Il sogno di Pericle, l'Atene di Fidia
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’acropoli di Atene, con i suoi edifici, i suoi monumenti e le sue sculture, è il complesso architettonico antico che ha esercitato sui posteri la fascinazione più potente e duratura. A questo complesso monumentale, già in antico considerato il paradigma sommo del “classico”, sono indissolubilmente legati i nomi del carismatico leader politico Pericle e del grande scultore ateniese Fidia.
Nel 479 a.C., poco prima della battaglia di Platea, la desolazione di Atene, devastata dalla rovinosa invasione dei Persiani, spinge i cittadini a pronunciare un solenne giuramento: mai più saranno ricostruiti i templi bruciati e distrutti dai barbari, ma anzi dovranno restare allo stato di rovina, a perenne condanna dell’empietà del nemico e a costante monito della necessità di una vigile difesa. Per un trentennio, ad Atene i culti religiosi si svolgono perlopiù all’aperto e non vengono intrapresi grandi progetti edilizi e urbanistici, eccezion fatta per alcuni monumenti dovuti all’iniziativa di Cimone, il potente figlio di Milziade e principale avversario politico di Temistocle: il Theseion, l’heroon destinato ad accogliere le presunte spoglie mortali dell’eroe ateniese Teseo, recuperate a Sciro dallo stesso Cimone, e la Stoà Poikile nell’agorà, il portico dipinto da Polignoto di Taso, Micone e Paneno con soggetti mitici (Amazzonomachia e Ilioupersis) e storici (la battaglia di Maratona e quella di Oinòe). Ma soltanto con la pace di Callia, che impone finalmente una stabile tregua al lungo e drammatico conflitto che ha contrapposto Greci e Persiani, gli Ateniesi si sentono meno vincolati al giuramento di Platea: e Atene si doterà, nel breve volgere di pochi anni, di una serie di monumenti straordinari, destinati a trasformarla in un modello, in un imprescindibile punto di riferimento per i contemporanei e per i posteri.
La ricchezza e la varietà dei progetti, l’ampiezza delle risorse impiegate, la collaborazione tra tante personalità artistiche d’eccezione che qui si formano e si affermano, sono gli elementi che danno vita ad una situazione del tutto particolare, che trova pochi confronti nella storia della cultura dell’umanità: gli edifici periclei dell’acropoli, e in particolare il Partenone, sono la culla dell’arte classica, che da qui si diffonde in ogni direzione, nello spazio e nel tempo, diventando fonte di ispirazione, canone, sogno, a volte, anche, un’ingombrante eredità da contestare. Le fonti antiche legano questa svolta al nome di Pericle, figlio di Santippo, che in qualità di leader della dominante fazione politica esercita una considerevole influenza sulla vita pubblica ateniese per un trentennio, dal 461/460 a.C. fino alla sua morte nel 429 a.C., pur da una posizione istituzionale relativamente modesta quale la carica di stratego (uno dei dieci generali a capo delle forze militari ateniesi); il suo potere e il suo prestigio personali sono però tali che Plutarco, nella Vita di Pericle, potrà descriverlo come un politico dotato di una autorità quasi monarchica, circondato da intellettuali e artisti che svolgono presso di lui funzione di consiglieri. Pericle dedica la propria attività politica in particolare al progetto di fare di Atene una città ideale, la capitale culturale della Grecia; e giudicherà di essere riuscito nel proprio intento quando definirà Atene “la scuola dell’Ellade” nell’orazione funebre per i caduti del primo anno della guerra del Peloponneso (Tucidide, II, 41,1).
Alla metà del V secolo a.C. ci sono, del resto, tutti i presupposti politici, economici e culturali per una trasformazione della polis, in questo che è il momento più felice della sua storia. Atene riveste ormai un ruolo di assoluta egemonia nella Lega di Delo, esercitando una politica imperialistica sugli alleati, diventati stati vassalli tenuti al pagamento di notevoli tributi; il trasferimento del tesoro della Lega da Delo ad Atene, deciso nel 454 a.C., dota la polis di una cospicua disponibilità economica, senza la quale progetti ambiziosi (e costosi) come il simulacro di Atena Parthenos o i Propilei sarebbero impensabili, nonostante le floride condizioni economiche di cui gode la città grazie all’incremento dei commerci e delle attività artigianali e soprattutto grazie alle rendite delle miniere d’argento del Laurio, considerevolmente accresciute a seguito della scoperta del cosiddetto “terzo contatto”, un filone particolarmente ricco del prezioso metallo che aveva consentito la realizzazione della flotta di triremi vittoriosa sui Persiani a Salamina nel 480 a.C. La polis è prospera ed è anche tranquilla dal punto di vista sociale: la democrazia radicale, affermatasi intorno al 460 a.C., ha rafforzato i poteri dell’ekklesia, l’assemblea dei cittadini, limitando il campo d’azione della boulè e del collegio degli arconti e l’influenza politica del tribunale dell’Areopago, incoraggiando così l’ampia e attiva partecipazione degli Ateniesi alla vita politica.
L’intensità delle attività artigianali e commerciali e il ruolo strategico di Atene impongono la realizzazione di infrastrutture portuali a carattere civile e militare: per questo si costruiscono le Lunghe Mura, che collegano la città al porto del Pireo, le Darsene e la Makrà Stoà, un complesso di magazzini per lo stoccaggio delle merci. Ma è sull’acropoli, centro religioso e culturale dell’Atene democratica, che si concentrano gli interventi edilizi più spettacolari, i monumenti a carattere ideologico-propagandistico, destinati a celebrare la vittoria della Grecia sui Persiani e il nuovo ruolo di Atene. Plutarco (Vita di Pericle, 13, 6-15) passa in rassegna gli erga Perikleous, i monumenti legati alla figura di Pericle, il Partenone, i Propilei dell’acropoli, l’Odeion, la statua crisoelefantina di Atena nella sua epiclesi di Parthenos, cioè di vergine guerriera, realizzata da Fidia; e sostiene che a quest’ultimo fosse attribuito il controllo su tutte queste opere, controllo che egli esercitava per amicizia verso Pericle. Fidia, formatosi professionalmente nell’Atene del terzo decennio del secolo, è uno scultore che ha già avuto modo di mostrare le proprie qualità in due monumenti pubblici, entrambi destinati a celebrare la vittoria greca sui Persiani: il primo è il donario eretto a Delfi con il bottino di Maratona, un gruppo di statue in bronzo raffiguranti Apollo, Artemide, Milziade e dieci eroi attici (descritto da Pausania, Periegesi della Grecia X, 10, 1), mentre il secondo è la grande statua bronzea di Atena Promachos (“combattente”), alta nove metri, eretta sull’acropoli per celebrare forse la battaglia dell’Eurimedonte (466 a.C.); di quest’opera conosciamo, grazie a resoconti epigrafici, i tempi di realizzazione (circa dieci anni, tra il 460 e il 450 a. C.) e il costo da capogiro (500 mila dracme). Molto si è discusso e si discute ancora oggi sull’effettivo ruolo ricoperto da Fidia nell’attuazione del programma edilizio pericleo.
Plutarco lo definisce “sovrintendente dei lavori”, ma nell’Atene dell’epoca certo non esiste una simile figura istituzionale, e tutte le decisioni sono prese collegialmente; sicuramente Fidia è l’autore della statua crisoelefantina di Atena Parthenos, che costituisce il fulcro dell’intero programma, il più potente veicolo della propaganda periclea, intorno a cui si modella tutto il resto. Questo, unito alle sue superiori qualità artistiche e al suo rapporto personale con Pericle, deve avergli conferito una particolare autorità all’interno dell’intero progetto, anche se poco definite restano le sue specifiche competenze.
Realizzata con lamine in oro e avorio su una articolata impalcatura lignea, l’Atena Parthenos raggiunge, compresa la base, l’altezza totale di 12 metri. Da documenti epigrafici è stato possibile calcolare il peso dell’oro impiegato, oltre una tonnellata, e il costo complessivo dell’opera, circa 700 talenti: una cifra che sarebbe potuta bastare all’allestimento di una flotta di 230 triremi. Le dimensioni della statua richiedono una cella particolarmente ampia, che impone notevoli variazioni nella pianta e nell’alzato del Partenone rispetto alle forme canoniche dell’architettura dorica. Inoltre, il desiderio di esaltare l’aspetto di un simulacro tanto eccezionale suggerisce la forma a P greco del colonnato interno alla cella, che circonda la statua su tre lati, come un’esedra; per ravvivare di splendidi riflessi le sue superfici, infine, si aprono due finestre ai lati dell’ingresso della cella, sul lato est, dalle quali possono penetrare i raggi del sole al suo sorgere, e si colloca di fronte ad Atena una vasca piena d’acqua, necessaria anche a mitigare l’eccessiva aridità del clima dell’Attica, dannosa per l’impalcatura lignea e per il rivestimento in avorio. L’aspetto della statua è noto grazie alle descrizioni di Plinio il Vecchio (Nat. Hist. XXXIV, 54; XXXVI, 18) e di Pausania (Periegesi della Grecia I, 24, 5-7; V, 11, 10) e al confronto con copie di piccolo formato, diverse delle quali ritrovate proprio ad Atene e databili in età imperiale: souvenir che certamente i viaggiatori romani acquistavano volentieri. La dea è stante, vestita del peplo dorico e con la testa coperta da un elmo attico di foggia elaborata, con protomi laterali in forma di cavalli alati ed una protome al centro in forma di sfinge; sulla mano destra sorregge una Nike alata a grandezza naturale, mentre la sinistra poggia sull’orlo superiore dello scudo, dietro il quale si trova il serpente Erittonio (nato da Gea, la terra fecondata dallo sperma di Efesto che inseguiva Atena), il cui culto ad Atene è strettamente intrecciato a quello della stessa dea.
La creatività di Fidia si esprime compiutamente nella ricca decorazione a rilievo che copre la base, la superficie dello scudo, il bordo delle suole dei sandali, con temi iconografici che sono in rapporto diretto con quelli che compaiono sulle metope e sui frontoni del Partenone. Questi rilievi hanno avuto in età antica una fortuna copistica indipendente rispetto al simulacro: particolarmente importante è stata la scoperta nel 1930, nel porto del Pireo, di una serie di lastre marmoree a rilievo, di produzione neoattica, con excerpta dell’Amazzonomachia del lato esterno dello scudo; di questo si conservano inoltre alcune copie in marmo, tra le quali la migliore è lo scudo Stangford al British Museum. Il lato interno dello scudo è decorato con un’altra lotta mitica, emblema dello scontro tra il bene e il male, tra l’ordine e il caos, tra la moderazione e l’eccesso: la battaglia tra gli dèi e i Giganti ribelli, resa anch’essa a rilievo. Sulle suole dei sandali, il tema trattato è quello della Centauromachia, il medesimo cioè che compare nel frontone ovest del tempio di Zeus ad Olimpia; infine, sulla base, è raffigurata la nascita di Pandora alla presenza degli dèi olimpi. Pandora è la prima donna, il “bel flagello” voluto da Zeus per castigare i mortali che hanno ottenuto da Prometeo il dono del fuoco (Esiodo, Teogonia, 570- 610) e, secondo il mito, viene modellata da Efesto con l’argilla, e dotata della métis, cioè il senno, di Atena, che le insegna i mestieri femminili. Si tratta di una celebrazione di Atena in quanto protettrice delle attività artigianali, in un’epoca in cui l’artigianato, ad Atene, conosce una straordinaria fioritura? Oppure di una allusione al ruolo della dea come patrona spirituale del genere umano? Certamente esiste un diretto legame tra questa scena e la nascita della stessa Atena, rappresentata sul frontone orientale del Partenone: anch’essa una nascita straordinaria, nella quale Efesto svolge un ruolo di primo piano.
Il simulacro crisoelefantino della Parthenos riscuote nella Grecia classica uno straordinario successo, e dà inizio ad una serie di statue realizzate nella medesima tecnica (o in quella, più economica ma altrettanto spettacolare, dell’acrolito) tra le quali lo Zeus creato dallo stesso Fidia per il tempio di Olimpia e destinato ad essere inserito nel canone delle sette meraviglie del mondo antico, e la statua di Era per l’Heraion di Argo, opera di Policleto. Probabilmente, la gigantesca, elaborata, polimaterica Parthenos fidiaca non incontrerebbe il nostro gusto: occorre però tenere presente che si tratta di un anathèma, di uno splendido dono votivo, nonché di una forma straordinaria di “tesaurizzazione” delle preziose materie con cui è realizzata (le lamine d’oro, all’occorrenza, potevano essere smontate e pesate) e, infine, di una sontuosa rappresentazione simbolica della città; non di un’“opera d’arte” secondo il significato che si attribuisce di norma a tale espressione, né, tantomeno, di una statua di culto.
La statua di culto di Atena sull’acropoli resta infatti l’antico xoanon in legno d’olivo, secondo il mito caduto dal cielo e custodito all’interno del tempio arcaico di Atena Polias (la cui cella aveva miracolosamente resistito alla distruzione persiana) e, in seguito, trasferito nell’Eretteo. E come la Parthenos non è una statua di culto, così il Partenone non è propriamente un tempio (tanto è vero che non presenta l’altare sacrificale all’esterno), per quanto rappresenti, per la sensibilità moderna, l’immagine archetipica del tempio greco. Si tratta, piuttosto, di un lussuoso ex voto, di un prezioso scrigno atto a custodire la statua della dea; ma anche di un edificio di carattere emblematico, destinato a celebrare in eterno la gloria di Atene, dei suoi ideali e della sua cultura.
In stile dorico, costruito in marmo pentelico dalla base al tetto, il Partenone, iniziato nel 447 a.C. e concluso nel 432 a.C., insiste sulle fondazioni di due templi precedenti: il primo, che in letteratura viene definito Urparthenon (“Partenone primitivo”) è un periptero esastilo in poros (un tipo di calcare tenero) costruito probabilmente nel 566/565 a.C., in occasione della riorganizzazione delle Panatenee, la solenne festività religiosa in onore di Atena che si tiene ogni quattro anni nel mese di Ecatombeone (luglio). Il secondo è invece il cosiddetto “pre-Partenone”, una struttura legata alla fine della tirannide pisistratea e agli inizi della democrazia, che deve aver subito modifiche di progetto durante la costruzione, in particolare dopo Maratona. Alcuni frammenti di questo secondo edificio vengono riutilizzati per la costruzione del muro settentrionale dell’acropoli, ostentandone volutamente le tracce dell’incendio persiano. Gli architetti del nuovo Partenone, Ictino e Callicrate (attivi nella seconda metà del V secolo a.C.), riutilizzano in parte le fondamenta del “pre-Partenone” e si misurano con la sua pianta, mantenendone alcune caratteristiche, come il pronao e l’opistodomo prostili. Ma, come già accennato, la necessità di ospitare l’ingombrante simulacro della Parthenos impone una cella di dimensioni maggiori; tra la cella stessa e l’opistodomo, inoltre, il progetto prevede l’inserimento di un’ampia sala, con il tetto sorretto da quattro colonne ioniche, priva di finestre e chiusa da una pesante porta con armatura in ferro, certo destinata a custodire il tesoro della dea.
La presenza di questi elementi impone un aumento del numero delle colonne sulle facciate del pronao e dell’opistodomo, e di conseguenza di quello delle fronti del tempio, che da esastilo (formula prediletta nell’architettura dorica) diventa ottastilo, con 17 colonne sui lati lunghi. Straordinaria la decorazione scultorea: 92 metope lavorate a rilievo, due frontoni con poco meno di 50 statue a tutto tondo ed un fregio continuo a rilievo, che corre lungo le pareti esterne della cella, per una lunghezza totale di 160 metri. La solenne severità dell’ordine dorico si mitiga dunque nel Partenone, accogliendo soluzioni ed elementi tipici dell’architettura ionica, come il fregio continuo, la più ampia peristasi, l’esuberanza decorativa, ad esprimere il particolare rapporto di Atene con il mondo ionico, i suoi interessi politici ed economici in area cicladica e microasiatica; ma anche l’aspirazione a ricomporre in armoniosa sintesi la raffinatezza ionica e la sobria semplicità dorica.
La decorazione scultorea del Partenone ha sofferto delle vicissitudini post-antiche del monumento, è stata distrutta, depredata e smembrata; già danneggiata dalla trasformazione del tempio in chiesa cristiana tra V e VI secolo (quando la costruzione di un’abside comporta la distruzione della parte centrale del frontone orientale), e poi in moschea forse nel XV secolo, soffre per una palla di cannone che nel 1687, durante l’assedio veneziano, colpisce il Partenone, utilizzato dai Turchi come polveriera, e subisce, in quella stessa occasione, il disgraziato tentativo dell’ammiraglio veneziano Francesco Morosini di asportare le quadrighe di Atena e di Poseidone dal frontone ovest, che si infrangono sulle rocce dell’Acropoli. Infine, buona parte dei marmi tra Settecento e Ottocento prende la via delle collezioni europee: Venezia, poi Parigi, ma soprattutto Londra, dove i cosiddetti marmi Elgin (dal nome dell’ambasciatore britannico a Costantinopoli responsabile dello spoglio dei marmi partenonici), oggi conservati presso il British Museum, vengono esposti per la prima volta nel 1807, suscitando stupore, ammirazione (ma anche avversione: così diversi dall’immagine dell’“antico” a cui si era allora abituati!) e dando origine a quello che è stato giustamente definito “un nuovo canone della classicità”. Ad ogni modo, l’aspetto complessivo della decorazione scultorea è ricostruibile con un buon grado di esattezza, anche grazie a disegni e a calchi che documentano quanto in seguito è andato distrutto o disperso. Permane comunque la difficoltà di immaginare l’effetto esercitato originariamente dall’insieme, reso ancor più abbagliante dalla vivace policromia che caratterizzava l’apparato scultoreo e dalla presenza di particolari riportati in altri materiali (ad esempio in bronzo). Sembra certo che lo spettatore antico fruisse della lettura di metope e fregio in modo settoriale ed incompleto.
Ma il tempio è un agalma, un dono votivo splendido e prezioso: la ricchezza dell’insieme e dei particolari non è concepita in funzione di una fruibilità “analitica” e totale, né lo spettatore antico l’avrebbe preteso. Sulle metope, certo le prime ad essere completate, compaiono i temi che già altre volte erano stati scelti sui monumenti celebrativi della vittoria sui Persiani per rappresentare il trionfo dell’ordine, della moderazione, della virtù e dei valori ellenici sul caos e sulla sfrenatezza dei nemici, cioè di quanti non condividono quei valori e quegli ideali, minacciandoli dall’esterno: la Centauromachia di Teseo e Piritoo sul lato meridionale, l’Amazzonomachia di Teseo (che si svolge proprio ad Atene, assediata dalle mitiche donne guerriere) sul lato ovest, ad est la Gigantomachia, e sul lato settentrionale l’Ilioupersis, la notte della caduta di Troia. Atene celebra se stessa, il proprio valore e il proprio ruolo di primo piano nell’eliminazione del pericolo persiano in queste immagini, ed esalta la propria costituzione politica, il regime democratico, le proprie venerande tradizioni religiose nel fregio ionico che raffigura la solenne processione panatenaica che, con massiccia partecipazione di popolo, ogni quattro anni reca all’antica statua lignea di Atena Polias il peplo tessuto e ricamato dalle ergastinai ateniesi.
Lo splendido fregio è tuttora l’elemento scultoreo del Partenone più studiato e discusso: non è chiaro, infatti, se si tratti della rappresentazione di una processione specifica (forse la prima?), o di una pompé in un certo senso ideale, popolata di personaggi mitici e di figure illustri dell’Atene del passato. È probabile che il rilievo fosse stato volutamente concepito per consentire una lettura e una interpretazione a più livelli da parte degli spettatori. È altresì ragionevole supporre che alcuni elementi, come la nudità ideale che nei partecipanti alla processione annulla le differenze tra cittadini ateniesi ed alleati (che erano obbligati a partecipare, recando tributi) abbia un preciso significato politico, nel senso di una esaltazione propagandistica del carattere isonomico del regime democratico ateniese, in contrapposizione alla tirannide persiana, che si compiace di monumenti che raffigurano l’umiliazione dei popoli sottomessi, come il noto rilievo dell’apadana di Persepoli, databile agli inizi del V secolo a.C. Di certo, c’è la novità del tema scelto per il fregio, la nobiltà e la compostezza vivace delle figure che lo popolano, la maturità stilistica e formale del linguaggio espressivo.
Infine, le sculture frontonali celebrano la figura divina di Atena, narrando due momenti cruciali della sua vicenda mitica: la sua nascita dalla testa del padre Zeus, alla presenza delle divinità dell’Olimpo che assistono partecipi al lieto evento sul frontone orientale, e, su quello occidentale, la contesa tra Atena e Poseidone per il dominio sull’Attica, al cospetto delle divinità e degli eroi locali. Dai frontoni provengono alcune tra le creazioni plastiche più celebri dell’arte classica, come il gruppo di Dione, Hestia ed Afrodite, dai corpi in molle abbandono esaltati dal virtuosistico panneggio “bagnato”, o la splendida testa di cavallo dal lato est, quella in cui Johann Wolfgang Goethe riconosceva la rappresentazione dell’Urpferde, il “cavallo archetipico”. Oggetto di congetture è tuttora l’influenza di Fidia sulla decorazione scultorea dell’intero edificio: le metope, il fregio e i frontoni rivelano una molteplicità di mani, ma ricostruire nel dettaglio l’organizzazione del lavoro all’interno di un simile cantiere è arduo, e molte domande restano ancora senza risposta. Fidia ha concretamente scolpito parte delle opere? O si è piuttosto dedicato all’ideazione del programma iconografico, coordinandone la realizzazione?
La ristrutturazione monumentale dell’acropoli impone altresì la realizzazione di un ingresso altrettanto sontuoso all’area dominata dal Partenone: ai Propilei, che si sovrappongono ad un precedente, ma più modesto, ingresso monumentale all’acropoli, si lavora tra il 437/436 e il 432/431 a.C.; i lavori si interrompono con l’inizio delle ostilità tra Atene e Sparta e non verranno mai più ripresi: il monumento rimarrà sostanzialmente incompiuto.
Famosi nell’antichità per il costo elevatissimo, i Propilei sono costruiti su un terreno ripido, adiacenti ai resti venerandi delle mura micenee: la facciata è quella di un tempio dorico esastilo, con l’intercolumnio centrale più ampio per consentire il passaggio della processione panatenaica; i due avancorpi laterali presentano differenze di pianta, imposte all’architetto Mnesicle dalla necessità di non incidere su importanti preesistenze monumentali, come le mura micenee e il tempietto di Atena Nike, presente sul pyrgos dell’acropoli dal VI secolo a.C. Quest’ultimo subisce una profonda ristrutturazione negli anni tra il 424 e il 418 a.C. (anche se è probabile che il progetto, affidato a Callicrate, sia coevo a quello del Partenone), che lo trasforma in un piccolo, elegante tempio marmoreo anfiprostilo, tra i più significativi esempi dell’architettura ionica, impreziosito da una ricca decorazione scultorea policroma. I Propilei non sono soltanto un ingresso monumentale all’area dell’acropoli: si tratta infatti di una vera e propria galleria d’arte, dotata di una pinacoteca nell’avancorpo settentrionale, e popolata di sculture celebri, che preparano il visitatore allo splendido spettacolo che lo attende sull’acropoli e che, come il Partenone, costituiscono una celebrazione di Atene e delle sue glorie. Alcune sono opere più antiche e già celebri, come l’Afrodite Sosandra di Calamide, un capolavoro dell’arte severa, o la Lèaina di Anficrate, che nell’immagine allegorica di una leonessa senza lingua eterna il ricordo di una prostituta che aveva subito la tortura e la morte per non aver voluto svelare la congiura dei tirannicidi Armodio e Aristogitone (Plinio il Vecchio, Nat. Hist., XXXIV, 72); altre sono opere contemporanee, molte delle quali legate a Fidia e alla sua scuola, come l’Atena Lemnia (che celebra la nascita di una colonia militare ateniese sull’isola di Lemno), conosciuta come “la bella”, l’Hermes Propylaios di Alcamene e il celebre ritratto bronzeo di Pericle, opera di Cresila di Cidonia, del quale sono note repliche in marmo di età romana.
Se il Partenone e i Propilei si sovrappongono a strutture preesistenti, sostituendole, un edificio del tutto nuovo è l’Odeion, una grande sala ipostila, corredata da file di sedili, eretta nell’area a est del teatro di Dioniso, quindi al di fuori dell’acropoli ma coerentemente inserita nel programma pericleo, che ruota intorno al culto di Atena e alle celebrazioni panatenaiche. Infatti, questa sala nasce per accogliere lo svolgimento degli agoni musicali, introdotti proprio da Pericle nel programma delle Panatenee, accanto alle più antiche gare ginniche ed equestri; questo edificio doveva ben rappresentare agli occhi degli Ateniesi l’intero programma edilizio pericleo (e la sua megalomania, almeno per gli avversari politici della fazione aristocratica), se è vero che Cratino, il commediografo più feroce nei confronti dello stratega, lo presentava sulla scena di una sua commedia vestito da Zeus e con un modellino dell’Odeion in testa (Plutarco, Vita di Pericle, 13, 10).
Solo dopo la morte di Pericle le origini mitiche di Atene e le sue antiche tradizioni cultuali vengono riunite in un nuovo tempio sull’acropoli, l’Eretteo, nel quale tradizione ed innovazione si uniscono in una sintesi di grande tensione compositiva: di questo straordinario edificio, dai quattro lati tutti diversi l’uno dall’altro, basti ricordare la Loggetta delle Cariatidi, uno degli angoli più affascinanti e noti di Atene. Grazie a Pericle, la polis assume dunque un fascino che per armonia e perfezione formale non conosce eguali, nel mondo antico come nel mondo moderno; di questo straordinario complesso di opere architettoniche e scultoree, nel II secolo della nostra era Plutarco (Vita di Pericle, 13, 5) potrà dire: “Per bellezza, ciascuna di esse fu subito, già allora, antica; per freschezza, esse appaiono ancora oggi nuove e appena finite. Da questi monumenti emana come una perenne giovinezza che li conserva intatti dal logorio del tempo, quasi abbiano in sé racchiuso uno spirito eternamente fiorente e un’anima che non conosce vecchiezza”.