Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Forma breve di promozione audiovisiva, frammento esemplare dell’immaginario giovanile in grado di sintetizzare e rilanciare temi e stili della programmazione televisiva, il videoclip sempre più spesso si impone nel panorama dell’industria culturale come fenomeno testuale dotato di peculiarità estetiche. Le ragioni dell’efficacia seduttiva del videoclip sono molteplici: la sperimentazione narrativa, l’uso raffinato della macchina da presa e della fotografia, le strategie inedite di rappresentazione della star musicale, e soprattutto la sperimentazione sul montaggio che permette di riunificare suoni e immagini in sequenze audiovisive caratterizzate da un ritmo coinvolgente.
Nascita ed evoluzione
Il videoclip è una forma breve della comunicazione audiovisiva che nasce dall’esigenza di promuovere un brano musicale, principalmente di largo consumo, attraverso le immagini. Fenomeno testuale capace di influenzare prepotentemente l’immaginario giovanile, il videoclip nella sua forma attuale è il risultato di una storia recente ma piuttosto articolata che trova un impulso decisivo in Europa a partire dagli anni Sessanta.
Durante il Salone di Parigi del 1960 viene presentato al pubblico lo scopitone, un moderno video-juke box a colori che ripropone sul mercato europeo un’invenzione americana del 1941, il panoram visual juke box, una consolle che permette di proiettare su uno schermo i soundies, cortometraggi musicali promozionali dedicati ai protagonisti della musica jazz come Bessie Smith, Billie Holiday, Duke Ellington, Cab Calloway, Bing Crosby.
In Francia lo scopitone riscuote un notevole successo di pubblico. L’esigenza di lanciare sul mercato questi ingombranti video-juke box apre la via alla produzione di numerosi cortometraggi musicali realizzati in 16 mm. e con budget estremamente ridotti. Numerose le star musicali dell’epoca che affidano a questi brevi filmati la promozione della propria musica e della propria immagine, tra questi Johnny Hallyday, Petula Clark, Dionne Warwick, Neil Sedaka, Sylvie Vartan, Juliette Gréco, Jacques Brel, Brigitte Bardot, Serge Gainsbourg. Questi cortometraggi, antenati dell’attuale videoclip, sono confinati nell’armatura ingombrante dello scopitone per due motivi: la televisione dell’epoca trasmette in bianco e nero e le grandi etichette discografiche concedono i diritti esclusivamente per i video-juke box realizzati dalla società Cameca e distribuiti nei caffè.
Parallelamente, negli anni Sessanta questa esigenza di promuovere la musica attraverso l’immagine dell’autore/esecutore trova in Inghilterra le condizioni ideali che progressivamente innescano nel panorama discografico e televisivo il fenomeno videoclip. Tra il 1963 e il 1964 prendono il via le prime trasmissioni televisive dedicate alla musica pop come Ready Steady Go! e Top of the Pops. All’interno delle puntate di questi show musicali famose band pop sono chiamate a esibirsi sul piccolo schermo, proponendo i singoli estratti dagli album in classifica. L’esigenza di garantire al pubblico televisivo un’offerta musicale adeguata si scontra con i limiti promozionali dell’industria discografica. Numerose band di richiamo, impegnate in tour, non sono in grado di garantire la propria presenza durante gli show. L’industria discografica corre ai ripari. Per garantire alle band una visibilità adeguata vengono commissionati i primi cortometraggi promozionali: prevalentemente si tratta di micro-documentari che simulano la performance live utilizzando il playback. Sfuggono a questa formula collaudata e prudente i videoclip dei Beatles che valorizzano una sperimentazione sul linguaggio audiovisivo. Un caso esemplare è Strawberry Fields Forever (1967) che privilegia decisamente la dimensione concettuale rispetto a quella propriamente documentaristica o narrativa e si impone all’attenzione del pubblico per la sperimentazione sulla grana dell’immagine, gli effetti visivi, il montaggio inusuale.
L’evento chiave che imprime un cambiamento decisivo nel panorama discografico e televisivo è comunemente attribuito ai Queen. La band di Freddie Mercury, nel 1975, non potendo partecipare a Top of the Pops, affida la realizzazione del videoclip di Bohemian Rapsody a un filmaker, Bruce Gowers. Il successo è travolgente, il videoclip abbandona definitivamente la funzione documentaristica e si impone come strumento privilegiato di promozione musicale. L’industria discografica metabolizza rapidamente il nuovo strumento commerciale e le band iniziano a considerare questa forma breve non semplicemente come un obbligo da assolvere, ma come occasione di costruzione/rielaborazione di un’identità visiva utile a marcare il proprio stile musicale.
Sul versante tecnologico alcune importanti innovazioni contribuiscono all’evoluzione di questo fenomeno audiovisivo e alla trasformazione del mercato della musica di largo consumo. Durante gli anni Ottanta la tecnologia elettronica interviene a modificare in modo radicale le routine produttive dell’industria discografica e di conseguenza le forme tradizionali delle performance dal vivo. Sintetizzatori, sequencer, drum machine permettono ai musicisti e ai discografici di preregistrare in studio interi brani musicali, e di disporne in modo flessibile durante i concerti. Il ruolo consolidato del musicista si rinnova progressivamente, nel contesto live la musica trova sempre più spesso un supporto fondamentale nell’elettronica. Il significato del termine performance si estende ormai ben oltre la semplice esecuzione di un repertorio musicale.
Contemporaneamente queste dinamiche produttive innescano una trasformazione che investe gli scenari delle forme di consumo musicale. Negli anni Ottanta il pubblico familiarizza velocemente con le immagini e i ritmi dei videoclip. Come afferma Andrew Goodwin (1992) “se l’esecuzione della musica pop consisteva nel cantare su suoni registrati pressochè identici alla musica su nastro e cassetta, allora mancava solo un passo per accettare come una pratica pop del tutto legittima l’imitazione di una performance in un video musicale”.
In uno scenario in piena trasformazione in cui la tecnologia elettronica valorizza la componente visuale delle performance di musica pop, il videoclip trova uno spazio naturale di evoluzione, assolvendo una funzione essenziale: ridurre la distanza tra la star e il pubblico, tradurre la musica in immagini e il musicista in un’icona. Il 31 luglio 1981 negli Stati Uniti iniziano le trasmissioni di MTV. La convergenza tra le strategie di marketing delle etichette discografiche e le esigenze produttive dell’industria televisiva è ormai pienamente realizzata, il videoclip trova una collocazione ideale nella nuova emittente e nel flusso del piccolo schermo. Il 1 agosto 1987 MTV approda in Europa: l’offerta prevede inizialmente una programmazione in inglese. Successivamente prende il via un lungo e complesso processo di localizzazione dell’offerta televisiva. Nel 1997 viene inaugurata MTV Italia.
Una forma breve complessa
Come emerge dalla sintetica ricostruzione storica del fenomeno, nei videoclip la componente promozionale è assolutamente centrale. Tuttavia sarebbe sbrigativo liquidare nel suo complesso una forma breve che ha contribuito a ridisegnare il panorama della produzione audiovisiva contemporanea come un banale “messaggio per gli acquisti” o uno strumento commerciale sofisticato. Spesso l’efficacia complessiva di questi testi è il risultato di una pratica di sperimentazione che coinvolge dinamiche interne al linguaggio audiovisivo.
Innanzitutto nel panorama televisivo contemporaneo il videoclip è una forma più che mai ibrida, in cui collimano temi e stili diversificati, in cui si realizza la sintesi di frammenti di performance live, micro-architetture narrative e istanze concettuali. Questa tendenza a metabolizzare e rielaborare le distinzioni tradizionali tra generi trova la sua massima espressione nel complesso lavoro di montaggio che assicura ai video la capacità di sedurre lo spettatore e al tempo stesso di resistere all’usura imposta dall’heavy rotation dei numerosi passaggi televisivi. Nei casi più interessanti sotto il profilo estetico la colonna video non assolve una funzione meramente illustrativa del testo verbale, ma viene concepita allo scopo di trasporre la componente strettamente musicale del brano, valorizzando, attraverso la manipolazione delle immagini, la “grana dei suoni”, la melodia e il ritmo. L’esigenza di tradurre sul piano visivo il potenziale evocativo della musica prevale ampiamente sugli effetti di realtà. Nei videoclip viene convocato tutto il repertorio degli effetti speciali per raddoppiare l’efficacia seduttiva della musica e fare presa su uno spettatore sempre più distratto da una programmazione “fluida”.
Questo intenso lavoro di manipolazione audiovisiva trova la sua massima espressione nelle forme di rappresentazione della star musicale. Il performer è la figura centrale intorno a cui ruota la struttura complessiva di un videoclip, l’icona di riferimento che contribuisce a orientare il percorso interpretativo dello spettatore. Per soddisfare la curiosità e la competenza di un pubblico sempre più consapevole delle logiche dello star system, il performer si offre non come oggetto di valore irraggiungibile, “distante” ma come figura pienamente coinvolta nelle logiche del consumo musicale, in grado di stabilire un asse di comunicazione con il fan attraverso sguardi in camera e forme esplicite di interpellazione che sfruttano il corpo come veicolo privilegiato di seduzione. Promozione e sperimentazione: nei casi in cui queste due esigenze collimano nascono le premesse per sodalizi artistici tra registi e artisti che si rafforzano nel tempo e alimentano la vitalità del panorama videomusicale e il rinnovato fenomeno del collezionismo dei DVD musicali. Tim Pope-The Cure, Michel Gondry-Björk, Chris Cunningham-Aphex Twin, Floria Sigismondi-Marilyn Manson, Spike Jonze-Beastie Boys sono alcuni esempi che testimoniano al tempo stesso del potenziale innovativo della forma breve supporti e del valore di culto che un pubblico sempre più ampio riconosce non solo ai performer ma anche alla creatività degli autori che hanno saputo fare i conti, fino in fondo, con il monito ironico del primo video programmato da MTV nel 1981, Video killed the radio star dei Buggles.