Il sindacato della Cassazione sul rifiuto di giurisdizione
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione ritengono sindacabile per eccesso di potere giurisdizionale la pronuncia del Consiglio di Stato che neghi il diritto alla tutela giurisdizionale facendo applicazione di una norma nazionale che implicherebbe l’avvenuta decadenza sostanziale dal diritto, in contrasto con l’interpretazione della medesima norma nazionale recata da successiva pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia ritenuto tale norma nazionale contrastante con l’art., 6 co., 1 della Convenzione. Non ritenendo superabile in via interpretativa il contrasto tra norma nazionale e norma convenzionale, le Sezioni Unite rimettono alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale della norma nazionale che dispone la decadenza dal diritto con riferimento all’art 6, co 1, CEDU che, così come interpretata dalla C. eur. dir. uomo, assume valore di norma interposta tra legge e Costituzione.
2.3 Il rifiuto di giurisdizione 2.4 Il rifiuto di giurisdizione per violazione di diritti fondamentali 3. I profili problematici
Con la pronuncia Cass., S.U., 8.4.2016 n. 6891, le Sezioni Unite hanno rimesso alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità dell’art. 69, co. 7, d.lgs. 30.3.2001, n. 165, ritenuta rilevante (e non manifestamente infondata) ai fini della decisione di una questione di giurisdizione per rifiuto di giurisdizione sollevata nei confronti di sentenza del Consiglio di Stato.
La vicenda origina da due pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo che hanno accertato la violazione del diritto fondamentale al giudice o all’equo processo, ai sensi dell’art 6, co 1, della CEDU, da parte dell’art. 69, co. 7, d.lgs. n. 165/2001. Analoga questione è stata già sollevata dal Consiglio di Stato con riferimento alla esperibilità del rimedio revocatorio per rimuovere le sentenze rese in contrasto con le sopravvenute pronunce della Corte europea. Nel caso oggetto del giudizio innanzi alle Sezioni Unite, essendo ancora pendenti i termini per l’impugnativa, la decisione contrastante con le pronunce della Corte europea è stata invece impugnata ponendo la questione in termini di rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo.
La privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, operata dal d.lgs. 3.2.1993, n. 29 e dal d.lgs. 31.3.1998, n. 80, ha, come noto, comportato la devoluzione al giudice ordinario delle controversie del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni. La normazione transitoria dettata per governare il passaggio dall’uno all’altro giudice non è stata delle più felici, se è vero che l’interpretazione ad essa data dai giudici nazionali ha portato la Corte europea dei diritti dell’uomo a ritenere violati diritti fondamentali quale il diritto al giusto processo.
La normativa transitoria, attualmente, è codificata nell’art. 69, co. 7, d.lgs. n. 165/2001, il quale prevede che «sono attribuite al giudice ordinano, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’art. 63, del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000».
Tale normativa transitoria ha lasciato comunque aperto il problema con riferimento alle controversie inerenti questioni attinenti il periodo del rapporto di lavoro antecedente al 30.6.1998 e sottoposte al giudice dopo il 15.9.2000. Dopo un primo momento in cui l’orientamento giurisprudenziale si è mostrato favorevole a ricomprendere le controversie in questione nella giurisdizione del giudice ordinario, è successivamente prevalso un diverso orientamento, che ha ricollegato alla scadenza del termine la radicale impossibilità di far valere il diritto dinanzi ad un giudice. In tal senso si sono espressi tanto la Corte di cassazione (v. ad es. Cass., S.U., 30.1.2003, n. 1511 e 3.5.2005, n. 9101), quanto il Consiglio di Stato (Cons. St., A.P., 21.2.2007 n. 4); e la stessa Corte costituzionale ha ritenuto la norma conforme tanto all’art. 3, quanto all’art. 24 Cost. Nella pronuncia 7.10.2005 n. 382, la Corte ha infatti affermato che «la disparità di trattamento tra i dipendenti privati e quelli pubblici, soggetti – relativamente ai diritti sorti anteriormente alla data del 30 giugno 1998 – ad un termine di decadenza, è ragionevolmente giustificata dall’esigenza di contenere gli effetti, temuti dal legislatore come pregiudizievoli per il regolare svolgimento dell’attività giurisdizionale, prodotti dal trasferimento della competenza giurisdizionale al giudice ordinario e dal temporaneo mantenimento di tale competenza in capo ai tribunali amministrativi, ed in quanto è ampia la discrezionalità del legislatore nell’operare le scelte più opportune – purché non manifestamente irragionevoli e arbitrarie – per disciplinare la successione di leggi processuali nel tempo»; ed ha parimenti escluso la violazione dell’art. 24, «dal momento che, da un lato, non è certamente ingiustificata la previsione di un termine di decadenza e, dall’altro lato, tale termine (di oltre ventisei mesi) non è certamente tale da rendere oltremodo difficoltosa la tutela giurisdizionale».
La C. eur. dir. uomo, con sentenze del 4.2.2014 (Mottola ed altri c. Italia, ruolo n. 29932/07 e Staibano ed altri c. Italia, ruolo n. 29907/07), ha però ritenuto che la legge italiana, nel fissare la decadenza prevista dal d.lgs. n. 165/2001, art. 69, co. 7, abbia posto un ostacolo procedurale costituente sostanziale negazione del diritto invocato. Prendendo atto che la giurisprudenza, tanto del giudice civile quanto di quello amministrativo, si era evoluta nel senso che la decadenza comminata aveva carattere sostanziale, con il conseguente difetto assoluto di giurisdizione e la definitiva perdita del diritto di coloro che non avessero agito prima del 15.9.2000, la C. eur. dir. uomo ha ritenuto violato l’art. 6, co. 1, della CEDU, per il quale «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile...».
Non essendo immediatamente componibile il contrasto della pronuncia CEDU con il consolidato orientamento dei giudici nazionali1, la questione è stata portata all’attenzione della Corte costituzionale.
Poiché i giudizi che avevano originato le pronunce Mottola e Staibano risultavano ormai già definiti con forza di giudicato, per l’adeguamento alle pronunce CEDU non restava da percorrere altra strada che la riapertura dei giudizi a mezzo del giudizio revocatorio, unico mezzo d’impugnazione straordinaria esperibile per rimediare all’ingiustizia di una sentenza che sia passata in giudicato.
È noto però che il rimedio è tipico e che i motivi di revocazione sono tassativi; e che l’impugnazione consente di riaprire il giudizio di merito, anche se la sentenza è passata in giudicato, solo se ed in quanto l’ingiustizia della sentenza venga dedotta non per un supposto errore di diritto, ma per la scoperta di fatti di per sé tali da produrre un effetto rescindente della sentenza e da condurre ad una diversa formulazione del conseguente giudizio di diritto. I motivi di revocazione straordinaria attribuiscono poi rilevanza ad un fatto sopravvenuto solo se questo è in grado di provare che il giudizio di diritto si è formato con riferimento ad una rappresentazione dei fatti falsata o in presenza del fattore inquinante del dolo di una delle parti del processo (giudice compreso); mentre, nel caso di specie, il fatto nuovo non viene soltanto scoperto, ma viene a maturare esso stesso successivamente al passaggio in giudicato della sentenza (e in ogni caso consiste in un giudizio di diritto, operato da un diverso giudice).
Stante l’impossibilità di ricondurre l’ipotesi di specie (revocazione di sentenza passata in giudicato per contrasto con successiva sentenza della C. eur. dir. uomo che abbia riconosciuto la violazione del diritto al giudice o all’equo processo) nei casi di revocazione ordinaria o di revocazione straordinaria, l’Adunanza Plenaria, investita del ricorso per revocazione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 106 c.p.a. e 395 e 396 c.p.c. in relazione agli artt. 117, co. 1, 111 e 24 Cost. nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, par. 1, della CEDU e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della C. eur. dir. uomo2.
Nel caso deciso da Cass., S.U., 8.4.2016, n. 6891, la sentenza del Consiglio di Stato non era ancora passata in giudicato per la pendenza del termine lungo per proporre l’impugnativa in Cassazione. L’ingiustizia della sentenza, per contrasto con successiva sentenza della C. eur. dir. uomo che aveva riconosciuto la violazione del diritto al giudice, è stata pertanto dedotta come motivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 111 Cost.
Non ritenendo di poter ricomporre in via interpretativa l’antinomia tra la norma interna (l’art. 69, co. 7, d.lgs. n. 165/2001) e la CEDU, anche le Sezioni Unite hanno rimesso la questione alla Corte costituzionale, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata ai fini della decisione della questione di giurisdizione: «Essendo il contrasto tra norma nazionale e norma convenzionale insuperabile in sede interpretativa, in ragione della ormai consolidata interpretazione sopra riferita, è legittimo porsi il dubbio che la norma del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7, si ponga in contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui prevede che la potestà legislativa sia esercitata dallo Stato nel rispetto degli obblighi internazionali, quale l’obbligo assunto con l’adesione alla Convenzione EDU, ratificata e posta in esecuzione con la L. 4 agosto 1955, n. 848.
Di fronte a tale dubbio il giudice – e con lui le Sezioni unite – è tenuto a risolvere il contrasto sollevando apposita questione di legittimità della disposizione di legge, in ragione del noto principio più volte affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui le norme della Convenzione, così come interpretate dalla Corte di Strasburgo, assumono rilevanza nell’ordinamento interno quali norme interposte, assumendo esse un’efficacia intermedia tra legge e Costituzione, idonea a dare corpo agli «obblighi internazionali» costituenti parametro normativo cui l’art. 117, comma 1, ricollega l’obbligo di conformazione».
Al momento si è dunque in attesa che la Corte costituzionale, sempre che non ritenga che vi siano controlimiti all’ingresso della norma sovranazionale come parametro del giudizio di costituzionalità, trovi il modo di comporre il contrasto tra la norma nazionale ed il principio della CEDU, statuendo se sia ammissibile un nuovo caso di revocazione per le sentenze del giudice amministrativo che siano già passate in giudicato e se sia ammissibile impugnare in Cassazione per motivi di giurisdizione, ai sensi dell’art 111 Cost., le sentenze non ancora passate in giudicato.
Motivo di particolare interesse della pronuncia Cass., S.U., 8.4.2016, n. 6891 è che la questione di costituzionalità dell’art. 69, co. 7, d.lgs. n. 165/2001 sia ritenuta rilevante (e non manifestamente infondata) ai fini della decisione di una questione di giurisdizione per rifiuto di giurisdizione, derivante dal contrasto della pronuncia del Consiglio di Stato con una sopravvenuta pronuncia della C. eur. dir. uomo che abbia accertato la violazione del diritto fondamentale al diritto al giudice o all’equo processo ai sensi dell’art. 6, co 1, CEDU. L’importanza della pronuncia ben si coglie se si ricostruisce il quadro attuale delle questioni di giurisdizione che possono essere sollevate innanzi alla Corte di cassazione.
È noto che tradizionalmente il problema delle questioni di giurisdizione si è posto per lo più in termini di conflitto relativo tra giudice ordinario e giudice amministrativo, come conseguenza della creazione di un sistema duale di giurisdizione imperniato sulla distinzione delle situazioni giuridiche soggettive, diritti soggettivi ed interessi legittimi. Il principio della giurisdizione unica (del giudice ordinario) sui diritti soggettivi, introdotto dalla l. 20.3.1865, n. 2248 All. E e costituzionalizzato dall’art. 103 Cost., ha configurato le due giurisdizioni come riflesso delle due distinte situazioni giuridiche soggettive e ciò ha fatto appunto sì che, tradizionalmente, il problema di giurisdizione sia consistito nello stabilire quale dei due giudici dovesse jus dicere in ordine alla situazione giuridica soggettiva protetta. È parimenti nota l’elaborazione di raffinate teorie finalizzate a fornire i criteri per risolvere tali conflitti relativi di giurisdizione ricorrendo alla distinzione tra atti d’impero e di gestione, tra norme d’azione e relazione, tra carenza di potere ed esercizio del potere3, o, più di recente, al criterio dei blocchi di materie4.
Sotto questo profilo, come punto di arrivo dell’elaborazione teorica e giurisprudenziale non si può non richiamare C. cost., 6.7.2004, n. 204, che, nel mantenere ferma a tal fine la rilevanza della distinzione tra le situazioni giuridiche soggettive, ha osservato che «il vigente art. 103 Cost., primo comma, non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare «particolari materie» nelle quali «la tutela nei confronti della pubblica amministrazione» investe «anche» diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale, in positivo, va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie»; ed ha ulteriormente precisato che «Tale necessario collegamento delle «materie» assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso dall’art. 103 Cost. laddove statuisce che quelle materie devono essere «particolari» rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo».
Per quanto mitigato dai principi espressi dalla sentenza n. 204/2004, l’impatto del criterio dei blocchi di materie ha comunque avuto un effetto deflattivo del contenzioso tradizionalmente inteso come conflitto (reale o virtuale) tra giurisdizioni, al quale si è però subito accompagnata la “riscoperta” e la valorizzazione delle distinte figure dell’eccesso di potere giurisdizionale e del rifiuto di giurisdizione5, scarsamente impiegate nel meno recente passato6.
Sotto il profilo dell’eccesso di potere giurisdizionale, nei confronti delle pronunce del Consiglio di Stato la questione di giurisdizione tende a porsi non in termini di conflitto, reale o virtuale, con il giudice ordinario, ma in termini assoluti, con riferimento all’esistenza o inesistenza della situazione protetta7.
In questa prospettiva si collocano innanzi tutto le pronunce delle Sezioni Unite che ritengono sindacabili le decisioni del Consiglio di Stato per aver esercitato la giurisdizione a tutela di interessi semplici, non protetti da norme giuridiche ma soltanto dal merito dell’azione amministrativa. Ne sono un esempio le sentenze che ritengono sindacabile per motivi inerenti alla giurisdizione le decisioni del giudice amministrativo quando queste eccedano i limiti della giurisdizione di legittimità sconfinando nella sfera del merito riservato alla pubblica amministrazione, compiendo una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e della convenienza dell’atto.
Il principio risulta chiaramente affermato dalle S.U. con riferimento all’esercizio del potere di autogoverno della magistratura esercitato dal CSM per disporre le assegnazioni, i trasferimenti e le promozioni dei magistrati. I termini della questione sono efficacemente riassunti da Cass., S.U., 5.10.2015, n. 19787 nei seguenti termini: «… è stato più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302) che in generale le decisioni del giudice amministrativo sono viziate per eccesso di potere giurisdizionale e, quindi, sono sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione, laddove detto giudice, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito, riservato alla P.A., compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto. In tale evenienza il superamento dei limiti esterni della giurisdizione è censurabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 8, e art. 362 c.p.c., comma 1. Invece non sono ricorribili per cassazione le sentenze del Consiglio di Stato per motivi afferenti al superamento dei limiti interni della giurisdizione e cioè alle modalità mediante le quali viene garantita la tutela giurisdizionale. Quindi, allorchè l’indagine svolta non sia rimasta nei limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, ma sia stata strumentale a una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima una volontà dell’organo giudicante che si sostituisce a quella dell’amministrazione, procedendo ad un sindacato di merito, sono superati i limiti esterni della giurisdizione (Cass., sez. un., 19 maggio 2015, n. 10182). In particolare – ha affermato Cass., sez. un., 8 marzo 2012, n. 3622 – per esercitare la propria giurisdizione di legittimità, e quindi valutare gli eventuali sintomi dell’eccesso di potere dai quali un atto amministrativo impugnato potrebbe essere affetto, il giudice amministrativo non può esimersi dal prendere in considerazione la congruità e la logicità del modo in cui la medesima amministrazione ha motivato l’adozione di quell’atto. In tal caso l’individuazione dell’eccesso di potere giurisdizionale corre lungo la linea di discrimine tra l’operazione intellettuale consistente nel vagliare l’intrinseca tenuta logica della motivazione dell’atto amministrativo impugnato e quella che si sostanzia invece nello scegliere tra diverse possibili opzioni valutative, più o meno opinabili, inerenti al merito dell’attività amministrativa di cui si discute: altro è l’illogicità di una valutazione, altro è la non condivisione di essa».Sempre le pronunce del Consiglio di Stato aventi ad oggetto le decisioni del CSM hanno dato modo di qualificare l’eccesso di potere giurisdizionale con riferimento anche al superamento dei limiti esterni alla giurisdizione di merito del giudizio di ottemperanza. Al riguardo le Sezioni Unite hanno precisato che «Mentre nel caso della giurisdizione di legittimità il giudice amministrativo travalica i limiti esterni della giurisdizione quando, apparentemente esercitando l’ordinaria giurisdizione di legittimità, nella sostanza entra nel merito dell’atto amministrativo impugnato ed esercita una discrezionalità che appartiene all’Amministrazione (Cass., sez. un., 17 febbraio 2012, n. 2312); nel caso in cui la giurisdizione è prevista come di merito (art. 112 c.p.a., comma 3) per violazione del giudicato, nonché per elusione del giudicato … si ha eccesso di potere giurisdizionale quando il giudice amministrativo ritiene che ci siano i presupposti dell’ottemperanza anche in casi in cui tali presupposti in realtà non ricorrano (nel senso che non sussistono né violazione né, soprattutto, elusione del giudicato)»; ed hanno ulteriormente precisato che «Nell’ambito del giudizio di ottemperanza nella cui sede l’art. 114 c.p.a. prevede che il giudice amministrativo possa ordinare l’ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione – una particolare ipotesi di travalicamento dei limiti esterni della giurisdizione si ha allorché il giudice amministrativo conformi l’agire della pubblica amministrazione in un contenuto «impossibile» essendo la vicenda ormai «chiusa» con il definitivo accertamento dell’illegittimità del provvedimento annullato in sede di cognizione e non sussistendo più le condizioni perché la pubblica amministrazione possa provvedere ancora sicché la tutela dell’interesse legittimo violato, non più realizzabile nella forma (specifica) dell’ottemperanza, è indirizzata verso quella compensativa e risarcitoria» (Cass., S.U., 9.11.2011, n. 23302; Cass., S.U., 19.1.2012, n. 736).
Sempre con riferimento all’esercizio della giurisdizione di merito tipica del giudizio di ottemperanza, il superamento dei limiti esterni della giurisdizione è stato più di recente ravvisato dalle Sezioni Unite anche con riferimento al riesercizio del potere amministrativo relativo al piano di numerazione automatica dei canali televisivi del digitale terrestre. Il Consiglio di Stato aveva ritenuto ammissibile il giudizio di ottemperanza proposto avverso l’adozione del nuovo piano, resa necessaria in esecuzione della pronuncia di annullamento del piano originariamente adottato dall’Amministrazione, ritenendo irrilevanti le sopravvenienze di fatto rispetto al momento della pronuncia di legittimità. Le Sezioni Unite hanno cassato la sentenza ritenendo violati i limiti esterni della giurisdizione amministrativa «per totale carenza dei presupposti necessari a fondare l’emanazione, da parte del G.A., di un legittimo provvedimento di ottemperanza», ritenendo che l’Amministrazione «non potesse non tener conto di tale, radicale mutamento del contesto, tecnico e di mercato, venutosi a creare per effetto del passaggio del sistema televisivo dall’analogico al digitale» e assumendo che «La assoluta impredicabilità di tale possibilità si poneva, pertanto, ex sè e in radice, in termini del tutto ostativi alla vittoriosa instaurazione di un giudizio di ottemperanza, il cui esito non avrebbe potuto in alcun modo spingersi al compimento di un’attività che neppure una condotta spontanea dell’Amministrazione sarebbe stata in condizione di realizzare» (Cass., S.U., 1.12.2015, n. 1836). Coerentemente S.U., 23.7.2016, n.15476 hanno escluso che investa i limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo la valutazione in sede di giudizio di ottemperanza dello ius superveniens.
Tra le più recenti e significative decisioni in tema di eccesso di potere giurisdizionale merita di essere ricordata Cass., S.U., 20.1.2014, n. 1013, resa con riferimento ad un’ipotesi di sindacato operato dal giudice amministrativo su rifiuto di aggiudicazione giustificato dalla valutazione di inaffidabilità dell’impresa, riservata alla stazione appaltante e da questa discrezionalmente operata. La decisione del giudice amministrativo, fondata su una consulenza tecnica d’ufficio che riteneva non irragionevole, ma in realtà soltanto opinabile la valutazione d’inaffidabilità dell’impresa operata dalla stazione appaltante, viene cassata osservando che «l’adozione di criteri di non condivisione, nella parte in cui comporta una sostituzione del momento valutativo riservato all’appaltante, determina non già un mero errore di giudizio (insindacabile in questa sede) ma uno sconfinamento nell’area ex lege riservata all’appaltante stesso e quindi vizia per ciò solo la decisione, tale sconfinamento essendo ravvisabile secondo la più qualificata dottrina e la giurisprudenza delle Sezioni Unite, anche assai lontana nel tempo, anche quando il giudice formuli direttamente e con efficacia immediata e vincolante gli apprezzamenti e gli accertamenti demandati all’Amministrazione».
Rifiuto di giurisdizione è la formula adoperata per indicare la negazione in astratto della possibilità di tutelare un interesse che l’ordinamento vuole invece protetto.
L’orientamento si delinea significativamente in seno alle Sezioni Unite della Corte di cassazione soprattutto successivamente all’affermazione del principio della risarcibilità degli interessi legittimi ed all’affermazione della giurisdizione amministrativa su tali controversie8.
Il principio di diritto ritenuto al riguardo applicabile, esplicitamente enunciato da Cass., S.U., 23.12.2008, n. 30254 nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363 c.p.c., è il seguente: «Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento».
L’enunciazione del principio nell’interesse della legge, da parte di Cass., S.U., n. 30254/2008, è esplicitamente finalizzata a confermare l’orientamento già espresso nelle ord., 13.6.2006, n. 13659 e n. 13660 e 15.6.2006, n. 13911 con le quali le Sezioni Unite avevano affermato che «Tutela risarcitoria autonoma significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l’illegittimità di tale agire. Questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento né il diritto al risarcimento può essere per sé disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità. Dunque il rifiuto della tutela risarcitoria autonoma, motivato sotto gli aspetti indicati, si rivelerà sindacabile attraverso il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione».
La motivazione della sentenza n. 30254/2008, così come la massima ufficiale della pronuncia medesima, tendono a sottolineare come secondo le Sezioni Unite, a seguito dell’ampliarsi delle ipotesi di giurisdizione esclusiva, per un verso, e del crescente primato del diritto comunitario, dall’altro, il concetto di giurisdizione debba essere interpretato in modo evolutivo al fine di assicurare il rispetto dei canoni fondamentali dell’effettività della tutela giurisdizionale e del giusto processo9. Rimane in ogni caso fermo, secondo la Cassazione, che l’evoluzione del concetto di giurisdizione nel senso di strumento per la tutela effettiva delle parti giustifica il ricorso avverso la sentenza del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 111 Cost., u.c., se ed in quanto il diniego di giurisdizione si configuri come aprioristico, e non se la tutela si assuma negata in conseguenza di errori di giudizio che si prospettino commessi in relazione allo specifico caso sottoposto all’esame del giudice, con riferimento cioè ad un vizio del giudizio concernente il singolo e specifico caso; fatto che dimostrerebbe che, per quanto non conforme alle aspettative ed alle attese della parte, esercizio della giurisdizione c’è in realtà stato.
Tra le più significative pronunce, successivamente si possono ricordare Cass., S.U., 6.3.2009, n. 5464, che ritiene integri rifiuto di giurisdizione la sentenza del giudice amministrativo che abbia «negato che possa essere ammesso alla tutela risarcitoria il titolare di interesse legittimo che assume di essere stato danneggiato dall’esercizio non conforme a legge del potere amministrativo mediante atti divenuti inoppugnabili per non essere stato proposto nel termine di decadenza il ricorso per l’annullamento» e Cass., S.U., 20.1.2014, n. 1013, che ritiene censurabile come rifiuto di giurisdizione la limitazione che si sia autoimposta il giudice amministrativo nel verificare i fatti posti alla base degli accertamenti operati dall’amministrazione (fattispecie relativa alla ricostruzione degli estremi merceologici e geografici del mercato rilevante ai fini dell’accertamento degli effetti anticoncorrenziali di una intesa).
L’interpretazione esplicitamente qualificata come evolutiva dalla stessa Corte di cassazione e finalizzata a correlare il limite esterno della giurisdizione amministrativa anche alla effettività della tutela giurisdizionale ha di recente consentito di qualificare come ipotesi di rifiuto di giurisdizione casi in cui viene negata da parte del giudice amministrativo la fruizione della tutela di fonte eurounitaria, filone nel quale viene ad iscriversi anche Cass. n. 6891/2016.
Cass., S.U., 4.2.2014, n. 2403, richiamata come precedente anche da Cass. n. 6891/2016, in realtà dichiara inammissibile il ricorso volto a censurare come rifiuto di giurisdizione il mancato accoglimento, da parte del Consiglio di Stato, di una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia del Lussemburgo, in quanto tale determinazione è ritenuta espressione della potestas iudicandi devoluta al giudice amministrativo e non esorbitante perciò i limiti interni della sua giurisdizione. Nondimeno precisa che nel caso di specie «La doglianza non attiene alla corretta individuazione dei limiti esterni della giurisdizione – che, come detto, non sono soltanto quelli che separano i diversi plessi giurisdizionali ma anche quelli che stabiliscono fin dove ciascun giudice è tenuto ad esercitare il potere-dovere di ius dicere – ma investe un vizio del giudizio concernente il singolo e specifico caso» e che «l’error in iudicando non si trasforma in eccesso di potere giurisdizionale solo perché viene in gioco, nell’interpretazione della norma sostanziale attributiva di diritti, il diritto dell’Unione. Non ogni pretesa deviazione dal corretto esercizio della giurisdizione, sotto il profilo interpretativo ed applicativo del diritto sostanziale, si risolve in un difetto di giurisdizione sindacabile ad opera della Corte di cassazione, a meno che non ci si trovi di fronte ad un indebito rifiuto di erogare la dovuta tutela giurisdizionale a cagione di una male intesa autolimitazione, in via generale, dei poteri del giudice speciale. In questa prospettiva, il ricorso con il quale venga denunciato un rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo rientra fra i motivi inerenti alla giurisdizione soltanto se il rifiuto sia stato determinato dall’affermata estraneità della domanda alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice, oppure nei casi, estremi, nel quali l’errore si sia tradotto in una decisione anomala o abnorme, frutto di radicale stravolgimento delle norme di riferimento, non quando si prospettino come omissioni dell’esercizio del potere giurisdizionale meri errori in iudicando o in procedendo. L’evoluzione del concetto di giurisdizione nel senso di strumento per la tutela effettiva delle parti non giustifica il ricorso avverso la sentenza del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 111 Cost., u.c., quando non si verta in ipotesi di aprioristico diniego di giustizia, ma la tutela negata si assuma negata dal giudice speciale in conseguenza di errori, di giudizio o processuali, che si prospettino dal medesimo commessi in relazione allo specifico caso sottoposto al suo esame».
Anche se non esplicitamente richiamata da Cass. n. 6891/2016, Cass., S.U., 6.2.2015, n. 2242 viene resa in un caso del tutto analogo e rappresenta un precedente specifico. In tale sentenza le Sezioni Unite enunciano infatti chiaramente il seguente principio :«In tema di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato, il controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione (che l’art. 111 Cost., u.c. affida alla Corte di cassazione) non include anche una funzione di verifica finale della conformità di quelle decisioni al diritto dell’Unione europea, neppure sotto il profilo dell’osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Tuttavia, è affetta da vizio di difetto di giurisdizione e per questo motivo va cassata la sentenza del Consiglio di Stato che, in sede di decisione su ricorso per cassazione, è riscontrata essere fondata su interpretazione delle norme incidente nel senso di negare alla parte l’accesso alla tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo; accesso affermato con l’interpretazione della pertinente disposizione comunitaria elaborata dalla Corte di giustizia».
Si tratta di una pronuncia con la quale le Sezioni Unite tornano a considerare la possibilità di ricondurre nell’ipotesi del rifiuto di giurisdizione la questione del mancato esame del ricorso principale per effetto di un ricorso incidentale escludente, già esaminata ed esclusa da Cass., S.U., 21.6.2012, n. 10294. La questione era stata infatti già esaminata con riferimento alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria 7.4.2011, n. 4, che aveva affermato il principio secondo cui il ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara, deve essere sempre esaminato prioritariamente, anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi l’interesse strumentale alla rinnovazione dell’intera procedura. Nel 2012 le S.U. si erano però limitate a criticare la posizione assunta dall’Adunanza Plenaria, escludendo che fosse configurabile una ipotesi di rifiuto di giurisdizione. Il fatto che, per effetto del principio affermato dall’Adunanza Plenaria n. 4/2011, al cospetto di due imprese che sollevavano a vicenda la medesima questione, una dovesse essere sanzionata con l’inammissibilità del ricorso e l’altra favorita con il mantenimento di un’aggiudicazione (in tesi) illegittima, secondo le S.U. denotava una crisi del sistema che dovrebbe assicurare a tutti la possibilità di provocare l’intervento del giudice per ripristinare la legalità e dare alla vicenda un assetto conforme a quello voluto dalla normativa di riferimento, dovendo escludersi che l’aggiudicazione possa dare vita ad una posizione preferenziale se non acquisita in modo legittimo. Le S.U., nell’occasione, avevano tuttavia escluso che il principio adottato dall’Adunanza plenaria configurasse un aprioristico diniego di giustizia che potesse giustificarne la cassazione per eccesso di potere giurisdizionale.
Investita nuovamente della questione nel 2015, in occasione dell’impugnativa di una sentenza delle sezioni semplici resa in conformità ai principi dettati dall’Adunanza Plenaria, la Cassazione ha dovuto prendere atto del sopravvenuto cambiamento del quadro giurisprudenziale di riferimento conseguente soprattutto alla sentenza della Corte di giustizia del 4.7.2013, in causa C100/12 (Fastweb-Telecom)10. Pur ribadendo il principio già più volte affermato dalle S.U. nel senso che la violazione del diritto dell’Unione da parte del giudice amministrativo non possa di per sé valere ad integrare un superamento delle attribuzioni del giudice amministrativo, nell’occasione S.U. n. 2242/2015 precisano che «Siffatto solido assetto giurisprudenziale deve senz’altro essere confermato, con l’opportuno adeguamento, però, al caso del tutto particolare che oggi si prospetta, in cui, prima che la sentenza passasse in giudicato (perché impugnata per motivi inerenti alla giurisdizione innanzi alle SU della Corte di cassazione) è sopravvenuta l’interpretazione della Corte di giustizia, sollecitata, in un caso analogo, da altro giudice. Interpretazione che – nel censurare l’orientamento (quello dell’Adunanza plenaria n. 4 del 2011) sul quale la sentenza oggi impugnata per cassazione ha fondato la propria decisione e che è stato, a sua volta, superato (proprio per adeguarsi all’enunciato della Corte di giustizia) dalla successiva pronunzia dell’Adunanza plenaria n. 9 del 2014 – decide (questo è il punto saliente) proprio sugli ambiti giurisdizionali del giudice amministrativo nelle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, allorquando interpreta la direttiva europea in maniera incompatibile con i limiti all’esercizio della giurisdizione che il GA aveva in precedenza fissato».
Inscrivendosi in questo indirizzo, S.U. n. 6891/2016, dopo aver ricordato che in ragione dell’evoluzione del concetto di giurisdizione, la nozione di «limite esterno» deve intendersi in senso dinamico, nel senso dell’effettività della tutela giurisdizionale e che in tale prospettiva il diritto alla tutela è costituito dalla possibilità solo di accedere non in senso formale alla giurisdizione mediante il diritto all’azione, ma anche dalla possibilità di ottenere una concreta tutela giudiziale, esercitata secondo i canoni del giusto processo, e che in quest’ambito, il giudizio sulla giurisdizione rimesso alle Sezioni unite non è più riconducibile ad una verifica di pura qualificazione della situazione soggettiva dedotta, alla stregua del diritto oggettivo, né è rivolto al semplice accertamento del potere di conoscere date controversie attribuito ai diversi ordini di giudici di cui l’ordinamento è dotato, ma costituisce uno strumento per affermare il diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi; e dopo aver ancora ricordato che, per quanto la tutela giurisdizionale che i ricorrenti assumono negata trova fondamento non nel diritto dell’unione, ma nella CEDU, la situazione giuridica creatasi, tuttavia, è analoga, «in quanto anche in questo caso il giudice dell’impugnazione si trova nella condizione di evitare che il provvedimento giudiziario impugnato, una volta divenuto definitivo esplichi i suoi effetti in maniera contrastante con una norma sovranazionale cui lo Stato italiano è tenuto a dare applicazione», le S.U. hanno concluso che «Ad avviso del Collegio la situazione in questione rientra in uno di quei «casi estremi» in cui il giudice adotta una decisione anomala o abnorme, omettendo l’esercizio del potere giurisdizionale per errores in indicando o in procedendo che danno luogo al superamento del limite esterno (v. S.u. 4.02.14 n. 2403 e la giurisprudenza ivi citata). La conclusione è che l’impugnazione, per come oggi proposta, è in linea generale idonea a promuovere l’intervento rescindente delle Sezioni unite, così rendendo rilevante la questione di costituzionalità di seguito indicata».
Attesi i limiti della presente voce, non possono essere sviluppati ed approfonditi i profili problematici connessi all’enucleazione di quella che si profila ormai come una specie tipica di rifiuto di giurisdizione nell’ambito dei motivi di giurisdizione denunciabili ai sensi dell’art. 111 Cost. nei confronti delle sentenze del Consiglio di Stato.
Ci si limita pertanto a prendere atto del fatto che, a fronte della teorizzazione di una interpretazione evolutiva del concetto di giurisdizione da parte della Cassazione, c’è chi mostra preoccupazione per il fatto che in tal modo la Corte di cassazione tenderebbe ad esercitare un più generale controllo sul corretto esercizio del potere giurisdizionale da parte dei giudici di diverso ordine; e chi, in tempi che potremmo definire non sospetti, sul piano dommatico ha teorizzato, come una tipizzazione classica, la tripartizione della questione di giurisdizione nelle ipotesi della invasione della sfera dell’altrui giurisdizione, dell’eccesso di potere giurisdizionale e del rifiuto di esercizio della potestà giurisdizionale.
Così come può ritenersi per certi versi inevitabile che il sindacato sulla giurisdizione sia destinato a rivitalizzarsi in maniera crescente sulle “nuove” frontiere del rifiuto di giurisdizione se si considera che lo spostamento della giurisdizione dall’uno all’altro giudice deve lasciare necessariamente impregiudicata la pienezza e l’effettività della tutela della situazione soggettiva e che al mutamento del giudice non può corrispondere un’alterazione o diminuzione della tutela sul piano sostanziale.
Note
1 Sul problema in generale, per tutti, v. Ramajoli, M., Il giudice nazionale e la CEDU: disapplicazione diffusa o dichiarazione d’illegittimità costituzionale della norma interna contrastante con la convenzione?, in Dir. proc. amm., 2012, 825 ss., ed ivi ulteriori riferimenti a dottrina e giurisprudenza.
2 Amplius v. Francario, F., Revocazione per contrasto con pronuncia di Corte di giustizia, in Il libro dell’anno del Diritto 2016, Roma, 2016.
3 Per la ricostruzione del quadro tradizionale per tutti v. Bracci, M., Le questioni e i conflitti di giurisdizione e di attribuzione nel nuovo cod. proc. civ., in Riv. dir. proc. civ., 1941, 165 ss; Cannada Bartoli, E., Giurisdizione (conflitti di), in Enc dir., XIX, Milano, 1970, 295 ss; Nigro, M., Giustizia amministrativa, II ed., Bologna, 1979, 151 ss; Cassarino, S., Il processo amministrativo nella legislazione e nella giurisprudenza, Milano, 1984, I, 121 ss.
4 Per tutti v Mazzamuto, M., Il riparto di giurisdizione, Napoli, 2008.
5 La tipizzazione è chiaramente esposta in Nigro, M., Giustizia amministrativa, cit., 197: «a) rifiuto di esercizio della potestà giurisdizionale sull’erroneo presupposto che la materia non possa essere oggetto, in modo assoluto, di funzione giurisdizionale o che non possa essere oggetto della funzione giurisdizionale propria dell’organo investito della domanda; b) invasione della sfera dell’altrui giurisdizione, cioè di quella attribuita ad altro giudice (giudice ordinario o giudice speciale); c) cd. eccesso di potere giurisdizionale … sconfinamento dell’attività giurisdizionale ordinaria o speciale nel campo dei poteri spettanti ad organi amministrativo o legislativi o costituzionali …».
6 Si è già osservato al riguardo che «se diminuiscono le occasioni in cui i due giudici disputano su chi, tra loro, abbia il potere di conoscere della controversia, aumentano i casi in cui la Corte ritiene di potere intervenire controllando se ci sia tutela giurisdizionale e se lo standard di tutela accordato sia adeguato o persino esorbitante». Così Verde, G., La corte di cassazione e i conflitti di giurisdizione (appunti per un dibattito), in Dir. proc. amm., 2013, 381 il quale è altresì dell’avviso che «mentre il conflitto tra giudici tende ad assumere rilevanza secondaria, emerge a tutto tondo l’esigenza (di politica giudiziaria) di ammettere un controllo da parte della Corte di Cassazione sul corretto esercizio del potere giurisdizionale da parte dei giudici di diverso ordine».
7 Da accertare ovviamente, ai sensi dell’art. 386 c.p.c., in via generale ed astratta, senza pregiudicare in concreto “le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda”.
8 Attesi i limiti della presente voce non è possibile ricostruire l’articolato e sterminato dibattito che sul piano dottrinario accompagna tale evoluzione. Per una efficace sintesi si veda, per tutti, Villata, R., Corte di cassazione, Consiglio di stato e cd pregiudiziale amministrativa, in Dir. proc. amm., 2009, 897 ss.
9 La massima ufficiale di Cass., S.U., 23.12.2008, n. 30254 è la seguente: a) «Ai fini dell’individuazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, che tradizionalmente delimitano il sindacato consentito alle S.U. sulle decisioni del Consiglio di Stato che quei limiti travalichino, si deve tenere conto dell‘evoluzione del concetto di giurisdizione – dovuta a molteplici fattori: il ruolo centrale della giurisdizione nel rendere effettivo il primato del diritto comunitario; il canone dell’effettività della tutela giurisdizionale; il principio di unità funzionale della giurisdizione nella interpretazione del sistema ad opera della giurisprudenza e della dottrina, tenuto conto dell’ampliarsi delle fattispecie di giurisdizione esclusiva; il rilievo costituzionale del principio del giusto processo, ecc. – e della conseguente mutazione del giudizio sulla giurisdizione rimesso alle S.U., non più riconducibile ad un giudizio di pura qualificazione della situazione soggettiva dedotta, alla stregua del diritto oggettivo, nè rivolto al semplice accertamento del potere di conoscere date controversie attribuito ai diversi ordini di giudici di cui l’ordinamento è dotato, ma nel senso di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi, che comprende, dunque, le diverse tutele che l’ordinamento assegna a quei giudici per assicurare l’effettività dell’ordinamento. Infatti è norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che da contenuto a quel potere stabilendo le forme di tutela attraverso le quali esso si estrinseca.
Pertanto, rientra nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l’operazione che consiste nell’interpretare la norma attributiva di tutela, onde verificare se il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, la eroghi concretamente e nel vincolarlo ad esercitare la giurisdizione rispettandone il contenuto essenziale, così esercitando il sindacato per violazione di legge che la S.C. può compiere anche sulle sentenze del giudice amministrativo». b) «Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento. L’attribuzione al giudice amministrativo della tutela risarcitoria, in caso di esercizio illegittimo della funzione pubblica, presuppone che quella tutela sia esercitata con la medesima ampiezza, sia per equivalente sia in forma specifica, che davanti al giudice ordinario e, per altro verso, che spetta, in linea di principio, al titolare dell’interesse sostanziale leso, nel caso in cui alla tutela risarcitoria si aggiunga altra forma di tutela (ad es., quella demolitoria), scegliere a quale far ricorso al fine di ottenere ristoro al pregiudizio subito».
10 Secondo la C. giust. l’art. 1, par. 3, della direttiva 89/665/CEE e s.m.i. (cd. direttiva ricorsi), deve essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto e proposto ricorso incidentale solleva un’eccezione di inammissibilità fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell’offerente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che l’offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall’autorità aggiudicatrice per non conformità alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell’esame preliminare di tale eccezione di inammissibilità senza pronunciarsi sulla conformità con le suddette specifiche tecniche sia dell’offerta dell’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto, sia di quella dell’offerente che ha proposto il ricorso principale. La C. giust ha, quindi, ritenuto che in tale ipotesi debbano essere esaminati entrambi i ricorsi simmetricamente «escludenti» (pervenendo, così, al risultato opposto rispetto a quello cui era giunta l’Adunanza plenaria n. 4 del 2011), e che il ricorso principale debba essere considerato ammissibile, a prescindere dall’esito del ricorso incidentale, siccome ciascuno dei concorrenti potrebbe far valere un analogo interesse legittimo all’esclusione dell’offerta degli altri. Principio recentemente confermato da C. giust., 5.4.2016, C689/13, Puligienica.