Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Seicento lo State Portrait si rinnova ad opera di Rubens, van Dyck e Bernini e si caratterizza per la magnificenza degli apparati scenici, il fasto barocco dei costumi e la spavalda esibizione di superiorità e prestigio aristocratico. Solo Velázquez si sottrae all’adulazione cortigiana e descrive i suoi personaggi con lucida obiettività e sereno distacco. Alla trionfalistica idealizzazione del ritratto barocco si contrappone il realismo spregiudicato e moderno del ritratto olandese, la cui vicenda oscilla tra la sorprendente estroversione di Frans Hals e l’inquietante introspezione diRembrandt.
Premessa
I vertici toccati in tutta Europa dall’arte del ritratto testimoniano il successo ottenuto nel Seicento da questo genere artistico. Per i suoi contenuti rappresentativi e la sua funzione di legittimazione sociale, il ritratto, che all’inizio del secolo occupava il quarto posto nella scala dei valori elaborata dal nobile Vincenzo Giustiniani, giunge ad affiancare la stessa pittura di storia che nella gerarchia dei generi occupava il primo posto.
Vincenzo Giustiniani
Distinzioni sul modo di dipingere
Lettera a Teodoro Amideni
(...) farò alcune distinzioni, e gradi di pittori, del modo di dipingere che sono a mia notizia, fondata più in qualche poca pratica che io abbia di questa professione. (...) Quarto, saper ritrarre bene le persone particolari, e specialmente le teste che siano simili, e che poi anco il resto del ritratto, cioè gli abiti, le mani e i piedi, se si fanno interi, e la postura, siano bene dipinti, e con buona simmetria, il che non riesce ordinariamente, se non a chi è buon pittore.
V. Giustiniani, Lettere memorabili, Roma, 1675
Le convenzioni e i modelli del Cinquecento più illustre, da Raffaello aTiziano, vengono superati nella libera e spregiudicata sperimentazione di nuove formule e moderne tipologie.
La prima metà del secolo è dominata dalle prove di Velázquez, Rembrandt, Frans Hals, Rubens, van Dyck e Bernini: i loro ritratti diventano i paradigmi di due differenti atteggiamenti che si collocano entro i poli di un’imparziale oggettività e di una trionfalistica idealizzazione.
Durante la sua lunga e fortunata carriera come pittore del re, al servizio di Filippo IV di Spagna, Velázquez si dedica al ritratto come al genere più congeniale al suo temperamento di artista dotato di un occhio infallibile, capace di cogliere ogni aspetto della realtà e di rappresentarlo con oggettiva evidenza.
I primi ritratti sono caratterizzati da un linguaggio sobrio ed essenziale, legato ancora al naturalismo delle prime opere, eseguite a Siviglia, a contatto con i modelli caravaggeschi giunti precocemente da Roma e da Napoli (Il conte duca di Olivares).
L’incontro con Rubens (1628) e le esperienze del primo viaggio in Italia (1629-31), si rivelano determinanti per l’evoluzione del suo stile. La conoscenza diretta dell’arte veneziana trasforma radicalmente il modo di dipingere e la stesura si fa più sciolta e materica, i colori più chiari e trasparenti (Il principe Baldassarre Carlo a cavallo).
Nei capolavori della vecchiaia (Las meninas e Las hilanderas) l’esecuzione, ancora più rapida e compendiaria, raggiunge una felicità di tocco e una ricchezza di variazioni cromatiche e luminose sorprendenti.
Questa straordinaria libertà di esecuzione non compromette mai l’esattezza della caratterizzazione fisionomica e psicologica, che restituisce ogni volta l’umana verità dei personaggi, senza nulla concedere all’adulazione cortigiana ( Papa Innocenzo X).
Sia nei ritratti della famiglia reale, d’impostazione aulica e solenne (Filippo IV a cavallo), che nei ritratti dei nani e buffoni di corte, di un realismo quasi grottesco (El niño de Vallecas, Juan Calabazas, El Primo, Sebastian de Morra), l’artista descrive i suoi “eroi” con la stessa lucida obiettività, lo stesso inflessibile distacco.
La libertà di visione di Velázquez è così moderna da influenzare, nell’Ottocento, l’opera di artisti come Goya e Manet, mentre ancora nel Novecento, Francis Bacon si produrrà in impressionanti variazioni del ritratto di Innocenzo X, dove la figura del papa, atrocemente deformata, mette a nudo il suo lato negativo, astuto e malvagio.
Il ritratto di parata (State Portrait)
Nelle altre corti d’Europa l’aristocrazia viene celebrata da Rubens, van Dyck e Bernini in immagini fortemente rappresentative dove gli apparati sontuosi, il fasto ostentato dei costumi e la spavalda affermazione di superiorità sono già pienamente barocchi.
Nei ritratti di Rubens la caratterizzazione fisionomica si associa sempre a una vitalità espressiva che si impone prepotente, mai soffocata dalla magnificenza dell’ambientazione scenica.
Nei ritratti eseguiti a Genova, dove Rubens sosta più volte durante il suo viaggio in Italia (1600-1608), l’esecuzione virtuosa e l’impostazione monumentale fissano, con sorprendente anticipo, i modi del nuovo ritratto aulico e barocco (Ritratto equestre di Giovanni Carlo Doria).
Dopo il ritorno ad Anversa, i ritratti di Rubens si spogliano di ogni apparato esteriore e acquistano di intensità. Nei ritratti virili la condotta pittorica, rapida e vibrante, sottolinea il vigore quasi aggressivo dei personaggi (Thomas Howard, conte di Arundel); in quelli femminili le tonalità calde e accese esaltano la luminosità dei volti e la sensuale carnalità dei corpi (Hélène Fourment come Venere).
Dall’impianto di questi modelli muoverà Antoon van Dyck per le sue variazioni sul tema, che si moltiplicano durante il soggiorno italiano (1621-1626) e negli anni della permanenza in Inghilterra (1632-1639).
La pratica del ritratto diviene per lui una vera e propria specializzazione che gli consente di varare una formula capace di garantire un’immediata esibizione di eleganza aristocratica e vanità soddisfatta (Carlo I Stuart).
Alla dimensione eroica, quasi epica, dei personaggi rubensiani, van Dyck sostituisce un fare più svagato, un’indagine più superficiale in cui la caratterizzazione psicologica si allenta “cristallizzandosi attorno al precetto del bello e del nobile, del dolce e del grazioso” (F. Zeri).
Quando ritrae la superba aristocrazia genovese sullo sfondo di terrazze, colonne, e tendaggi (Paola Adorno, marchesa Brignole Sale, con il figlio) o quando, al servizio di Carlo I d’Inghilterra, giunge a codificare l’eleganza e la naturale vocazione aristocratica della società inglese (Robert Rich, conte di Warwick), l’artista si mostra docile alle ambizioni dei suoi modelli, pronto a esaltarne il prestigio e l’autorità.
Spetta al Bernini, tuttavia, il merito di aver realizzato nei suoi busti-ritratto i prototipi più spettacolari della ritrattistica barocca, in una sintesi perfetta di personalità e status sociale. Dopo l’assorta fissità dei busti giovanili (Paolo V Borghese), Bernini esplode nella prepotente fisicità dei ritratti diScipione Borghese e di Costanza Buonarelli. L’artista studia attentamente i modelli, li ritrae mentre dialogano, pronto a cogliere, nei moti più fuggevoli del viso, i segreti del temperamento; ne risultano immagini estroverse, mobilissime, comunicative, tra le più alte del secolo. Nei ritratti di principi e sovrani, Bernini giunge ai limiti di una trionfalistica idealizzazione: l’immagine del sovrano viene a coincidere con l’idea stessa della regalità e diviene metafora del potere e dell’assolutismo monarchico.
I busti di Francesco I d’Este e di Luigi XIV assumono in questo senso il valore di paradigmi. Le effigi dei due principi appaiono infatti trasfigurate dall’aria di maestà e nobiltà che li pervade: lo scatto improvviso della testa, lo sguardo imperioso e l’agitarsi tumultuoso dei mantelli conferiscono ai personaggi una dimensione di eroica grandezza che sembra sancire la legittimità di un potere assolutista e accentratore.
Il busto del Re Sole, scolpito da Bernini in soli quaranta giorni, durante il suo soggiorno a Parigi, segna una svolta nella storia del ritratto francese, dominata fino ad allora, più che dalle prove di Charles Le Brun e di Pierre Mignard, dalla lezione nobile e severa di Philippe de Champaigne Pur muovendosi nell’ambito del ritratto aulico e d’apparato, Philippe de Champaigne sa penetrare la vita interiore dei suoi modelli che appaiono dotati di intensa espressività (Il cardinale Richelieu).
La sua ricerca evolve poi verso un realismo di radice nordica e una sempre maggiore essenzialità che si accentuano dopo i contatti con i giansenistidi Port-Royal, iniziati nel 1643. I riflessi di questa esperienza religiosa si colgono negli ultimi ritratti che sono tra le immagini più toccanti del secolo: nella lucida obiettività di un impianto semplificato e quasi spoglio, i personaggi appaiono come estraniati, assorti in un clima di austera ma intensa spiritualità (Ex voto).
L’Olanda e il ritratto borghese
Mentre nelle corti europee si afferma il ritratto barocco con finalità dichiaratamente celebrative, nell’Olanda borghese e calvinista il ritratto assolve a esigenze più modeste, per lo più commemorative, e si sviluppa nelle forme di un realismo spregiudicato e moderno. In una società in cui la divisione per classi è meno rigida e vincolante, l’indagine punta direttamente sull’uomo e la vicenda del ritratto olandese oscilla tra la stupefacente estroversione di Frans Hals e l’inquietante introspezione di Rembrandt.
Nella sua variatissima galleria di ritratti borghesi, Halspropone una sequenza di personaggi colti dal vivo con naturalezza e sfrontata obiettività: un’umanità sorridente, appagata e cordiale, che oppone alla mancanza di signorilità e distinzione la sicura baldanza di un ceto facoltoso e benestante.
Nei grandi ritratti di gruppo, oggi quasi tutti a Haarlem nell’antico Ospizio dei poveri trasformato in museo dell’artista, Hals offre una versione rinnovata di un genere molto diffuso in Olanda, come specchio delle virtù civiche delle Province Unite.
I banchetti e le parate tradizionali offrono l’occasione all’artista di raccogliere, entro una sapiente regia compositiva e cromatica, chiassose brigate in costume dove la mimica vivacissima dei personaggi produce un risultato di prepotente vitalità (Banchetto della Milizia civica di San Giorgio a Haarlem).
L’effetto di istantanea che generano queste immagini ha il suo punto di forza in una condotta pittorica impetuosa, sprezzante, esibita con spavalderia, giocando con tutte le tonalità possibili, anche quando le esigenze del costume costringono il pittore alla gamma ristretta del bianco e nero (Reggenti dell’ospizio dei vecchi).
Mentre i personaggi di Hals sono sempre pronti a comunicare con il mondo e con la vita, i personaggi di Rembrandtaffiorano dall’ombra come mute e solitarie presenze, sganciati dallo spazio e dal tempo reali, spogliati di ogni decoro esteriore (Agatha Bas). La caratterizzazione fisionomica è sempre subordinata alla tensione emotiva di un’impietosa analisi psicologica. Anche nei ritratti collettivi Rembrandt risolve il problema di composizioni complesse con molte figure ricercando l’unità compositiva nell’unità psicologica e creando un “ritratto di situazione” che coinvolge e accomuna ogni personaggio (I sindaci dei drappieri).
Negli anni dolorosi della maturità e della vecchiaia sono soprattutto gli autoritratti, i ritratti di familiari e gli studi di teste a toccare i traguardi più alti di quella che si può definire un’incessante ricerca sull’uomo: la luce che si rapprende sui volti dei protagonisti mette a nudo le tracce di una condizione esistenziale di solitudine che s’innalza a esperienza universale (Ultimo autoritratto).
Negli ultimi decenni del Seicento, prevalgono in Europa i modelli imposti da van Dyck e Bernini e la parabola del ritratto barocco si conclude in Francia nelle lussuose scenografie di Hyacinthe Rigaud e Nicholas de Largillière.
Nel Ritratto di Luigi XIV, dipinto da Rigaud nel 1701, l’ostentata magnificenza dei simboli e degli emblemi consegna alla memoria l’immagine definitiva di una maestà trionfante.