Il traffico d'organi
Il fenomeno del traffico di organi prelevati da vivente, inizialmente oggetto di marginali interventi punitivi promananti dalla legislazione complementare, è stato finalmente fatto oggetto di un adeguato intervento repressivo grazie alla l. 11.12.2016, n. 236, recante «Modifiche al codice penale e alla legge 10 aprile 1999, n. 91, in materia di traffico di organi destinati al trapianto, nonché alla legge 26 giugno 1967, n. 458, in materia di trapianto del rene tra persone viventi». La normativa, soprattutto tramite l’inserimento di una nuova disposizione nel codice penale, ha ampliato la tutela della libertà individuale dei donatori di organi e della salute dei beneficiari, e ha messo in luce le diverse espressioni del fenomeno, fino ad allora sottaciute.
Obiettivi fondamentali della l. n. 236/2016 sono stati la razionalizzazione delle poche fattispecie incriminatrici previgenti in materia di traffico di organi prelevati da vivente, l’inasprimento del relativo trattamento sanzionatorio e, infine, l’introduzione di nuove figure delittuose. La riforma non ha invece toccato, se non marginalmente, il complesso delittuoso relativo al traffico di organi provenienti da soggetto di cui sia stata accertata la morte cerebrale, rispetto a cui il punto di riferimento rimane l’art. 22, co. 3 e 4, della l. 1°.4.1999, n. 91 (Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti), ove vengono puniti, rispettivamente, il procacciamento per fini di lucro e il commercio di organi ex mortuo, e il procacciamento non lucrativo di organi abusivamente prelevati da cadavere.
L’intervento di razionalizzazione operato dalla nuova legge ha avuto ad oggetto le preesistenti fattispecie di mediazione nella donazione di organi prelevati da vivente. Fino a poco più di cinque anni fa, l’unica figura delittuosa prevista in materia di donazione di organi ex vivo era quella di mediazione nella donazione di rene per fini di lucro, punita dall’art. 7 della l. 26.6.1967, n. 458 (Trapianto del rene tra persone viventi) con la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 154 a 3.098 euro. Lo specifico oggetto materiale del reato lasciava affiorare degli irragionevoli vuoti di tutela in relazione alle condotte di mediazione locupletativa realizzate nella donazione di organi diversi dal rene. Tali lacune sono state colmate dalla l. 24.12.2012, n. 228, che ha inserito nel tessuto della l. n. 91/1999 l’art. 22 bis (Sanzioni in materia di traffico di organi destinati ai trapianti), il cui primo comma stabilisce che «Chiunque a scopo di lucro svolge opera di mediazione nella donazione di organi da vivente è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 50.000 a euro 300.000». Per ovviare alla discrasia venutasi a creare tra la generale, e più gravemente punita, fattispecie di cui al predetto art. 22 bis, co. 1, e quella più specifica di cui all’art. 7 della l. n. 458/1967, l’art. 4 della l. n. 236/2016 ha provveduto ad abrogare la seconda disposizione, facendo conseguentemente riespandere il campo applicativo della prima: senza un tale intervento, il principio lex posterior generalis non derogat priori speciali, precipitato dell’art. 15 c.p., avrebbe rischiato di generare una discriminatoria disparità sanzionatoria tra chi facesse da mediatore nella donazione di rene, e chi svolgesse la stessa attività nella donazione di un organo differente, sempre prelevato da vivente. Alla fattispecie di mediazione lucrativa nella donazione di organi prelevati da vivente, è stato indirizzato anche l’art. 3, co. 1, della nuova legge, che ha incrementato il trattamento punitivo previsto dal primo comma dell’art. 22 bis, innalzandone la soglia edittale massima da sei a otto anni di reclusione. L’inasprimento della pena del delitto di mediazione è in linea con l’intento legislativo di reprimere con maggiore vigore il traffico di organi: tale proposito si è manifestato non soltanto con riferimento al quantum ma anche in relazione all’an della punibilità delle sue concrete manifestazioni, non riducibili alla sola illecita interposizione tra donatore e ricettore nella fase dell’accordo. Lungo tale indirizzo di politica criminale si colloca l’introduzione nel codice penale dell’art. 601 bis (art. 1 della l. n. 236/2016). Il suo primo comma punisce con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da 50.000 a 300.000 euro, oltre che con la pena accessoria dell’interdizione perpetua dall’esercizio della professione qualora soggetto attivo sia l’esercente una professione sanitaria, «Chiunque, illecitamente, commercia, vende, acquista ovvero, in qualsiasi modo e a qualsiasi titolo, procura o tratta organi o parti di organi prelevati da persona vivente». Inoltre la disposizione, al suo secondo comma, incrimina le attività realizzabili nella fase precedente alla mediazione delle parti coinvolte nello scambio: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre a sette anni e con la multa da euro 50.000 ad euro 300.000 chiunque organizza o propaganda viaggi ovvero pubblicizza o diffonde, con qualsiasi mezzo, anche per via informatica o telematica, annunci finalizzati al traffico di organi o parti di organi di cui al primo comma». Connesso all’introduzione di quest’ultima norma, è l’art. 3, co. 2, della l. n. 236/2016, che ha abrogato l’art. 22 bis, co. 2, della l. n. 91/1999: la disposizione puniva con una mera sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro chiunque pubblicizzasse la richiesta d’offerta di organi al fine di conseguire un profitto finanziario o un vantaggio analogo. L’ultima delle modifiche apportate dalla nuova legge attiene sempre al profilo sanzionatorio del traffico di organi, in questo caso sia ex vivo sia ex mortuo. Il suo art. 2, riformando l’ultimo comma dell’art. 416 c.p., ha previsto una nuova circostanza aggravante per il delitto di associazione per delinquere: se l’associazione è diretta a commettere uno dei delitti di cui agli artt. 22, co. 3 e 4, 22 bis, co. 1, della l. n. 91/1999, o di cui al nuovo art. 601 bis c.p., si applicherà la pena della reclusione da quattro a otto anni per coloro che stanno a capo, promuovono, costituiscono od organizzano l’associazione, e della reclusione da due a sei anni per coloro che vi prendono parte.
Non c’è dubbio che la più interessante novità della l. n. 236/2016 sia stata l’introduzione dell’art. 601 bis c.p.
Le nuove fattispecie di traffico di organi ex vivo sono state inserite all’interno del Libro II, Titolo XII, Capo III, sez. I, del codice penale, cioè tra i delitti contro la personalità individuale, immediatamente dopo il reato di tratta di esseri umani: questa scelta sistematica sembra rivelare che il legislatore abbia considerato contigui i due fenomeni criminosi, probabilmente condizionato dal fatto che l’art. 601 c.p. contempla il prelievo di organi tra gli alternativi scopi di sfruttamento sottesi alle condotte di tratta. Eppure il traffico di organi prelevati da vivente, per come delineato dal legislatore, presenta una dimensione offensiva più ampia, riferibile non soltanto alla libertà individuale, ma anche alla salute degli esseri umani. Un innegabile pregio del predetto inquadramento formale delle nuove fattispecie sta comunque nel consentire l’applicabilità dell’art. 604 c.p. che, in relazione ai delitti contro la personalità individuale, dà piena attuazione ai criteri di giurisdizione della personalità attiva e passiva, così derogando alle restrittive condizioni di procedibilità dei reati comuni commessi all’estero da cittadini italiani e da stranieri, richieste dagli artt. 9 e 10 c.p.
Fino all’emanazione della l. n. 236/2016, nell’ambito della donazione di organi ex vivo mancavano delle fattispecie volte a reprimere chi agisse nella fase della circolazione illecita degli organi umani: il reato di mediazione lucrativa nella donazione è, infatti, in grado di colpire esclusivamente chi si interponga tra l’aspirante donatore e l’aspirante ricettore di un organo, in modo da favorire la conclusione dell’accordo tra le parti e con lo scopo di conseguire una “provvigione” per tale attività; non può, invece, reprimere chi intervenga nella successiva fase esecutiva del patto1. Questa mancanza era ulteriormente enfatizzata dalla presenza, nel corpo della l. n. 91/1999, di due fattispecie che invece incriminavano proprio il procacciamento illecito e la commercializzazione degli organi prelevati da cadavere. Il primo comma dell’art. 601 bis c.p. ha avuto la funzione di colmare le lacune enunciate e di attribuire rilevanza penale alle condotte attraverso cui l’organo venga illecitamente mercificato, procurato a taluno o trattato. I reati di commercio e di compravendita di organi umani sono finalizzati a sottrarre questi ultimi alle dinamiche discriminatorie del mercato privato e a garantirne, invece, l’immissione nel circuito legale dei trapianti, in modo che siano destinati gratuitamente agli individui che detengano una posizione di precedenza in base alle liste di attesa gestite dal Centro nazionale dei trapianti. L’introduzione della fattispecie di commercio di organi ex vivo ha colmato la principale delle lacune emergenti dal confronto con la disciplina penale della donazione di organi ex mortuo, in relazione alla quale l’art. 22, co. 3, della l. n. 91/1999 già aveva stabilito un’omologa incriminazione. Per individuare il significato da attribuire alla condotta incriminata, occorre fare rinvio all’art. 4 del d.lgs. 31.3.1998, n. 114, ove il termine «commercio» è usato per indicare la condotta di chi acquista beni e poi li rivende: in tal senso, può ritenersi che il reato, la cui esecuzione inizia con l’acquisto dell’organo, si consumi con la successiva rivendita dello stesso, implicitamente finalizzata a trarvi un guadagno2. Si tratta comunque di un elemento normativo che va assunto dalla norma penale in un’accezione differente da quella che lo caratterizza nel settore richiamato3, ove si disciplina il commercio, all’ingrosso o al dettaglio, di beni mercificabili: gli organi, infatti, intrinsecamente rappresentano delle res extra commercio, per cui una distinzione tra l’uso del termine nel contesto civilistico e quello nel contesto penale è ineliminabile. Può conseguentemente ritenersi che per la realizzazione del reato non occorra che il soggetto attivo detenga i requisiti di professionalità e di abitualità tipici di chi svolge un’attività commerciale stricto sensu. Sempre nell’ambito di un evidente obiettivo repressivo della mercificazione delle parti del corpo, il primo comma punisce pure l’acquisto e la vendita degli organi. Si tratta di condotte eseguibili da chi non agisca come intermediario commerciale, ma si limiti a comprare o a vendere l’organo, non necessariamente con un fine di lucro: in tal senso, mediante le due speculari fattispecie in esame, sarebbe possibile punire coloro che operino nell’interesse o per conto del donatore o del beneficiario, pietatis causa o anche in cambio di una controprestazione per l’attività svolta; ma anche gli stessi due soggetti personalmente coinvolti nella “donazione”, qualora procedano direttamente alla compravendita. Le fattispecie che sanzionano chiunque, a qualunque titolo e in qualunque modo, illecitamente procura o tratta organi umani, hanno lo scopo di evitare l’immissione degli organi precedentemente espiantati nel circuito clandestino di approvvigionamento di parti del corpo umano, che ovviamente si muove al di fuori del sistema statale di gestione dei processi di assegnazione degli organi e di controllo della loro qualità, sicurezza e istocompatibilità. L’incriminazione di chi illecitamente procura organi prelevati da vivente ha consentito un ulteriore allineamento con il sistema punitivo apprestato in materia di donazioni ex mortuo, in cui già era punita la condotta di procacciamento. Va salutato con favore il ricorso alla clausola di illiceità speciale «illecitamente» e all’inciso «in qualsiasi modo e a qualsiasi titolo», che consentono di attribuire alla fattispecie un vasto ambito applicativo, tale da abbracciare qualunque forma di approvvigionamento di organi ex vivo avvenuto in contrasto con uno dei principi legalmente stabiliti in materia di donazioni: sarebbe dunque punibile chi procuri organi a terzi per fini di lucro, chi procacci ad altri organi illegalmente prelevati da vivente, o anche chi procuri gratuitamente organi legalmente espiantati a soggetti che non detengono un diritto di ricezione in base alle liste di attesa per i trapianti. Come vedremo nel prosieguo, l’ultima fattispecie prevista dal primo comma, quella che incrimina chi illecitamente tratta organi umani, risulta essere la più problematica, a causa delle diverse accezioni attribuibili all’espressione “trattare”.
Le fattispecie previste dal secondo comma sono dirette a realizzare un’anticipazione di tutela della personalità individuale dei donatori, incriminando quelle condotte che si collocano in una fase antecedente non soltanto ai fatti incriminati dal primo comma, ma persino alla mediazione lucrativa nella donazione di organi da vivente. La prima parte della norma punisce l’organizzazione o la propaganda di viaggi finalizzati alla realizzazione, nel luogo di destinazione, di una delle fattispecie di traffico di organi ex vivo previste al primo comma. Questo specifico intervento legislativo, congiuntamente alla collocazione delle fattispecie di cui all’art. 601 bis nel quadro di quelle a cui è applicabile l’art. 604 c.p., appare diretto ad assecondare le istanze sovrannazionali di repressione del “turismo dei trapianti”: in tale direzione, nella dichiarazione di Istanbul del 20084, era stato chiarito che il fenomeno lecito del “Travel for transplation”, che ricomprende generalmente «the movement of organs, donors, recipients, or transplant professionals across jurisdictional borders for transplantation purposes», assume i tratti del “Transplant tourism”, di carattere illecito, se «it involves organ trafficking and/or transplant commercialism or if the resources (organs, professionals, and transplant centers) devoted to providing transplants to patients from outside a country undermine the country’s ability to provide transplant services for its own population». Dal confronto con tale definizione, emerge addirittura il più ampio campo applicativo coperto dalla previsione nazionale, dato che ivi non è stato indicato che i viaggi in oggetto debbano necessariamente avvenire oltre confine: sono dunque punibili le iniziative organizzative o propagandistiche volte a sollecitare gli aspiranti donatori, i beneficiari o gli intermediari, a intraprendere il turismo dei trapianti non soltanto all’estero ma anche all’interno del territorio dello Stato. L’incriminazione, nella seconda parte della norma, della pubblicizzazione o della diffusione di annunci finalizzati al traffico di organi, si ricollega all’abrogazione del corrispondente (sebbene dotato di un ambito applicativo più circoscritto) illecito amministrativo di cui al secondo comma dell’art. 22 bis della l. n. 91/1999, ad opera della stessa l. n. 236/2016. L’ingresso della sanzione penale rappresenta il risultato della presa di coscienza, da parte del legislatore, che la probabilità che tali reati vengano commessi possa essere amplificata dall’utilizzo dei canali di diffusione di massa caratterizzanti le nuove tecnologie informatiche: questo dato emergeva già dalla direttiva 2010/53/UE, in materia di trapianto di organi, che aveva contemplato come unica condotta meritevole di divieto «la pubblicità riguardante la necessità o la disponibilità di organi nei casi in cui essa abbia come fine l’offerta o la ricerca di un profitto finanziario o di un vantaggio analogo» (art. 13, co. 3), stabilendo che le sanzioni che gli Stati membri devono applicare per la violazione delle norme nazionali adottate in attuazione della direttiva «devono essere effettive, proporzionate e dissuasive» (art. 23). Data la clausola di sussidiarietà posta all’inizio della disposizione, «Salvo che il fatto costituisca più grave reato», laddove una delle condotte incriminate da questo secondo comma assuma la forma di una vera e propria istigazione al compimento di uno dei delitti di traffico di organi, e vi segua l’effettiva commissione di esso, potrebbe aversi concorso morale nel reato, se si riesca a provare l’efficacia condizionante della prima sul secondo, oltre che il dolo istigatorio.
La recente riforma, pur ampliando l’area di rilevanza penale del traffico di organi da vivente, non è esente da profili di criticità legati alla genericità dei concetti utilizzati per indicare alcune delle condotte punibili, all’assenza di clausole di non punibilità a favore dei donatori, e alla mancanza di un parallelo intervento di razionalizzazione ed ampliamento delle fattispecie in materia di traffico di organi ex mortuo. A questi aspetti problematici, si aggiungono quelli legati alla necessità che il nostro ordinamento recepisca la Convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di organi, adottata nel 2014 e aperta alle sottoscrizioni il 25 marzo 2015 a Santiago de Compostela.
Tra tutte quelle previste, la fattispecie più problematica è quella che incrimina chi tratta illecitamente gli organi prelevati da vivente. Il punctum dolens attiene all’equivocità del termine utilizzato per indicare la condotta incriminata: ed, infatti, l’espressione «tratta» potrebbe richiamare il concetto utilizzato nella rubrica dell’art. 601 c.p. per definire il traffico di esseri umani e, in questo senso, andrebbe interpretata come clausola generale comprensiva di tutte le condotte attraverso cui l’organo venga fatto circolare illegalmente5, alla stregua di quanto rilevato dalla dottrina in relazione al reato di tratta di persone prima che la riforma del 2014 procedesse a una compiuta descrizione delle condotte ivi riconducibili6; o, in alternativa, il termine potrebbe fare riferimento al trattamento o, più generalmente, all’utilizzo illecito dell’organo, anche per fini di trapianto. Il confronto tra i due proposti percorsi ermeneutici dovrebbe condurre l’interprete a scegliere il secondo. Anzitutto, in quanto si tratta di un’esegesi che attribuisce all’espressione il suo normale uso linguistico: secondo il vocabolario Treccani, il verbo “trattare” significa «Intervenire con determinati metodi, procedimenti e mezzi, su un materiale o un prodotto, su una sostanza, su corpi e organismi o parti di essi, per ottenere determinati effetti»7. In secondo luogo, poiché estendere all’ambito degli organi umani il peculiare utilizzo del termine che l’art. 601 c.p. fa in relazione a degli individui, finirebbe per integrare un procedimento analogico con esiti incerti, soprattutto con riguardo a quelle condotte tipiche di tratta che logicamente possono avere ad oggetto soltanto delle persone e non delle res (si pensi al reclutamento, alla cessione dell’autorità o all’ospitalità). In terzo luogo, perché l’interpretazione proposta consentirebbe alla fattispecie di svolgere una sua specifica funzione di incriminazione, ben distinta da quella assolta dal reato di procacciamento, e in grado di reprimere condotte che altrimenti resterebbero impunite.
Poiché le fattispecie introdotte nell’art. 601 bis c.p. non circoscrivono la loro applicabilità ai soggetti intermediari, e dato che non è stata stabilita alcuna speciale clausola di non punibilità, vi è il rischio che gli stessi donatori possano essere puniti laddove commettano uno dei fatti ivi vietati: in particolare, potrebbero essere incriminati come venditori coloro che cedano i propri organi in cambio di un corrispettivo economico. È tuttavia chiaro che addossare la sanzione penale a soggetti che accettino di privarsi della propria integrità fisica per ragioni economiche, spesso legate a un grave stato di bisogno, significhi stigmatizzare ulteriormente, e inopportunamente, degli individui affetti da un’intrinseca condizione di vulnerabilità che non consente loro di autodeterminarsi liberamente. In tale direzione, lo stesso inquadramento sistematico delle fattispecie tra i delitti contro la personalità individuale, evidentemente del donatore di organi, mette in luce l’irragionevolezza di una strategia politico-criminale che pone uno stesso soggetto nella posizione bifronte di vittima e potenziale autore dei medesimi fatti di reato. Sebbene possano essere avanzati dei similari profili critici riguardanti la punibilità del beneficiario che compri un organo per farselo trapiantare, e rimediare così a una condizione di vulnerabilità fisica che lo affligge, è comunque innegabile che, in questo caso, l’intervento del diritto penale, più che uno stigma, rappresenti uno strumento indispensabile a frenare l’indebito sfruttamento perpetrato nei confronti dei donatori che, oltre a vedere coartato il proprio potere decisionale per via della presenza di un vantaggio economico che inficerebbe la libertà del consenso all’espianto, finirebbero per vedere pregiudicata irrimediabilmente la propria integrità fisica.
Prima l’inserimento dell’art. 22 bis nel corpo della l. n. 91/1999, e poi il fatto che l’art. 601 bis c.p. abbia ampliato esclusivamente il complesso delittuoso relativo al traffico di organi ex vivo, hanno reso evidente che attualmente le maggiori lacune in materia attengono alla repressione del traffico di organi ex mortuo, ove il sistema di incriminazioni è immutato dal 1999 e sostanzialmente ridotto alle fattispecie di commercio, procacciamento lucrativo e procacciamento non lucrativo di organi abusivamente prelevati. In particolare, non si vede la ragione per cui la fattispecie di mediazione di cui all’art. 22 bis sia stata circoscritta alla sola donazione di organi provenienti da vivente, quando invece l’art. 6 bis della medesima l. n. 91/1999 – anch’esso introdotto dalla l. n. 228/2012 – prevede che «È vietata ogni mediazione riguardante la necessità o la disponibilità di organi che abbia come fine l’offerta o la ricerca di un profitto finanziario o di un vantaggio analogo», senza distinzione alcuna sulla provenienza dell’organo8. Non è infatti soltanto un’ipotesi teorica che l’accordo sul trasferimento dell’organo possa avvenire precedentemente al decesso del donatore, ed in funzione della cessione delle sue parti del corpo post mortem: lo dimostra il fatto che l’art. 19 della previgente l. 2.12.1975, n. 644, prevedeva che «Chiunque riceve denaro o altre utilità ovvero ne accetta la promessa per consentire al prelievo dopo la sua morte di parti del proprio corpo o di quello di altra persona per le finalità previste dalla presente legge, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 400 mila a lire 2 milioni». L’opportuna abrogazione di tale norma – che puniva esclusivamente il donatore vulnerabile, sollevando le medesime criticità rilevate rispetto alla punibilità dello stesso per il delitto di vendita dei propri organi ex art. 601 bis – avrebbe dovuto quindi essere seguita dall’incriminazione della mediazione lucrativa nella donazione di organi ex mortuo. Sarebbe anche opportuno, sulla scorta di quanto avvenuto nel primo comma dell’art. 601 bis c.p., introdurre una generale fattispecie che punisca l’illecito procacciamento di organi provenienti da persona deceduta. La pur tassativa tecnica legislativa adottata nell’ambito del traffico di organi ex mortuo, difatti, consentirebbe di incriminare soltanto determinate forme di approvvigionamento – ossia quello sorretto da un fine di lucro e quello avente ad oggetto organi abusivamente prelevati –, lasciando irragionevolmente fuori dalla sfera di rilevanza penale la condotta di chi, senza volere conseguire un guadagno, procuri un organo legalmente prelevato da cadavere a un soggetto che non sia legittimato a riceverlo in base ai criteri legali di destinabilità9. Sempre alla luce del confronto con l’art. 601 bis, occorrerebbe prevedere una fattispecie che incrimini il trattamento illecito di organi ex mortuo, in quanto l’uso clandestino di organi da destinare al trapianto, senza la garanzia del rispetto delle regole in materia di controllo e conservazione degli stessi, metterebbe in pericolo la salute dei beneficiari, a prescindere che si tratti di parti del corpo provenienti da vivente o da cadavere.
L’ingresso delle nuove fattispecie di traffico di organi ex vivo nel codice penale è avvenuto poco tempo dopo che il Consiglio d’Europa aveva adottato la Convenzione contro il traffico di organi. Al suo interno sono state indicate una serie di condotte (artt. 4, 6, 7 e 8) che gli Stati contraenti hanno l’obbligo di incriminare in quanto specifiche espressioni del fenomeno (art. 2), e, tra le altre cose, è stato richiesto di sanzionare le persone giuridiche per il cui vantaggio tali delitti siano stati commessi da soggetti apicali, o comunque da altre persone fisiche operanti sotto il loro controllo (art. 11).
Con l’emanazione della l. n. 236/2016, il legislatore non ha proceduto a recepire lo strumento normativo sovrannazionale, anche in virtù del fatto che il relativo disegno di legge era stato presentato in Parlamento precedentemente alla redazione della Convenzione: di fronte all’ampio ventaglio di previsioni di natura penale ivi apprestate – oltretutto, egualmente riferibili sia al traffico di organi ex vivo sia a quello ex mortuo –, pare chiaro che il nostro ordinamento si trovi in una situazione deficitaria e che urga un intervento di adeguamento.
Il primo dato evidente è che il sistema normativo italiano sia privo di alcune figure delittuose la cui introduzione è stata invece invocata a livello convenzionale. Mancano delle fattispecie che puniscano l’espianto degli organi, da vivente o da cadavere, laddove eseguito in contrasto con i principi di gratuità o di volontà delle donazioni (come invece richiesto dall’art. 4 della Convenzione). Né vengono puniti il reclutamento o la sollecitazione del donatore o del beneficiario per fini di lucro (ex art. 7, par. 1, Conv.), che rappresentano condotte diverse e non assimilabili alla mediazione lucrativa tra i due, ex art. 22 bis della l. n. 91/1999. D’altra parte, nella prospettiva di un parziale adeguamento in via interpretativa all’art. 8, n. 2, Conv., può ritenersi che le fattispecie che incriminano l’illecito procacciamento di organi prelevati da vivente, ex art. 601 bis, co. 1, c.p., e da cadavere, ex art. 22, co. 3 e 4, della l. n. 91/1999 (pur con i limiti sopra evidenziati), siano già in grado di garantire la punibilità di chi trasporti, trasferisca, importi od esporti un organo proveniente da un espianto illecito, poiché attraverso queste condotte l’organo viene procurato a terzi10. Resterebbe invece impunita la condotta di ricezione, contemplata dalla medesima disposizione convenzionale, in quanto le fattispecie nazionali che incriminano chiunque procuri illecitamente un organo, implicano necessariamente la sua consegna a un terzo soggetto, e non possono quindi giungere a coprire l’“autoprocacciamento”11. Inoltre, l’interpretazione dell’espressione «tratta», suggerita in sede di esame dell’art. 601 bis, garantirebbe la conformità della disciplina penale del traffico di organi ex vivo agli artt. 6 e 8, n. 1 Conv., ove si richiede agli Stati di punire l’utilizzo, la preparazione, la conservazione e lo stoccaggio degli organi illecitamente prelevati; resta ferma, invece, la mancanza di una similare fattispecie incriminatrice nell’ambito del traffico di organi ex mortuo, per cui occorrerebbe un intervento additivo del legislatore. Ulteriore profilo di criticità va ravvisato nell’inesistenza di una norma interna che preveda la responsabilità delle persone giuridiche per i reati di traffico di organi, non inclusi tra le fattispecie espressamente previste dalla sez. III, capo I, del d.lgs. n. 231/2001. Alla luce delle suddette carenze, va apprezzata la presentazione in Parlamento del d.d.l. n. 3918, intitolato «Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di organi umani, fatta a Santiago de Compostela il 25 marzo 2015, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno», approvato dalla Camera l’11 maggio 2017 e attualmente all’esame del Senato.
1 Si veda Tigano, V., La repressione del traffico di organi prelevati da vivente: verso il nuovo art. 601 bis c.p., in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, 1808 ss.
2 Così Mantovani, F., voce Trapianti, in Dig. pen., Aggiornamento, II, Torino, 2004, 827.
3 Cfr. Bricola, F., La discrezionalità nel diritto penale. Nozione e aspetti costituzionali, Milano, 1965, 181.
4 Dichiarazione di Istanbul del 2.5.2008, risultato del vertice internazionale sul turismo dei trapianti e sul traffico di organi, ivi convocato dalla Transplantation Society e dalla International Society of Nephrology.
5 Così Flor, R., Prime riflessioni a margine della nuova Convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di organi umani, in www.penalecontemporaneo.it, 14.4.2015, 2324.
6 Cfr. Viganò, F., art. 601, in Dolcini, E.Marinucci, G., Codice penale commentato, III ed., Milano, 2011, 5786.
7 V. www.treccani.it.
8 Cfr. Vallini, A., Nuove figure criminose in tema di traffico di organi prelevati da vivente, in Dir. pen. e proc., 2017, 1015.
9 Così Giunta, F., La nuova disciplina dei trapianti d’organo: principi generali e principi penali, in Riv. it. med. leg., 2001, 86.
10 Così, mutatis mutandis, Mantovani, F., Donazioni e trapianti: prospettiva penalistica, in Canestrari, S. e alt., a cura di, Il governo del corpo, t. I, vol. II, in Rodotà, S.Zatti, P., diretto da, Trattato di biodiritto, Milano, 2011, 1156.
11 Così Mantovani, F., voce Donazioni e trapianti, cit.