Il ruolo dell'ANAC nel nuovo codice dei contratti
Il nuovo codice degli appalti e dei contratti di concessione (d.lgs. 18.4.2016, n. 50) rivede in modo assai profondo i compiti e le funzioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) sino a renderla di fatto il vero e proprio perno istituzionale sul quale ruota l’intero sistema. Le scelte del Legislatore del 2016 si sono tradotte nel riconoscimento all’Autorità di settore non solo dei compiti di vigilanza e controllo tipici di una Autorità Nazionale di Regolamentazione (ANR), ma anche di compiti di carattere squisitamente amministrativo e gestionale (come la tenuta di Albi ed elenchi), la cui previsione sembra sottendere null’altro, se non la ritenuta inidoneità delle amministrazioni in senso tradizionale a svolgere i medesimi compiti con un adeguato grado di affidabilità. Il contributo esamina, in una prospettiva diacronica e sia pure con la necessaria sintesi, il complesso di compiti demandati all’ANAC dal nuovo codice e, previa comparazione con il modello – per così dire – ‘tipico’ di Autorità Amministrativa Indipendente (AAI), conclude nel senso dell’assoluta peculiarità istituzionale del modello da ultimo delineato.
Una delle poche affermazioni che hanno sinora visto del tutto concordi i primi commentatori del nuovo codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione1 è quella secondo cui, nel nuovo ordito sistematico, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) è destinata ad assumere un complesso di compiti e funzioni – alcuni dei quali al limite dell’atipicità – del tutto rilevanti, sino a rendere tale Autorità una figura istituzionale del tutto nuova nell’ambito del panorama giuridico-istituzionale nazionale.
Come si è avuto altrove modo di osservare2, i nuovi compiti e funzioni riconosciuti all’ANAC dalla legge delega e poi dal d.lgs. n. 50/2016 presentano un carattere amplissimo e del tutto eterogeneo e inducono l’interprete a ritenere che, nella relativa attribuzione, non si sia seguito un criterio di predeterminazione organica, bensì – piuttosto – un criterio di fatto ‘residuale’ (con la conseguenza che, nel dubbio, qualunque compito o funzione caratterizzato da un pur minimo interesse pubblico è stato per ciò stesso demandato all’ANAC, in tal modo palesando null’altro, se non una sostanziale sfiducia nei confronti dell’idoneità delle amministrazioni aggiudicatrici in senso classico ad autoregolare in modo congruo le proprie attività).
E del resto, che la sfiducia nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici (e degli altri soggetti coinvolti nella gestione degli appalti e delle concessioni) abbia rappresentato una sorta di fil rouge che attraversa l’intero ordito del nuovo codice è confermato, dal punto di vista definitorio, dalla scelta (già operata dal d.l. 24.6.2014, n. 90 e da ultimo puntualmente confermata)3 di trasformare – attraverso una sorta di ‘fusione per incorporazione’ fra istituzioni pubbliche – la vecchia Autorità di settore (l’AVCP) in una più roboante ‘Autorità Anticorruzione’. Il che comporta evidentemente, anche dal punto di vista semantico, una sostanziale identificazione fra il settore dei contratti pubblici e quello della corruzione in quanto tale.
L’approccio in tal modo seguito dal Legislatore emerge in maniera piuttosto evidente dall’esame delle ben diciannove disposizioni che, nell’ambito della l. 11/2016, dispongono – e nell’evidente carenza di un disegno davvero unitario – l’attribuzione all’ANAC di compiti del tutto differenziati ed eterogenei. Disposizioni cui corrisponde una miriade di previsioni applicative nell’ambito del nuovo codice.
Per evidenti ragioni di brevità ci si limita qui a richiamare il criterio di delega t) il quale rappresenta una sorta di summa, la cui complessità ed eterogeneità palesa in modo quanto mai eloquente la chiarezza dell’obiettivo perseguito e – allo stesso tempo – la poliedricità degli strumenti a tal fine approntati.
Il criterio direttivo in parola contempla «[l’]attribuzione all’ANAC di più ampie funzioni di promozione dell’efficienza, di sostegno allo sviluppo delle migliori pratiche, di facilitazione allo scambio di informazioni tra stazioni appaltanti e di vigilanza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, comprendenti anche poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio, nonché di adozione di atti di indirizzo quali linee guida, bandi-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante e fatta salva l’impugnabilità di tutte le decisioni e gli atti assunti dall’ANAC innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa».
Ebbene, nelle pagine che seguono si procederà dapprima a una breve ricostruzione dei passaggi che hanno condotto all’istituzione della nuova ANAC; si procederà poi a una generale disamina in ordine al contenuto dell’art. 213 del nuovo codice; in seguito, ci si concentrerà su alcune fra le principali questioni sistematiche poste dal complesso ordito normativo desumibile dal nuovo codice.
Nella parte conclusiva ci si soffermerà sugli aspetti problematici connessi alle previsioni del nuovo codice e alla sua concreta attuazione.
Come si è già anticipato, nel presente paragrafo si svolgerà dapprima un esame diacronico dei principali momenti dell’evoluzione che ha condotto all’istituzione della nuova Autorità Anticorruzione.
Si procederà poi a una disamina (necessariamente non esaustiva) in ordine ai compiti e alle funzioni che il nuovo codice (e, in primis, il suo art. 213) demanda all’ANAC.
Seguiranno alcune trattazioni specifiche (e parimenti sintetiche) circa alcuni aspetti di particolare interesse e rilevanza che caratterizzano la più recente disciplina dell’Autorità rispetto a quella propria delle altre AAI già note all’esperienza giuridica nazionale.
È ben noto che l’attribuzione a un’Autorità di settore di pregnanti funzioni di vigilanza e controllo nel settore degli appalti pubblici non costituisca affatto una novità del nuovo codice.
Al contrario, sia la legge Merloni del 1994, sia – e in modo più incisivo – il codice dei contratti del 2006 avevano attribuito alla soppressa AVCP rilevanti poteri in tema di vigilanza sul settore in parola, anche se, come osservato in dottrina, il complessivo disegno delineato nell’ambito dei due richiamati interventi legislativi non aveva mai assunto un adeguato carattere di compiutezza sistematica4.
Secondo una parte degli osservatori, infatti, pur non potendosi sottacere l’importanza sistematica dei compiti già devoluti all’AVCP nel previgente sistema, ciò che ostava alla piena espansione delle sue potenzialità era il mero riconoscimento ad essa di compiti di vigilanza, in assenza di effettivi contatti con il mercato e del riconoscimento di poteri sanzionatori e repressivi dotati di un effettivo carattere di dissuasività5.
Al contrario, il nuovo codice sembra voler superare (e di molto) tale limitato ambito e giunge a riconoscere all’Autorità di settore poteri di controllo, di vigilanza, di sanzione e – più in generale – generali poteri di enforcement in parte sconosciuti alla previgente disciplina normativa.
Addirittura, una parte degli osservatori è giunto ad affermare che la disciplina positiva dell’Autorità recata dal ‘codice de Lise’ del 2006 abbia rappresentato una vera e propria “occasione mancata”6.
Eppure, già nel disegno di cui alla legge Merloni del 1994, l’Autorità di settore avrebbe dovuto rappresentare il vero fulcro sistematico del sistema degli appalti nel suo complesso (e non a caso, la Corte costituzionale, con la sent. 7.11.1995, n. 482 aveva individuato nell’AVCP uno dei cardini della riforma del settore).
La stessa Consulta, del resto, ha più di recente affermato che la stessa sussistenza di un’Autorità di settore rappresenti ex se “indice dell’afferire della materia dei lavori pubblici alla tutela della concorrenza” (con la conseguenza di ritenere che tale ambito di legislazione resti in radice sottratto alla potestà legislativa delle Regioni)7.
Per quanto riguarda, invece, l’ANAC (che, come è noto, ha assorbito a seguito del d.l. n. 90/2014 le funzioni e i compiti che erano stati già propri della soppressa AVCP), è noto che l’istituzione del suo nucleo centrale risale all’art. 13 del d.lgs. n. 150/20098 il quale si era limitato a demandare alla neoistituita Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all’esercizio indipendente delle funzioni di valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di valutazione e di assicurare la comparabilità e la visibilità degli indici di andamento gestionale.
Tuttavia, superando in parte gli angusti limiti imposti dalla legge di delega, il decreto n. 150 si spinse sino a delineare uno stabile legame tra le nozioni di trasparenza e di integrità, introducendo i termini di una questione (quella della prevenzione e della lotta al malaffare nei settori oggetto di intervento) che avrebbero in seguito rappresentato il vero e proprio ubi consistam dell’operatività della nuova figura istituzionale.
L’opera di avvicinamento sistematico fra i compiti di mera verifica dell’accountability delle amministrazioni pubbliche (già demandati alla CIVIT sin dalla sua istituzione) e quelli di vigilanza e controllo dei fenomeni corruttivi fu portata a compimento con l’art. 1 della l. 190/2012 (cd. ‘legge anticorruzione’)9 il quale demandò alla Commissione già istituita ai sensi della l. 4.3.2009, n. 15 i compiti propri di una vera e propria Autorità Nazionale Anticorruzione, conformemente all’art. 6 della Convenzione dell’ONU contro la corruzione del 31 ottobre 2003.
Si osserva al riguardo che non erano mancati, nel tratto temporale precedente, tentativi volti ad istituire organismi specificamente deputati alla prevenzione e al contrasto della corruzione nel settore degli appalti; tuttavia solo nel 2012 prese definitivamente corpo la scelta legislativa di assommare in capo a un’unica struttura i compiti di Autorità di vigilanza e controllo e quelli di prevenzione e contrasto, rafforzandone evidentemente il ruolo e le prerogative10.
Del resto, l’istituzione di siffatti organismi rispondeva a specifici obblighi assunti dall’Italia ai sensi del diritto internazionale pattizio11.
Soffermandosi qui solo brevemente ai tentativi svolti nel periodo anteriore al 2012 per istituire un siffatto organismo di prevenzione e contrasto, si osserva:
• che con d.P.R. 6.10.2004, n. 258 era stato istituito l’Alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella p.a. al quale erano stati demandati generali compiti di elaborazione e monitoraggio di procedure contrattuali e di spesa, con specifico riconoscimento di un obbligo di denuncia all’Autorità Giudiziaria e alla competente Procura della Corte dei conti per fatti costituenti reato o nel cui ambito fosse ravvisabile un danno all’Erario;
• che lo stesso d.l. n. 112/2008 trasferì i compiti e le funzioni del soppresso Alto commissario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica. Con d.P.C.m. 2.10.2008 fu istituito presso quel Dipartimento il Servizio Anticorruzione e Trasparenza (SAET) al quale era riconosciuto un grado di autonomia funzionale alquanto più accentuato rispetto a quello di cui aveva goduto il soppresso Alto Commissario, nonché il compito di predisporre una Relazione annuale al Parlamento sull’attività svolta e un Piano annuale per la trasparenza dell’azione amministrativa.
Ebbene, tornando al contenuto della cd. ‘legge anticorruzione’ del 2012, essa delineò la scelta (in seguito non più rimeditata) di demandare alla CIVIT i compiti (anche di matrice internazionale) di prevenzione e contrasto della corruzione e dell’illegalità nella p.a.
In seguito, il d.l. 31.8.2013, n. 10112 (cd. ‘decreto p.a.’ del Governo Letta) ha mutato la denominazione della CIVIT in Autorità Nazionale Anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche e ne ha altresì modificato parzialmente la stessa compagine organizzativa.
Venendo agli anni più recenti, è noto che il d.l. n. 90/2014 ha disposto la soppressione dell’AVCP e la contestuale attribuzione dei relativi compiti e funzioni all’Autorità Nazionale Anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza (ANAC), che è stata contestualmente ridenominata ‘Autorità Nazionale Anticorruzione’.
Si può quindi affermare che la scelta operata dal Legislatore del 2016 di ampliare ulteriormente i compiti e le funzioni dell’ANAC (sino a farne una figura istituzionale del tutto nuova, dotata di poteri di vigilanza, controllo, sanzione, enforcement e proposta) rappresenti in qualche misura il compimento di un disegno normativo già avviato negli anni Novanta dello scorso secolo.
Ebbene, questo è il corretto punto da cui prendere le mosse al fine di esaminare in modo compiuto il nuovo assetto dei compiti e delle funzioni dell’ANAC per come definiti dal nuovo codice.
Come si è anticipato in precedenza, il legislatore della delega ha delineato un sistema nel cui ambito all’Autorità di settore sono attribuiti numerosi compiti e prerogative, alcuni dei quali si limitano tuttavia alla pura e semplice declinazione degli scopi perseguiti, senza che siano puntualmente indicati gli strumenti operativi volti a conseguirli (come nel caso delle “funzioni di promozione dell’efficienza, di sostegno allo sviluppo delle migliori pratiche, di facilitazione allo scambio di informazioni tra stazioni appaltanti” – criterio di delega t).
Sotto altro aspetto, la legge di delega sembra ascrivere quasi per intero il complesso dei compiti operativi dell’Autorità all’ampia ed eterogenea nozione di ‘vigilanza’ (ricomprendente, per espressa previsione legislativa, funzioni di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio).
Per altro verso, la legge di delega demanda all’Autorità l’adozione di atti di indirizzo (nel cui ambito, per una scelta lessicale e definitoria non del tutto felice, viene ricondotta anche la polimorfa figura delle linee guida).
Ebbene, il nuovo codice traduce le previsioni generali della legge di delega in una miriade di disposizioni applicative13.
Tuttavia, è l’art. 213 (incluso nella Parte VI, relativa alle Disposizioni finali e transitorie – Titolo II, relativo alla Governance) a rappresentare senz’altro la più articolata disposizione dedicata alla disciplina dell’Autorità Anticorruzione in ambito codicistico, sino a potersi configurare come una sorta di summa della sistematica delle relative attribuzioni.
L’articolo in questione presenta una struttura estremamente complessa e sfugge a qualunque tentativo di effettiva riconduzione ad unità.
I quindici commi in cui si articola tale disposizione delineano i contorni operativi della nuova Autorità, demandando alla stessa (fra gli altri):
• generali compiti di vigilanza14, controllo e regolazione nel settore degli appalti e delle concessioni (il che si pone in linea di sostanziale continuità con quanto già previsto dall’art. 6 del codice de Lise e, più in generale, con i compiti tipici di una AAI);
• il potere di rivolgere atti di segnalazione e proposta al Governo, nonché di indirizzare specifiche relazioni al Parlamento;
• il potere di emanare «linee-guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati» (il che si traduce, a ben vedere, nella sostanziale attribuzione all’ANAC di poteri di vigilanza, controllo e disciplinari di contenuto e carattere sostanzialmente a-tipico);
• la gestione del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza (art. 38 del codice);
• la gestione del Casellario Informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (il quale opera ai fini delle iscrizioni di cui al precedente articolo 80);
• la gestione della Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (per la gestione di tale banca dati unificata l’ANAC si avvale dell’Osservatorio dei contratti pubblici già previsto dall’articolo 7 del ‘codice de Lise);
• la tenuta della Camera arbitrale per i contratti pubblici di cui all’art. 210;
• a gestione e l’aggiornamento dell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle Commissioni giudicatrici di cui al precedente art. 78;
• il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione delle disposizioni ricadenti, in senso ampio, nell’ambito delle materie devolute15;
• a tenuta dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti e dell’elenco dei soggetti aggregatori.
Nelle pagine che seguono si esamineranno con un qualche livello di dettaglio alcuni fra i compiti e le funzioni individuati dal richiamato art. 213 e ci si soffermerà altresì su alcuni fra i più rilevanti interrogativi di sistema che la disciplina codicistica pone all’interprete.
Per quanto riguarda l’attribuzione all’ANAC di generali compiti di vigilanza e controllo sul settore dei contratti pubblici, il nuovo codice amplia e porta ad ulteriori conseguenze le previsioni di cui al previgente codice il quale (art. 6, co. 5 e 7) si limitava a richiamare le sole funzioni di vigilanza (anche se la dottrina non aveva mai dubitato che le locuzioni utilizzate fossero tali da comprendere anche l’esercizio di tipiche funzioni di controllo)16.
La dottrina ha evidenziato che, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice, le attività di vigilanza e di controllo investono l’intera attività contrattuale in senso lato delle stazioni appaltanti (precontrattuale, stipulazione, esecuzione, attestazione SOA), “affinché sia garantita l’economicità dell’esecuzione dei contratti pubblici” (art. 213, co. 3, lett. b) del decreto e non più «al fine di garantire la realizzazione ad opera dell’amministrazione dell’efficienza ed efficacia in materia di opere e lavori pubblici … » (come già previsto dall’art. 6, co. 5 del codice de Lise).
Si è osservato al riguardo che la pregressa formulazione, oltre a essere considerata ridondante, sembrava valere per le sole procedure di affidamento e non anche per l’esecuzione delle opere, dando luogo a un curioso dualismo fra attività della stazione appaltante e attività dell’esecutore17.
Per quanto riguarda, poi, l’esercizio delle attività ispettive, il decreto di recepimento non ha ripreso la previsione circa le “indagini campionarie” che, ai sensi del co. 7 dell’art. 6 del previgente codice, l’AVCP poteva effettuare nell’ambito della verifica sulla regolarità delle procedure di affidamento, perché rivelatesi poco utili ed efficaci e, perciò, sostituite dalla più generale potestà ispettiva ai sensi dei co. 5 e 6 dell’art. 21318.
Non tutti i poteri ispettivi già propri dell’Autorità di vigilanza sono stati trasferiti all’ANAC. Il nuovo codice ha infatti lasciato sostanzialmente invariata la potestà di “disporre ispezioni anche su richiesta motivata di chiunque ne abbia interesse”.
L’art. 213 del nuovo codice, traducendo in concreto la previsione id cui alla l. n. 11/206 (criterio di delega t) riconosce all’ANAC compiti del tutto innovativi (e in parte inesplorati sotto il profilo sistematico) per quanto riguarda la regolazione sub-primaria ‘a valle’ del codice stesso.
La voluntas legis sottesa al disegno riformatore consiste nel superamento del pregresso modello regolamentare e nella sua sostituzione con innovative forme di “regolazione flessibile” (termine – questo – piuttosto rassicurante ma in concreto privo di chiara valenza contenutistica) fra le quali è destinata ad assumere un rilievo del tutto centrale la figura delle linee-guida.
Nel rinviare ad altra parte del presente volume19 una disamina più puntuale circa i contorni generali del modello di regolazione in tal modo delineato, ci si limita qui ad osservare che una parte degli osservatori si è domandata se la nuova formula delle ‘linee-guida vincolanti’ (una formula che rappresenta a ben vedere una sorta di ossimoro) costituisca o meno una nuova fonte del diritto, in quanto tale dotata dei tipici caratteri della generalità, astrattezza e idoneità ad integrare con valenza innovativa l’ordinamento giuridico20.
Ebbene, pur dandosi atto della rilevanza della questione (meritevole di più approfondita disamina) ci si limita qui ad osservare che prevalenti ragioni di carattere sistematico inducono a propendere per la risposta negativa.
Fra le disposizioni che declinano in previsioni puntuali i nuovi poteri dell’ANAC spicca certamente, per i numerosi profili di interesse che lo caratterizzano, l’art. 211 (rubricato «Pareri di precontenzioso dell’ANAC»)21.
Il primo comma dell’articolo in esame non rappresenta una novità di assoluto rilievo in quanto si limita essenzialmente a riconfermare e rafforzare lo strumento dei pareri di precontenzioso già previsti (ma come istituto facoltativo e non vincolante) dall’art. 6, co. 7, lett. n) del previgente codice22.
Certamente innovativa è invece la previsione di cui al co. 1, secondo periodo, secondo cui «qualora l’altra parte acconsenta preventivamente, il parere, purché adeguatamente motivato, obbliga le parti ad attenersi a quanto in essa stabilito».
Tale disposizione sembra introdurre di fatto una sorta di definizione arbitrale della controversia, in tal modo modificando la tipica finalità dei pareri di precontenzioso e attribuendo agli stessi (sia pure con il previo consenso delle parti) una innovativa finalità di adjudication.
Indubbiamente di maggiore interesse sistematico è il co. 2 dell’articolo in esame il quale introduce un’innovativa ipotesi di raccomandazione vincolante rivolta dall’ANAC alla stazione appaltante quando, nell’esercizio delle sue funzioni, la stessa abbia ravvisato un’illegittimità pattizia nella fase pubblicistica dell’aggiudicazione, raccomandando all’amministrazione l’adozione di un atto di ritiro.
In caso di mancata conformazione da parte dell’amministrazione al sostanziale invito all’autotutela rivoltole dall’ANAC, quest’ultima irrogherà una sanzione amministrativa pecuniaria di importo molto elevato (fino a 25mila euro) che sarà “posta a carico del dirigente responsabile”.
La disposizione in esame (che mira evidentemente a rafforzare la capacità di enforcement degli atti adottati dall’Autorità nell’esercizio delle attività di vigilanza e di controllo) presenta almeno tre aspetti di criticità:
• in primo luogo essa palesa un’evidente aporia logico-concettuale fra il tipo di atto che viene demandato all’Autorità (la raccomandazione, tipicamente priva di valenza cogente) e le conseguenze per la mancata conformazione a quanto da essa ‘forzosamente raccomandato’23;
• in secondo luogo essa presenta aspetti di dubbia compatibilità con la legge di delega, la quale non contempla l’introduzione del richiamato apparato sanzionatorio (laddove, invece, nella materia sanzionatoria vigono i rigidi canoni della tipicità e della nominatività, nonché della riserva di legge);
• da ultimo, suscita notevoli perplessità la scelta del Legislatore di far conseguire una sanzione a carico dell’amministrazione e dei suoi dirigenti a fronte di un (presunto) comportamento antidoveroso che non è rappresentato dalla violazione della normativa di settore in tema di appalti e di concessioni, bensì dalla mancata conformazione a una raccomandazione rivolta dall’Autorità di settore (la quale, pur se proveniente da una fonte autorevole, può nondimeno essere erronea nel merito e nondimeno assistita da un inspiegabile apparato sanzionatorio).
Come si è altrove avuto modo di osservare24, il nuovo codice pone numerose problematiche concettuali per quanto riguarda la difficile riconducibilità dell’ANAC ai modelli tipici di AAI e ai caratteri che tipicamente distinguono tale complesso modello istituzionale (della cui unicità concettuale, peraltro, da più parti si dubita).
Sul punto ci si è già soffermati in precedenza e qui non vi si insisterà oltre.
Si ritiene, tuttavia, di svolgere alcune considerazioni in ordine a un ulteriore, importante tratto che tipicamente distingue le AAI e che non è riscontrabile nel caso dell’ANAC (ovvero, vi è riscontrabile, ma con rilevanti peculiarità).
Ci si riferisce al canone dell’indipendenza che, già dal punto di vista definitorio e, per così dire, tipizzante) caratterizza in generale la figura delle Independent Regulatory Agencies.
Come osservato dalla dottrina, il carattere di indipendenza ha assunto nell’esperienza anglosassone in tema di AAI (che per molti versi ha ispirato quella nazionale, almeno nella sua genesi) una caratterizzazione ben precisa, identificandosi di fatto nel canone dell’indipendenza dal potere esecutivo25.
In particolare, tanto più è incisiva la devoluzione a un’Autorità di funzioni e compiti incidenti su rilevanti aspetti della vita sociale ed economica tanto più è evidente l’esigenza che l’operato di tale Autorità resti indenne da qualunque – anche solo potenziale – condizionamento da parte degli Organi di indirizzo politico inclusi nel richiamato circuito politico/rappresentativo.
E tale esigenza emerge con tanto maggiore evidenza nelle ipotesi in cui (come nel caso degli appalti e delle concessioni) l’ambito settoriale oggetto di regolazione non viene demandato a un’Autorità indipendente per ragioni connesse al particolare tecnicismo delle regole tecniche sottese alla regolazione, bensì per la consapevolezza del notevole rilievo sociale ed economico dell’ambito settoriale di riferimento.
Come è noto, la dottrina e la giurisprudenza ritengono ormai da tempo che il vero e proprio gap in termini di rappresentatività democratica che tipicamente caratterizza l’operato delle AAI può essere giustificato – per quanto riguarda la legittimazione ad introdurre regolamentazioni di settore – attraverso l’enfatizzazione del canone della democraticità in senso partecipativo (i.e.: rendendo in massimo grado conoscibile ex ante e partecipato – in particolare, attraverso consultazioni pubbliche preliminari – il processo decisionale)26.
Tuttavia, anche l’approntamento di tali correttivi non elide l’esigenza che le AAI debbano necessariamente godere di un adeguato livello di indipendenza dal potere esecutivo per poter svolgere in modo adeguato i delicati compiti ad esse demandati.
Occorre quindi domandarsi se, nella concreta configurazione che emerge dalle disposizioni del nuovo codice, l’ANAC presenti davvero i caratteri tipici di un’Autorità indipendente, ovvero se se ne differenzi per aspetti talmente rilevanti da potersi ritenere che essa sia piuttosto assimilabile al diverso modello delle agenzie governative di cui agli articoli 9 e seguenti del d.lgs. 30.7.1999, n. 300.
Ai fini che qui rilevano appare significativa la circostanza per cui il nuovo codice non abbia ripreso la previsione (già contenuta al co. 4 dell’art. 6 del codice de Lise) che riconosceva alla soppressa AVCP espresse prerogative in termini di indipendenza funzionale, di giudizio e di valutazione.
Ad avviso di chi scrive, i tratti di oggettiva peculiarità che distinguono in modo netto l’ANAC dalle AAI in senso proprio sono almeno tre e ciascuno di essi fa sorgere dubbi circa l’effettiva indipendenza dall’Esecutivo che ne caratterizza la struttura e le funzioni.
La prima peculiarità concerne le modalità di nomina dei membri dell’ANAC (e, in particolare, del suo Presidente): al riguardo si osserva che il d.l. n. 101/2013 stabilisce che essa avvenga: i) su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri della giustizia e dell’interno; ii) previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, che deve essere reso con la maggioranza dei due terzi dei componenti; iii) previa deliberazione del Consiglio dei ministri; iv) con decreto del Presidente della Repubblica.
Al riguardo la dottrina non ha mancato di osservare che il richiamato procedimento di nomina vale ex se a qualificare l’ANAC quale Autorità amministrativa indipendente “tendenzialmente governativa” (locuzione, quest’ultima, che mira ad individuare le Autorità per le quali il Governo, anche tramite i suoi Ministri, esercita un compito del tutto determinante nell’i.e. di individuazione del candidato e di nomina dello stesso)27.
È evidente che il ruolo determinante svolto dal Governo nella nomina del Presidente dell’Autorità (anche attraverso un’individuazione sostanzialmente fondata sull’intuitus personae piuttosto che sulla competenza settoriale specifica) costituisca di per sé un fattore idoneo a vulnerare – per così dire – ab origine il richiamato canone di necessaria indipendenza.
È evidente al riguardo che la circostanza per cui la nomina ricada in concreto su personalità di altissimo spessore e riconosciuta autorevolezza non valga di per sé a redimere il vero e proprio vizio di fondo insito in un modello che determina un inscindibile legame fra il controllore e una delle amministrazioni (pur se di altissimo livello) potenzialmente controllate.
Al riguardo ci si limita ad osservare che gli ordinamenti giuridici formali di stampo democratico devono comunque fondarsi sul rispetto pieno ed indistinto del generale principio di legalità (e dei relativi corollari applicativi) e che, pure a fronte di fenomeni idonei a determinare notevole allarme sociale (come la corruzione nel settore degli appalti e delle concessioni), la risposta dell’Ordinamento dovrebbe consistere nel rafforzamento delle strutture istituzionalmente deputate a fronteggiare tali fenomeni, rifuggendo dalla – pur comprensibile – tentazione di affidarsi a risposte fondate sulla legittimazione di stampo carismatico di weberiana memoria.
La seconda peculiarità che caratterizza la disciplina dell’ANAC e che, ad avviso di chi scrive, consente di misurare l’effettivo grado di indipendenza rispetto al potere esecutivo ad essa riconosciuto ai sensi del nuovo codice riguarda le modalità di adozione degli atti di regolazione subprimaria.
Al riguardo (pur rinviando a quanto più diffusamente esposto in altra parte del presente volume)28 ci si limita ad osservare che, ai sensi del co. 5 dell’art. 1 della legge delega n. 11/2016 (trasfusa in numerose disposizioni applicative nell’ambito del nuovo codice), il modello paradigmatico della regolazione subprimaria è ora rappresentato dalle “linee guida di carattere generale proposte dall’ANAC e approvate con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti” (enfasi aggiunta).
È evidente al riguardo che la scelta legislativa di sottoporre la più importante delle funzioni di regolazione demandate all’ANAC (i.e.: quella che si concreta nell’adozione di linee guida settoriali) alla preventiva approvazione da parte di un’Autorità governativa risulti di per sé idonea a revocare in dubbio l’effettivo canone di indipendenza che deve caratterizzare l’esercizio dell’attività di regolazione.
Si osserva infatti che la richiamata disposizione: i) per un verso demanda al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti una funzione di sostanziale controllo preventivo di merito sul contenuto delle linee guida proposte dall’ANAC, mentre ii) per altro verso rende di fatto possibile un puro e semplice rifiuto di approvazione da parte del Ministro il quale non condivida nel merito le linee guida proposte dall’ANAC (linee guida che, in tal caso, non potrebbero essere emanate, se non previa modifica nel senso richiesto dal Ministero).
La terza peculiarità che caratterizza il modello istituzionale dell’ANAC (e che contribuisce a misurarne l’effettivo grado di indipendenza dal potere esecutivo) consiste nella fonte di disciplina delle sue modalità organizzative.
Viene in rilievo al riguardo il co. 11 dell’art. 13 del d.lgs. n. 150/2009, secondo cui «con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono stabilite le modalità di organizzazione, le norme regolatrici dell’autonoma gestione finanziaria della Commissione e fissati i compensi per i componenti».
È evidente sul punto che la scelta legislativa di demandare l’organizzazione dell’ANAC a un decreto ministeriale equivalga nei fatti a negare alla stessa Autorità un autonomo potere di autorganizzazione (il quale costituisce a propria volta la tipica modalità attraverso cui si esplicano l’autonomia e l’indipendenza sotto il profilo funzionale di un qualunque plesso organizzativo).
Al codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione deve essere certamente riconosciuto il merito di aver condotto a compimento un percorso normativo ed istituzionale che era stato avviato circa venti anni orsono e che, sino a tempi recenti, non si era tradotto nell’introduzione dell’ordinamento nazionale di un’Autorità di settore munita di effettivi poteri di vigilanza, controllo, ispettivi e sanzionatori nella complessiva (e complessa) materia degli appalti pubblici e delle concessioni.
Sotto tale aspetto il decreto n. 50/2016 (pur fra alcune lacune e antinomie – che peraltro potranno costituire oggetto di prossimi interventi correttivi –) reca nell’ordinamento di settore auspicabili elementi di chiarificazione e di componimento sistematico.
Per altro verso non può che essere stigmatizzato un orientamento di politica legislativa il quale, pur muovendo dal dichiarato intento di responsabilizzare le stazioni appaltanti (promuovendone le professionalità interne), finisce – a ben vedere – per imbrigliarne l’operatività all’interno di un quadro di regole non solo di incerta configurazione giuridica (come le linee guida vincolanti) ma la cui adozione viene demandata a un’Autorità – l’ANAC – dai poteri sostanzialmente atipici, dall’incerta configurazione sistematica e per la quale non è garantito in modo adeguato il necessario canone di indipendenza dall’Esecutivo.
Né può ritenersi che il grado insufficiente di indipendenza dall’Esecutivo che caratterizza l’Autorità di settore possa essere in qualche misura compensato dal (peraltro indiscutibile) valore professionale e dall’alto rigore morale delle personalità preposte al funzionamento dell’Autorità.
Inoltre, non sembra certamente contribuire alla più ampia responsabilizzazione e professionalizzazione delle amministrazioni la scelta del Legislatore di demandare all’Autorità di settore (non solo i tipici compiti di regolazione, vigilanza e controllo, ma anche) una congerie indistinta di compiti sostanzialmente amministrativi e gestionali, quali quelli relativi alla tenuta di albi ed elenchi (secondo una linea di politica normativa che non sembra rispondere ad effettive esigenze funzionali e di ottimizzazione, ma sembra piuttosto rappresentare la pura e semplice traduzione normativa di un diffuso clima di sfiducia nei confronti della capacità delle amministrazioni di gestire in modo corretto ed ordinato funzioni tipicamente amministrative).
E la ratio di fondo dell’orientamento in parola risulta tanto più evidente se solo si consideri la scelta (niente affatto casuale dal punto di vista semantico e rappresentativo) di ridenominare la pregressa Autorità di settore con il nomen di ‘Autorità Nazionale Anticorruzione’, in tal modo confessando nei fatti un orientamento volto ad identificare nei fatti il settore degli appalti con quello della corruzione in quanto tale.
Si osserva infine che rilevanti problematiche applicative potrebbero derivare da un sistema di regolazione sub-primaria (quale quello basato sul modello delle linee guida) il quale non sembra allo stato idoneo ad assicurare il necessario grado di certezza del diritto richiesto da un settore – quale quello degli appalti pubblici e dei contratti di concessione – dal cui corretto funzionamento dipende una parte rilevante del sistema economico e produttivo nazionale.
Note
1 Il nomen iuris con il quale qui ci si riferisce al nuovo codice è quello contemplato dalla legge delega 28.1.2016, n. 11. Occorre tuttavia osservare che, in sede di stesura finale del testo, la rubricazione utilizzata dal Governo non coincide con quella indicata in sede di delega.
2 Contessa, C., Dalla legge delega al nuovo ‘Codice’: opportunità e profili di criticità, in www.giustiziaamministrativa.it.
3 Come è noto, il d.l. 24.6.2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari’ – cd. ‘decreto Madia’ –), all’art. 19 ha sancito la soppressione dell’AVCP e l’attribuzione dei compiti e delle funzioni da esse svolti all’Autorità Nazionale Anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza (ANAC), di cui all’art. 13 del d.lgs. 27.10.2009, n. 150, che è stata contestualmente ridenominata ‘Autorità Nazionale Anticorruzione’. Sul punto, cfr. infra.
4 Carullo, A., Riforma dei contratti pubblici ed autorità di vigilanza: una occasione mancata, in Riv. trim. appalti, n. 4/2006.
5 Lamberti, C., I poteri dell’Autorità Nazionale Anticorruzione nel riordino della disciplina dei contratti pubblici, in Contessa, C.Crocco, D., Codice degli appalti e delle concessioni commentato, Roma, 2016, 141.
6 Carullo, A., Riforma dei contratti, cit.
7 C. cost., 23.11.2007, n. 401.
8 Recante ‘Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni’
9 Recante ‘Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione’.
10 Sticchi Damiani, S., I nuovi poteri dell’Autorità Anticorruzione, in Libro dell’anno del Diritto 2015, Roma, 2015.
11 È qui il caso di richiamare: i) La Convenzione penale sulla corruzione, sottoscritta a Strasburgo il 27.1.1999 e ratificata dalla l. 28.6.2012, n. 110; ii) la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31.10.2003 e ratificata dalla l. 3.8.2009, n. 116; iii) la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione del 1997, ratificata in Italia dalla l. 29.9.2000, n. 300.
12 Si tratta, in particolare, del d.l. 31.8.2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla l. 30.10.2013, n. 125 (e recante ‘Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni’).
13 Basti osservare che, nell’ambito del nuovo codice, ben novantasette disposizioni richiamano in modo espresso l’ANAC e le sue funzioni.
14 Per quanto riguarda l’esercizio delle attività di vigilanza, risulta di indubbio interesse sistematico la previsione di cui al co. 3, lett. a) secondo cui l’ANAC “vigila sui contratti pubblici, anche di interesse regionale”. La disposizione in esame dà condivisibilmente atto della riferibilità delle funzioni di controllo svolte dall’ANAC ad ambiti di potestà legislativa esclusiva statale come quelli che intercettano le materie della “tutela della concorrenza”, dell’“ordinamento civile” e della fissazione dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (in tal senso, la sentenza della C. cost. n. 401/2007).
15 Nel prosieguo del presente contributo si svolgeranno alcune considerazioni puntuali sulla previsione di cui all’art. 211, il quale rafforza la figura dei pareri di pre-contenzioso dell’ANAC e vi aggiunge uno specifico apparato sanzionatorio per le ipotesi di mancata conformazione alle raccomandazioni vincolanti (all’autotutela) rivolte alle stazioni appaltanti in caso di illegittimità riscontrate nella fase pubblicistica dell’aggiudicazione.
16 Lamberti, C., I poteri dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, cit., par. 5.
17 Lamberti, C., op. cit.
18 Lamberti, C., op. cit.
19 V. in questo volume, Diritto amministrativo, 3.1.1 La regolazione subprimaria nel nuovo codice degli appalti.
20 Morbidelli, G., Le linee guida dell’ANAC: comandi o consigli?, Relazione tenuta al 62° Convegno di studi amministrativi di Varenna (settembre 2016).
21 Sul punto v. Lipari, M., Il precontenzioso, in www.giustiziaamministrativa.it.
22 Contessa, C., Commento all’articolo 211, in Contessa, C.Crocco, D., Codice degli appalti e delle concessioni commentato, Roma, 2016.
23 Quinto, P., Il nuovo Codice dei contratti pubblici e le raccomandazioni vincolanti di Cantone, in www.lexitalia.it.
24 Sia consentito richiamare Contessa, C., Dalla legge delega al nuovo ‘Codice’, cit., par. 3.3.
25 D’Alberti, M., Diritto amministrativo comparato – Trasformazioni dei sistemi amministrativi in Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia, Bologna, 1992, passim.
26 Il meccanismo appena descritto è stato riconfermato nell’ambito del parere reso dal Consiglio di Stato sullo schema di nuovo codice. In particolare, nel ribadire la necessità che le AAI forniscano adeguate garanzie procedimentali e di qualità della regolazione in sede di predisposizione degli atti di regolazione sub-primaria, i Giudici di Palazzo Spada hanno affermato che ciò si renda necessario «in considerazione della natura ‘non politica’, ma tecnica e amministrativa, di tali organismi, e della esigenza di compensare la maggiore flessibilità del ‘principio di legalità sostanziale’ con un più forte rispetto di criteri di ‘legalità procedimentale’».
27 Sticchi Damiani, S., I nuovi poteri dell’Autorità Anticorruzione, cit., par. 1
28 Contessa, C., Gli atti di regolazione subprimaria, cit.