di Serena Giusti
Il ruolo della Russia sullo scenario internazionale è stato fra i più mutevoli a causa delle profonde trasformazioni che il paese ha affrontato in un breve lasso di tempo. Nel secolo scorso si sono manifestate ben tre diverse varianti di Russia: l’Impero russo (1721-1917); l’Unione Sovietica (1917-1991); e infine l’attuale configurazione della Federazione Russa, decurtata del 20% del territorio e con una popolazione ridotta del 40% rispetto alle due versioni antecedenti. Il nuovo stato conserva la tradizionale caratteristica della multinazionalità (il 20% della popolazione è costituito da non russi), ereditata dall’espansionismo dell’epoca imperiale, così come l’instabilità dei territori che rientrano sotto la sua sovranità. Per questo, la sicurezza russa è tuttora minacciata da destabilizzanti forze centrifughe, prevalentemente di origine caucasica (Cecenia, Inguscezia, Daghestan, Nagorno-Karabakh) che non esitano a ricorrere allo strumento del terrorismo e a saldarsi con movimenti estremisti transnazionali. Nei primi anni Novanta, l’instabilità politica e la grave crisi economica che attanagliava il paese spinsero l’élite politica ad aprirsi verso l’esterno alla ricerca di credito politico e finanziario. La politica estera russa era definita sulla base delle necessità interne e la debolezza del paese fu la causa della sua marginalizzazione nella politica internazionale. L’avvento al potere nel 2000 di Vladimir Putin segnò la fine del caos politico interno e l’inizio di una straordinaria crescita economica. Questi due elementi ebbero un riverbero positivo anche sulla politica estera del paese con una riduzione importante della forbice fra rango (determinato da ciò che prima l’impero zarista e poi l’Unione Sovietica furono: vittoria nella Grande guerra patriottica, potenziale nucleare, diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’Un, relazioni di dipendenza sedimentate di carattere economico e culturale) e ruolo (la capacità effettiva di influenzare e orientare il sistema internazionale coevo). La direttrice prevalente nell’orientare le scelte di politica estera fu proprio la riconquista dello status perduto al momento dello sgretolamento dell’Unione Sovietica.
Il ritorno della Russia sullo scenario internazionale si accompagna, inizialmente, alla volontà di intessere relazioni proficue sia con gli Stati Uniti che con l’Europa e di ampliare il portfolio di partner strategici. Come ha affermato lo stesso ministro degli esteri, Lavrov, nel relazionarsi con gli altri paesi, la Russia è incline a una forma di ‘cooperazione multivettoriale’ guidata da una diplomazia realista e pragmatica (scevra da vincoli normativi e valoriali come quelli che condizionano il mondo occidentale) fondata su alleanze a geometria variabile definite da interessi contingenti. La Russia si è anche impegnata nella promozione di forme di cooperazione transnazionale a diversa intensità come quella dei Bric e altre a carattere regionale come l’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione o l’Unione doganale con Kazakistan e Bielorussia. La Russia sembrava perciò ormai convertita a una politica di potenza non più fondata sulla forza e l’uso del potere militare ma piuttosto sul pragmatismo, il mercantilismo e la cultura. Soprattutto nei confronti dei paesi contigui, Mosca ha impiegato strumenti soft come quelli economici (investimenti diretti, risorse energetiche e finanziarie, offerta di opportunità di lavoro) e culturali (lingua, mass media). La decisione nell’agosto del 2008 di ricorrere alla forza militare in Georgia poteva ancora essere interpretata come una sorta di extrema ratio, ossia uno strumento residuale da utilizzare quando gli altri si siano rivelati inefficaci. L’annessione della Crimea nel marzo 2014, durante la grave crisi politica in Ucraina, potrebbe invece aprire una nuova fase, più aggressiva, nella politica estera.
La Russia, che aspira a diventare uno dei centri globali di potere in un sistema internazionale concepito come poliarchico, ritiene che ciascun polo/stato debba costituire un fulcro di attrazione per i paesi contigui formando una sorta di blocco regionale (Russia più spazio post-sovietico). La Russia si oppone perciò a interferenze o pressioni motivate ideologicamente (ivi compresi i principi sulla tutela dei diritti umani), provenienti dall’esterno e in particolare dall’Occidente che si fa portatore di principi teoricamente assurti a norma della comunità internazionale. In questa ottica, si inserirebbe la dura reazione del Cremlino alla ‘entrata’ dell’Ucraina nella sfera occidentale attraverso la sottoscrizione di un Accordo di associazione con l’Unione Europea. Tuttavia, la reazione decisa di Mosca, che continua a fomentare i nazionalisti russi nelle regioni ucraine sud-orientali, potrebbe anche rispondere alla necessità di coalizzare i propri cittadini intorno alla bandiera del patriottismo, un tema che accalora anche i più critici rispetto al ‘putinismo’. La terza presidenza di Putin si è infatti contraddistinta, rispetto alle precedenti, per un marcato calo del consenso interno e per una decelerazione della crescita economica. Sebbene gli Stati Uniti e l’Eu abbiano raggiunto un accordo, nonostante le posizioni europee non fossero unisone, sul comminare sanzioni economiche alla Russia, la loro capacità di influenzare la condotta di Mosca è scarsa mentre il paese continua a essere un attore chiave su tutti i fronti di crisi aperti dall’Ucraina al Medio Oriente. Una Russia ostracizzata dall’Occidente rischia non solo di slittare verso Oriente, rafforzando la partnership con la Cina, ma anche una pericolosa regressione interna.