 a. C. con Perseo, ma ne pagò caro il fio, perché, ancor prima della battaglia di Pidna, il pretore L. Anicio lo sconfisse con azione fulminea, ricacciandolo nella sua capitale Scodra e costringendolo a capitolare. Nel riordinamento generale, che tenne dietro alla sconfitta di Perseo, il territorio illirico fu dai Romani diviso in tre distretti e obbligato a pagare tributo, a eccezione delle città che durante la guerra avevano parteggiato per Roma. Da questo momento (167 a. C.) comincia la dominazione romana effettiva di questo territorio, sebbene non ancora si nominassero governatori speciali della regione. Verso il Nord il dominio romano si estendeva allora, lungo la costa, sino alle sedi dei Dalmati e delle stirpi affini, e con queste cominciò una serie di lotte che, prolungandosi nei decennî successivi, portarono all'occupazione progressiva della Dalmazia. Nel 156 a. C. il console C. Marcio Figulo assediò la capitale Delminium, che fu presa dal suo successore, P. Scipione Nasica. Nel 119 mosse contro i Dalmati L. Cecilio Metello, che svernò in Salona e si trattenne nella regione sino al 117 a. C., riportando notevoli successi. Nell'anno 78 scoppiò colà una rivolta, che fu repressa da C. Cosconio; nel 59 l'Illirico fu assegnato insieme con la Gallia a Giulio Cesare. Nel 50 un esercito romano intervenne contro i Liburni, ma fu respinto. Durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo i Dalmati tennero per quest'ultimo e nel 48-7 A. Gabinio subì da parte loro una fiera sconfitta, ma nel 46 essi si dovettero arrendere a Cesare. Nonostante ciò, la guerra continuò con alterna vicenda finché nel 34 a. C. Ottaviano, al quale era toccato l'Illirico per il trattato di Brindisi, riprese le ostilità. Assediata e presa la città di Promona, sconfisse i Dalmati accorsi alla difesa e occupò altre città, ponendo poi fine alla guerra con la presa di Letula. Il paese parve allora completamente soggiogato e pacificato, ma nel 12 a. C. ricominciarono le agitazioni dei popoli alpini della Dalmazia, e i Pannonî minacciarono il confine settentrionale. Contro di loro mosse, come legato di Augusto, Tiberio che terminò la guerra nel 9 a. C., con l'assoggettamento della Pannonia; ma pochi anni dopo, cioè nel 6. d. C., Pannonî e Dalmati si ribellarono di nuovo e occorse una nuova spedizione di Tiberio che terminò vittoriosa nel 9 d. C.
Istituzione e organizzazione della provincia romana dell'Illirico o Dalmazia. - La prima e la seconda guerra illirica avevano dunque portato allo stabilirsi di alcuni possedimenti romani nel territorio dell'antico regno illirico della regina Teuta, e del protettorato romano su tutto il resto di questo territorio; con la fine della terza guerra macedonica, il protettorato si era trasformato in dominazione di fatto, e finalmente attraverso una lunga serie di guerriglie e di spedizioni, il dominio romano si era allargato e consolidato contro sempre rinnovantisi velleità di riscossa degl'indigeni. Sull'anno preciso dell'istituzione della provincia la tradizione tace, e discordi sono le opinioni dei moderni, ma è molto probabile che i possedimenti romani dell'altra sponda dell'Adriatico nei primi tempi dell'occupazione, quando ancora continue erano le ribellioni e le guerre, anziché costituiti in provincia a sé, fossero connessi con i territorî confinanti e retti dagli stessi magistrati che avevano il govemo di questi. È cioè probabile che questi possedimenti prima fossero stati considerati accessorî dell'Italia e per ciò posti alla dipendenza dei consoli, e più tardi, forse a partire da Silla, fossero connessi ora con la provincia della Gallia Cisalpina, ora con quella della Macedonia. Il fatto è che a Cesare negli anni 58-51 a. C. fu conferito insieme con l'imperium della Gallia Cisalpina, quello dell'Illirico. Cesare concepì certamente il disegno di costituire l'Illirico in provincia a sé, ma non sappiamo se questo disegno fu da allora continuativamente attuato. Se non lo fu allora, lo fu con Augusto. Infatti, nella divisione che egli nel 27 a. C. fece delle provincie in imperiali e senatorie, l'Illirico fu assegnato al Senato. A quel tempo l'Illirico, come provincia, comprendeva tutti i possedimenti romani del versante orientale dell'Adriatico, che con le diverse spedizioni, già enumerate, contro i Dalmati, si erano venuti allargando attorno al primitivo nucleo dell'antico regno di Agrone e di Teuta. Al Nord, cioè, confinava con la Pannonia, spingendosi al disotto dell'odierna Belgrado, al sud con il territorio dei Partini (nella Macedonia settentrionale) e con la zona del fiume Drilon, a est con la Mesia (superiore), a ovest con l'Adriatico, dalla foce del Drilon alla Penisola Istriana. Esso abbracciava per ciò l'Albania, il Montenegro, gran parte della Bosnia e della Croazia, la parte orientale dell'Istria (al disopra di Pola) e quella occidentale della Serbia.
Nell'11 a. C. il Senato cedette l'Illirico all'imperatore, perché si potesse far fronte a quella ribellione dei Dalmati in alleanza con i Pannonî, che Augusto fece domare, come già s'è detto, per mezzo di Tiberio. Questi assoggettò allora i Pannonî e ne incorporò il territorio all'Illirico, spingendone il confine al Danubio: "Pannoniorum gentes" vanta Augusto nel Monumentum Ancyranum "quas ante me principem populi Romani exercitus nunquam adit... imperio populi Romani subieci protulique finis Illyrici ad ripam fluminis Danuvii". Ma quando qualche anno appresso la seconda spedizione di Tiberio domò la successiva rivolta dei Dalmati e dei Pannonî (6-9 d. C.), la Pannonia fu separata dal territorio della provincia più antica e organizzata come provincia per sé stante, e di fatto nel 14 d. C. vediamo che essa aveva un suo proprio legato, Giunio Bleso, mentre la Dalmazia ne aveva un altro, P. Dolabella. Come quasi tutte le provincie, l'Illirico (il nome di Dalmazia come provincia appare soltanto al tempo dei Flavî) ebbe la sua dieta provinciale, l'assemblea, cioè, dei rappresentanti di tutti i suoi comuni, presieduta da un sacerdos, che risiedeva nella capitale della Liburnia, Scardona.
Già al tempo di Cesare, e non sappiamo precisamente da quando, l'Illirico era diviso in tre distretti (conventus), nei quali il governatore si recava ad amministrare la giustizia. L'uno di essi comprendeva la Liburnia con la capitale Scardona, cioè tutta la parte a nord del fiume Titius, gli altri due abbracciavano la Dalmazia propriamente detta, a mezzogiorno di quel fiume, con le due capitali di Narona e di Salonae. Il governo della provincia, nel breve periodo in cui essa appartenne al Senato, fu tenuto da un proconsole, rappresentante appunto del Senato; poi, quando passò all'imperatore, da un rappresentante di lui, che ebbe il consueto titolo di legatus Augusti pro praetore, che fu poi sostituito da quello di praeses (si veda l'elenco dei governatori della Dalmazia, noti da fonti letterarie o epigrafiche, in Marquardt, Röm. Staatsverw., I, p. 300, n.1; e in De Ruggiero, Diz. Ep., IV, p. 24 segg.). Il governatore risiedeva in Salonae, e per l'amministrazione delle finanze era coadiuvato da un procurator, il quale attendeva in particolar modo a quanto concerneva il tributo fondiario (v. l'elenco dei procuratori a noi noti, in De Ruggiero, op. cit., p. 25).
Nel nuovo ordinamento dell'impero introdotto da Diocleziano la Dalmazia fu divisa in due provincie; la Dalmatia propria con l'antica capitale Salonae (e questa faceva parte della diocesi dell'Illirico occidentale dipendente dal praefectus praetorio Italiae) e la Praevalitana, con capitale Scodra (e questa faceva parte della diocesi dell'Illirico orientale dipendente dal praefectus praetorio Illyrici).
Distretto doganale illirico. - Ai fini della riscossione del portorium, del dazio, cioè, d'importazione che doveva pagarsi così dalle regioni esterne alle frontiere dell'impero romano, come dalle provincie limitrofe, e colpiva tutte le merci importate tanto per via di terra, quanto per porti marittimi e fluviali, la provincia dell'Illirico propriamente detta fu coordinata con le altre dell'Illirico in senso lato (v. sopra) in unico distretto doganale. Era un distretto vastissimo che dai confini dell'Italia si prolungava sino al Danubio, e nell'interno era suddiviso secondo le varie provincie illiriche. Data l'estensione così grande, esso era fornito di gran numero di stazioni, delle quali le iscrizioni ci fanno conoscere più che una dozzina, e la più importante pare fosse Poetovio. Quando questo dazio d'importazione sia stato introdotto nell'Illirico noi non sappiamo, ma forse esso risale agli ultimi tempi della repubblica, allorché il dominio romano si era abbastanza affermato in quella regione. Però soltanto sotto Adriano si ebbe un ordinamento generale e completo di tutto il distretto. È questione assai vessata, e insolubile allo stato attuale delle fonti epigrafiche e letterarie, se il dazio sia stato unico per tutte le provincie e per tutte le mercanzie, ovvero diverso.
Quanto alla riscossione del portorium, nella repubblica vi si dovette provvedere con il solito sistema dell'appalto a società di publicani, ma questi nell'impero scomparvero e furono sostituiti prima, almeno dal tempo di Adriano, da singoli appaltatori (conductores), e poi dal tempo di Commodo da procuratores imperiali. Degli uni e degli altri si hanno non poche menzioni nelle lapidi (De Ruggiero, op. cit., p. 26 segg.).
Per i molteplici compiti dell'amministrazione, oltre, a quanto pare, un ufficio centrale in Roma, vi dovevano essere per ciascuna provincia uffici principali e succursali locali, e in tutti questi uffici vi era un personale subalterno più o meno numeroso costituito prima di schiavi privati degli appaltatori, poi di schiavi o liberti imperiali, funzionanti presso i procuratori, ed ecco numerose iscrizioni attestarci e arcarii e dispensatores e portitores e tabularii e vicarii e vilici, ecc.
Presidio. - Dapprima la provincia ebbe bisogno di un forte presidio e per ciò vi furono destinate sei legioni, ma, cessate nei primi anni dell'impero le guerre, e divisa la Pannonia dalla Dalmazia, ve ne restarono soltanto due, la VII e la XI (che furono poi denominate Claudiae piae fideles), delle quali la prima ebbe il quartiere principale a Delminium, la seconda in Burnum. Quella, al tempo di Nerone, fu trasferita nella Mesia, questa, al tempo di Vespasiano, nella Germania superiore, e da allora fu stimato sufficiente il presidio di alcune coorti ausiliarie, di cui le lapidi citano la III Alpinorum, la VIII voluntariorum civium romanorum e la I Belgarum.
Romanizzazione della provincia. - Già nel sec. II e nel I a. C. molti commercianti italici si stanziarono nelle più importanti città marittime dell'Illirico, nei grandi porti di Epidaurum (Ragusa vecchia), Narona, Senia, Salonae e Iader (Zara) ed è così che questi negotiatores poterono avere non poca parte nella guerra civile tra Cesare e Pompeo. Ma fu soltanto con Augusto che queste città furono trasformate in colonie, con l'invio di veterani, e ordinate a municipî. Queste colonie divennero centri d'irradiazione della civiltà latina: a esse furono assegnati larghi tratti di ottimi terreni arativi, che i coloni, ogni giorno più prosperando, sfruttarono per mezzo di contadini indigeni. L'energica distruzione degli ultimi covi di pirati ancora esistenti nelle isole, la soggiogazione del continente, l'allargamento dei confini verso il Danubio, la provvida amministrazione imperiale, tendente a favorire le provincie di sua dipendenza e a farle eccellere su quelle senatorie, giovarono molto agli interessi di questi italici, stabiliti sulla costa orientale dell'Adriatico, e più rapidamente di tutte le altre colonie citate fiorì Salonae, la capitale del paese. Per recenti esplorazioni e recenti studî siamo in grado di seguire l'estensione progressiva delle fattorie romane nei territorî di Salonae e di Narona, di vedere come i piani della Dalmazia si andassero popolando di ville, e come nel paese s' introducessero gli stessi metodi capitalistici, che facevano la loro esperienza nell'Italia e nell'Istria. Accanto alle città furono stabilite, come abbiamo veduto, le fortezze legionarie di Burnum e di Delminium e parecchie fortezze minori, e quando, a tempo di Vespasiano, le legioni furono trasferite in Pannonia, rimasero alcune delle fortezze minori. Queste stazioni militari contribuirono largamente alla romanizzazione del paese, la quale poteva trovare ostacoli maggiori che altrove nell'ordinamento politico delle popolazioni indigene a comuni cantonali (civitates, gentes), ordinamento dovuto, pare, ad influenza celtica. Erano comuni cantonali suddivisi in decuriae. Dell'incivilimento e della romanizzazione i Romani fecero strumento potente il reclutamento militare di nativi illirici prima nelle coorti ausiliarie, poi nelle legioni. Compiuto il servizio militare, i veterani tornavano romanizzati nelle loro tribù e nei loro villaggi, e il governo romano, adottando qui la stessa politica seguita nella Spagna e altrove, costituì con questi veterani una specie di aristocrazia locale, alla quale andò la direzione della vita delle tribù indigene, e della quale si servì per creare a poco a poco dei municipî romani là dove prima non erano stati che villaggi indigeni. A tale trasformazione concorse naturalmente anche l'immigrazione di elementi italici, e così la Dalmazia si popolò di municipî romani, prevalentemente, s'intende, nella parte costiera, ma anche nell'interno. La loro creazione non significa che la romanizzazione del paese fosse compiuta; al contrario non rappresenta che un mezzo e una tappa di essa. Con i municipî i Romani si prefissero di controllare la vita delle tribù, non di sopprimerla, perché delle tribù essi avevano bisogno per il reclutamento. Gl'indigeni sussistettero, in genere, come popolazione rurale, annessa ai municipî, e rimasero nella condizione di peregrini.
Un esempio tipico di questa organizzazione è offerto dalla città di Doclea, esplorata da un archeologo russo e illustrata dallo Sticotti. Essa in origine non era stata altro che il luogo di rifugio fortificato della tribù dei Docleati, e quando divenne municipio con Vespasiano, la cittadinanza ne fu costituita con i capi della tribù (principes), con veterani e con emigranti da Salonae e Narona: crebbe in ricchezza e in prosperità, si abbellì di un foro, di una splendida basilica, di templi e di bagni. La stessa formazione cittadina si riscontra in Asseria ed Aenona, dietro Zara. Si deve aggiungere che alcune tribù non furono urbanizzate mai e continuarono nelle antiche forme di vita, come è dimostrato da molte iscrizioni di pietre terminali, che segnano i confini territoriali tra diverse tribù della Dalmazia. Ma anche se la romanizzazione della Dalmazia, e forse volutamente, non fu completa, essa rappresenta sempre una delle manifestazioni più caratteristiche e importanti dell'impero. Lo ebbe a proclamare Teodoro Mommsen, il quale aggiunse: "I confini della Dalmazia e della Macedonia sono nello stesso tempo il limite politico e linguistico dell'Occidente e dell'Oriente. Presso Scodra si toccano così i dominî di Cesare e di Marco Antonio, come quelli di Roma e di Bisanzio dopo la spartizione dell'impero, nel sec. IV. Qui confina la provincia latina della Dalmazia con la greca della Macedonia; qui sta, vigorosamente ambiziosa e superiore, animata dal più potente spirito di propaganda, accanto alla maggiore, la più giovane sorella".
Sviluppo economico. - Da una notizia di Polibio (XXXII, 18,5) si desume che già nel 158 a. C. grano e bestiame erano prodotti importanti della Dalmazia. Durante l'impero le selve davano abbondantissimo e pregevole legname da costruzione; e l'agricoltura si sviluppò lungo la costa e nelle vallate della Cherca e della Cettina alla maniera italica: allora si vide fiorire anche la coltivazione della vite e dell'olivo. Una particolare ricchezza del paese era costituita dalle miniere di ferro, che erano state sfruttate dagl'indigeni da tempo immemorabile: il ferro fu certamente per i Romani una delle principali attrattive della Dalmazia, perché serviva loro al rifornimento di armi per gli eserciti del Danubio, come le miniere della Gallia servivano allo stesso scopo per gli eserciti del Reno. Oltre miniere di ferro vi erano in Dalmazia miniere d'oro e d'argento, e le une e le altre furono poste presto sotto la diretta amministrazione imperiale e sfruttate per mezzo di appaltatori, conductores, sotto la sorveglianza di procuratori imperiali. La mano d'opera fu certamente fornita dagl'indigeni, che erano abituati al duro lavoro da secoli. All'amministrazione di queste miniere si riferiscono parecchie iscrizioni dalle quali si desume che, in genere, esse erano associate in unico distretto con quelle di altre provincie illiriche: Pannonia e Norico.
La presenza delle legioni prima nella provincia, poi sulla Sava, sulla Drava e infine sul Danubio diede grande impulso al commercio della Dalmazia, inserendola in quella grande rete di traffici, dei quali il centro principale fu Aquileia, e in questi traffici, che naturalmente si allargarono sempre più dai semplici scopi militari che avevano avuto in origine, sta una delle ragioni per le quali l'Italia settentrionale e la Dalmazia crebbero in prosperità sotto i Flavî e gli Antonini, mentre l'Italia centrale e la meridionale lentamente decadevano. Sarebbe certamente assai attraente seguire l'irraggiarsi dei commerci e delle industrie dell'Italia settentrionale, dell'Istria e della Dalmazia verso il Danubio.
Nella generale decadenza del sec. III la Dalmazia ebbe a soffrire relativamente poco, e anzi allora Salonae, che era già una grande città, scelta da Diocleziano, imperatore dalmata, a capitale della regione e a sua residenza privata, trasse gran profitto dagli sforzi di quel principe, riordinatore dello stato romano, tendenti ad abbassare Roma come metropoli, e raggiunse il suo massimo fiore. Accanto a Salonae appunto Diocleziano costruì quel magnifico palazzo, dal quale trae il nome l'odierna Spalato, e allora commercio, navigazione e industria confluirono sempre più in quelle acque, e Salonae divenne una delle più popolose e prospere città dell'Occidente.
Bibl.: J. Marquardt, Römische Staatsverwaltung, I, 2ª ed., Lipsia 1881, p. 95 segg.; Th. Mommsen, Le provincie romane da Cesare a Diocleziano, trad. it. E. De Ruggiero, Torino 1905, p. 186 segg.; id., Corpus Inscriptionum Latinarum, III, p. 278 segg.; C. Patsch, art. Delmatae, in Pauly-Wissowa, Real-Encykl., IV, coll. 2448-2455; Vulić, art. Illyricum, ibid., IX, col. 1085 segg.; E. De Ruggiero, Illyricum-Dalmatia, in Dizionario epigrafico di antichità romane, IV, i, Roma 1924, p. 20 segg.; P. O. Bahr, Der Ursprung der römischen Provinz Illyrien, Grimma 1876; G. Zippel, Die römische Herrschaft in Illyrien bis auf Augustus, Lipsia 1877; J. Jung, Römer und Romanen in den Donauländern, Innsbruck 1877, p. 56 segg.; id., Die romanischen Landschaften des römischen Reiches, 1881, p. 314 segg.; H. Cons, La province romaine de Dalmatie, Parigi 1882; R. Cagnat, Le portorium chez les Romains, Parigi 1880, p. 30 segg.; M. Rostowzew, Geschichte d. Staatspacht in d. röm. Kaiserzeit bis Diokletian, Lipsia 1902, p. 394; E. Nischer, Die Römer im Gebiet des ehemaligen Österreich-Ungarn, Vienna 1923; W. Kubitschek, Die Römerzeit, Vienna 1923; E. Pais, Imperialismo romano e politica italiana, Bologna 1920, p. 154; M. Rostovzev, Storia sociale ed economica dell'impero romano, trad. it., Firenze 1933, pp. 271 segg.; V. Chapot, Le monde romain, Parigi 1927, p. 418 segg. Per i risultati dell'esplorazione archeologica della Dalmazia, proseguita dall'Istituto archeologico austriaco e dal Bosnich-herzegowinisches Institut für Balkanforschung in Sarajevo, v. C. Patsch, Archäologisch-epigraphische Untersuchungen zur Geschichte des römischen Provinz Dalmatien, in Wissenschaftliche Mitteilungen aus Bosnien und Herzegowina, Vienna 1897; id., Bosnien und Herzegowina in römischer Zeit, in Schriften zur Kunde der Balkanlhalbinsel, XV, Sarajevo 1911; id., Die Herzegowina einst und jetzt, ibid., n. s., I, Vienna-Lipsia 1922; P. Sticotti, Die römische Stadt Doclea in Montenegro, in Schriften der Balkankommission, VI, Vienna 1913; E. Hébrard e J. Zeiller, Spalato, le palais de Dioclétien, Parigi 1912; Forschungen in Salona, Vienna 1918; C. Praschniker e A. Schober, Archäologische Forschungen in Albanien und Montenegro, Vienna 1919; M. Abramić, in Strena Buliciana, Zagabria 1924; G. Kowalczyk, Denkmäler der Kunst in Dalmatien, Berlino 1910; A. Venturi, E. Pais, P. Molmenti, Dalmazia monumentale, Milano 1917; A. Tamaro, La Vénétie julienne et la Dalmatie, II, Roma 1919, p. 73 segg. Per l'esplorazione italiana in Albania, L. Ugolini, in Bullettino del Museo dell'Impero, I (1930), pp. 188 segg.; id., Albania antica, I, Roma 1927; II, ivi 1932; A. Calderini, Aquileia, Milano 1930; C. Daicovici, Gli Italici nella provincia Dalmatia, in Ephemeris Dacoromana, V (1932), p. 57 segg.