Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il concetto di arte “minore” nel Medioevo non sussiste; le forme di produzione alternative alla pittura, alla scultura e all’architettura godono anzi di una particolare dignità, legata anche al frequente impiego di materiali preziosi. E sono spesso questi oggetti a divulgare in aree lontane gli stili delle loro zone di provenienza.
Nel XIII e XIV secolo, come in generale nel Medioevo, non esistono “arti minori”. La produzione estranea alla tripartizione canonica pittura-scultura-architettura ha anzi un ruolo fondamentale. In certi casi, come la vetrata istoriata, gli avori o l’oreficeria in Francia, funge da arte-guida, talora in anticipo sulle altre nell’evoluzione degli stili e nello sviluppo di scelte formali. La concezione di questo tipo di manufatto come appartenente a un rango inferiore è frutto di un pregiudizio che ha inizio nel Rinascimento, all’interno del processo di ascesa culturale delle tre arti maggiori, che da semplici arti meccaniche mirano a entrare tra le fila delle arti liberali.
Un giudizio esplicito sul ruolo inferiore delle arti minori si ha solo nel XVI secolo, in particolare negli ultimi decenni.
La divisione tra “tecnici” e “intellettuali”, il dibattito sulla gerarchia delle arti su basi filosofiche neoplatoniche, e la nascita delle Accademie con i loro insegnamenti istituzionali, collocano in modo definitivo le produzioni alternative su un gradino più basso. Il ruolo delle arti minori si sostanzia allora nella definizione di “artigianato”, o al massimo di “artigianato artistico”, che dura per secoli declinandosi in molte varianti. Questi prodotti sono denominati ora “tecnici” o “industriali”, ora “non liberi” o “decorativi” per buona parte della storia moderna; ciò vale anche nel periodo in cui si inizia a studiarli e a valorizzarli nei musei, a partire dal primo Ottocento e più intensamente nel periodo tra XIX e XX secolo, spesso col fine didattico di istruire le giovani generazioni di artigiani nel solco di una tradizione autorevole, in un contesto che comprende realtà neomedievali come l’Arts and Crafts inglese o l’italiana Aemilia ars.
Nel mondo contemporaneo le “arti minori” medievali hanno poi fatto supplenza alle maggiori nei casi di scarsa documentazione di queste ultime. La miniatura carolingia prende il posto, nei manuali di storia dell’arte, della corrispondente pittura, per noi quasi priva di attestazioni. L’oreficeria longobarda rivela un intero popolo. In questo senso la produzione del Due e Trecento risulta un po’ schiacciata a fronte degli esempi pittorici e scultorei. È proprio con la nascita della moderna “arte industriale”, cioè con il concetto di design, che matura in modo definitivo l’emancipazione di queste forme artistiche, non più minori, ma forse ancora in attesa di una migliore definizione.
La considerazione delle “arti minori” e dei loro artefici, nel Medioevo, è dunque tanto alta quanto quella delle “arti maggiori”. Non è un caso che tra i nomi di artisti di chiara fama che possediamo siano numerosi gli orafi, fino a risalire al presunto prototipo sacro di sant’Eligio, patrono della categoria con un ruolo quasi parallelo a quello di san Luca in pittura.
La produzione orafa, quella miniatoria, quella dei preziosi tessili e tante altre, hanno un’importanza culturale altissima, in quanto sovente legate alla committenza più aulica, che le impiega per divulgare contenuti teologici, politici e filosofici. La materia spesso costosa delle arti “minori” non è infatti neutra, ma in sé stessa induce alla contemplazione: in ambito laico, per esempio, ciò avviene con l’impiego, ancora nel XIII e XIV secolo, di specifiche insignia imperiali o reali a caratterizzare uno status simboleggiato anche da determinati colori (dalla porpora tardoantica, bizantina, carolingia e ottoniana, fino al blu col fleur de lys d’oro dei sovrani francesi). Un oggetto è prezioso in sé se è costituito da un materiale ricco, ma l’ingegno con cui l’artista lo lavora – la sua abilità – lo rendono ancora più prezioso: “ materiam “materiam superabat opus ””, cioè ““l’abilità superava la materia””, in una percezione unitaria delle due realtà che spiega bene l’apprezzamento altissimo per le arti minori e la tendenza, in certi casi, alla loro accumulazione. In più, la possibilità di un utilizzo concreto costituisce un valore aggiunto: per molto tempo il concetto di utilitas non è negativo, e una funzione pratica non macchia la purezza del “bello”, ma contribuisce a un suo rispetto maggiore.
Il valore suntuario e quello funzionale contribuiscono spesso anche alla lunga durata. L’oggetto prezioso viene reimpiegato, per esempio, nei rilievi in avorio delle legature dei codici miniati carolingi od ottoniani, o rilavorato, come nel caso di molte oreficerie. Quello utile lo si continua a usare, come nel caso dei codici miniati, detentori di un messaggio testuale religioso e non. L’idea che la pittura o la scultura siano su un piano più alto perché più intellettuali e meno “meccaniche”, a differenza di un cofanetto in avorio o di una croce in oro e smalti nati per un uso concreto (appunto l’arte “applicata”), è ancora al di là da affermarsi. La tendenza della scultura minore, o della miniatura, ad andare al traino delle sorelle maggiori inizia però a palesarsi già verso l’inizio del XIV secolo.
Data la loro connotazione, le arti minori, come continuiamo qui a chiamarle per convenzione, spesso si legano a contesti produttivi ben definiti e circoscritti, in cui ci si specializza nella lavorazione secondo certe modalità di determinati materiali.
Essere gli unici depositari, o quasi, di queste soluzioni tecniche (e di conseguenza, spesso, stilistiche), quasi una sorta di segreto professionale, caratterizza per esempio il ruolo di Limoges nell’oreficeria, che impiega lo smalto champlevé, o quello dell’Inghilterra meridionale nel ricamo (che viene difatti definito tout court “ opus anglicanum ”), o ancora quello della Francia del Nord per alcune forme di vetrata istoriata. In modo analogo, ma per motivi differenti, detenere nell’ambito del libro miniato prototipi testuali originali e innovativi, quali i testi giuridici legati all’attività dello Studio bolognese, crea una riconosciuta predominanza, che sfocia in un ruolo produttivo e commerciale privilegiato.
Questa situazione determina due fatti di grande rilevanza. Da una parte, si assiste, a differenza che nelle arti maggiori, a forme di produzione proto-industriale prive di una vera committenza: l’oggetto di cui si conosce l’enorme richiesta viene talvolta realizzato e proposto al pubblico in modi che somigliano più al mercato moderno che non alle coeve forme di patronato. Dall’altra, la necessità di rivolgersi a determinate sedi, che hanno ovviamente un background stilistico proprio, favorisce la diffusione di specifiche forme artistiche al di fuori del contesto originario.
Il piviale ricamato inglese, la cassetta -reliquiario dell’Île-de-France, o i citati codici giuridici miniati bolognesi non vengono acquisiti a distanza, o donati, perché portatori di specificità formali, ma per la loro unicità materiale e/o culturale; fungono spesso dunque da media attraverso i quali gli stili, come noi li intendiamo, possono penetrare in tutta l’Europa occidentale, e anche oltre, e costituire un esempio per gli artisti delle aree che li acquisiscono. Lo dimostrano per esempio i casi di Giovanni Pisano e Giovanni di Balduccio, che nelle loro opere evidenziano forti influssi gotici mediati dalla circolazione di avori francesi in area italiana, grazie al ruolo di Parigi come luogo di produzione di oggetti eburnei (religiosi e profani) di alta qualità, ricercati in tutto l’Occidente. Un mercato globale, che pone le basi per quelle categorie storiografiche basate appunto sul concetto di omogeneità, come il gotico internazionale.
Il XIII secolo si apre con una novità: la versione della Bibbia indicizzata e riorganizzata a seguito della riforma dell’Ateneo di Parigi di qualche tempo prima invade il mercato; il testo più letto della storia non viene più realizzato in grandi volumi, destinati a monasteri e abbazie, ma in formato “tascabile”, da bisaccia, per gli studenti che devono possederla come riferimento basilare per i propri studi.
Cambia la pagina, cambiano le dimensioni, e il decoratore deve adattarsi a questa nuova realtà, in cui il lavoro a pennello non può più essere svolto in grandi riquadri, ma si diffonde ovunque: per ragioni legate al suo specifico librario, la miniatura affronta il passaggio dal romanico al gotico in forme diverse da quelle della pittura di grande formato, a cui spesso si era omologata. È solo un caso del mutevole rapporto tra queste arti sorelle tra Due e Trecento: già ben prima della rivalutazione definitiva del XIX secolo, le arti minori hanno goduto di alta considerazione nella storia dell’arte in generale, ma quasi sempre in casi funzionali alle maggiori. Giorgio Vasari, alla metà del Cinquecento, elenca nelle sue Vite ““arti consimili”” alla pittura e alla scultura, come la miniatura e l’intaglio d’avori, mettendo poi in evidenza due motivazioni precoci per un’alta valutazione di questo tipo di produzione. Una è il loro ruolo formativo, anche sulla base della comunanza di alcune tecniche (l’oreficeria che per esempio forma tanti scultori), l’altra la possibilità d’autografia che sta dietro ai casi di pittori che forniscono modelli per vetrate, tarsie lignee, o lavori tessili, o attivi anche come miniatori. Uno dei momenti chiave dell’arte medievale, il passaggio alla “maniera greca” bizantineggiante, per esempio, si fonda anche sulla conoscenza da parte del mondo occidentale di manoscritti miniati provenienti dall’Est. Il cosiddetto “secondo stile” bolognese, per esempio, vede miniatori come lo squisito anonimo Maestro di Gerona, che alla fine del XIII secolo riprende in forma conscia esempi provenienti dal mondo aulico costantinopolitano, con un gusto che non manca di servire ai pittori della sua generazione.
Un caso assai interessante è la riforma operata da Giotto nella pittura su muro e su tavola. L’emancipazione dello spazio, la volontà di restituzione corretta di moti dell’animo e di anatomie, non sono inascoltate nel mondo della miniatura, anzi. Alcuni artisti librari copiano fin da subito l’artista toscano: Neri a Rimini, o il Maestro degli Antifonari a Padova, lo prendono come punto di riferimento. Al contempo, si nota una certa difficoltà ad acquisire proprio la parte più innovativa della sua opera, e cioè la volontà di rendere la terza dimensione. Ciò è dovuto senz’altro a deficit di comprensione immediata, ma è probabile che al fenomeno non sia stata estranea la volontà di mantenere lo specifico librario, che ha un suo cardine nella bidimensionalità della pagina, supporto per la lettura.