Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La multiforme, policroma e scenografica poetica barocca, sempre tesa a dipingere un mondo in continuo, frenetico divenire, trova nel romanzo uno dei suoi generi letterari favoriti. Grazie soprattutto alle traduzioni tedesche sia del colossale romanzo spagnolo-portoghese Amadigi, sia della monumentale Astrea di Honoré d’Urfé, sia ancora di Ciro il Grande della Scudéry, anche in Germania si diffonde il gusto per un romanzo in cui siano presenti motivi pastorali, storici (o pseudostorici) ed eroico-galanti.
Il romanzo eroico-galante
Riallacciandosi ai temi del romanzo borghese, iniziato nel secolo precedente da Jörg Wickram, Philipp von Zesen, intellettuale raffinato e accademico, scrive nel 1645 la Rosamunda adriatica, lacrimoso racconto degli infelici amori di un tedesco e di una veneziana, separati dalla differente confessione religiosa.
Predominante risulta invece l’elemento storico-politico nell’Ercole e Valisca (1659) di Andreas Heinrich Buchholtz, rigoroso ministro luterano; questo ecclesiastico, scrivendo, si pone come fini primari la purificazione dei costumi e l’edificazione degli animi. In concreto, le sue opere si presentano come un rapido succedersi di assassinî, battaglie e avventure di ogni sorta. Il principe Anton Ulrich von Braunschweig ambienta i suoi due maggiori romanzi sentimentali, Aramena (1669-73) e Ottavia romana (1677) in tanto remoti quanto improbabili contesti storici. In essi dominano sentimenti violenti ed eroiche rinunce.
Daniel Casper von Lohenstein non è soltanto il drammaturgo barocco celebratore di un’alta virtù stoico-cristiana, ma anche l’autore di ben quattromila pagine di un testo rimasto incompiuto: Il magnanimo Arminio, poderoso romanzo epico (1689-90); in esso Lohenstein intende esaltare le glorie passate del popolo germanico, cantando le gesta ardimentose del condottiero Arminio che sconfisse le legioni romane di Varo. Lo stile di Lohenstein, benché gonfio, pesante e traboccante di artifizi squisitamente barocchi, non raggiunge tuttavia la pomposità enfatica di quello di Banisa l’asiatica di Heinrich Anselm von Ziegler und Klipphausen (1689).
Per comporre quest’ampia avventura esotica l’autore si serve non solo di svariati documenti storici, ma anche di numerose relazioni di viaggio. I mille crimini, conflitti e colpi di scena riscontrabili nell’opera, che termina comunque con un insperato lieto fine (le nozze dei due protagonisti), sono ambientati in una Birmania misteriosa e fantastica.
Grimmelshausen e il romanzo picaresco
I romanzi eroico-galanti e pastorali spagnoli e francesi, tuttavia, non sono le sole fonti di ispirazione dei romanzieri tedeschi del Seicento; in molti casi, infatti, essi traggono preziosi spunti anche dai romanzi picareschi spagnoli del secolo precedente, e in special modo dal diffusissimo Lazarillo de Tormès, anonimo capolavoro del genere.
Dopo tanti idilli pastorali e altrettante idealizzazioni storiche, materia principale delle narrazioni diviene, così, la totalità del reale, di frequente indagata con attitudine spregiudicata, pessimistica e cinica. La società viene rappresentata dal punto di vista del picaro, personaggio astuto e (a volte) disonesto, che non perde occasione per smascherarla, mostrandone i lati più indecenti e sgradevoli. Prima di diventare scrittore affermato e sindaco di Renchen, Hans Jakob Christoffel von Grimmelshausen deve affrontare molte traversie e superare mille difficoltà: la fuga dalla casa natale, la cattura da parte dell’esercito croato, prima, e di quello imperiale, poi, i lunghi e penosi anni di vita militare durante la guerra dei Trent’anni. Gran parte di queste forti esperienze confluiscono nelle sue opere maggiori, rendendole più che mai vicine ai mille volti della vita. Solo pochi autori (come Boccaccio, Rabelais, Cervantes) avevano dato, prima di lui, un’immagine altrettanto convincente delle contraddizioni e delle gioie dell’esistenza. Tutta la vasta e poliedrica produzione di questo genio bizzarro e idealista prende decisamente le distanze dall’immensa e ormai sclerotizzata produzione di romanzi pastorali, galanti e d’avventura.
L’avventuroso Simplicissimus (1668-69) è, nell’ambito delle prime prove del romanzo occidentale moderno, uno dei libri più riusciti e universali. L’interminabile sottotitolo dell’opera ben rivela le intenzioni dell’autore: in maniera a un tempo piacevole e utile (si rammenti che la tesi secondo cui “giovare e dilettare” sono i fini della letteratura è propria non solo di gran parte delle poetiche classiche e rinascimentali, ma altresì di molte fra quelle barocche), Grimmelshausen intende narrare le avventure di un uomo che, dopo avere esplorato in lungo e in largo il mondo del suo tempo e le sue molte realtà, decide finalmente di ritirarsi per vivere nella più completa solitudine.
Hans Jakob Christoffel von Grimmelshausen
Prefazione
L’avventuroso Simplicissimus
Avventuroso Simplicius Simplicissimus
ovvero
Estesa, veridica e molto memorabile descrizione della vita di un semplice, bizzarro e singolare vagabondo chiamato Melchior Sternfels von Fuchshaim: come, dove, quando e sotto quale aspetto egli sia cioè venuto a questo mondo, come vi si sia comportato, ciò che di notevole e di memorabile vi abbia visto, imparato, sperimentato, e di tanto in tanto sopportato con molteplici pericoli della sua incolumità e della sua vita, e perché infine spontaneamente e di libera volontà lo abbia abbandonato., gradevole e divertente a leggersi, nonché molto utile e degno di riflessione.una prefazione, 20 bei rami e 3 continuazioni di German Schleifheim von Sulsfort.
È stata questa la mia volontà:
ridendo raccontar la verità.
H.J.C. von Grimmelshausen, L’avventuroso Simplicissimus, trad. it. a cura di U. Dèttore e B. Ugo, Milano, Mondadori, 1992
La sua vita in fondo si compendia in un viaggio. Simplicio, figlio di umilissimi boscaioli dello Spessart, è gettato fin dall’infanzia in una dimensione dolorosa e crudele. Una soldataglia scatenata distrugge la sua capanna e lo costringe a una repentina fuga da casa. Viene poi raccolto da un eremita che si sforza di dargli una formazione religiosa e di metterlo in guardia contro le insidie del mondo; dopo la sua morte, quindi, il giovane è forzato a intraprendere un lungo viaggio nel “mondo alla rovescia”, violento e impietoso, della guerra dei Trent’anni. In questo grande teatro tragico egli riveste i panni del paggio, del buffone, del brigante, della donna, del soldato, del moschettiere, e poi ancora del brigante, del soldato e infine del contadino. Nel corso dei suoi viaggi, ha modo di visitare Parigi (ove si mette a fare il galante e busca il vaiolo), Vienna e Mosca. Nella continuatio (proseguimento) del romanzo, dopo un frenetico susseguirsi di avventure, viaggi e sogni allegorici, Simplicio, a causa di un naufragio, viene sbalzato su di un’isola deserta, dove vivrà come un autentico eremita, scrivendo un libro per edificare i suoi contemporanei e preparandosi a una buona morte.
Più che un documento storico degli orrori della guerra dei Trent’anni l’ampia narrazione costituisce una descrizione intensamente partecipata di un mondo sempre incerto, vacillante, cupo e caotico. L’eroe, che (come molti altri personaggi di Grimmelshausen) ha ereditato dal protagonista del Lazarillo de Tormes una falsa ingenuità e un’astuzia disingannata e cinica, illumina in maniera paradigmatica molte delle sfaccettature dell’anima barocca: un vorace ed esuberante desiderio di vita, un’aspirare al contemptus mundi (disprezzo del mondo) e alla rinuncia ascetica, un corposo naturalismo descrittivo e una retorica non aliena dal preziosismo e dalla pompa.
Probabilmente le parti più attraenti dell’opera sono quelle dedicate all’ambiente militare, sempre descritto con un realismo genuino, senza remore o falsi pudori. Nel carattere di Simplicio non si riscontrano soltanto i tratti dei picari spagnoli, ma si nota altresì una componente del tutto diversa: ingenuità generosa, quasi un’innata inclinazione alla bontà e alla giustizia che neppure il folle fluire di un mondo impazzito riesce a soffocare. Il lungo e periglioso viaggio che Simplicio è costretto a intraprendere non è altro, per lui, che lo stimolo a ricercare la sua propria intima essenza e valori nuovi su cui fondare una vita autentica. In realtà, in tutto il romanzo, che segue passo dopo passo il lento maturarsi della coscienza del protagonista, si avverte il sincero impegno morale dell’autore. Uno dei momenti più interessanti è, a questo riguardo, la discesa di Simplicio al centro della terra attraverso il simbolico lago Mummel (senza fondo); il re dei Silfidi, mediante discorsi e ammonimenti filosofici e teologici, lo fa meditare sul valore della vita eterna. A seguito di tale esperienza decisiva, l’eroe torna profondamente cambiato al campicello dei suoi genitori, pronto a lasciare le vanità del mondo per finire i suoi giorni nella serenità della sua isola solitaria. Il suo itinerario, dopo una lunga, faticosa e spesso amara esperienza di vita, si conclude così nel porto rassicurante della morale.
Quantunque privo dell’ampio respiro dell’epopea di Simplicio, anche lo Schelmuffsky di Christian Reuter, scrittore “maledetto” dotato di forza satirica e freschezza rare, deve essere considerato un capolavoro del genere avventuroso-picaresco. Il protagonista di questo effervescente romanzetto è un borghesucolo fanfarone che, cercando di affermarsi a livello sociale, si compiace nel raccontare mirabolanti imprese e invidiabili successi mondani; il suo narrare è tuttavia così intriso di assurdità e di trivialità da far comprendere facilmente a chiunque che le sue avventure sono il mero frutto di una bizzarra immaginazione.
Christian Reuter
Invito al ballo di Charmante
Schelmuffsky
Dopo aver assistito con la mia bella alla pesca delle trote, ce ne tornammo in città al nostro albergo. Appena scesi di carrozza, vedemmo sul portone un maestro di ballo piccolino e gobbo, che fece una bella riverenza a Madame Charmante e anche a me e c’invitò al suo ballo. La mia diletta, la Charmante, mi domandò se avevo voglia di andarci con lei perché non poteva rifiutare l’invito e a quell’ora tutti la stavano già aspettando. Le risposi “Sì che vengo e vediamo che cosa succede”. Lei allora disse al maestro di ballo che sarebbe venuta subito. O sacromondo! che salti di gioia fece quel tale quando sentì che essa sarebbe venuta e avrebbe anche portato qualcuno! Si buttò a correre fuori dell’albergo in direzione della sala da ballo, come se la testa gli andasse in fiamme.giungemmo là, o sacromondo! quante meraviglie fecero le dame e i cavalieri della bella società che si erano dati convegno in quella sala. Era tutto un bisbigliarsi segretamente all’orecchio, e a quel che riuscivo a capire, ora l’uno ora l’altro diceva: “Chi sarà mai quel distinto signore che Madame Charmante ha portato con sé?” Una donna diceva all’altra: “Non è una bellezza d’uomo? Ma guardatelo, ha un viso tutto sangue e latte!” Questi e consimili discorsi furono scambiati furtivamente dalla compagnia radunata in sala da ballo per una buona mezz’ora. Il maestro di ballo mi offrì una poltrona di velluto rosso dove mi costrinse a sedere; gli altri invece, compresa la mia Charmante, dovettero stare tutti in piedi: Poi cominciò la musica. O sacromondo, come sapeva sonare quella gente! Iniziarono con una canzonetta popolare, sull’aria della quale il piccolo maestro di ballo gobbo danzò la prima entrée. Sacromondo! come sapeva springare quel tipetto! Sembrava proprio, il diavolo mi porti, che volasse a mezz’aria. Come la danza fu finita, tutti quanti formarono una specie di cerchio e cominciarono a ballare in linea serpentina; la mia Charmante dovette collocarsi al centro del cerchio e ballare lì in mezzo da sola. O sacromondo! come sapeva serpeggiare e girare su se stessa, quella donna! Pensavo ogni momento, il diavolo mi porti: “Ora va a gambe all’aria!” Ma invece niente. Anche le altre ragazze, il diavolo mi porti, ballavano gagliarde. Non so dire come movevano bene le ossa! Nessuna però che potesse misurarsi con la mia Charmante.il girotondo serpentino, cominciarono a danzare tanti altri balli comuni, correnti, gighe, allemande e roba simile. Fui invitato a ballare anch’io. Diverse dame si avvicinarono alla poltrona di velluto dove sedevo e mi sollecitarono a partecipare a un ballo. Dapprima mi scusai dicendo: “Sono, sì, un tipo in gamba, e basta guardarmi negli occhi per capire chi sono, ma non ho ancora imparato bene a ballare”. Ma, il diavolo mi porti, non ci fu scusa che tenesse, le dame mi portarono, con tutta la poltrona, in mezzo alla cerchia dei ballerini, poi mi ribaltarono giù dal seggiolone, che il diavolo mi porti, andai lungo disteso per terra! Però mi risollevai con fare molto disinvolto, tanto che tutti i presenti si meravigliarono di me e i cavalieri si dicevano l’un l’altro: “Quello lì deve essere uno dei più giovani valentuomini che siano al mondo”. Dopo di che cominciai a ballare e pigliai su tre donne: una dovette afferrarmi alla mano sinistra, la seconda alla destra, la terza dovette reggersi alla mia gamba sinistra. Ordinai allora ai sonatori d’intonare la villanella di Altenburg. Quello sì ch’era un ballo da vedere, col sottoscritto che balzava con tanta grazia sulla gamba destra. Quando poi mi fui riscaldato un poco, presi a springare con l’altra gamba, il diavolo mi porti, certi saltoni di parecchie tese, tanto che la dama che mi stava avvinghiata alla gamba sinistra non riusciva quasi a toccar terra ma saltellava sempre a mezz’aria attaccata a me. O sacromondo! che meraviglie facevano quelli che mi vedevano saltabeccar così! Il maestrino di ballo gobbo giurava e spergiurava che salti così non ne aveva mai visti in vita sua. In seguito vollero tutti sapere di che famiglia e di che origine fossi, ma io, il diavolo mi porti, non lo confidai a nessuno. Mi presentai bensì per un aristocratico, ma quelli non ci volevano credere e dicevano che dovevo essere qualcuno di molto più importante: mi avevano già tradito i miei occhi, facendo capire che non ero nato certo in basso luogo. Interrogarono anche la mia Charmante, ma il boia la porti se ha detto mezza parola sul mio conto! Se avessi raccontato loro la storia del ratto, ah sacromondo, allora sì che avrebbero drizzato gli orecchi!il ballo andai con la mia Charmante all’Opera. Anche quella, il diavolo mi porti, una gran bella cosa da vedere, perché proprio quel giorno davano la Distruzione di Gerusalemme. O sacromondo! che enorme città la Gerusalemme che ti facevano vedere all’Opera! Sono pronto a scommettere, il diavolo mi porti, che era buone dieci volte più grande di Amburgo; e te la distruggevano in maniera così spaventosa che, il diavolo mi porti, non si vedeva neanche più dove stava prima. Peccato, proprio un gran peccato per il meraviglioso tempio di Salomone, che dovesse andarsene così in malora! Credo proprio che non ne sia rimasto intatto neanche un pezzettino così. No, era destino che i soldati, il diavolo mi porti, rovinassero e distruggessero tutto a quel modo! Furono Croati e Svedesi quelli che guastarono così Gerusalemme.
in I. A. Chiusano, Antologia della letteratura tedesca, Milano, Fabbri, 1969
Letto e apprezzato da molti romantici tedeschi, questo libro irrequieto e frizzante è una vera e propria messa in burla dei contenuti e delle forme del tipo di romanzo che imperava ormai da un secolo in Germania, con la sua retorica sovrabbondante ed artificiosa, col suo idealismo moraleggiante e convenzionale.
Si può affermare che il realismo graffiante di questa operetta rovescia i capisaldi della poetica barocca, rivelandola ormai impraticabile e irrimediabilmente sorpassata.