Il sistema tecnico dei Greci
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Con l’affermarsi dei sistemi filosofici della Ionia, le storie mitologiche lasciano il posto alla riflessione razionale sullo sviluppo delle conoscenze tecniche. Nell’attività di scultori, architetti, costruttori di imbarcazioni e macchine si cerca un filo logico, un principio unificante che possa ricondurre ad un’unica conoscenza quella parte della tecnica che si identifica con la costruzione ragionata di un oggetto. L’impetuosa avanzata dei saperi pratici nella società ellenica è un fenomeno di notevole portata: dal VI secolo a.C. in poi una parte della tecnica diventa oggetto di trattazione scritta a opera di architetti, scultori e strateghi militari che cercano in questo modo di conferire maggior valore alle proprie conoscenze.
Nell’immagine convenzionale, la civiltà greca appare come epoca di straordinaria fioritura delle lettere e delle arti. La fortuna di quest’immagine ha finito col creare una netta separazione tra saperi letterari e pratici, lasciando in ombra il mondo delle tecniche che ha invece costituito uno degli aspetti salienti della cultura ellenica, che a esso ha dedicato un insieme notevolissimo di riflessioni. Tutt’altro che marginale, il fenomeno della tecnica ha molto interessato la civiltà ellenica, che si è posta interrogativi su invenzioni e inventori, sul ruolo degli artefici nella società e ha gradualmente introdotto un lessico specifico per definire strumenti e macchine.
Nella società greca delle origini si sogna l’esistenza di personaggi simili agli dèi: coraggio e forza fisica sono le qualità di Eracle e Achille, eroi per eccellenza della mitologia greca. Con la figura di Ulisse lo scenario cambia, si entra nel mondo degli uomini. Determinante l’episodio, narrato nel V libro dell’Odissea (vv. 255-289), in cui si racconta di come Ulisse costruisca da solo la zattera con cui lascerà Calipso e l’isola dei Feaci. Per portare a compimento questa operazione Ulisse ha a disposizione pochi semplici strumenti, dei quali si serve per abbattere gli alberi, tagliare il legno e unire il tutto in modo razionale; con il repertorio di utensili propri del falegname, un’ascia, un martello, una sega e della colla di pesce, materiali che la tradizione attribuisce all’inventiva di Dedalo, Ulisse compie le operazioni necessarie. Prototipo del tecnico non più divino ma umano, Ulisse è il capostipite di generazioni di artigiani e costruttori il cui crescente peso nelle città greche è documentato sia a livello letterario che archeologico. Con la figura di Ulisse la cultura greca compie un’importante svolta: l’uomo può risolvere le situazioni avverse con intelletto e abilità tecnica, non è necessario ricorrere all’uso della forza o di altri poteri eccezionali ricevuti dagli dèi. È quindi con le storie di Odisseo che la civiltà ellenica riconosce agli uomini, oltre all’eroismo, le nuove qualità dell’astuzia e dell’abilità tecnica.
Tuttavia, come i miti della tecnica avevano già messo in evidenza, Ulisse incarna quell’ambiguità che resterà caratteristica degli artefici. Nel famosissimo coro dell’Antigone Sofocle è autore di un appassionato elogio delle tecniche nel quale mette in risalto la duplice natura dell’uomo, dotato di straordinarie capacità grazie alle quali “con ingegno che supera sempre l’immaginabile, a ogni arte vigile e laborioso, egli si volge ora al male, ora al bene”.
Definito polymechanos, Ulisse incarna un’abilità che si manifesta specialmente nella capacità di usare strumenti, non solo gli attrezzi del falegname impiegati per costruire la zattera, ma anche leve, argani, carrucole, viti e cunei e costruire oggetti anche complessi come le macchine da sollevamento e da traino, armi e apparati bellici. Tutti questi congegni servono a potenziare la forza dell’uomo per superare difficoltà, vincere resistenze e destare meraviglia.
Del resto, la considerevole presenza di tecnici nella società greca trova riscontro nei prodotti dell’artigianato ellenico che, commerciati via mare, sono stati trovati dagli archeologi in località ben distanti dal loro luogo di produzione. Per proteggere il lavoro degli artefici e garantire la continuità delle tradizioni artigianali, Solone aveva promulgato una legge che obbligava gli Ateniesi a insegnare una tecnica ad almeno uno dei figli (Plutarco, Vita di Solone, 22, 1). Per capire come lo scenario in cui si muovono i tecnici sia in trasformazione in tutto il Mediterraneo basta pensare alle opere di artisti, architetti e tecnici che, ricercati per il loro particolare sapere, sono invitati a portare la loro esperienza nei più importanti centri. Esperti in meccanica, ceramisti, pittori e scultori, assai ricercati, attraversano il Mediterraneo e lavorano in base alle offerte ricevute, mentre gli architetti lasciano inciso il proprio nome sui templi che costruiscono.
Favorito anche dall’avvento della tirannide, forma di governo che vede nel potere evocativo di arte, architettura e imprese tecniche il mezzo più efficace per propagandare la figura del sovrano, il tekton dei poemi omerici diviene architekton. A Samo, Corinto, Atene, Siracusa e in altri centri del Mediterraneo l’architekton guida il lavoro degli operai e il cantiere riuscendo a portare a termine opere di straordinaria complessità. Nello spazio di due secoli la nuova architettura in pietra trasforma il paesaggio del Mediterraneo: architetti e meccanici fanno ricorso a conoscenze e procedimenti elaborati al di fuori della scienza ufficiale. Al legno, materiale di antica tradizione impiegato assieme ai mattoni, va progressivamente sostituendosi la pietra, segnando una rivoluzione tecnica che prende le mosse già nel corso del VII secolo a.C. e nel secolo successivo è generalizzata. Colonne monolitiche sul modello di quelle utilizzate nell’architettura egizia prendono il posto di quelle lignee, per poi essere a loro volta sostituite da quelle a tamburo. Utilizzare la pietra al posto del legno implica la necessaria presenza di un’adeguata tecnologia capace di risolvere efficacemente i problemi di trasporto e messa in posa. I blocchi sono trascinati su slitte fino dall’estrazione in cava; sebbene il notevole peso di blocchi e capitelli suggerisca l’impiego di soluzioni “strisciate”, è tuttavia possibile che gli addetti a questa laboriosa operazione abbiano, in certi casi, fatto ricorso alla creazione di un vero e proprio binario nella sede stradale, all’interno del quale scorrono le intelaiature lignee cui sono fissati i blocchi lapidei da muovere. Una volta giunti al cantiere, i blocchi possono essere sollevati per mezzo di gru. La differenza sostanziale tra la soluzione strisciata lungo un piano inclinato e il sollevamento consiste nel fatto che nel primo caso il peso del blocco poggia tutto sui rulli e sul terreno, nel secondo, invece, insiste completamente sulla fune della macchina elevatrice. Purtroppo, tranne rare eccezioni, sappiamo assai poco su questi personaggi. In epoche caratterizzate da continue guerre, dall’incremento dei traffici commerciali e dalla crescita dei centri urbani, essi vanno mettendo a punto un bagaglio di nozioni non solo pratico, ma caratterizzato anche da precisi passaggi teorici basati su numeri, misure e geometria a governare il gioco di incastri che caratterizza ogni tipo di costruzione. Il teatro di questo sapere è la bottega, autentico laboratorio per la pratica della scienza. Il clima di generale fiducia nei confronti delle possibilità della tecnica si spiega anche con la convinzione, conseguente alle decisive vittorie contro i Persiani avvenute al principio del V secolo a.C., di aver raggiunto il massimo livello in ogni settore.
Ben fotografano questo stato di cose i memorabili elogi dell’attività tecnica dell’uomo che si trovano nei versi del Prometeo incatenato di Eschilo e dell’Antigone di Sofocle. Nelle parole di Prometeo l’esaltazione del progresso umano passa attraverso l’architettura, le tecniche di lavorazione ed estrazione dei metalli, la conoscenza del cielo e della natura (vv. 436-471). Mentre Eschilo attribuisce ancora a Prometeo il dono di queste tecniche fondamentali all’umanità, Sofocle afferma che agricoltura, caccia, allevamento, navigazione, scrittura e astronomia appartengono alla progressiva storia dell’umanità (vv. 322-366). Col IV secolo a.C. si moltiplicano i nomi di esperti in meccanica nelle fonti letterarie. Si celebra, in particolar modo, l’eccellenza dei meccanici macedoni che lavorano per Filippo e poi per Alessandro: esperti soprattutto nella costruzione delle gigantesche torri mobili da assedio, sono protagonisti di memorabili assedi. In perfetta sintonia con il paradigma della tecnica del costruire, questi enormi apparati vengono montati e smontati pezzo su pezzo al seguito dell’esercito macedone. Arieti, pali uncinati, trapani per fare breccia nelle mura costituiscono con le torri mobili l’armamentario bellico che precede la rivoluzionaria invenzione di catapulte e balliste, con le quali l’arte della guerra vive una radicale trasformazione. Né deve sorprendere che generazioni di artisti e artigiani siano andate sviluppando, accanto alla statuaria in bronzo di notevole qualità, un’analoga abilità nella fabbricazione di armi da taglio e armature.
Direttamente conseguente a questa crescita dei saperi tecnici nei centri abitati è la rivoluzionaria idea, da parte di scultori, architetti ed esperti in tattiche militari, di scrivere testi nei quali registrare le proprie conoscenze. Ben prima dell’età ellenistica, che vedrà in ambiente alessandrino la produzione di opere tecniche di notevole livello, architetti, scultori, esperti in tattiche militari si trasformano in autori di testi attraverso i quali cercano di sottolineare il valore sociale della propria cultura. Anche se andate perdute, le opere dello scultore Policleto, di Enea Tattico, di architetti come Chersifrone, Roikos e Teodoros stanno a testimoniare che almeno una parte di questa conoscenza sta uscendo dal segreto di botteghe e cantieri per comunicare i propri contenuti. Resta una eco, di questa perduta letteratura tecnica delle origini, nell’elenco di autori che Varrone, Vitruvio e Plinio il Vecchio dichiarano di aver consultato per le loro opere.
Il modo di operare di artigiani e architetti è guardato con interesse anche dai filosofi. Attenti agli sviluppi della tecnica, essi vanno cercando nel mondo degli artigiani i modelli analogici di riferimento per comprendere la natura. Platone definisce Talete “abile nelle tecniche”, presumibilmente in conseguenza dei problemi pratici che il filosofo di Mileto risolve grazie alle conoscenze di matematica derivate dalle antiche civiltà orientali; tra le operazioni portate a termine con successo il calcolo dell’altezza di una piramide e della distanza tra oggetti non raggiungibili, come per esempio lo spazio che intercorre tra un osservatore e una nave in mare oppure posti ai due lati di un corso d’acqua. Tuttavia, la maggiore fama di Talete è legata alla previsione di eclissi e fenomeni meteorologici e, infine, all’aver deviato il corso di un fiume per consentire il passaggio dell’esercito di Creso. Anassimandro, suo allievo, non è solo autore della prima carta geografica della Terra concepita in Grecia, ma secondo la tradizione è anche l’inventore dell’orologio solare. In buona sostanza con Anassimandro Terra e tempo divengono due oggetti misurabili. Nella cosmologia di Anassimandro vi è la concezione del movimento a spiegare la formazione dell’universo ed è l’immagine della ruota a fornire al filosofo il modello di riferimento per visualizzare i moti che hanno luogo nel cosmo.
Per spiegare il fuoco degli astri che sarebbero infissi nella sfera come chiodi in fori aperti nella ruota del cielo, Anassimandro ricorre alla tecnica del mantice del fabbro. Anassimene vede invece nella tecnica vetraria il riferimento attraverso il quale spiegare la materia cristallina della volta celeste che limita il nostro cosmo. Per spiegare la formazione del cosmo Anassimene ricorre a un modello meccanico: la derivazione dall’aria e la reciproca trasformazione degli elementi avvengono in base a processi di rarefazione e condensazione, immagine che certo risente dell’osservazione del ciclo acqua, vapore, acqua. Sempre facendo ricorso all’acqua, Empedocle di Agrigento cerca di spiegare la respirazione come una mutua pressione di sangue e di aria in apposite aperture, i pori, per cui quando il sangue si abbassa può entrare l’aria; quando il livello del sangue torna a crescere, l’aria viene invece cacciata. Il modello esplicativo di riferimento è la cosiddetta “clessidra”, un contenitore con un’apertura in alto e dei piccoli fori sul fondo: se immersa in un recipiente pieno di acqua, l’aria tappata nella parte superiore da una mano che la tura impedisce all’acqua di entrare; se si solleva la mano entra tanta acqua quanta aria si lascia uscire e se si estrae la clessidra dal recipiente e si tiene la parte superiore turata con la mano, l’aria non può entrare e l’acqua contenuta nella parte inferiore non può uscire; solo lasciando entrare a poco a poco l’aria, uscirà una parte corrispondente di acqua dalla parte inferiore.
Questo percorso tocca il suo punto più elevato con Anassagora, per il quale la conoscenza si sviluppa attraverso esperienza, memoria, sapere e tecnica. Il sapere, risultato di esperienze che si accumulano nella memoria, si manifesta nelle applicazioni tecniche, nel lavoro manuale e artigianale. Nell’affermare che l’uomo è il più intelligente tra gli animali grazie al possesso delle mani, Anassagora effettua una straordinaria apertura nei confronti dei saperi pratici. Guidate dal sapere, le mani portano l’uomo a conoscere la natura. A completare questo percorso, Anassagora dichiara che il cielo non è popolato da divinità: il Sole e le stelle sono pietre incandescenti, incendiate dalla rapidità del movimento circolare. È dunque il lavoro di fabbri, vetrai, falegnami e vasai, con i dispositivi di cui si servono nello svolgimento delle loro professioni a contribuire alla conoscenza della realtà mostrando modelli di riferimento per capire la natura in movimento. Sullo sfondo di queste analogie dobbiamo vedere la città, spazio per eccellenza delle tecniche, con la rumorosa e cospicua presenza di artigiani. Se la tradizione che narra le vicende della scuola filosofica istituita a Crotone è credibile, Pitagora sarebbe giunto a scoprire alcune caratteristiche dei numeri interi e delle figure geometriche regolari cercando rapporti e leggi costanti nei fenomeni fisici misurabili frequentando botteghe e officine e osservando lo svolgimento delle attività lavorative. Nello studio dei suoni Pitagora stabilisce le prime leggi dell’acustica tendendo corde musicali di diversa lunghezza alle estremità delle quali applica pesi diversi. Una volta individuata la relazione che governa i rapporti tra le note e la lunghezza delle corde, Pitagora estende all’intero universo l’idea di un’armonia basata sull’aritmetica.
Nonostante la negativa valutazione di Platone, per il quale i tecnici godono di una pessima reputazione sociale in quanto lavoratori salariati e non liberi e portatori di un sapere né universale né intellettuale, è proprio un passo del Gorgia a offrire la migliore sintesi della razionalità della tecnica: “Tutti gli artefici nell’attendere ognuno al proprio lavoro scelgono i materiali da impiegare in esso non a caso, ma in modo che l’opera risponda a un’idea. Guarda per esempio i pittori, gli architetti e i costruttori di navi. Guarda qualsiasi artigiano con che ordine dispone le parti del suo lavoro e come cerca di ottenere che ogni parte si adatti e armonizzi con l’altra fino a che tutto risulta un’opera bella per ordine e proporzione [… ] La virtù di ogni cosa, un oggetto, un corpo, un’anima o qualsiasi altro essere non si acquista a caso, ma mediante un ordine, una regola, un’arte difficile per ogni cosa” (Gorgia, 503). Nel mondo greco i saperi pratici hanno seguito un doppio percorso: da una parte la tecnica che si identifica con la trasformazione della materia, destinata a restare segreta, chiusa dentro officine e botteghe e trasmessa oralmente di generazione in generazione. Non esiste una scienza che possa raccontarne i procedimenti, i passaggi, le conoscenze. Dall’altra parte vi è la tecnica che si identifica con la costruzione, praticata da architetti, meccanici, fabbricanti di mobili e imbarcazioni i quali, mettendo a frutto esperienze secolari tramandate di generazione in generazione, sono andati creando tra l’VIII e il V secolo a.C. un sistema tecnico basato su operazioni guidate dalla precisione dei numeri e delle misure. Certi di avere raggiunto un notevole livello, alcuni di questi tecnici riversano le proprie conoscenze all’interno di un nuovo genere letterario, il trattato di tecnica. Macchine da cantiere e da guerra, apparati per la tecnologia degli alimenti come i torchi e le presse per trasformare uve e olive in vino e olio, telai, dispositivi per il teatro e per caricare e scaricare le merci dalle imbarcazioni nei porti non sono che una parte del repertorio di apparati meccanici precedente l’ellenismo e andato perduto. L’insieme di questi saperi, recepito in ambiente alessandrino, costituirà il punto di partenza da cui i meccanici di età ellenistica trasformeranno la pratica del fare in tecnologia.