Come premessa occorre chiarire che cosa si intende per ciascuno dei termini che fanno parte del titolo, seguendo l’ordine in senso inverso. In primo luogo, questo approfondimento tratta solamente delle ‘droghe’ illecite, o per meglio dire di quelle poste sotto controllo in seguito ad accordi internazionali (le Convenzioni delle Nazioni Unite) (Un), poi recepiti dalle legislazioni nazionali. In secondo luogo, questo testo si concentra sul traffico, appunto per esaminare un solo segmento del mercato della droga: la parte commerciale, diciamo, che si inserisce operativamente tra la produzione (offerta) e il consumo (domanda) di droga. Da ultimo, trattiamo altresì di traffico internazionale, cioè quello che valica confini di stato; lasciamo quindi da parte le situazioni (importanti per le droghe sintetiche, come si vedrà) in cui produzione e consumo coincidono geograficamente. Il nostro approccio consiste inoltre nel separare i flussi della droga, e i relativi mercati, in base al tipo di sostanza. In questo primo approfondimento ci concentreremo dunque su una droga botanica: la cocaina.
La cocaina proviene da tre paesi della regione andina: Colombia, Perù e Bolivia. In un primo tempo, ovvero nel secondo dopoguerra, quasi tutta la produzione di cocaina era diretta a nord, verso il mercato statunitense. Ma a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso la domanda negli Usa è scesa, fino a calare drasticamente di recente, soprattutto a partire dal 2003. Al contempo il consumo di cocaina in Europa ha iniziato a crescere, aumentando rapidamente nell’ultimo decennio: nel 2010 il traffico di cocaina dai paesi andini si è diviso in parti quasi uguali (rispettivamente, circa il 40%) tra i mercati dell’America del Nord e dell’Europa, con il restante 20% commerciato altrove - e, in maniera crescente, in Africa occidentale.
1. Dal Sud al Nordamerica
Le modalità attraverso le quali la cocaina veniva trafficata dal Sud al Nordamerica sono variate nel tempo, in parte in risposta alle operazioni delle forze dell’ordine e in parte a causa dei cambiamenti avvenuti nei gruppi criminali. Oggi la cocaina è per lo più trasportata dalla Colombia al Messico o all’America centrale via mare (solitamente dai colombiani), per poi proseguire via terra verso gli Stati Uniti e il Canada (solitamente attraverso i messicani). Le autorità statunitensi stimano che circa il 90% della cocaina entra nel paese attraversando il confine territoriale tra gli Stati Uniti e il Messico, mentre circa il 70% della cocaina lascia la Colombia via Oceano Pacifico, il 20% attraverso l’Atlantico e il 10% attraverso il Venezuela e i Caraibi.
Dopo lo smantellamento del cartello di Medellín e di Cali nei primi anni Novanta, i gruppi criminali organizzati colombiani sono diventati più piccoli e i livelli di violenza sono diminuiti. Al contempo i gruppi messicani sono cresciuti in dimensione e forza, e sono ora responsabili della maggior parte delle violenze perpetrate in Messico. Una delle ragioni della recrudescenza della violenza legata alla droga in Messico sta nel fatto che, essendo il mercato nordamericano in calo, le organizzazioni criminali combattono tra di loro per mantenere una presenza, a spese della concorrenza. Negli ultimi dieci anni circa, 30.000 persone hanno subito morte violenta in Messico in fatti di sangue legati al commercio di droga: il governo messicano stima che oltre il 90% di tali decessi coinvolga i trafficanti stessi.
Per far fronte alla domanda di cocaina statunitense sono necessarie circa 196 tonnellate, un flusso che nel 2008 è stato stimato nell’ordine dei 38 miliardi di dollari. Questo ricavato non è però distribuito equamente. Ai coltivatori di coca nei tre paesi andini è stato attribuito un introito di circa 1,1 miliardi di dollari. Gli importi generati dalle attività di lavorazione e dal traffico all’interno dei paesi andini per la cocaina destinata all’America settentrionale sono pari a circa 400 milioni di dollari. I profitti totali lordi derivanti dall’importazione di cocaina in Messico possono essere stimati intorno ai 2,4 miliardi di dollari (escludendo i costi di trasporto), mentre sempre nel 2008 i cartelli messicani che trasportano la cocaina attraverso il confine Usa hanno totalizzato un guadagno di 2,9 miliardi di dollari. Tuttavia, i profitti più alti vengono generati negli stessi Stati Uniti, dove la vendita all’ingrosso e quella al dettaglio producono circa 29,5 miliardi di dollari. Di questi profitti lordi la maggior parte viene realizzata attraverso lo spaccio tra rivenditori di medio livello e consumatori, per un giro d’affari che supera i 24 miliardi di dollari, ovvero il 70% del valore totale della cocaina sul mercato statunitense.
2. Dalla regione andina all’Europa
Nel corso dell’ultimo decennio il numero dei consumatori di cocaina in Europa è raddoppiato - da circa due milioni a 4,1 milioni. Sebbene il consumo di cocaina in Europa, stando alla media continentale, sia ancora inferiore al livello dell’America del Nord, tre paesi dell’Unione Europea (Spagna, Regno Unito e Italia) hanno ora un tasso annuale di diffusione più alto rispetto agli Usa. Il mercato europeo di cocaina è conseguentemente cresciuto di valore: dai 14 miliardi di dollari del 2001 ai 34 miliardi di dollari di oggi, circa la stessa dimensione del mercato statunitense. I dati preliminari suggeriscono però che la rapida crescita del mercato europeo della cocaina stia cominciando a stabilizzarsi, seguendo il profilo logico (passaggio ad altri tipi di sostanze psicoattive) e cronologico (esaurimento della spinta commerciale) d’oltreoceano.
La maggior parte del traffico di cocaina diretta in Europa avviene via mare, attraverso i due maggiori scali regionali: nel sud, in Spagna e Portogallo; a nord, nei Paesi Bassi e in Belgio. La Colombia rimane la principale fonte della cocaina rinvenuta in Europa, ma le spedizioni provenienti dal Perù e dalla Bolivia sono di gran lunga più comuni che nei mercati statunitensi.
Nell’ultimo decennio si è assistito a un cambiamento delle rotte utilizzate per il traffico verso l’Europa. Tra il 2004 e il 2007 sono emersi nell’Africa occidentale almeno due distinti snodi di commerci illeciti: uno in Guinea-Bissau e Guinea, e l’altro nel Golfo del Benin, che si estende dal Ghana alla Nigeria. Più recentemente si è però notata un’inversione di tendenza. Le rotte attraverso l’Africa occidentale hanno infatti perso peso a seguito di una molteplicità di fattori: i tumulti politici nei paesi arabi del Nord Africa, attraverso i quali la droga arrivava in Europa; il successo delle misure d’interdizione nella stessa Europa; il forte pattugliamento delle aree attraversate dai flussi di droga, a seguito del crescente coinvolgimento di gruppi terroristici panarabi (legati a volte alla rete di al-Qaida) in questo tipo di commercio. Ciò sembra avere indebolito i flussi su questa via di transito, anche se potrebbe verificarsi una veloce ripresa, essendo i governi dell’Africa occidentale pressoché inattivi nell’opera di contrasto ai traffici illeciti, quando non c’è un coinvolgimento delle autorità stesse. Dall’altra sponda dell’oceano, si riscontra che i flussi di cocaina in Africa occidentale provengono in misura decrescente dalla Colombia. Il Brasile e il Venezuela sono invece emersi come paesi chiave per il transito di carichi diretti all’Europa, in particolare per le spedizioni marittime di grandi entità.
In fatto di volumi si stima che in Europa siano distribuite circa 124 tonnellate di cocaina del valore di 34 miliardi di dollari. Meno dell’1% del valore della cocaina venduta in Europa andrebbe ai coltivatori andini di coca, mentre l’1% sarebbe destinato ai trafficanti nelle regioni andine. I trafficanti internazionali che gestiscono la cocaina dalle regioni andine ai principali punti di entrata (specialmente la Spagna) otterrebbero il 25% del valore finale delle vendite. Un ulteriore 17% sarebbe generato dal trasporto attraverso l’Europa: dai punti d’ingresso ai grossisti dei paesi di destinazione. Oltre la metà degli introiti (circa il 56%) viene generata negli stessi paesi di destinazione, e deriva dal commercio spicciolo tra spacciatori al dettaglio e consumatori diretti. Poiché in Europa il numero di spacciatori a livello nazionale è più elevato, il loro reddito pro capite è più basso rispetto a quello degli spacciatori che fanno parte del piccolo gruppo di trafficanti che gestisce il flusso internazionale.