Illiceità penale ed invalidità contrattuale
I rapporti tra condotta di reato e invalidità del contratto (e dunque la domanda se dalla violazione di norma penale derivi la nullità del contratto) costituisce un problema di perdurante attualità, giacché trova schierate su opposte posizioni la dottrina e la giurisprudenza. Sotto il profilo funzionale la distinzione è chiara: se la norma imperativa (penale) violata ha natura di ordine pubblico (e tutela interessi di assetto) si ha nullità; se invece tutela interessi singolari la nullità deve essere esclusa. Se ne offre sintetica dimostrazione attraverso l’analisi del dibattito sulle conseguenze civilistiche delle condotte penalmente rilevanti di truffa, di circonvenzione di persone incapaci e di usura.
Il titolo di questo contributo racchiude implicazioni con riguardo a una serie di tematiche di notevole complessità, di cui non soltanto non sarebbe possibile dar conto (se non per cenni) nello spazio riservato a questo contributo, ma nemmeno si mostrerebbe utile, a fronte della vasta letteratura, anche di recente formazione, disponibile a riguardo1.
Invece, nella speranza di arrecare un ulteriore stimolo al dibattito, mi porrò in una prospettiva di analisi che prende le mosse dal diritto penale per rivolgersi poi al diritto civile: angolatura meno naturale (e forse meno agevole) di quella consueta al civilista (la quale presupporrebbe una dinamica dell’attenzione in senso contrario).
Poiché il diritto penale sanziona condotte umane, e poiché la contrarietà della condotta alla norma penale è definita dalla categoria della illiceità (distinguendosi in illeciti delittuosi e contravvenzionali), un suggestivo parallelismo invita ad avviare la riflessione focalizzando l’analisi sulla rilevanza della condotta, in termini di invalidità (e di illiceità) nel diritto dei contratti; per poi stabilire le essenziali conseguenze della condotta penalmente illecita rispetto al trattamento dell’atto di autonomia.
Il diritto penale si svolge sulla condotta2 quale comportamento3 umano di cui la norma si fa regola imperativa, sanzionata nel modo più severo che l’ordinamento conosca. Invece, nel diritto dei contratti il giudizio di valore cade sul contratto stesso: come regola che i privati pretendono di costruire. Il giudizio sul contratto è infatti un giudizio di validità.
Sia pure con la sintesi imposta, può ribadirsi che il termine "invalidità" non denota un istituto del diritto positivo, ma una idea generale e primaria posta a base dell’intera elaborazione giuridica, e dunque anche delle disposizioni legali. Essa è frutto della riflessione scientifica: nella teoria del diritto e nei singoli settori delle materie positive. Nel diritto contrattuale con tale termine si compendia la fondamentale questione dei limiti di realizzazione della libertà contrattuale rispetto al diritto oggettivo. L’invalidità esprime un giudizio sulla regola contrattuale nel suo rapporto con la regola legale: così come la riscontrata conformità determina una valutazione positiva di validità, la riscontrata difformità determina una valutazione negativa di invalidità. La posta in gioco è il valore precettivo del contratto, affermato nel caso di validità e invece negato nel caso di invalidità.
Ai fini del discorso che intendo intraprendere, va sottolineato che la disarmonia tra contratto e diritto oggettivo – in cui alberga l’essenza dell’invalidità ‒ può cogliersi secondo due diverse angolazioni. Nella classica prospettiva strutturale, l’invalidità esprime il difetto della fattispecie negoziale rispetto alla fattispecie legale, in cui non riesce ad essere assorbita (sussunta): per la mancanza di un elemento essenziale (come l’oggetto), o di un requisito essenziale di tale elemento (come la determinabilità dell’oggetto) o una qualificata carenza della volontà (come per l’errore, spontaneo o indotto dal dolo altrui). Nella diversa prospettiva funzionale l’invalidità esprime il contrasto dell’interesse singolare affermato nel contratto rispetto all’interesse generale (o anche particolare, se connesso con un interesse generale) tutelato dall’ordinamento (come accade nel contrasto tra regola contrattuale e norma imperativa di legge). Entrambi i punti di vista si mostrano utili a catturare alcune ipotesi di invalidità ma non esaustivi rispetto ad altre: così mentre l’analisi strutturale riesce a dar conto dei casi di nullità per carenze nella fattispecie (nullità per mancanza di un requisito essenziale) l’analisi funzionale si rivela essenziale per comprenderne altre (nullità per illiceità: da contrasto del regolamento contrattuale con ordine pubblico, buon costume o norme imperative, nel quale ambito si colloca naturalmente la questione del contratto in violazione di regola penale).
Per l’artificiosità delle costruzioni fondate su una prospettiva assolutizzante (come la concezione, di matrice strutturale, della illiceità quale mancanza del requisito di fattispecie della liceità), sia l’analisi strutturale che l’analisi funzionale conservano ragione e utilità, a condizione, tuttavia, che l’approccio strutturale non faccia ombra alla natura assiologica della valutazione: il contratto è invalido in quanto pur sempre colpito da un giudizio di disvalore.
Il codice civile non dedica all’invalidità del contratto una disciplina apposita; piuttosto presuppone il concetto di invalidità in specifiche normative quali, per opinione storicamente consolidata e tuttora pacifica, quelle sulla nullità e sulla annullabilità. Ne discende il valore esclusivamente descrittivo e ricostruttivo del concetto di "invalidità del contratto", quale formula di sintesi in cui si riassumono alcune discipline legali. Se a volte ricorre il termine "invalidità" (cfr., per es., artt. 1338, 1347, 1352, 1389, 1398, 1404, 1405, 1411, 1440 c.c.) è dunque per rinvio alle singole discipline positive e non per immediato riferimento alla semplice invalidità, non ulteriormente specificata. Il che appare peraltro coerente con la natura e la funzione del concetto, quale strumento teorico di conoscenza e classificazione di fenomeni giuridici.
2.1 Illiceità della condotta e illiceità del contratto
Sulla scorta di queste prime osservazioni sembrerebbe che i termini di riferimento dei due settori, penale e civile, siano molto distanti: realizzandosi il primo riferimento in un fatto umano (nella condotta) ed il secondo in un artefatto, in una convenzione (nel contratto).
Per indagare la realtà di questa distanza può prendersi le mosse dalla fondamentale qualificazione negativa del contratto, che ne determina la invalidità: la illiceità. È illecito il contratto con causa (se si preferisce, funzione) contraria a norme imperative, ordine pubblico o buon costume; e dunque, contrario ai dettami del diritto imperativo esplicitato nella legge e delle clausole generali che organizzano quel diritto in sistema4.
Al momento, non preme di fissare il nesso tra illiceità e forme di invalidità: ossia se, come si ritiene correntemente, alla qualificazione di illiceità segua un trattamento in termini di nullità (per di più aggravata) oppure, in alcuni casi, di annullabilità o anche di semplice irregolarità: come opinioni minoritarie tuttora sostengono5.
Interessa piuttosto la qualificazione in se stessa considerata, per verificarne la declinazione nel diritto dei contratti.
2.2 Illiceità ed esercizio della libertà contrattuale
Benché nel codice civile la illiceità sia riferita agli elementi del contratto, l’attenzione alla funzione dello stesso e dunque al concreto atteggiarsi del fenomeno contrattuale nella sua interezza (con riguardo alla operazione economica realizzata attraverso l'atto di autonomia e considerando il risultato pratico avuto di mira) invita ad una indagine più accurata.
Peraltro, in alcune disposizioni del codice civile l’illiceità è riferita non a singoli elementi ma all’intero negozio. Spicca sopra tutti l'art. 1344 c.c., dove l'equivoco riferimento alla causa non vale a fondare l'indagine sulla frode all'interno di tale requisito, all’evidenza incapace di contenere il senso globale dell’operazione realizzata. Cosicché, da quando la dottrina sulla frode alla legge ha elaborato a sufficienza l'idea dell'abuso strumentale del modello, piegato a fini illeciti, si è dovuto prendere atto che la frode emerge soltanto assumendo un punto di vista esterno al contratto e preoccupato dell’intera operazione economica di cui lo stesso costituisce una semplice articolazione (come dimostra la dottrina sul collegamento negoziale)6.
L’attenzione così maturata rispetto alla funzione consente progressi ulteriori, spingendo a ricercare l’essenza della illiceità non soltanto prescindendo dall’analisi parcellizzata dei singoli elementi del contratto (causa, motivi e oggetto) in cui è dichiaratamente allocata, e non solo considerando il contratto nella sua interezza; ma, per di più, guardando oltre l’atto o la serie di atti di cui l’operazione complessivamente consta e osservando la condotta di chi lo pone in essere.
In effetti, in teoria generale la illiceità è ‒ nell’essenza ‒ predicato non di un atto o di sue porzioni, ma di una condotta. Preciserei: non semplicemente della condotta che integra la prestazione dedotta in contratto e in ipotesi illecita bensì, e ancor prima, della condotta tenuta dalle parti nello stabilire il regolamento e nel concludere il contratto. Certamente, la condotta illecita può essere dedotta in prestazione, ma prima di essa rileva un'altra diversa condotta: la deduzione della prestazione medesima nel contratto. Che la causa debba essere lecita, altro non significa che divieto di stipulare contratti con causa illecita. Lo stesso può dirsi per gli altri elementi e, con evidenza ancora maggiore, per i divieti soggettivi di stipulare.
Chiaramente, il giudizio di illiceità sulla condotta inottemperante si conduce in primo luogo sul contratto, che ne è risultato; ma è proprio dall'esame del contratto (del risultato) che si deduce – secondariamente ‒ la illiceità della condotta che lo ha prodotto.
Questa prima conclusione armonizza l’illiceità contrattuale con la concezione generale della illiceità, e dunque anche con la concezione penalistica, secondo la quale essa è qualificazione (prima che di una conseguenza di una azione, come è il contratto) di una azione in se stessa considerata. Quando l’azione o ‒ come meglio si puntualizza ‒ il comportamento ha natura negoziale, e consiste nell’esercizio della libertà contrattuale, l’illiceità ‒ pur riferita al contratto ‒ qualifica in effetti quel comportamento. L’espressione "contratto illecito" dovrebbe in questa prospettiva essere intesa come "contratto nullo perché discendente da comportamento negoziale illecito".
Discorrere di condotta prenegoziale equivale a discorrere di esercizio della libertà contrattuale. Di questo esercizio il contratto è una testimonianza esitale, un prodotto; magari anche una allocazione valoriale. Tuttavia, ciò che cade in esame è sempre la condotta che pone in essere il contratto; e ciò sia pure attraverso l’oggetto immediato di riflessione del civilista, che è tradizionalmente dato dal contratto.
Se queste affermazioni preliminari sono condivisibili, allora la diversità che corre tra diritto civile e penale non è irrelazione: la considerazione della norma civile e della norma penale si sovrappongono su di un identico fattore della realtà: la condotta umana, sottoposta a diversa qualificazione a seconda che rilevi l’aspetto penalistico o l’aspetto civilistico.
2.3 Condotta contrattuale e contrattazione asimmetrica
L’importanza di queste conclusioni, che valorizzano la condotta, si colgono con diversa intensità a seconda del settore della contrattazione che viene in rilievo.
Non si colgono appieno nell'ambito della cd. contrattazione tra eguali, ossia determinata da un equilibrato incontro di volontà, in cui il contratto è dato dall'incontro di due manifestazioni di autonomia per principio egualmente libere, e dunque dall'incontro di due prestazioni illecite o (nel comune accordo) di una prestazione illecita a fronte di altra invece in se stessa lecita. Poco importa, nella pratica, distinguere tra condotte convergenti nella formazione di un atto vietato e quell’atto. La reazione distruttiva dell’ordinamento (invalidità) sottrarrà comunque alla tutela giuridica l’atto: reprimendo efficacemente, e d’un colpo, entrambe le condotte illecite.
Molto diversamente, nell'ambito della contrattazione diseguale7, e specialmente nel settore della contrattazione esercitata dalle imprese sul mercato, la condotta illecita tenuta dalla parte prevalente e costitutiva del contratto può essere approssimativamente (ma icasticamente) classificata come espressione di un abuso contrattuale consumato nei confronti dell'altra parte (e mediatamente concepita come abuso di mercato).
Si apprezza comunque una condotta illecita: ma una soltanto. L’illiceità, pur essendone costitutiva, non è predicato dell’atto (non lo descrive compiutamente); piuttosto essa è nell’atto (si insinua in esso determinandone in qualche misura la compromissione). La radicale negazione di efficacia dell’atto (quale conseguenza esemplare della illiceità nelle forme della nullità aggravata), esprimendo una indifferenziata disapprovazione della condotta di abuso e della condotta a essa soggiacente, sarebbe rimedio grossolano e inadeguato.
Questo esito sembrerebbe difficilmente scongiurabile assumendo una prospettiva per così dire tradizionale. Nella dogmatica classica il contratto è studiato secondo il paradigma della fattispecie; ma, considerato come fattispecie, l’atto o è o non è illecito: senza possibilità di ulteriori e più sottili distinzioni.
Invece, ricercare l’illiceità nella condotta negoziale (e dunque nell’atto) secondo un metodo diverso dal tradizionale, appare essenziale per calibrare efficientemente l'estensione del rimedio della nullità quale conseguenza usuale della qualificazione di illiceità: che non può travolgere, senza contrastare la ragione della legge stessa, anche gli interessi della parte che l'ordinamento ha scelto di tutelare.
Questo metodo si rivela particolarmente promettente nello studio delle conseguenze della illiceità penale della condotta sulla validità del contratto; tematica ricompresa nella vasta questione della cd. nullità virtuale, ossia nell’intricato problema del trattamento del contratto contrario a norme imperative (sul quale problema mi permetto di rinviare alle belle relazioni che hanno preceduto questa).
Acquisito che la illiceità penale della condotta possa determinare conseguenza sul contratto concluso per mezzo di un esercizio della libertà contrattuale non conforme alla norma imperativa di natura penale, può affermarsi (sia pure con grande approssimazione) che, in generale, da un lato si concorda come illiceità penale (della condotta) e illiceità civile (del contratto) non siano necessariamente coincidenti; dall’altro non si discute tuttavia che la illiceità penale della condotta determini una qualche forma di invalidità del contratto.
Si possono verificare – tra le altre ‒ tre eventualità8. In primo luogo, la legge penale, oltre che punire il reo (una, alcune o tutte le parti dell’accordo) può disapprovare (per così dire) direttamente il contratto, vietando la vendita, l’acquisto o il commercio di determinati beni (es.: artt. 250, 352, 470, 474, 648, 686, 705 e 710 c.p.). In simili fattispecie ciò che la legge penale direttamente sanziona è il regolamento a cui le parti sono pervenute. Nessun problema si pone, dunque, se il contratto penalmente vietato ha causa, oggetto o motivo determinante illeciti, poiché in questi casi è la legge civile che dispone la nullità.
Allo stesso modo, nessun problema si pone se la legge penale punisce direttamente il contratto, e specificamente il comportamento di entrambi i contraenti (es.: turbata libertà degli incanti, art. 353 c.p.); ciò che la legge direttamente sanziona è il regolamento a cui le parti sono pervenute.
A volte, tuttavia, la legge penale si limita a punire il comportamento di una parte nella fase delle trattative, senza disapprovare espressamente il contratto: penalmente rilevante è non pertanto, e immediatamente, l’assetto di interessi raggiunto, ma la condotta tenuta da una delle parti ai danni dell’altra per raggiungerlo. Si discorre usualmente di “reati in contratto”. Si tratta di figure realizzate con la cooperazione artificiosa della vittima, che è indotta con mezzi illeciti (frode, violenza, approfittamento dello stato di bisogno o di inferiorità psichica) a una disposizione patrimoniale (es., artt. 629, 640, 641, 643, 644 c.p.). Poiché la norma imperativa non si interessa della convenzione ma si limita a disapprovare solo alcune tra le condotte che la realizzano, sorge una grave incertezza sul trattamento civilistico del contratto: e, in particolare, sulla forma di invalidità che colpisce il contratto.
L’opinione comune, maturata sulla scorta della distinzione tra “sanzione” del contratto e sanzione del comportamento delittuoso di uno dei contraenti, è che in questo ultimo caso, poiché la norma penale non vieta il comportamento di entrambe le parti che si accordano, non vieta di conseguenza il contratto come tale, ma come risultato di un «comportamento materiale» tenuto da taluno dei contraenti. In sostanza, il reato sarebbe circoscrivibile nel comportamento di una delle parti e non travolgerebbe automaticamente il contratto. Cosicché, per decidere del contratto dovrà essere applicata la disciplina civilistica relativa al vizio intervenuto: che potrà essere l’una o l’altra forma di invalidità9.
Così, gli artifici e i raggiri usati dal truffatore rileverebbero, civilisticamente, come dolo contrattuale, sanzionato non con la nullità ma con l’annullabilità. La sproporzione fra le prestazioni nel contratto di usura potrebbero rilevare civilisticamente nell’ambito della rescindibilità per lesione (oppure nel contesto della illiceità per contrarietà al buon costume). La circonvenzione di incapace consumata per mezzo di un contratto rileverebbe sul piano civile nello spazio dell’annullabilità per incapacità del contraente circonvenuto.
Per questa posizione si riafferma l’autonomia del diritto civile rispetto al diritto penale: e tanto guardando alla fattispecie penalisticamente rilevante secondo gli schemi civilistici, per verificarne l’eventuale, ulteriore rilevanza10.
A voler muovere qualche rilievo critico può dirsi che il criterio fondato – in ossequio alla dottrina classica ‒ sull’esame strutturale della fattispecie ha natura schiettamente formale; la sua elaborazione risente della concezione tradizionale della illiceità come qualificazione negativa della causa del contratto e del programma economico e giuridico perseguito da tutte le parti che hanno dato vita al contratto. Certamente, il criterio appare legittimato dalla constatazione che l'art. 1418, co. 1, c.c. si riferisce al contratto (globalmente considerato) e non alle singole partecipazioni che lo hanno costituito. Tuttavia, nella sua astrattezza dal dato materiale, si presta bene ad applicazioni meccanicistiche che paiono consentire una certezza di risultati e una significativa prevedibilità delle decisioni svelando nondimeno una chiara matrice ideologica. E infatti, nella dichiarata pretesa di assicurare scientificità al risultato dell’analisi interpretativa, si scopre fondato su di una precisa visione dell'autonomia privata e del ruolo assunto dalle parti nel dar luogo al contratto: la visione liberale classica che vuole l'autonomia intangibile e considera le parti soggetti astratti e formalmente uguali per diritti.
Per una simile impostazione, la distanza tra sanzione penale della condotta e invalidità del contratto si allarga notevolmente. Appiattire la rilevanza della condotta delittuosa sul piano dell’analisi strutturale del contratto comporta di annullare il rilievo valoriale della sanzione penale, affidandosi per le conseguenze civilistiche della condotta a un criterio disancorato da influenze assiologiche e perciò ritenuto maggiormente conforme alle esigenze di certezza del diritto nel senso di prevedibilità delle decisioni.
3.1 Violazione di norme imperative e illiceità
Quanto questa visione si mostri oggi disattesa dallo sviluppo della giurisprudenza e della legislazione in tema di contratto è inutile dire per essere ormai numerosi e approfonditi gli studi che censiscono il fenomeno.
Ma, quanto più conta, la tesi si mostra fragile anche limitando lo sguardo sul sistema codicistico e, dunque, sulla norma dell’art. 1418, comma primo che, disciplinando il contratto contrario a norme imperative, apre un varco amplissimo tra il settore civile e gli altri settori dell’ordinamento, consentendo la rilevanza civilistica di norme imperative espresse negli ambiti più diversi: penale, amministrativo, fiscale, e così via.
Alla luce di questa disposizione, che fissa la nullità come regola e l'altro vizio o la irregolarità o la validità come eccezione, occorrerebbe considerare, innanzitutto, il precetto imperativo non espressamente sanzionato dalla legge civile e indagare la ragione del divieto e della sanzione penale.
Se il divieto e la sanzione rispondono a esigenze poste da ordine pubblico e tutelano interessi fondamentali, si dovrebbe concludere per la illiceità del contratto e dunque per la nullità. Se il divieto e la sanzione tutelano interessi meramente individuali, la nullità dovrebbe essere esclusa e la rilevanza civilistica del divieto dovrebbe essere appurata verificando l’esistenza di ulteriori rimedi: quelli posti a tutela di tali secondari interessi (annullabilità, rescindibilità, recesso, risoluzione).
Questo metodo sterilizza il rischio di trattare la fattispecie, che presenta caratteri di compatibilità con un vizio specifico (es. annullabilità) secondo la disciplina prevista per tale vizio, pur realizzando il contratto una violazione di norme imperative, ordine pubblico o buon costume secondo il disposto dell'art. 1343 c.c. Un contratto illecito, infatti, può ben essere per altro verso «viziato» da dolo di una parte o errore dell'altra, o concluso dall'incapace. Come chiarisce il caso del contratto concluso circonvenendo un incapace e del contratto concluso usurando la vittima, la compatibilità strutturale tra fattispecie contrattuale realizzata in violazione della legge penale espressiva di valori di ordine pubblico con figure della invalidità diverse dalla nullità non di rado è facilmente ravvisabile. Questa compatibilità strutturale non può tuttavia fornire un valido argomento per escludere la illiceità del contratto a vantaggio di un diverso trattamento. Il giudizio di illiceità, infatti, non si svolge sul piano strutturale ma sul piano funzionale.
La compatibilità o la coincidenza strutturale di elementi della fattispecie con conseguenze diverse dalla nullità non può pertanto assumere, nell'indagine sul trattamento civilistico del contratto in violazione della legge penale, che un carattere esclusivamente indiziario.
Seguendo il criterio sostanziale dell’indagine sulla natura della norma imperativa violata – dunque l’approccio funzionalista nello studio del generale problema dell’invalidità contrattuale ‒, concentrando pertanto l’esame sulla norma penale disattesa, si ripristina soddisfacentemente una relazione tra settore penale e settore civile, guadagnando l’importante risultato di rendere civilisticamente rilevante la ragione fondativa della norma penale.
3.2 Contratto, truffa e circonvenzione di persone incapaci
Se analizziamo l’evoluzione giurisprudenziale nella soluzione dei problemi di nullità virtuale posti dalla violazione di norme penali possiamo notare come le corti apparentemente si avvalgano sia del criterio sostanziale del contrasto con l'ordine pubblico sia del criterio formale che, privilegiando l'autonomia dell'indagine sul piano civilistico, si rivolge alla verifica della rilevanza civilistica del "vizio" introdotto nel contratto dalla condotta di reato; ma in realtà seguano il criterio sostanziale, così valorizzando il rilievo della condotta contrattuale tenuta dal reo da un lato e dalla vittima del reato dall’altro.
Credo necessario, ma anche sufficiente, considerare brevemente i tre casi emblematici dell’usura, della truffa e della circonvenzione. Si tratta di fattispecie in cui viene in questione non semplicemente la riprovazione penale della condotta di uno soltanto dei contraenti, ma l’abuso della libertà contrattuale compiuto da quel contraente ai danni dell’altro: secondo la modalità propria dell’abuso nella contrattazione diseguale.
Costituisce buon metodo analizzare congiuntamente le conseguenze civilistiche del delitto di truffa e del delitto di circonvenzione di incapace: così da porre in chiaro differenze che, pur rilevanti sotto il profilo funzionale, non sarebbero apprezzabili sotto il profilo strutturale. Commette il delitto di truffa chi con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un profitto ingiusto, con altrui danno (art. 640 c.p.). Commette il delitto di circonvenzione di incapace chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o delle inesperienze di un minore o dello stato di infermità o di deficienza psichica di qualcuno, li induce a compiere un atto per quelli o per altri dannoso (art. 643 c.p.). Entrambi i delitti, di cooperazione artificiosa della vittima, possono realizzarsi spingendo quest’ultima alla conclusione di un contratto, vantaggioso per il reo e dannoso per l’altro contraente o per terzi.
Nella truffa balza in primo piano l’elemento del dolo, inteso non come volontà delittuosa ma, specificamente, come comportamento ingannatore, artificioso e raggirante: la stessa condotta che nel diritto dei contratti cagiona nell’altra parte l’errore (art. 1439 c.c.). Nella circonvenzione di persone incapaci spicca l’elemento costitutivo dell’incapacità (naturale o legale) del soggetto passivo, perciò vittima dell’altrui condotta delittuosa di approfittamento: incapacità che nel diritto dei contratti rileva, a volte in concorso con altri elementi, come causa di annullabilità (artt. 428 e 1425 c.c.).
La giurisprudenza prevalente sostiene l’annullabilità del contratto derivato da truffa, atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa non appare diverso da quello che vizia il consenso negoziale11.
Diversamente, per il contratto con cui si realizza il delitto di circonvenzione, la giurisprudenza da un lato ‒ applicando il metodo raccomandato dalla dottrina prevalente ‒ verifica ed esclude l’assimilabilità dell’incapacità di cui all’art. 643 c.p. a quella di cui all’art. 428 c.c.; dall’altro rilevando l’imperatività della norma penale conclude per la comminatoria di nullità12.
Queste conclusioni, conformi a quelle della dottrina prevalente con riguardo alla truffa ma rispetto a esse assolutamente difformi con riferimento alla circonvenzione appaiono a molti contraddittorie13, giacché mentre nel primo caso le decisioni si orientano ricercando le regole civilistiche autonomamente applicabili al contratto, invece nel secondo caso sembra che per i giudici l’incapacità rilevi non come causa di annullabilità (secondo quanto imporrebbero le regole civilistiche) ma come causa di nullità.
Tuttavia, provando ad applicare il criterio della verifica della natura di ordine pubblico della norma imperativa violata, si giunge in tutti e due i casi (truffa e circonvenzione) alla conclusione fatta propria, con motivazioni varie, dalla giurisprudenza maggioritaria.
Il bene protetto nel delitto di truffa è, secondo l’opinione comune, il patrimonio. La tutela si rivolge a un interesse (del soggetto passivo alla integrità del suo patrimonio) di portata non pubblicistica ma schiettamente privatistica. Coerentemente, se non ricorrono circostanze aggravanti, il delitto è perseguibile a querela (art. 640, co. 3, c.p.). Alla stregua della lettura giurisprudenziale dell’art. 1418, co. 1, c.c., il contratto derivato dal delitto non offendendo l’interesse pubblico (ma è meglio dire: di ordine pubblico) viola una norma imperativa non sanzionabile con la nullità, ma eventualmente assoggettabile a diversa conseguenza ponendosi in evidenza un vizio del volere (errore determinato dal dolo altrui) con l’annullabilità.
Tradizionalmente, anche nel delitto di circonvenzione si stimava che il bene protetto fosse il patrimonio dell’incapace. Tuttavia, secondo l’opinione della moderna giurisprudenza, qui la legge penale tutela (piuttosto che il patrimonio) la libertà di autodeterminazione dell’incapace in ordine agli interessi patrimoniali: l'interesse alla libertà negoziale dei soggetti deboli e svantaggiati (e, sinteticamente: l’interesse alla salvaguardia della dignità)14. La tutela si fonda pertanto su ragioni di ordine pubblico. Alla stregua della lettura giurisprudenziale dell’art. 1418, co. 1, c.c., il contratto derivato dal delitto, offendendo l’interesse di ordine pubblico, viola una norma imperativa sanzionabile con la nullità.
In effetti, la peculiarità della fattispecie penale non è nello stato di incapacità (o deficienza) in cui versa la vittima, ma è nella induzione e nell'abuso che si materializzano nell'approfittamento che il reo consuma ai danni della vittima incapace; questo approfittamento si traduce in una forma particolarmente grave di abuso contrattuale, lesiva dell'altrui libertà negoziale quale valore fondamentale riconosciuto dall'ordinamento. Nella previsione dell'art. 428 c.c. rileva, invece, la semplice malafede (v. il co. 2): la conoscenza dell'altrui stato di incapacità; si prende in considerazione la possibilità che ha il contraente di formarsi una volontà propria e non, come nella legge penale, la concreta possibilità di resistere alla volontà altrui.
È allora importante annotare che nel contratto concluso tra circonveniente e circonvenuto l'illiceità si manifesta nella forma dell'abuso nel contratto: non come risultato concordemente perseguito dalle parti (secondo l'idea tradizionale della illiceità contrattuale) ma come prevaricazione della parte forte ai danni della parte debole. Non ponendosi alcun problema di affidamento dell'altro contraente ed evidenziandosi l'esigenza di reprimerne l'abuso, anche le forme più lievi di incapacità assumono importanza; si prescinde inoltre dalla gravità del pregiudizio arrecato alla parte debole: è sufficiente che essa subisca (genericamente) un danno, secondo alcuni non necessariamente di carattere patrimoniale.
3.3 Contratti usurari
Per il delitto di usura è significativa non solo l’evoluzione giurisprudenziale sul trattamento del contratto usurario, ma soprattutto l’evoluzione legislativa, talmente coerente con la prima da porsi quasi a sugello della correttezza metodologica sottesa alle sentenze sulle conseguenze civilistiche delle condotte contrattuali penalmente rilevanti.
Nel codice civile del 1865, determinato dalla ideologia liberale classica, i contratti usurari erano privi di "sanzione" (giacché l'interesse convenzionale si stimava rimesso alla incondizionata volontà dei contraenti: art. 1831, co. 3); coerentemente, il codice Zanardelli non contemplava il reato di usura.
Nella prospettiva corporativa, il codice Rocco reprime invece l'usura; l'art. 644 c.p. ne definisce la forma giuridica con inevitabili riflessi nel diritto civile: giacché si diffonde l’idea che i contratti usurari sono nulli per illiceità della causa (in quanto essa si palesa contraria a una norma penale e al buon costume).
Lo scenario subisce ulteriori mutamenti sostanziali con l’entrata in vigore del nuovo codice civile, e con l’introduzione della disciplina della rescissione. Anche in questa fase, tranne rare eccezioni, l'indirizzo giurisprudenziale è costantemente ribadito. In particolare la giurisprudenza esclude che il contratto di usura sia assoggettabile a rescissione per lesione (art. 1448 c.c.). Una massima costante distingue fra contratto stipulato nella consapevolezza dell’altrui stato di bisogno e contratto stipulato con approfittamento di quello stato. Il primo contratto non è considerato contrario alla legge penale, ma solo alla legge civile: si ritiene che cada sotto la "sanzione" dell’art. 1448 c.c. Il secondo contratto urta la legge penale e insieme la legge civile; quale negozio contrario alla norma imperativa penale, sotto il profilo civilistico è considerato nullo ai sensi dell'art. 1418, co. 1, c.c. perché illecito (nella causa)15.
La dottrina segue percorsi più articolati. Se perdura l’opinione della nullità dell’immorale contratto di usura la dottrina maggioritaria applica gli schemi ermeneutici già ricordati. Sull’assunto che la legge penale reprime non il contratto e lo squilibrio fra le prestazioni ma il comportamento contrattuale di una parte che determina l’iniquità dello scambio pattuito, critica le opinioni sulla illiceità causale del patto usurario. Sulla considerazione che la norma penale non espressamente sanzionata con la nullità è trattata dalla legge civile con l’apposito rimedio della rescissione per lesione, propende per la rescindibilità del contratto derivato da usura. Fonda la soluzione anche sulla sostanziale coincidenza degli elementi di fattispecie di cui all’art. 644 c.p. con i requisiti posti dall’art. 1448 c.c.: stato di bisogno di un contraente, condotta di approfittamento dell’altro, danno (forte squilibrio) contrattuale16.
L’indirizzo dominante in dottrina è peraltro conforme alle intenzioni del legislatore che, con la disciplina della rescissione per lesione, si ripromette di regolare i contratti usurari «in quanto saranno rari i casi (permuta di immobili, contratti con reciproco scambio di prestazioni di fare) in cui l’azione stessa potrà operare al di fuori della norma penale» (Relazione al c.c., n. 658).
L’ultima tappa della vicenda si apre nel 1996, quando la legge n. 108 novella l’art. 644 c.p., non menzionando più l’approfittamento dello stato di bisogno della vittima (che rileva solo quale aggravante: art. 644, co. 5, n. 3, c.p.) e punendo, direttamente, il comportamento di chi si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità (o dell’attività di mediazione per procurarli) interessi o vantaggi usurari.
Si novella pure l’art. 1815, co. 2, c.c., disponendosi che se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla, e non sono dovuti interessi (mentre nella precedente formulazione gli interessi erano stabiliti secondo il saggio legale).
Queste modificazioni rendono superato l’avviso prevalente in dottrina e in giurisprudenza per cui l’approfittamento dello stato di bisogno sia elemento necessario per aversi usurarietà dell’interesse. Inoltre le nuove norme, rompendo con la tradizione, dispiegano i loro effetti su una pluralità di piani: dettano una articolata definizione di interessi usurari che, essendo l’unica, si deve ritenere abbia portata generale; pongono regole di trasparenza del mercato; introducono una "sanzione" civile a carico dell’usuraio, che non percepirà interessi di sorta.
Emergono con chiarezza gli interessi tutelati: non soltanto la libertà contrattuale della parte debole, ma più in generale il corretto svolgimento delle relazioni economiche nel mercato del credito e la tutela, al suo interno, delle soggettività deboli ‒ imprese di medie e piccole dimensioni e consumatori ‒ secondo una strategia condotta già in sede comunitaria e realizzata nei primi anni dell’ultimo decennio del secolo passato con il riassetto della legislazione bancaria intorno ai valori della trasparenza e della buona fede e con la tecnica della repressione delle condotte abusive17.
La rilevanza degli interessi tutelati porta ad affermarne la natura di ordine pubblico che, a sua volta, indirizza alla soluzione della nullità per illiceità del contratto usurario18.
3.4 Conclusione
Questa breve analisi dei rapporti tra illiceità penale delle condotte e invalidità del contratto induce la conclusione che l’invalidità del secondo può derivare dalla illiceità delle prime, e dunque dal rivelarsi le prime (determinative del secondo) in contrasto con norme espresse o principi di ordine pubblico.
Sembrerebbe pertanto confermata la fondatezza e l’utilità dell’approccio sulla invalidità (e illiceità) come qualificazione che, nel diritto contrattuale, attiene piuttosto che all’atto all’esercizio della libertà di contratto.
1 Per essenziali riferimenti di letteratura, limitando l’indicazione ai lavori presi in considerazione nella redazione di questo contributo, possono consultarsi: Oppo, G., Formazione e nullità dell’assegno bancario, in Riv. dir. comm., 1963; Sammarco, G., La truffa contrattuale, Milano, 1988; Mariconda, V., Truffa e contrarietà del contratto a norme imperative, in Corr. giur., 1987; Leoncini, I., I rapporti tra contratto, reati-contratto e reati in contratto, in Riv. dir. proc. pen., 1990; Castagnola, A., Nullità del contratto concluso tra corrotto e corruttore, in Contratti, 1994; Mariconda, V., Quale invalidità contrattuale nel caso di circonvenzione di incapace?, in Corr. giur., 1995; Oppo, G., Lo «squilibrio» contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Riv. dir. civ., 1999; Rabitti, M., Contratto illecito e norma penale. Contributo allo studio della nullità, Milano, 2000; Gentili, A., I contratti usurari: fattispecie e rimedi, in Riv. dir. civ., 2001; Di Amato, A., Contratto e reato. Profili civilistici, in Trattato Perlingieri, Napoli, 2003, 39 s.; Di Marzio, F., Contratto illecito e disciplina del mercato, Napoli, 2011.
2 Cfr., in generale, Spasari, M., Condotta (dir. pen.), in Enc. dir. VIII, Milano, 1961, 837 ss.
3 Cfr., Falzea, A., Comportamento (dir. pen.), in Enc. dir. VIII, cit., 135 s.
4 Cfr., in generale, i lavori di Federico, A., Illiceità contrattuale e ordine pubblico economico, Torino, 2004; Di Marzio, F., Contratto illecito, cit.
5 Cfr. Federico, A., Illiceità contrattuale, cit., 112.
6 Cfr. lo studio di Palermo, G., Funzione illecita e autonomia privata, Milano, 1970, 69 ss.; Scognamiglio, C., Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova, 1992, 450; Nardi, S., Frode alla legge e collegamento negoziale, Milano, 2006.
7 Per cenni introduttivi, cfr. Di Marzio, F., Verso il nuovo diritto dei contratti (note sulla contrattazione diseguale) in Riv. dir. priv., 2002, I, 721 ss.
8 Per una classificazione esaustiva cfr. Di Amato, A., Contratto e reato, cit., 39 ss.
9 Oppo, G., Formazione e nullità, cit., 178 (da cui la citazione).
10 cfr. Villa, G., Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993, 146.
11 Cfr. Cass., 26.5.2008, n. 13566: il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro, non è nullo, ma annullabile, ai sensi dell'art. 1439 c.c. Infatti, il dolo costitutivo del delitto di truffa (art. 640 c.p.) non è diverso, né ontologicamente né sotto il profilo intensivo, da quello che vizia il consenso negoziale, atteso che entrambi si risolvono negli artifici o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e così viziarne il consenso.
12 Cfr., per la ricchezza di implicazioni, Cass., 23.4.2008, n. 27412: il giudice penale, nel condannare l'imputato alla restituzione in favore della parte civile del bene immobile il cui trasferimento ha costituto l'oggetto della condotta criminosa, può dichiarare la nullità del contratto di compravendita che lo riguarda, salvo che tale declaratoria comprometta anche gli interessi di terzi rimasti estranei al processo. (Fattispecie relativa all'acquisizione da parte dell'imputato della proprietà di un immobile a seguito della consumazione del reato di circonvenzione di incapace).
13 Cfr., per tutti, i lavori di Mariconda, V., Truffa, cit., 210; Id., Quale invalidità contrattuale, cit., 219.
14 Cfr. Cass., 16.4.2012, n. 29003: ai fini della configurabilità del reato di circonvenzione di persone incapaci sono necessarie le seguenti condizioni: a) l’instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest'ultimo abbia la possibilità di manipolare la volontà della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l'assenza o la diminuzione della capacità critica; b) l'induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l'abuso dello stato di vulnerabilità che si verifica quando l'agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine e cioè quello di procurare a sé o ad altri un profitto; d) la oggettiva riconoscibilità della minorata capacità, in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti.
15 Cfr. Cass., 14.4.1953, n. 967, in Giust. civ., 1953, I, 1221; Cass., 20.11.1957, n. 4447, in Giur. it., 1957, I, 1, 1338; Cass. 16.5.1967, n. 1022, in Foro pad., 1967, I, 553; Cass. 26.8.1993, n. 9021, in Arch. civ., 1994, 31; Cass. 22.1.1997, n. 628, in Giur. it., 1998, 926.
16 V. Candian, A., Contributo alla teoria dell’abuso e della lesione nel diritto positivo italiano, Milano, 1946, 41; Mirabelli, G., Usura e rescissione, in Dir. giur., 1947, 44; Leoncini, I., I rapporti, cit., 1065; Vassalli, F., In tema di norme penali e nullit del negozio giuridico, in Riv. crit. dir. priv., 1985, 470; Quadri, E., Profili civilistici dell’usura, in Foro it., 1995, V, 339.
17 cfr. Gentili, A., I contratti usurari: fattispecie e rimedi, in Riv. dir. civ., 2001, I, 358.
18 Cfr. Cass., 11.1.2013, n. 603: le norme introdotte dalla l. 7.3.1996, n. 108 in materia di usura non sono retroattive. Pertanto, con riferimento ai rapporti esauriti prima dell'entrata in vigore della legge stessa, la pattuizione di interessi ultralegali non è di per sé viziata da nullità, essendo consentito alla parti di determinare un tasso di interesse superiore a quello legale, purché ciò avvenga in forma scritta e sussistendo l'illiceità del negozio soltanto nel caso in cui si ravvisino gli estremi del reato di usura.