Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’importanza assunta dal disegno nella pratica artistica delle botteghe quattrocentesche ottiene nel Cinquecento un riconoscimento anche in sede teorica. Non solo viene considerato il fondamento di tutte le arti ma acquista valenza intellettuale in quanto espressione dell’idea che è all’origine del processo creativo. Contestualmente si ampliano e si precisano le sue funzioni nell’ambito della formazione dell’artista, della progettazione delle opere d’arte, nella ricerca scientifica e, infine, nello studio del paesaggio e del ritratto dove raggiunge una piena autonomia estetica ed espressiva.
Il primato del disegno
La scelta di dedicare un intero capitolo al ruolo svolto dal disegno in età moderna appare ampiamente giustificata non solo dalla centralità assunta dall’attività grafica nel corso del Cinquecento e nei secoli successivi, ma anche dal primato che in sede teorica viene riconosciuto al disegno, considerato il fondamento di tutte le arti, il padre comune da cui traggono origine la pittura, la scultura e l’architettura. Se le prime formulazioni di questo concetto si rintracciano nella trattatistica quattrocentesca Cennini, Ghiberti, Filarete, è nel corso del Cinquecento che si assiste alla sua codificazione attraverso le reiterate dichiarazioni degli scrittori d’arte e degli artisti. E se Benedetto Varchi, intervenendo in merito alla famosa disputa sul paragone delle Arti (1546), sosteneva la parità tra scultura e pittura in quanto accomunate dallo stesso "principio", cioè dal disegno “origine, fonte e madre di amendue loro”, nel contesto della stessa disputa Pontormo dichiarava esplicitamente che “una sola cosa c’è che è nobile, che è el suo [dell’arte] fondamento, e questo si è il disegno” (Lezzione..., 1549).
Quando, nell’introduzione alla seconda edizione delle Vite (1568, cap. XV), Vasari definisce il disegno “padre delle tre arti nostre, architettura, scultura e pittura”, la consapevolezza del suo valore fondante ha ormai assunto il carattere di un topos. Di maggior peso si rivela invece la definizione di disegno che lo storiografo aretino fornisce all’interno dello stesso testo, in quanto i termini della sua formulazione riflettono una nuova concezione dell’arte in cui l’ideazione prevale sull’imitazione, la capacità inventiva sull’abilità manuale. Frutto del pensiero neoplatonico sviluppatosi in seno alla cultura umanistica rinascimentale, questa concezione esaltava la capacità dell’arte di indagare le leggi della natura e, secondo quelle stesse leggi, creare infinite nuove forme in un microcosmo figurato analogo al macrocosmo naturale. “Il dipintore disputa e gareggia con la natura” scriveva Leonardo che, a proposito del disegno, aggiungeva: “e questo disegno è di tanta eccellenza che non solo ricerca le opere di natura, ma infinite più che quelle che fa natura” (Pensieri). In questo contesto l’attività grafica si emancipa dalle finalità pratico-strumentali di un esercizio puramente manuale e assume una nuova valenza intellettuale in quanto, nei suoi tempi relativamente brevi di esecuzione, si configura come la forma artistica più vicina al pensiero, espressione immediata dell’idea generata nella mente dell’artista. Ed è proprio questo concetto che trova nella definizione di Vasari la chiarezza di un enunciato categorico: “esso disegno altro non è che un’apparente espressione e dichiarazione del concetto che si ha nell’animo e di quello che altri si è nella mente immaginato e fabbricato nell’idea […] e questo disegno ha bisogno, quando cava l’invenzione di una qualche cosa dal giudizio, che la mano sia, mediante lo studio ed esercizio di molti anni, spedita ed atta a disegnare […]” (Vite, 1568). Con questa definizione Vasari non solo valorizza il ruolo del disegno nel processo creativo, ma supera anche la distinzione tra la fase ideativa e quella esecutiva che, nell’operazione del disegnare, appaiono strettamente correlate e inscindibili.
Il disegno come strumento di studio
Anche se i testi teorici che affrontano il tema del disegno datano tutti a partire dalla metà del Cinquecento, i principi che vi erano espressi non facevano che riflettere quanto da tempo veniva messo in pratica nelle botteghe degli artisti. Non c’è dubbio infatti che il primato e la dignità riconosciuti al disegno siano il frutto degli straordinari risultati conseguiti in questo campo nel corso degli ultimi decenni del Quattrocento e della prima metà del Cinquecento, quando gli artisti trovarono nei meccanismi dell’esercizio grafico gli strumenti ideali per rispondere alle esigenze di una ricerca artistica fattasi sempre più impegnativa e ambiziosa.
Lo studio della natura, il confronto con l’antico, la rappresentazione del corpo umano con tutte le sue implicazioni di indagine (anatomia, articolazioni dinamiche, sfumature psicologiche), l’organizzazione delle figure nello spazio, la resa dei volumi sotto l’effetto della luce sono solo alcuni degli ambiti di ricerca esplorati attraverso il disegno, che assolve ora a una gamma di funzioni ben più vasta e articolata di quella svolta nell’ambito delle botteghe medievali.
Anche l’aumento esponenziale che si registra nella produzione grafica in età moderna è da porre in relazione con l’ampliarsi delle funzioni del disegno, che diviene per l’artista lo strumento fondamentale del proprio operare, impiegato innanzitutto nelle varie fasi del percorso formativo.
Il racconto per immagini realizzato da Federico Zuccari nella serie di disegni che illustrano la vita del fratelloTaddeo, è uno dei documenti più emblematici della funzione del disegno nell’iter formativo di un giovane artista, cui sono richiesti “lo studio ed esercizio di molti anni” trascorsi a copiare, carta e matita alla mano, i capolavori della scultura antica e dei grandi "maestri".
Quello della copia è ritenuto infatti un esercizio fondamentale, necessario ad allenare la mano e affinare le doti dell’artista ma anche a plasmarne il gusto e orientarne le scelte estetiche. I modelli da copiare sono innanzitutto quelli della scultura antica, che si configura non solo come un inesauribile repertorio di motivi iconografici e formali ma come esempio di perfezione anatomica, armoniche proporzioni, dinamismo gestuale ed espressivo. In quanto fonte di ispirazione, lo studio dell’antico diviene un esercizio obbligato, praticato con continuità e passione ben oltre l’età moderna, fino alla fine dell’Ottocento. A monopolizzare l’interesse degli artisti sono soprattutto alcuni esemplari che godettero di straordinaria fortuna e furono copiati incessantemente da artisti di ogni epoca e scuola: lo Spinario, l’ Apollo e il Torso del Belvedere, il Laocoonte, l’Ercole Farnese, il Gladiatore Borghese, la Venere de’ Medici, i bassorilievi della Colonna Traiana. Da questo confronto serrato nascono alcuni dei capolavori della grafica europea come le copie di Annibale Carracci, Rubens, Bernini, Batoni, diverse nella resa ma affini nella capacità di restituire, esaltandoli, i valori formali ed espressivi dei modelli. Nel corso dei secoli anche alcuni capolavori dei grandi maestri italiani si impongono come prototipi per eccellenza da copiare e, se già nel Quattrocento gli artisti fiorentini si recavano a copiare gli affreschi di Giotto nelle cappelle Bardi e Peruzzi e quelli di Masaccio al Carmine, nei secoli successivi eleggeranno a luoghi di culto la Cappella Sistina di Michelangelo, le Stanze Vaticane di Raffaello, le cupole del Correggio, la galleria Farnese di Annibale Carracci. L’esemplarità di questi modelli, considerati dei veri e propri "testi sacri", si rivelerà in grado di condizionare la ricerca artistica delle diverse epoche e di innescare, a distanza di tempo, continue riprese e reinterpretazioni.
Un’altra tipologia grafica che riveste un’importanza fondamentale nella fase dell’apprendistato è lo studio della figura umana, praticata davanti al modello vivo, nudo, in posa naturale o atteggiata, secondo una vasta gamma gestuale adatta a essere trasferita all’interno dei dipinti. Si tratta di una prassi messa a punto nelle botteghe rinascimentali dove a posare erano i giovani garzoni di bottega, secondo un preciso copione e un sistema di convenzioni che dagli ateliers degli artisti si trasferirà all’interno delle Accademie. Il carattere rigidamente normativo dell’insegnamento accademico sottometterà questa pratica alle regole di un vero e proprio cerimoniale e di un rigido codice formale che si riflette soprattutto nella scelta dei modelli e delle pose, spesso ispirate ai modelli della statuaria classica: in piedi, seduto, inginocchiato, disteso o riverso, il corpo è colto in movimento o in riposo, di fronte, da tergo, di profilo, di tre quarti, inquadrato da vicino e da diversi punti di vista. Buona parte dell’insegnamento accademico finirà per ruotare attorno allo studio del modello nudo, ritenuto indispensabile per apprendere l’anatomia, la definizione della muscolatura, l’armonia delle proporzioni, il modellato dei volumi, la scienza degli scorci. Si organizzano corsi, si istituiscono diverse classi di concorsi e gli stessi professori sono tenuti a fornire esempi che possano servire agli allievi.
Invenzione e progettazione
Nel corso dell’età moderna il disegno ha trovato il campo di applicazione privilegiato nelle varie fasi della progettazione dell’opera d’arte, messa a punto attraverso un iter grafico che ne controlla lo sviluppo dallo schizzo preliminare al modello definitivo e al cartone. Il carattere strettamente funzionale di questo tipo di disegno ne determina l’applicazione in tutti i campi dell’attività artistica: pittura, scultura, architettura, decorazione e ornato, arti applicate, scenografia, apparati effimeri, grafica e illustrazione. In rapporto all’ambito di applicazione si sviluppano differenti tipologie disegnative ciascuna con caratteristiche grafiche particolari: disegno architettonico, preparatorio, decorativo, scenografico… All’interno di ciascuna di queste tipologie il grado di elaborazione dei disegni può raggiungere esiti di perfezione tecnica straordinari, particolarmente apprezzabili nell’ambito del disegno architettonico dove l’esigenza di chiarezza e precisione geometrica si traduce nella purezza delle linee, nei delicati dosaggi delle acquerellature, nell’accurata definizione dei dettagli decorativi che siglano il carattere e lo stile dell’edificio. O ancora nel campo vastissimo del disegno decorativo che include progetti per arazzi, oreficerie, vasellame, suppellettili di lusso, arredi sacri e profani, mobili, armi, decorazioni d’interni. Qui il virtuosismo grafico si coniuga con l’estro inventivo degli artisti in cui si rispecchia l’evoluzione del gusto e degli stili, dal décor manierista ispirato al repertorio bizzarro e fantastico delle grottesche, al vitalismo organico e metamorfico dell’universo barocco, ai raffinati intrecci vegetali e floreali dell’ornato rocaille, alla passione per l’antico dominante in epoca neoclassica. Tuttavia la maggioranza dei disegni che ci sono pervenuti riguarda la progettazione di opere pittoriche. Il lungo percorso che dall’abbozzo conduce fino al cartone è infatti scandito da innumerevoli studi, utili a definire tanto l’assetto compositivo quanto ogni singolo dettaglio. Ne deriva una grande varietà di disegni preparatori che vanno dallo studio di figure, nude o vestite, agli studi di teste, mani, braccia, panneggi. L’esigenza di controllare graficamente ogni aspetto della composizione si traduce talvolta in un vero e proprio metodo di lavoro, come nel caso di Federico Barocci i cui studi, condotti fino a un alto grado di definizione, si configurano come gli ingranaggi di un meccanismo perfetto che andranno poi ad incastrarsi nell’organismo coerente dell’opera finita.
In rapporto alle finalità dei singoli disegni, gli artisti si avvalgono di una ampia gamma di tecniche, sfruttandone le differenti potenzialità: la velocità della penna negli abbozzi, il segno grasso e vigoroso del carboncino lumeggiato di biacca negli studi di figura, di teste e di panneggio o, in alternativa, i tracciati duttili e sfumati delle matite rossa e nera, la ricchezza tonale degli acquerelli negli studi di composizione. Anche se si tratta di disegni strumentali, il grado di finitezza cui talvolta sono condotti conferisce a questi studi una bellezza intrinseca, ma può bastare la scioltezza del tratto a rivelare l’intelligenza della forma, o le modulazioni del chiaroscuro a far vivere una figura nello spazio. Alla morte degli artisti, i disegni passavano nelle mani degli allievi che li custodivano come modelli da imitare, perpetuando l’insegnamento del maestro per generazioni. Emblematico è il caso dei disegni tardi di Annibale Carracci che a Roma furono costantemente studiati, plasmando lo stile grafico della corrente classicista della scuola romana fino al Maratta.
Lo studio della natura e il segreto dei volti
Nel corso dell’età moderna il disegno conquista altri campi di applicazione e diviene uno strumento di conoscenza e rappresentazione della realtà da cui traggono origine nuove tipologie grafiche pienamente autonome sia sul piano funzionale che estetico: il disegno scientifico, il paesaggio e il ritratto. A partire dal Rinascimento l’interesse nei confronti del mondo naturale trova nel disegno il mezzo ideale per indagarne i diversi aspetti e riprodurli con precisione scientifica. Si deve al genio universale di Leonardo aver esplorato tutte le possibilità di applicazione del disegno nell’ambito di questi studi: anatomia, astronomia, fisica, meccanica, idraulica, scienze naturali...
Accingendosi ad operare in ambiti privi di una tradizione grafica di riferimento, Leonardo mette a punto nuovi procedimenti illustrativi in cui l’immagine acquista una straordinaria evidenza ottica e un’efficacia dimostrativa superiore alla parola stessa. Tuttavia le esigenze di chiarezza e precisione connesse con le finalità scientifiche dei suoi studi non impediscono a Leonardo di dotare le sue immagini di un’alta valenza estetica, come nella serie di disegni naturalistici conservati a Windsor dove le varie specie botaniche non solo vengono descritte nelle loro particolarità morfologiche ma vengono investite da una carica di vita organica che le fa vibrare e quasi respirare. Le qualità tecniche e poetiche di questi disegni possono essere confrontate solo con i celebri acquerelli di Dürer, tra le produzioni più alte dell’arte europea in questo campo. Osservando il sorprendente microcosmo vegetale della celebre Zolla o la commovente mansuetudine del Leprotto (entrambi Vienna, Albertina) ci si accorge che mai, fino ad allora, animali e piante erano stati accostati con un tale atteggiamento di intimità e contemplazione, mai erano stati compresi e descritti nelle loro forme con tanta integrità e compiutezza.
Gli esiti raggiunti da Leonardo e Dürer in questo campo troveranno sviluppi nelle splendide tavole botaniche realizzate da Jacopo Ligozzi per Francesco I de’ Medici e in quelle di altri specialisti che mettono le loro abilità tecniche al servizio degli interessi naturalistici di illustri committenti come Rodolfo II d’Asburgo, Filippo II di Spagna e Emanuele I di Savoia. Altri progressi vengono compiuti nel Seicento quando si intensifica la collaborazione tra artisti e scienziati, sempre più convinti delle potenzialità didattiche e illustrative delle immagini naturalistiche, che divengono strumento insostituibile per lo studio e la classificazione delle "cose di natura" e corredo indispensabile dei trattati di botanica e zoologia che ebbero larga diffusione in Italia e in Europa. Diversamente dal disegno scientifico, che esige una visione lenticolare capace di descrivere con precisione ogni minimo dettaglio, nella rappresentazione del paesaggio sono i tempi brevi di esecuzione e la capacità di sintesi a fare del disegno lo strumento ideale per il suo studio. Non è certo un caso che quello che viene considerato il primo paesaggio autonomo della storia dell’arte, la celebre Veduta della Valle dell’Arno di Leonardo (Firenze, Uffizi), sia appunto un disegno. Fin da questo primo esempio appare infatti evidente che le tecniche grafiche consentono all’artista di restituire, più che l’esatta morfologia di un luogo, l’impressione visiva prodotta da una particolare condizione di luce e di atmosfera, in un’ora e in una stagione precise. Prerogativa del disegno è proprio la capacità di cogliere l’aspetto di un luogo nella sua realtà fenomenica continuamente mutevole. Questa sensibilità luministica è già presente negli accurati disegni a penna di Tiziano e Domenico Campagnola, unita a un sentimento poetico che proietta gli scenari armoniosi dell’entroterra veneto in una quiete arcadica di ispirazione virgiliana. È tuttavia nel corso del Seicento che si sviluppa un rapporto del tutto nuovo con la natura, basato sull’osservazione e filtrato dall’emozione. Dopo le esperienze maturate nella cerchia di Annibale Carracci, che avevano sancito l’emancipazione del genere, Claude Lorrain e Nicolas Poussin cercano nel disegno i mezzi più appropriati per tradurre questo nuovo rapporto con la realtà e trascorrono giornate intere a disegnare all’aperto, immersi nella solitudine della campagna romana, registrando, attraverso le vibrazioni tonali dell’acquerello, le condizioni di luce dei luoghi frequentati, al di fuori di ogni preoccupazione di ordine compositivo. L’immediatezza e l’incanto poetico di questi fogli rappresenta una lezione imprescindibile per le generazioni future soprattutto nel Settecento, quando lo studio en plein air diviene un esercizio praticato da tutti gli artisti che si dedicano al paesaggio e alla veduta, in particolare da quelli stranieri. Ciò che accomuna l’esperienza di questi pittori, francesi, inglesi, tedeschi, giunti a Roma per completare la loro formazione, è il piacere di disegnare e scoprire i tanti volti della città vagando tra le rovine della Roma antica o immersi nella rigogliosa vegetazione dei giardini e dei parchi abbandonati. Protagonista assoluta di tutti questi disegni è la luce mediterranea, limpida e sfogata, che inonda gli scenari monumentali, gli scorci anonimi, le distese assolate della campagna subito fuori porta. Nel tentativo di catturarla, ogni artista adotta il medium tecnico più congeniale, e se Fragonard e Hubert Robert si affidano alle morbide stesure della matita nera o alle calde tonalità della sanguigna, gli artisti inglesi, da Alexander Cosenz (1717-1786) a John Robert Cosenz, sperimentano le infinite risorse dell’acquerello, trasparente e immateriale. Talvolta, nella dimensione privata di questi studi, eseguiti rigorosamente dal vero, gli artisti adottano soluzioni così radicali e moderne da anticipare gli sviluppi successivi del genere. Un altro campo in cui la versatilità delle tecniche del disegno offrono nuove opportunità agli artisti è quello del ritratto, declinato in tutte le sue accezioni e interpretazioni. In molti casi si tratta di studi preparatori per ritratti dipinti, ma già nel Quattrocento la rappresentazione dei volti aveva raggiunto in campo grafico un alto grado di compiutezza e una piena autonomia, così da affiancare nel corso dei secoli le vicende del ritratto pittorico nelle sue differenti tipologie: dall’obiettività documentaria dei ritratti di corte eseguiti a due o tre matite colorate da Hans Holbein in Inghilterra e da François e Jean Clouet in Francia, alla vitalità espressiva dei rapidi schizzi di Van Dyck, Rembrandt e Bernini, alla perentoria esibizione di status dei ritratti disegnati di Hyacinthe Rigaud, alla grazia seducente dei ritratti settecenteschi che trovano nelle stesure impalpabili del pastello il mezzo espressivo ideale e, infine, alla perfezione tecnica e formale che contrassegna la ritrattistica neoclassica e che si esprime ai suoi livelli più alti nei ritratti a grafite su carta bianca di Ingres, condotti con una precisione e una nitidezza lineare quasi miniaturistica. Ma l’estemporaneità del disegno consente anche una presa diretta sul reale dando all’artista la possibilità di accostare il soggetto nella sua verità umana ed esistenziale. È grazie a questo potere che il disegno si rivela capace di penetrare il segreto dei volti nell’intensità di un istante espressivo e di consegnare alla storia una galleria di ritratti indimenticabili: il volto scavato e disfatto della madre di Dürer, ritratta pochi mesi prima della morte, il misterioso ritratto di donna di Tiziano, così intenso e poetico, gli sguardi assorti, distratti o sorridenti dei tanti adolescenti colti dal vivo da Annibale Carracci, i delicati profili perduti delle giovani modelle di Watteau, teneramente adagiati sulle carte preparate, la vivacità intellettuale di Madame d’Épinay, ritratta da Liotard in uno dei suoi memorabili pastelli (Ginevra, Musée d’Art et d’Histoire). Si deve in gran parte agli specialisti di questa tecnica, Rosalba Carriera, De la Tour, Nattier, Liotard, Chardin, il contributo dato dal disegno al trionfo del ritratto nel Settecento, secolo in cui l’attività grafica raggiunge il suo più alto grado di apprezzamento. Mai come nel Settecento il disegno ha avuto una parte così importante nell’attività degli artisti, emancipandosi da ogni subordinazione alle arti maggiori. Pur continuando a essere uno strumento di studio, diviene un mezzo di espressione in sé, dotato di un suo valore autonomo e, in quanto tale, è avidamente ricercato, collezionato e anche commissionato. Alla morte di Watteau, i suoi disegni sono raccolti e incisi come espressione della sua arte al pari della pittura. A Parigi i disegni vengono esposti al Salon e sottoposti all’apprezzamento del pubblico e al giudizio della critica. Acquerelli, gouaches e pastelli emulano gli effetti della pittura e vengono incorniciati e appesi alle pareti. Infine è d’obbligo ricordare che le vendite più clamorose verificatesi nel corso del Settecento riguardano delle collezioni di disegni, come quelle prestigiose di Pierre Crozat e Pierre-Jean Mariette, i maggior esperti in questo campo dai tempi di Vasari.