Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’appoggio che il pubblico parigino accorda alle istanze razionalizzatrici dell’"école du bon sens" si può chiaramente leggere l’inclinazione della maggior parte degli spettatori borghesi verso una drammaturgia capace di sacrificare i valori poetici alla costruzione di un robusto ed efficace meccanismo teatrale senza cadere nelle bizzarrie gotico-patetiche dei mélo. Sul piano del "mercato" la più efficace risposta alla "domanda" del pubblico è data dal vaudeville e dalla pièce bien faite.
Prodigi dell’ingegneria drammaturgica: vaudeville e pièce bien faite
Bandite nel corso del XVIII secolo dall’opéra-comique per effetto della diffusione in Francia dell’opera buffa italiana, le canzoni- vaudevilles erano migrate verso il teatro di prosa.
Nel 1792, a seguito della liberalizzazione del sistema teatrale parigino promossa dal governo rivoluzionario, Piis e Barré aprirono in Rue de Chartres il Théâtre du Vaudeville, specializzato nelle comédies à couplets. Nel corso dell’Ottocento, mentre il nuovo genere denominato semplicemente vaudeville comincia a diffondersi presso altre sale (Folies-Dramatiques, Petit-Lazzari, Luxembourg), la parte musicale perde progressivamente di importanza fino a sparire completamente. Classica espressione della gauloiserie, il vaudeville si viene raffinando e passa dalla comicità sboccata delle sue prime manifestazioni a una forma di divertimento sempre più sottilmente intellettuale che lo avvicina alla tradizione della commedia "letteraria".
Figura di punta in questo processo di ridefinizione del genere è Eugène Scribe, vero signore della scena parigina dagli anni Venti fino alla metà del secolo, il cui prestigio è ufficialmente sancito dall’ammissione all’Académie Française nel 1836. Attraverso le sue circa 300 pièce– spesso frutto di collaborazioni a più mani con autori quali Dupin, Bayard o Moreau – il borghese Scribe, adorato dalla borghesia, elabora la propria tecnica drammaturgica fondata su di una spietata logica di concatenazione degli eventi: applicandola indistintamente al genere comico (Le secrétaire et le cuisinier, 1821; Le diplomate, 1826; Le verre d’eau, 1840; La calomnie, 1840) o sentimentale (Adrienne Lecouvreur, 1849 in collaborazione con Ernest-Wilfrid Legouvé), Scribe raggiunge un virtuosismo tale da permettergli di dar vita a veri e propri giochi di società (Bataille de dames, 1851).
Eugène Scribe
Il Visconte di Sovecourt va per incontrare l’ambasciatore
Il cuoco e il segretario
Scena prima. Sala nobile; quattro porte laterali, ed una in mezzo: la comune è alla sinistra. Alla dritta sul davanti un camino acceso, e un tavolino vicino; a sinistra altro tavolino con l’occorrente per iscrivere.
ANTONIO: con un plico di lettere in mano. Ve lo replico, dite ch’io non sono in casa. (parlando verso la porta comune) Che diavolo mai il signor conte di Saint-Far, mio padrone, aveva bisogno di farsi nominare ambasciatore a Copenaghen? Dacché siamo stati nominati, io credo che in questa casa tutti abbiano dei grilli in capo... ciascuno vuol crescere di grado... tutti si danno un’aria di grandezza! persino la vecchia governante vuol esser fatta dama d’onore! Io, che nella mia qualità d’intendente... o a meglio dire di factotum sono incaricato della scelta degli impiegati, quante seccature, e quante lettere di raccomandazione ho già ricevute!... Settantadue solamente per il posto di cameriere!... Ma, ciò non è da meravigliarsi; cameriere di un gran signore, di un ambasciatore... è questa una carica, che può essere occupata anche da persone non comuni!... Basta, ora non mi rimane più che a dare due posti: quello del segretario, e quello del cuoco. Ah! per questi due bisogna badare che... però mi confido fra tanti concorrenti di far buona scelta. Si vuole, che questi due soggetti siano importantissimi per un diplomatico; e molti uomini di gran talento sono pur anco debitori della loro fama, la mattina al segretario, e la sera al cuoco... ma chi viene già a disturbarmi?... (guardando dalla porta comune)
Scena seconda. Il Visconte di Sovecourt, un Servo, e detto.
VISCONTE: (entra spingendo il Servo che vuole impedirgli l’ingresso) Eh va al diavolo! io mi rido degli ordini, e della consegna (ad Antonio) Il conte di Saint-Far?
ANTONIO: Egli è, presentemente, occupato.
VISCONTE: Ah! se è occupato, allora poi è un’altra cosa... un gran signore quando è occupato, non bisogna disturbarlo... gli direte ch’io sono il Visconte di Sovecourt.
ANTONIO: Come! La persona a cui egli deve la sua fortuna?
VISCONTE: Sì, il suo vecchio amico, che non l’ha veduto da dieci anni, e che desidera di parlargli per un affare molto importante... Quando parte per l’ambascerìa?
ANTONIO: Domani mattina; i suoi equipaggi, e quelli di madamigella Elisa sono già pronti.
VISCONTE: Da sé (Ah! sua figlia lo accompagna?... ecco ciò che maggiormente mi conferma... dunque non c’è tempo da perdere...) Ditemi, chi è il suo agente... il suo intendente?
ANTONIO: (con sussiego) Voi li vedete entrambi, o signore; io sono l’uno, e l’altro.
VISCONTE: Vale a dire che voi cumulare?... va benissimo!... anzi mi piace; così non vi sono tanti mangioni in casa... ma, se mai (è una supposizione ch’io fo), l’intendente viene ad essere impiccato... domando io, che sarà dell’agente?
ANTONIO: Signore!...
VISCONTE: Ah! questi vi riguardano... già, capisco!... Ma ciò poco m’importa. Voleva soltanto avvisarvi che si presenterà qui della giornata un giovinotto di bell’aspetto, ben fatto... di buone maniere... il quale verrà per chiedervi il posto di segretario, per partire domani col signor ambasciatore.
ANTONIO: Da sé (Ho capito; un’altra raccomandazione!)
VISCONTE: Vi prego a non lasciarlo partire di qui, se prima...
ANTONIO: (interrompendolo) Vale a dire che il signore s’intromette pel giovine, e vorrebbe che ottenesse il posto.
VISCONTE: (con collera) Che diavolo dite! Vorrei vedere anche questa!... poi da sé (Per esempio non ci mancherebbe altro; mio figlio segretario, e Jockey diplomatico!) No, per niente; non voglio che abbia il posto... ma voglio che lo tratteniate qui finch’io sia ritornato, e che abbia parlato col signor di Saint-Far. Quando credete che sarà visibile?... aspettate; a che ora fa colazione?
ANTONIO: A undici ore.
VISCONTE: (guardando l’oriuolo) Fra un’ora; va benissimo. Farete mettere un piatto per me... io sono solito trattare i miei affari a tavola, e sostengo che quello è il miglior momento... molti grandi uomini la pensano come me... Infatti quanti me raduna un buon banchetto, chiunque siano, essi diventano amici; e quando si beve insieme lo stesso vino, si è ben presto del medesimo parere. Orsù, procurate che la colazione sia piuttosto abbondante, e gustosa... Sono queste particolarità che mi premono molto. A proposito, ha egli un buon cuoco?
ANTONIO: Ma... non si è per anco trovato...
VISCONTE: Diavolo! Un ambasciatore deve indispensabilmente... Aspettate, aspettate... da sé (Quel birbante che in un momento di rabbia ho ultimamente licenziato...) piglio la cosa sopra di me; l’ho trovato... dunque siamo intesi; addio, a rivederci fra un’ora (parte).
ANTONIO: Oh dimando un poco... Non è questa una fatalità? Io voleva scegliere da me stesso il capo di cucina, che per buone ragioni... ma non importa; sceglierò io il segretario... Oh questo poi voglio almeno che sia qualcuno di mia conoscenza... zitto; ecco, madamigella Elisa, la nostra padroncina.
in Biblioteca teatrale economica ossia Raccolta delle migliori tragedie, commedie e drammi, tanto originali quanto tradotti, Torino, Tipografia Chirio e Mina, 1830
L’eredità di Scribe è raccolta all’inizio degli anni Cinquanta da Eugène Labiche. Mantenendosi costantemente più aderente alla forma canonica del vaudeville, Labiche prosegue infatti sulla strada del perfezionamento dei meccanismi della scrittura teatrale intrapresa da Scribe e mette a punto veri e propri gioielli di “ingegneria drammaturgica” quali Le chapeau de paille d’Italie (1851), La cagnotte (1864), Le voyage de M. Perrichon (1860) e Le plus heureux des trois (1870, in collaborazione con Gondinet).
Eugène Labiche
Chiacchiere giocando a bouillotte
La cagnotte
A La Ferté-sous-Jouarre. Un salotto di provincia. Porte sul fondo, a destra e a sinistra. Tavoli, sedie, lumi, ecc. In primo piano a destra, un caminetto; a sinistra un tavolo da gioco; e destra un tavolino a una sola gamba. Sedie coperte con fodere, un sécretaire, un altro tavolo, ecc.
Champbourcy, Colladan, Cordenbois, Felice Renaudier, Baucantin, Leonida, Bianca. All’alzarsi del sipario, Champbourcy, Colladan, Cordenbois e Felice sono a sinistra, seduti intorno a un tavolo rischiarato da un lume e giocano alla bouillotte. Bianca e Leonida sono sedute a destra, accanto al tavolino a una sola gamba, rischiarato da un altro lume: lavorano. Baucantin è al centro della scena e legge un giornale.
BIANCA: (a Leonida) Questa sera non fate la vostra partita di bouillotte, zia?
LEONIDA: Aspetto che il quarto d’ora sia finito.
FELICE: (a Leonida) Esco io. Tra cinque minuti vi cedo il posto.
BAUCANTIN: (mostrando il giornale) Perbacco! Che strano annunzio!
TUTTI: Che annunzio?
BAUCANTIN: (leggendo) "Signorina di severa bellezza, ma di maestà non priva grazia, disponendo rendita cinquemila franchi investita in azioni ferroviarie, desidera unirsi a uomo onesto, vedovo o scapolo, dotato salute robusta, carattere gaio, ancora buona età. Condizione economica non ha importanza. Eventualmente disposta abitare piccola città purché ridente. Informazioni rivolgersi a M. X..., rue Joubert 55. Affrancare".
CHAMPBOURCY: Conosco a memoria questo annunzio: lo leggo nel mio giornale da più di tre anni. (Ai compagni di gioco) Passo. (A parte) Mi fa male un dente.
FELICE: Io vedo.
COLLADAN: Anch’io... Quanto fate?
FELICE: Dieci centesimi.
COLLADAN: Io scappo!
BAUCANTIN: Non capisco come una donna possa mettersi in mostra così, calpestando ogni pudore...
LEONIDA: Io non ci vedo alcun male. Spesso una povera donna vegeta dimenticata in un angolo di provincia... E in un altro angolo respira forse, ignorato, l’essere melanconico che potrebbe fare la sua felicità... La pubblicità li avvicina.
CORDENBOIS: Dicono che si son fatti dei bellissimi matrimoni, attraverso gli annunzi... Io sono scapolo, e queste inserzioni mi fanno sempre sognare...
COLLADAN: Andiamo, andiamo! Sono stupidaggini! Quando ci si vuole sposare, ci si frequenta... sì, sì, ci si frequenta... Quando io ho voluto sposare la signora Colladan, la mia defunta... l’ho frequentata... e parecchio!
CHAMPBOURCY: Su, stiamo al gioco, stiamo al gioco! Non perdiamo tempo!
LEONIDA: (alzandosi) Le nove e un quarto... Tocca a me!
CHAMPBOURCY: (a Leonida) Lasciateci almeno finire la mano.
FELICE: (cedendo premurosamente il suo posto) No, no, signorina... Vi prego...
LEONIDA siede al tavolo da gioco, Bianca prende il posto di Leonida e Felice quello di Bianca.
CORDENBOIS: Voi volete giocare sempre... Siete addirittura vorace!
LEONIDA: (acida) Non prendo il posto a voi, signor Cordenbois! Siate educato... se ci riuscite...
CORDENBOIS: (furibondo) Signorina!
CHAMPBOURCY: Su! Fate pace! Perché dovete litigare sempre? Tra padrino e madrina...
LEONIDA: Puah!
CHAMPBOURCY: Ricordatevi che avete portato al fonte battesimale il figlio del campanaro di Saint-Paul... la nostra parrocchia...
COLLADAN: (a Leonida) E in quel giorno il signor Cordenbois vi ha perfino regalato un paio di orecchini.
CORDENBOIS: (subito) Non parliamone... Tocca a me dar le carte... (Dà le carte).
BIANCA: (a Felice) Adesso per un quarto d’ora vi annoierete.
FELICE: (piano) Ah, signorina Bianca! I più bei quarti d’ora della mia vita sono quelli che passo vicino a voi!
CHAMPBOURCY: Io faccio gioco.
LEONIDA: Passo!
COLLADAN: Passo!
CORDENBOIS: Io resto.
CHAMPBOURCY: Tutta la mia posta!
CORDENBOIS: Che cosa avete?
CHAMPBOURCY: (subito) Quattro assi!
CORDENBOIS: Allora passo.
CHAMPBOURCY: Come?
CORDENBOIS: Eh! Vi domando che cosa avete di posta, voi mi rispondete: quattro assi... E allora passo!
Tutti ridono.
CHAMPBOURCY: Non c’è niente da ridere!
LEONIDA: Bianca, portaci la cagnotte!
COLLADAN: Avete parlato troppo presto... Io, quando ho quattro assi, stringo le labbra e dilato il naso... così...
LEONIDA: Ma allora se n’accorgono tutti!
CORDENBOIS: Bagniamo i quattro assi!
BIANCA: (alzandosi e portando un salvadanaio di terracotta, che era posato sul tavolinetto e che ora porge a ognuno dei giocatori) Un soldino!
COLLADAN: (mettendo un soldo nel salvadanaio) Questo gioco è rovinoso.
BIANCA: (soppesando il salvadanaio e ritornando al suo posto) E’ pesante!
FELICE: Senza contare che ne abbiamo altri tre, pieni zeppi...
COLLADAN: Si capisce! E’ un anno che ci cacciamo dentro dei soldi!
CHAMPBOURCY: Non faccio per vantarmi, ma credo di aver avuto un’idea veramente felice...
CORDENBOIS: L’idea è stata mia...
CHAMPBOURCY: (alzandosi) Domando scusa al signor Cordenbois, il nostro geniale farmacista... Voi ci avete proposto di istituire una cagnotte... di tassarci cioè di un soldo per ogni gioco da quattro.
CORDENBOIS: E allora?
CHAMPBOURCY: D’accordo: ma per quale scopo? Voi proponevate il dilapidare la cagnotte ogni sabato, consacrandone i proventi a libagioni di vino caldo e di alchermes.
COLLADAN: Per me, avevo aderito...
CHAMPBOURCY: Anzitutto, era volgare: praticamente avreste trasformato la mia casa in una bettola di second’ordine.
CORDENBOIS: Permettete...
LEONIDA: E poi era ingiusto! Le signore non bevono liquori... Saremmo state sacrificate... come sempre!
CHAMPBOURCY: Allora mi permisi di allargare, se così posso esprimermi... le basi del vostro progetto. Proposi cioè di lasciar accumulare i fondi della cagnotte per un anno, al fine di avere una somma più considerevole da spendere... Perché, effettivamente, supponiamo di avere duecento franchi...
TUTTI: (increduli) Oh!
CHAMPBOURCY: E’ possibile: del resto lo sapremo subito perché alle nove e mezza procederemo allo spoglio. Supponiamo, dicevo, di avere duecento franchi...
COLLADAN: Che bellezza!
CHAMPBOURCY: Il nostro orizzonte si allarga... Possiamo dare una festa degna di noi, capace di segnare una data negli annali di La Ferté-sous-Jouarre.
LEONIDA: Ma su, giochiamo! Io ho un...
CHAMPBOURCY: (alzandosi di nuovo) Devo aggiungere una sola parola... e questa parola... sarà il rammarico... Noi ci rammarichiamo, sicuro, che il signor Baucantin, il nostro sagace esattore delle imposte...
BAUCANTIN: (lasciando il suo giornale) Io?
CHAMPBOURCY:... non abbia giudicato opportuno condividere i nostri giochi e affidarsi con noi ai capricci della dea bendata.
BAUCANTIN: Il gioco è incompatibile con l’esercizio di funzioni pubbliche.
FELICE: Questo no! Io sono notaio e ciò non mi impedisce di fare la mia partita.
BIANCA: E papà è comandante dei pompieri.
BAUCANTIN: Non è la stessa cosa.... Se vogliamo parlare propriamente, il vostro signor padre non è un funzionario...
CHAMPBOURCY: (alzandosi) Come! E allora che cosa sono? Mi sembra di aver fatto per il mio paese quanto basta perché non si metta in questione il mio titolo!
BAUCANTIN: Signori, lungi da me questo pensiero...
CHAMPBOURCY: (togliendogli la parola) A quanto pare si è dimenticato molto presto che se il comune possiede una pompa da incendio... lo deve a una mia donazione!
COLLADAN: E’ vero! Ma non serve a nulla, la vostra pompa... Si arrugginisce.
CHAMPBOURCY: E’ colpa mia se non scoppiano mai incendi? Non posso mica appiccare il fuoco ai quattro capi della città...
LEONIDA: (battendo i pugni sul tavolo, incollerita) Insomma, si gioca o non si gioca?
CHAMPBOURCY: (sedendosi) Io? Stavo aspettando.
LEONIDA: Io vedo...
COLLADAN: (a parte) Scommetto che ha un bel gioco. (Ad alta voce) Passo.
CORDENBOIS: (a Champbourcy) La luce si abbassa.
CHAMPBOURCY: (alzandosi) E’ lo stoppino che si è carbonizzato... Scusate... Vi spiacerebbe tenermi il globo? (Lo dà a Cordenbois, che si alza; prende il tubo di vetro e lo dà a Colladan che si alza a sua volta; poi aggiusta lo stoppino) Cosa vi dicevo? Lo stoppino era carbonizzato. (Riprende il tubo a Colladan, lo posa sul lume; e la stessa cosa fa per il globo) Scusate... Grazie!
Eugène Labiche, La cagnotte, prefazione di G.R. Morteo, trad. it. di I. Chiesa, Torino, Einaudi, 1955
Anche in questi lavori, lucidi ritratti della borghesia del Secondo Impero, le soluzioni sceniche hanno la meglio su quelle interiori e psicologiche – d’altronde, come era solito ricordare Labiche, “la felicità è nello stomaco”. Le numerose collaborazioni di cui l’autore si avvale (Clairville, Martin, Nyon ecc.) non cancellano lo stile inconfondibile di un’arte fondata sullo studio quasi musicale del ritmo dell’azione; non a caso quasi tutti i vaudevilles di Labiche fanno ricorso ai couplets.
Dopo quella di Scribe, l’ammissione di Labiche all’Académie Française (1880) conferisce piena legittimità "culturale" a questa drammaturgia fatta di sapienza artigianale e di straordinario senso dell’efficacia teatrale. Siamo ormai in presenza di quei drammi perfettamente costruiti che il critico teatrale Francisque Sarcey, il loro più illustre teorizzatore, definisce "pièces bien faites".
La tradizione del dramma ben costruito è proseguita da Victorien Sardou, accademico di Francia sin dal 1877, che, dopo la produzione giovanile "leggera" spaziante dal vaudeville alla satira politica (Les pattes de mouche, 1860; Ragabas, 1872; La haine, 1874), approda in un secondo tempo al dramma storico-sentimentale (Fédora, 1882; Théodora, 1884; Tosca, 1887; Thermidor, 1891; Robespierre, 1899). Con i vaudevilles di Georges Feydeau (Champignol malgré lui, 1892; L’hôtel du libre échange, 1894; La dame de Chez Maxim’s, 1899; Occupe-toi d’Amélie, 1908) l’indiavolato ritmo di Labiche è condotto al parossismo e il congegno drammaturgico rischia di autodistruggersi: le trappole teatrali di Feydeau sono a un solo passo dal teatro dell’assurdo di Ionesco.
Dalla Francia all’Europa
Il prestigio di cui gode in Europa l’"ingegneria drammaturgica" francese è straordinario. Ibsen, Dramaturg a Bergen e direttore artistico del Norske Theater di Christiania, apprende dallo studio dei Francesi la tecnica di costruzione dei dialoghi e delle situazioni. Sul modello francese si forma una tradizione russa del vaudeville che – attraverso autori come Chmel’nickij, Pisarev e Sachovskoj – giunge fino a Cechov. Proprio quest’ultimo drammaturgo rivela la straordinaria duttilità del genere: per Cechov sono infatti vaudevilles non soltanto gli "scherzi" drammatici Le nozze (1889), La domanda di matrimonio (1888-1889) e L’anniversario (1891), ma anche Tre sorelle (1901) e Il giardino dei ciliegi (1904). Tradotti e imitati ripetutamente da autori come Boucicault o Bersezio, i drammi francesi entrano stabilmente nei repertori dei maggiori attori europei.
L’ebbrezza quasi febbrile che investe la società parigina con l’avvento al potere di Napoleone III, trionfa in un altro genere che intreccia il dialogo al canto: l’opéra-bouffe o opérette, sorta di corrispettivo "musicale" del vaudeville.
Nate dal tronco dell’opéra-comique le operette di Offenbach, rappresentate con grande successo al Théâtre des Bouffes-Parisiens ( Orphée aux Enfer, 1858, su libretto di Ludovic Halévy e H. Crémieux; La belle Hélène, 1864, su libretto di Ludovic Halévy e Henri Meilhac), sono la più perfetta immagine della Parigi del secondo Impero.
Quando con la sconfitta di Sedan cala il sipario sui sogni napoleonici, l’opéra-bouffe muta profondamente natura: trapiantata da Parigi a Vienna, mentre il can-can si trasforma in valzer, l’operetta abbandona infatti la propria primitiva vis parodica per acquistare progressivamente il tono sentimentale delle creazioni di Franz Lehár (Die lustige Witwe, 1905).