Il Rinascimento. Geografia, cartografia e geologia
Geografia, cartografia e geologia
La circumnavigazione dell'Africa e il 'circuito nordatlantico'
L'arco di tempo che abbraccia i due secoli dell'età rinascimentale è contraddistinto, per quanto attiene alla geografia, dai grandi viaggi via mare che portarono gli Europei a esplorare il mondo intero, dalle rappresentazioni cartografiche e dalle descrizioni delle coste, dove spesso venivano stabiliti degli insediamenti. Dopo tale periodo rimanevano inesplorate soltanto le coste del Pacifico settentrionale, quelle a nord dell'America e dell'Asia (i cosiddetti 'passaggio di nord-ovest' e 'passaggio di nord-est'), l'Antartide e gran parte dell'Australia. In età medievale gli Europei erano stati estromessi dall'Africa settentrionale dominata dall'Islam e pochi erano anche i loro insediamenti in Asia, occupati, stando a quanto ci riferiscono le fonti, per lo più da commercianti e monaci, in molti casi grazie alla loro capacità di 'mimetizzarsi', essendo in altri casi falliti i tentativi dei Genovesi di stabilire dei fondachi. Gli Europei si erano così avviati verso l'Asia esclusivamente via terra, in quanto i mercanti arabi, ormai abili a sfruttare i monsoni, avevano estromesso tutti gli altri dalle rotte marine. La situazione cambiò quando, nel 1487, con la circumnavigazione dell'Africa, i Portoghesi poterono aggirare la zona di influenza araba. Poco tempo dopo, a partire dal viaggio di Cristoforo Colombo del 1492, si scoprì come fosse utilizzabile il cosiddetto 'circuito nordatlantico' e, di conseguenza, le rotte attraverso l'Atlantico centrale divennero sempre più affidabili. Già intorno all'anno 1000 era fallito un tentativo di insediamento dei Vichinghi nell'America Settentrionale, per l'incapacità dei coloni di contrastare l'atteggiamento ostile delle popolazioni locali. La rotta atlantica percorsa da Colombo era notevolmente più breve e meteorologicamente più sicura. Già quindici anni dopo la prima traversata di Colombo, la riproduzione cartografica delle coste dell'America Centrale e Meridionale era, nella maggior parte dei casi, esatta. A partire dal XVI sec., gli Inglesi e gli Olandesi soprattutto si cimentarono nel tentativo di trovare i passaggi di nord-ovest e di nord-est, ma l'attraversamento fu possibile soltanto nel 1878/1880 con Adolf Erik Nordenskiöld, e nel 1903/1905 con Roald Engelbret Amundsen, mentre il Nord e il Nord-ovest dell'Australia faranno la loro comparsa nella cartografia soltanto alla fine del XVI secolo.
Essendo divenuto possibile localizzare approssimativamente, oltre all'Europa e al Mediterraneo, anche gli altri continenti, particolarmente utile si rivelò la costruzione di mappamondi, sebbene l'idea, come tale, non fosse nuova. Nella sua trattazione cosmografica, Tolomeo aveva già indicato, quale metodo più idoneo, quello di disegnare i continenti su una sfera, ma ritenendo quest'ultima meno maneggevole di una carta, preferì ricorrere al metodo della proiezione da lui stesso descritto. Nell'Alto Medioevo, gli autori di portolani avevano fatto ricorso al mappamondo con reticolo geografico per riportarvi i luoghi le cui coordinate erano già determinate. A partire da questa sfera essi avevano riportato su pergamena delle superfici rotonde, usando solo il compasso e quindi senza far uso della proiezione. Sia la sfera di Tolomeo, sia soprattutto il mappamondo usato dagli autori di portolani, erano in gran parte vuoti. Quest'ultimo in particolare, quale puro strumento di ausilio, mostrava palesemente le incongruenze delle conoscenze di cui si disponeva in un'epoca in cui le coste d'Europa erano già abbastanza note, mentre dell'Africa e dell'Asia esistevano unicamente resoconti che non potevano esser ricondotti ai rapporti numerici occorrenti per il suddetto lavoro. A partire dalla fine del XV sec. (risale al 1491/1492 il globo terrestre di Martin Behaim), i mappamondi divennero lo strumento privilegiato di rappresentazione geografica, così da costituire un'affascinante sfida cui non si sottrassero i grandi cartografi.
Il Rinascimento è un'epoca contrassegnata dalle smisurate distanze e dai climi estremi delle nuove terre esplorate. I viaggiatori, che erano indubbiamente già di per sé individui di costituzione robusta, potevano fare affidamento su navi munite di strumenti nautici e su un buon patrimonio di conoscenze, accrescendo la loro probabilità di fare ritorno.
Fu soprattutto la loro capacità di sfruttare i venti e le correnti dell'Atlantico, del Pacifico e dell'Oceano Indiano ad abbreviare i tempi dei viaggi consentendo di portarli felicemente a termine.
Meglio di qualsiasi altro mezzo, il mappamondo sferico metteva in evidenza le difficoltà insite nelle spedizioni marittime dirette verso nuovi continenti e, illustrando la posizione delle coste e le distanze relative, consentiva nel contempo di conoscere i rapporti esistenti tra le varie parti del globo terrestre. Bretter, die die Welt bedeuten (teatri ‒ ove il tedesco Bretter indica tanto il teatro quanto la plancia di una nave ‒ che rappresentano il mondo) erano all'epoca le instabili navi senza le quali non sarebbe stata possibile alcuna comunicazione.
Durante il Rinascimento, lo stesso territorio diviene oggetto di descrizioni morfologiche. Importanti esempi sono il viaggio di Ruy González Clavijo a Samarcanda (1403-1406) e il resoconto di Leone l'Africano sull'Africa del Nord (completato nel 1526, stampato nel 1550); entrambi sono di una qualità fino allora sconosciuta in Europa ed è probabile che traggano spunto da modelli islamici, come quello di Ibn Ḫaldūn (1332-1406). Se forte era l'interesse per le coste, la descrizione geografica della superficie terrestre non era invece ancora rilevante anche se si moltiplicano le descrizioni storico-geografiche di interi paesi o parti di essi, soprattutto dell'Europa, a riprova del fatto che lo sguardo non era rivolto soltanto a terre lontane. Anzi, era considerato un segno del rango principesco adoperarsi per far raffigurare il proprio paese e le proprie città, giungendo così alle prime triangolazioni del terreno (in Baviera, dal 1554 al 1562, e in Sassonia dal 1586 in poi). Il duca di Baviera commissionò abbastanza presto la creazione di modelli dei suoi principali centri amministrativi in base a planimetrie urbane e un numero sempre maggiore di esse andò alle stampe.
La cartografia
Le carte geografiche e nautiche dell'epoca sono quelle che illustrano nel modo più evidente l'espansione degli Europei nel mondo intero durante quell'"età delle scoperte" che è stato il Rinascimento. Tuttavia, non sempre le nuove scoperte venivano riportate sulle carte; le piante e gli animali ritratti sulle superfici terrestri e marine delle carte, altrimenti vuote, avevano carattere puramente ornamentale. La cartografia tematica è ancora ai suoi timidi esordi, mentre la rappresentazione cartografica delle coste costituisce una nuova disciplina e rappresenta una grande conquista rispetto alla cartografia dell'Alto Medioevo.
La produzione cartografica ‒ la Geografia ‒ di Claudio Tolomeo divenne accessibile da Bisanzio al mondo europeo di lingua non greca soltanto attraverso la traduzione latina di Iacopo Angeli da Scarperia, dedicata a papa Alessandro V nel 1406-1410. Si tratta di un'introduzione dettagliata in cui si esponeva la storia tardo-antica della cartografia e dei vari tentativi di misurare le dimensioni dell'ecumene, accompagnata da carte geografiche e lunghi elenchi contenenti le coordinate delle varie località nonché le istruzioni per il loro rilevamento e per il disegno cartografico, tutte conoscenze di cui già disponevano gli autori di portolani, fatta eccezione per i sistemi di proiezione. Da questo punto di vista le carte di Tolomeo costituiscono esemplari moderni di riferimento per la produzione cartografica posteriore. In virtù della proiezione, i dati geografici potevano essere disegnati direttamente sulla rete delle coordinate. Manca però nelle carte tolemaiche l'indicazione, tipica dei portolani, delle rispettive declinazioni magnetiche, presenti anche nelle carte nautiche moderne in aggiunta ai sistemi di coordinate. In definitiva, non erano affatto carte nautiche: le coste del Mediterraneo presentavano grossolani errori di disegno, per esempio nell'Africa settentrionale, nella Spagna del Sud-est e in Italia, così come le coste atlantiche, in Scozia e Scandinavia, quelle del Mar Nero e del Mar di Azov; inoltre, per quanto riguarda l'entroterra, erano rappresentate l'idrografia, l'orografia e gli abitati. Ma né le coste né i corsi d'acqua costituivano punti di riferimento sufficienti per un viaggio.
Dal 1477 all'anno 1600 la Geografia fu stampata in più di 16 versioni, per lo più in folio, e rappresentò, come altre edizioni umanistiche, un vero tributo verso l'Antichità. Il livello qualitativamente inferiore a quello dei portolani portò, già dal 1482 con la prima edizione di Ulma, ad aggiungere alle antiche carte geografiche delle mappae modernae basate su rilevamenti di coordinate più accurati. Ciò determinò una mescolanza fra le due tecniche cartografiche, anche nel caso in cui le mappae modernae non figuravano direttamente nei portolani, o quanto meno non in quelli conservati. Queste mappae sono le prime carte geografiche stampate di tipo moderno. In alcune edizioni, accanto alle carte tolemaiche relative all'intera ecumene, furono inserite le cosiddette cartae neotericae con i tipici profili geografici e i caratteristici tracciati di corde dei portolani, anche se rispetto ai portolani esse risultano abbastanza grossolane.
Quando, all'inizio del XV sec., nella Germania meridionale comparvero le prime carte geografiche di qualità almeno pari a quella dei portolani, a Vienna e a St. Emeram, presso Ratisbona, si cominciarono a raccogliere e scrivere le regole necessarie per compilare i portolani e le tabelle di coordinate che si riferivano a reticolati geografici di vario tipo. All'epoca non si ottenne però altro che meri schizzi indicanti fiumi e abitati, seppure estesi ben oltre la Germania del Sud. Circa cento anni dopo, tabelle analoghe furono sistematicamente raccolte e rivedute da Pietro Apiano (1495-1552); esse avrebbero fornito i dati fondamentali per la realizzazione della carta della Baviera eseguita dal figlio, Filippo Apiano (v. oltre).
Ancora nel XV e XVI sec., i portolani erano realizzati manualmente nelle botteghe artigiane in grandi quantità e la produzione proseguì fino al XVII secolo. L'invenzione della stampa non ne aumentò la diffusione. Se nell'Alto e Basso Medioevo essi erano strumenti utili, in seguito divennero meri oggetti decorativi di lusso. Da uno dei laboratori artigiani più attivi, quello di Battista Agnese, sono pervenute nell'arco di mezzo secolo (1514-1564) più di 80 carte non più circoscritte alla sola Europa e al Mediterraneo, ma comprendenti il mondo intero. Con le novità cartografiche del XVI sec., finì l'epoca dei portolani. Il tracciato di corde che era all'origine un elemento integrante della rappresentazione, diventò nelle successive carte nautiche, con le loro grandi superfici libere, mero elemento stilistico e così fu trasmesso fino al XIX secolo.
Uno degli apici della cartografia è rappresentato dalla monumentale carta dell'ecumene di Martin Waldseemüller (lat. Hylacomilus 1475 ca.-1516) del 1507, sulla quale il suo collaboratore, Mathias Ringmann (1482-1521 ca.), designò il continente scoperto di recente con il nome di America, sive Americi terram ritenendo, in base al resoconto dei viaggi di Amerigo Vespucci, Quattuor Americi navigationes (1507), redatto da Saint-Dié, che Vespucci ne fosse stato lo scopritore. Insieme alla carta dell'ecumene comparivano anche 12 segmenti che, ritagliati, si potevano incollare su un globo di legno; sia i segmenti sia la carta erano provvisti di una rete di coordinate. I segmenti, relativamente piccoli, non offrono raffigurazioni geografiche particolarmente dettagliate, mentre la carta consente di individuare con notevole chiarezza l'America Centrale e Meridionale, nonché la parte meridionale della costa atlantica dell'America Settentrionale. Nella proiezione usata da Waldseemüller il nuovo continente è situato sul margine sinistro, per cui la forma ne risulta fortemente alterata. Il reticolato geografico consente però una verifica delle coordinate, dalla quale risulta che il punto più orientale dell'America del Sud si trova esattamente a un grado rispetto all'odierna Recife. A sud, la carta termina a 40° di latitudine, ma la forma triangolare dell'America Meridionale rimane chiaramente visibile.
Nei piccoli emisferi situati nel riquadro decorativo sulla grande carta universale, la posizione dei continenti è stata scelta in modo diverso, per cui l'America non appare più deformata. Accanto compare Amerigo Vespucci con in mano un grande compasso, dall'altro lato Tolomeo con un quadrante. L'Europa e la parte limitrofa dell'Asia sono infatti rappresentate sulla carta universale in stile tolemaico e non in quello moderno. Per l'Africa meridionale, la carta presenta, oltre al bordo normale situato a 40°, l'aggiunta di un'altra sporgenza intorno ai 5°, non necessaria in quanto Capo di Buona Speranza è situato a circa 34° di latitudine sud. I dati di cui Waldseemüller disponeva per questo lavoro erano ancora meno attendibili di quelli relativi all'America e non è noto da dove avesse tratto le sue informazioni. Negli scritti di Vespucci le longitudini geografiche non compaiono affatto, né è possibile rinvenire altrove indicazioni di questo primo periodo relative alle coordinate dei paesi scoperti di recente. Le indicazioni più antiche a tal proposito compaiono per la prima volta nel 1515, nel breve scritto di Johann Schöner Luculentissima terrae totius descriptio, che accompagnava i suoi mappamondi, i quali erano indipendenti da Waldseemüller per quanto riguarda l'area geografica rappresentata. Vi sono indicate una serie di posizioni relative non tanto a punti geografici di confine e ben in rilievo, bensì al centro (medium) di determinate unità geografiche. Ciò rendeva il lavoro necessariamente meno esatto, senza considerare alcune evidenti sviste.
È singolare il fatto che la carta universale di Waldseemüller non abbia segnato l'inizio di una tradizione di rappresentazione cartografica dell'America Meridionale con la tipica forma triangolare (laddove quella dell'America Settentrionale avrebbe fatto seguito soltanto alla fine del XVI secolo). Vi sono state, invece, numerose imitazioni di questa carta con il continente deformato all'estremità del margine (Apiano 1520, 1530; Honter 1546), e alcune carte universali in proiezione doppio-cordiforme dove l'America è tagliata e la sua forma è irriconoscibile per occhi non esperti (Oronce Fine 1531; Mercatore 1538). Inoltre, nella maggior parte delle carte, la forma dell'America non è neppure lontanamente vicina al reale profilo del paese, sia perché furono rappresentati soltanto frammenti della linea costiera di una parte del paese, sia perché venivano mostrate soltanto le isole o addirittura una massa terrestre deforme. A queste ultime rappresentazioni contribuì anche Mercatore, che ben conosceva già da tempo l'effettiva forma triangolare del continente, e Filippo Apiano (1531-1589) che avrebbe potuto esserne a conoscenza tramite suo padre. Sulle carte geografiche italiane si trova frequentemente una forma ibrida che, soprattutto a ovest, è troppo affusolata e priva di contorni, ma che forse servì come base per il definitivo affermarsi della forma triangolare a partire dalla fine del XVI secolo.
Includere il nuovo mondo in una rappresentazione globale di tutte le isole potrebbe sembrare errato, ma ciò accadeva non di rado, forse sulla scia del diritto internazionale circa le isole sottostanti alla giurisdizione della Santa Sede. Del resto lo stesso Colombo rimase convinto fino alla fine dei suoi giorni di aver scoperto soltanto isole. La tradizione cartografica degli Isolarios risale al XV sec., quando nel 1420 il fiorentino Cristoforo Buondelmonti redasse un Liber insularum archipelagi, per poi redigerlo nuovamente nel 1422. Oltre al diario di bordo, che in parte si rifaceva a più antiche istruzioni per la navigazione a vela, Buondelmonti disegnò 79 carte insulari del Mediterraneo orientale, in cui le coste, come era già accaduto nei portolani, erano stilizzate mediante archi concavi. Le isole erano rappresentate ciascuna separatamente dalle altre e la loro posizione reciproca non era evidente; non vi erano per il resto altri elementi di somiglianza con le carte nautiche. Nel 1485, il veneziano Bartolomeo da li Sonetti stampò un volume dal titolo Isolario, ispirato dall'opera di Buondelmonti, e il Libro di Benedetto Bordone nel qual si ragiona de tutte le isole del mondo di Benedetto Bordone (1450 ca.-1530), stampato per la prima volta a Venezia nel 1528, che includeva la rappresentazione di terre ben oltre il Mediterraneo orientale e perfino l'America. L'esigenza di una rappresentazione cartografica globale fu avanzata anche da Alonso de Santa Cruz (1510-1572 ca.), cosmografo di Carlo V e Filippo II nella Casa de Contratación a Siviglia, con il suo Islario general del mundo offerto a Carlo V nel 1540, con cui si prefiggeva di descrivere non soltanto le isole ma anche le coste del mondo intero (sono noti soltanto i volumi che contengono l'Europa e l'America). Quest'opera riprende lo stile dei portolani, tuttavia quasi tutte le carte presentano ai margini scale longitudinali e latitudinali, situazione ben rara per l'epoca. Anche l'ultima opera di questo genere, il Grand insulaire del cosmografo francese André Thevet (1516-1592), che prevedeva fino a 500 carte geografiche dell'intera ecumene, rimase incompiuta. Sono tramandate ancora 112 carte manoscritte di Thevet e altre 30 sono state utilizzate da Jean Baptiste Bourguignon d'Anville per le proprie carte.
Fino ad allora le coordinate erano state determinate soltanto per alcuni punti, pertanto non era ancora possibile riprodurre esattamente le linee costiere. Per quanto riguarda la determinazione astronomica delle posizioni, essa è stata già trattata nella sezione relativa al Medioevo. In che misura le effemeridi di Regiomontano avessero apportato un effettivo progresso in questa attività, non è ancora chiaro, essendo il grado della loro affidabilità ancora sconosciuto. L'agrimensura trasse grandi vantaggi dal trattato di Rainer Gemma Frisius (1508-1555), Libellus de locorum describendorum ratione del 1533, che a partire dal 1539 fu stampato numerose volte insieme all'opera cosmografica di Pietro Apiano. Vi sono illustrati vari casi relativi alla tecnica della triangolazione; in modo particolare, l'esempio che mostrava come dalle torri di Anversa e Bruxelles si potesse abbracciare tutto il circondario fino a Middelburg e Lovanio consentiva di spiegare il metodo risolutivo per il rilevamento topografico che sarebbe rimasto in uso fino al XVIII secolo.
La matematica che sta alla base dei suddetti esempi è relativamente semplice, trattandosi esclusivamente della teoria delle proporzioni, discussa da Euclide nei Libri V e VI degli Elementi. Tuttavia, prima di Gemma, nessuno aveva applicato in modo sistematico la geometria al rilevamento topografico. Ciò, unito a buoni strumenti e a un elenco di oltre 50 località le cui coordinate erano state verificate e corrette da Pietro Apiano, rappresentava i fondamenti del rilevamento topografico intrapreso, su incarico del duca Alberto V di Baviera (al governo dal 1550 al 1579), dal figlio di Pietro, Filippo Apiano (1531-1589), succeduto al padre nella cattedra di Ingolstadt. Filippo fu impegnato nei rilevamenti durante i periodi estivi dal 1554 al 1561, per poi elaborare, nei due anni successivi, una carta geografica murale di 25 mq circa, destinata alla cosiddetta fortezza Neuzeste di Landshut, dove rimase fino al XVIII secolo. Nel 1568 ne apparve una versione xilografica più piccola, che misurava tuttavia ancora circa 168 cm di larghezza e circa 170 cm di altezza, inclusi i 5,5 cm del riquadro. Nel 1579 Peter Weinher eseguiva una calcografia della carta di Filippo Apiano delle cui matrici si impossessò il duca. Nel 1663 Georg Philipp Finck ultimava l'ennesima imitazione in formato ridotto di 87×115 cm, riveduta da lui stesso nel 1671, e dal figlio nel 1684.
Le tavole geografiche di Filippo Apiano garantivano una misura precisa fino a 3 minuti d'arco. Alcuni errori che comparivano su singoli esemplari in stampa nascevano dal fatto che i caratteri, fusi in piombo e inseriti in tavole di legno, potevano talvolta fuoriuscirne. Nella riproduzione di Weinher questa potenziale fonte di errore era stata rimossa. Colpisce soprattutto l'esattezza della rappresentazione idrografica, salvo qualche eccezione, per esempio il corso del Danubio prima di Ratisbona e le isole del lago di Chiem. In virtù della sua esattezza la carta ebbe un influsso duraturo sulla cartografia europea, divenendo un costante punto di riferimento fino alla fine del XVIII secolo. Con la Baviera non era stata solo rilevata ed eseguita la rappresentazione cartografica della superficie di uno stato relativamente grande, ma era stata di fatto effettuata la prima triangolazione nella storia della cartografia.
La carta xilografica della Scandinavia di Olaus Magnus (1490-1557) del 1539 fa parte dei lavori cartografici più importanti del XVI sec., sebbene non si basi, o si basi soltanto parzialmente, su rilevamenti topografici. Essa ha il formato di 170×125 cm. Da solo o in compagnia di suo fratello Giovanni, in seguito divenuto arcivescovo di Uppsala nella Svezia riformata, Olaus aveva esplorato vaste aree del paese. Mentre nella cartografia più antica, eseguita per lo più da viaggiatori provenienti dai paesi dell'Europa meridionale, la Scandinavia presentava forme fantastiche ma lontane o del tutto avulse dalla realtà, nella carta di Olaus, il paese assomiglia per la prima volta approssimativamente a una tigre che salta, come siamo abituati a vederlo ancora oggi. Ai margini della carta sono riportati perfino i gradi longitudinali e latitudinali, ma la Scandinavia sembra estendersi ben oltre i 90° di latitudine nord, segnati dal polo: il che sembrerebbe dimostrare che le determinazioni delle posizioni geografiche non furono effettuate da Olaus e da suo fratello, e che le scale sarebbero state aggiunte in un secondo momento da un incisore non molto informato, forse al fine di conferire alla carta una maggior parvenza di scientificità. Questo lavoro, insieme a una stampa in formato ridotto di Lafreri del 1572, costituì l'opera basilare per l'ingresso della Scandinavia nella cartografia moderna.
Non rientrano nella presente trattazione la maggior parte delle carte geografiche regionali che, salvo il caso dei Paesi Bassi, non erano basate su rilevazioni topografiche. Esse erano l'espressione di un interesse geo-cartografico molto diffuso; eseguite a mano da persone che avevano una conoscenza esatta del paese e riuscivano a immaginarne i rapporti topografici, alcune di esse furono stampate e divennero popolari. Formavano un gruppo speciale le cosiddette 'carte dei tribunali' (Gerichtskarten), usate nei sopralluoghi giudiziari. Su tali carte, pittori giurati riproducevano, con le loro rispettive caratteristiche specifiche, la posizione topografica di oggetti rilevanti per processi giudiziari. Geografi come Sebastian Münster e cartografi come Mercatore, Ortelio, Honter, Lafreri, utilizzarono le informazioni geografiche disponibili in queste carte per compilare grandi carte murali e per opere cartografiche, in genere meglio conservate nelle biblioteche di quanto non lo fossero le carte regionali o territoriali messe in commercio singolarmente, talvolta provviste di un opuscolo esplicativo. Mercatore, cartografo particolarmente attento, aveva cercato di ottenere, per corrispondenza o direttamente conversando con alcuni viaggiatori, dei dati su posizioni geografiche che gli consentissero di disporre di un quadro complessivo affidabile per le sue grandi carte.
Le carte regionali sembrano corrispondere a una diffusa esigenza di rappresentazione e informazione tipica del XVI secolo. Questo è forse anche il motivo della comparsa sempre più frequente, a partire dalla fine del XV sec., di vedute di città e paesaggi, come per esempio quelle stampate nel Liber chronicorum del 1493 di Hartmann Schedel (1440-1514). Ai contemporanei, non di rado veniva presentata la stessa veduta più volte, con nomi di città di volta in volta diversi, ma solo pochi erano gli osservatori che avevano avuto l'opportunità di confrontare rappresentazione e realtà e di formarsi una visione d'insieme. Nel XVI sec., apparvero anche, con sempre maggiore frequenza, piante di città. Lo stesso duca Alberto V, committente di Filippo Apiano, si compiacque molto per un modello xilografico che il tornitore Jakob Sandtner (1540 ca.-1580) eseguì a Landshut nel 1568, relativo alla propria città natale, Straubing, basandosi su una pianta di quella città. Questo lavoro rappresentava un passo avanti rispetto alle semplici piante di città in cui, spesso, erano riportati gli abitati in prospettiva. Il duca commissionò a Sandtner anche la realizzazione del modello di Monaco (1570) e di altri centri amministrativi bavaresi quali Landshut (1571), Ingolstadt (1572), Burghausen (1574). Il figlio di Alberto, Guglielmo, fu meno interessato a tale attività modellistica o era comunque riluttante a investire in tal campo, per cui per i modelli di Rodi e Gerusalemme, terminati soltanto dopo la morte di Alberto, Sandtner non ricevette alcun compenso. Questi non sono i modelli di città più antichi conservati in Baviera, ma sono certo i più belli e attendibili; esistono modelli più vecchi di Norimberga (1540-1541) e di Augusta (1563). L'atteggiamento dei consiglieri comunali rispetto ai modelli e ai progetti fu dei più vari; mentre il consiglio municipale di Norimberga si preoccupò che la pianta della città e le sue strutture difensive non venissero divulgate e ai due costruttori di modelli, Hans Beham e Hans Payr, era stata espressamente vietata la costruzione di ulteriori modelli, a Hans Rogel invece fu concesso di diffondere la sua pianta di Augusta. All'inizio, le piante venivano pubblicate separatamente, ma già negli anni 1572, 1574, 1581 e 1594, il geografo Georg Braun, insieme all'incisore Franz Hogenberg, pubblicava i primi tomi di un'opera in sei volumi intitolata Civitates orbis terrarum.
Metodologicamente paragonabili a quelle urbane, anche se rivolte a utenti con altri interessi, sono le piante dei porti: dai portolani si poteva infatti desumere solo la posizione geografica dei porti. Fanno parte delle più antiche descrizioni di coste corredate di disegni tre manoscritti dell'idrografo portoghese João de Castro (1500-1548), Roteiro da Lisbõa a Gôa (1538), Primeiro roteiro da costa da India: desde Gôa até Diu (1538-1539) e Roteiro da viagem ao Mar Roxo (1541-1542). Nell'opera cartografica Spieghel der Zeevaerdt (1584) di Lucas Jansz Waghenaer (m. 1606), considerato il più antico atlante marino pubblicato, l'elemento di spicco è indubbiamente rappresentato dalle numerose e dettagliate piante dei porti, collegati l'uno con l'altro da linee costiere meno accuratamente rappresentate.
La tendenza a pubblicare libri si manifestò anche nella cartografia a partire dalla metà del XVI secolo. Numerosi editori italiani raccolsero carte geografiche di vari autori in volumi di raccolte che non di rado, ancora nel XVII e XVIII sec., erano privi di frontespizio; le singole carte non presentavano neppure lo stesso formato. Antoine Lafreri di Salins (1512-1577) si trasferì a Roma nel 1540 ove acquisì una certa fama per questo tipo di volumi, ai quali antepose, dal 1570, un frontespizio con Atlante che reggeva il globo terrestre sulle spalle. Ma il nome di atlante fu dato a questo tipo di volumi, fino ad allora senza designazione, soltanto da Gerardo Mercatore (1512-1594).
È con lui che la cartografia degli inizi dell'epoca moderna raggiunse la sua acme. Quando Gerardo aveva 5 anni, la famiglia numerosa si trasferì da Gangelt (ducato di Jülich) a Rupelmonde sulla Schelda, non lontano da Anversa, dove il fratello del padre, Gisberto, riscuoteva una prebenda come cappellano dell'ospedale. Costui si preoccupò che Gerardo imparasse il latino e lo mandò, a 15 anni, in una scuola a Bois-le-Duc dove incontrò il primo insegnante esperto di matematica e strumentazione. A 18 anni andò all'Università di Lovanio per seguire teologia, il cui studio interruppe per il maggior interesse che provava per la matematica, la cosmografia e quanto attinente alla nautica e alla cartografia. Frequentati a Lovanio i corsi dell'anatomista e matematico Rainer Gemma Frisius, di soli quattro anni più grande, dal quale aveva imparato con grande abilità a realizzare strumenti per dimostrazioni e osservazioni, con questo lavoro Gerardo si guadagnò da vivere. Per la precisione e la bellezza dell'esecuzione, i suoi strumenti ebbero acquirenti autorevoli, tra cui l'imperatore Carlo V. Sembra che questa circostanza abbia salvato la vita al geografo all'epoca in cui il sovrano spagnolo dei Paesi Bassi, Maria d'Asburgo regina d'Ungheria, sorella di Carlo V, fece arrestare numerosi cittadini di Lovanio per eresia. La maggior parte fu giustiziata dall'Inquisizione, mentre Mercatore tornò libero dopo sei mesi di prigionia. Soltanto dodici anni dopo, nel 1552, si trasferì con la famiglia e il suo laboratorio a Duisburg, dove avrebbe provveduto alla fondazione dell'università e dove rimase fino alla fine dei suoi giorni.
Gerardo iniziò la sua attività cartografica già a Lovanio, lavorando inizialmente insieme a Rainer Gemma (1536) a un mappamondo, per presentare in seguito una carta geografica a stampa della Terra Santa (1537) e un planisfero (1538). Per la carta delle Fiandre, apparsa nel 1540 su nove fogli, egli aveva eseguito delle rilevazioni topografiche. Anche a Duisburg aveva fatto rilevamenti per processi giudiziari, fino a quando non gli fu più possibile continuare per motivi di salute. Diversamente da Filippo Apiano, i risultati delle rilevazioni eseguite in proprio non erano determinanti per la qualità delle carte di Mercatore. Il suo punto di forza consisteva da un lato nel raccogliere un vasto materiale informativo scritto, dall'altro nella trasposizione coscienziosa di tali dati nelle carte stesse. Vi si aggiunga il suo senso estetico ‒ è autore di una piccola opera, pubblicata più volte, sui caratteri tipografici da utilizzare ‒, il suo interesse per la declinazione magnetica, cioè per l'imprecisione della bussola ad ago magnetico, di cui egli si lamentò in una lunga lettera, e infine l'utilizzazione di vari tipi di proiezioni con cui si cimentò. La proiezione cilindrica isogona, detta a latitudini crescenti, ha preso il nome di 'proiezione di Mercatore', anche se non se ne può attribuire a lui la paternità, avendola Erhard Etzlaub di Norimberga già utilizzata in scala ridotta intorno al 1500. Ma nel 1569 Mercatore ne fece un uso esemplare nella grande carta murale del mondo in 18 fogli, pronunciandosi anche in merito all'utilità e all'applicazione di questo metodo. Il problema di determinare le rotte lossodromiche nella navigazione in tutte le direzioni, oltre a quelle nord-sud ed est-ovest, era stato già descritto con esattezza da Rainer Gemma, sebbene senza fornire soluzioni. Anche Johann Werner e Pedro Nunes si erano già occupati del problema. Nel 1541 Mercatore disegnava le lossodromiche sul suo mappamondo e affermava che era una condotta del tutto irresponsabile quella di fornire ai naviganti carte che li avrebbero indotti in inganno al momento di determinare la rotta con compasso e regolo. Ciò difatti accadeva con il metodo della proiezione equivalente, il quale trattava la rotta congiungente due punti sulla superficie della sfera terrestre come se fosse una retta, laddove in realtà si tratta di una curva (lossodromica), cioè di un segmento di spirale che si approssima asintoticamente al polo rispettivamente più vicino. Mercatore si rese conto che per la navigazione occorreva disegnare carte sulle quali queste curve apparissero come linee rette. Ciò diventa possibile quando si hanno latitudini crescenti verso nord, ovvero aumenti proporzionali delle distanze tra i paralleli man mano che ci si allontana dall'Equatore. Poiché Mercatore, come egli stesso ammetteva, aveva scarse conoscenze di matematica, la soluzione teorica di questo problema gli riuscì solo parzialmente. Sarebbe quindi più esatto dire che egli sviluppò una tecnica utile per trasferire la rappresentazione cartografica dal mappamondo a una carta la quale deve essere pensata come se fosse arrotolata a formare un cilindro avvolgente la sfera.
Da Gemma Frisius Mercatore aveva imparato quel tanto della teoria euclidea delle proporzioni necessaria per eseguire la triangolazione. Poiché ogni punto su una carta può essere visto come vertice di un angolo di cui un lato è rappresentato da un meridiano, il compito che si presentava a Mercatore era quello di trasferire dal globo soltanto l'altro lato. Ma trattandosi necessariamente di una curva, egli consigliava di ricorrere a un filo o un livello. Attraverso un'abile e precisa applicazione di questa tecnica, Mercatore riuscì a eseguire il suo famoso mappamondo in proiezione cilindrica isogona. Un metodo di proiezione isogona su base matematica fu pubblicato nel 1599 da Edward Wright (1558-1615) nella sua opera Certaine errors in navigation.
Prima ancora del mappamondo, Mercatore aveva già eseguito la grande carta d'Europa (1554) e delle Isole Britanniche (1564), cui fecero seguito le carte antiche relative alla Geografia di Tolomeo, in segno di venerazione per il grande predecessore. L'edizione delle carte ultimata da Mercatore a Colonia nel 1578 (il testo latino fu edito nel 1584), è una delle più belle mai eseguite. Aiutato nel frattempo dai figli e, in seguito, anche dai nipoti, egli aveva già iniziato a progettare carte con il medesimo formato che intendeva raccogliere in volume. Nel 1585, apparvero le prime tre parti con un totale di 51 carte (Galliae, Belgii Inferioris, Germaniae, tabulae geographicae); nel 1589, usciva la quarta parte (Italiae, Sclavoniae et Greciae tabulae geographicae) con 22 carte, mentre nel 1595 veniva edita (postuma) la quinta parte con 29 carte, più 5 carte aggiunte dai suoi successori. Quest'opera, ideata sin dall'inizio come lavoro cartografico unitario composto da carte di dimensioni uguali, fu designata dallo stesso Mercatore Atlas (Atlas sive cosmographicae meditationes de fabrica mundi et fabricati figura), termine da allora diventato comune in cartografia per designare opere simili.
Mercatore ha esercitato un notevole influsso, non soltanto perché le sue matrici di rame hanno continuato a essere utilizzate, e proprio a partire da queste sono state anche copiate le sue carte, ma soprattutto per il suo stile considerato esemplare.
Le opere geografiche: scritti di carattere generale
Sulla scia dell'impressione prodotta dalla traduzione latina della Geografia di Tolomeo, Pietro d'Ailly (1350-1420) scrisse negli anni 1410-1414 quattro opere geografiche in parte coincidenti. Con il titolo di Imago mundi, esse furono stampate negli anni 1480-1483 a Lovanio da Giovanni di Vestfalia. Un esemplare dell'opera, in possesso di Cristoforo Colombo, fu da lui ampiamente corredato di note a margine. Nelle traduzioni latine dell'opera geografica di Tolomeo l'espressione imago mundi, oltre a descriptio mundi e delineatio mundi (ovvero terrae), rappresenta una chiara circonlocuzione della parola 'geografia' con cui inizia la prima frase di ogni traduzione. Ma se la Geografia di Tolomeo contiene soprattutto problemi relativi alle modalità del disegno cartografico, tavole di coordinate e carte, mentre alla cosmografia in senso aristotelico sono dedicati soltanto i due primi brevissimi capitoli, essendo piuttosto l'Almagesto l'opera riservata a uno studio dettagliato dell'argomento, Pietro d'Ailly si dedicò invece in primo luogo proprio alle basi astronomico-cosmologiche della descrizione della Terra, nonché ad alcuni aspetti della geografia fisica e alla distribuzione dei continenti e dei paesi sul globo.
I primi 14 capitoli del primo trattato sono dedicati a illustrare otto rappresentazioni cosmografiche, che, a partire da Plinio, si trovano all'inizio delle opere geografiche. I successivi capitoli di geografia, sull'esempio non solo di Plinio, ma anche di autori medievali e arabi, sono articolati secondo le tre parti del globo terrestre. Gli ultimi capitoli, infine, contengono una trattazione sistematica delle isole, delle acque e dei venti.
Nel secondo trattato l'autore affronta ancora in breve e tuttavia con chiarezza gli aspetti cosmologici della geografia, le dimensioni del globo terrestre (de figura terrae), l'estensione della superficie terrestre (de quantitate terrae), il mare e i venti. Vi ritroviamo il riferimento ai quattro elementi classici (fuoco, terra, acqua, aria), i quali tuttavia compaiono in questa sede non più in quanto concetti universalmente noti del sapere, ma secondo una ben precisa angolazione, quale quella rappresentata dall'autore del De sphaera mundi, cioè da Giovanni di Sacrobosco (secundum autorem de sphaera), pur non rimanendo tuttavia la trattazione legata, dal punto di vista del contenuto, all'ambito di quest'opera: in Sacrobosco, difatti, non compare alcuna trattazione dell'estensione della superficie terrestre, dei mari e dei venti.
Il terzo e quarto trattato si riferiscono espressamente all'opera di Tolomeo che Pietro d'Ailly considera terreno fertile (ex agro fertili) dal quale trarre (colligere) grande utilità (fructum perutilem). Ma mentre la geografia tolemaica era strutturata sulla base delle terre abitate, o meglio delle province romane, Pietro classificò tutte le località geografiche con le rispettive coordinate in sette zone climatiche, progressivamente da nord a sud, pur ricordando, in un capitolo successivo, che Plinio aveva privilegiato una suddivisione in dodici zone climatiche. Ricorda anche espressamente quegli aspetti di Plinio e di altri autori in contrasto con Tolomeo: tra questi rientrava l'opinione per cui, vento favorevole permettendo, si poteva attraversare l'Atlantico in pochi giorni, giacché si riteneva che la terra dirimpetto l'Europa fosse la costa orientale dell'India. Nell'altro trattato, che consiste in un sunto del precedente, Pietro riesamina nuovamente il numero delle zone climatiche. Per cominciare, spiega che la terra abitabile si estende su 23 paralleli, rendendo così possibile concepire l'estensione nord-sud con ancora maggiore precisione; in seguito, passa a trattare l'estensione est-ovest, cita l'Almagesto, ma fa riferimento anche a fonti arabe relative a un'estensione maggiore di quella ipotizzata da Tolomeo.
Diversamente da quanto avviene nelle opere del grande compilatore Vincenzo di Beauvais, i lavori geografici di Pietro d'Ailly sono spesso in polemica neppure troppo velata con le autorità antiche e hanno pertanto una loro autonomia. La novità è rappresentata, soprattutto, dal modo in cui l'intero globo, con la sua distribuzione di terra e acqua, diviene il centro della riflessione e della ricerca. Colpisce come non venga attribuita alcuna importanza a problemi di geografia fisica della terraferma, mentre ne viene attribuita molta ai venti e all'assetto idrografico. Sono descritte le Isole Canarie (Insulae Fortunatae), le Insulae Gorgodes e le Insulae Esperidum, che Colombo riconobbe nel loro insieme nelle Isole di Capo Verde. Le isole atlantiche furono esplorate nel XIV sec. da navigatori genovesi che riuscirono a mantenervi contatti, impresa questa non facile a causa delle correnti e dei venti. I Genovesi riuscirono in questo modo a ottenere il controllo del traffico marittimo nell'Atlantico, ma non poterono impossessarsi politicamente di queste isole che, invece, nel XV sec. passarono alla Spagna e al Portogallo. Sulle conoscenze nautiche dei Genovesi, Pietro d'Ailly non riferisce alcunché; si limita soltanto a osservare che l'oceano scorre rapidamente (senza intendere con ciò l'alta e bassa marea) e che i venti vanno considerati di conseguenza. L'autore non si pronuncia in merito alle direzioni delle correnti, ed è probabile che le esperienze nautiche dell'epoca non lo consentissero ancora; attira comunque l'attenzione il suo menzionare frequentemente nei capitoli propriamente geografici i venti, o meglio le loro direzioni. Nella parte sistematica che tratta di questi ultimi, si limita a seguire le tradizioni antico-medievali e riporta i nomi e le caratteristiche dei venti quali sono riconoscibili e possono esser previsti a partire dalle nuvole e dai diversi colori assunti dagli astri.
La convinzione che fosse possibile navigare verso ovest in direzione dell'India, partendo dalla Penisola Iberica, costituì un importante sostegno per Colombo. È possibile che egli ne sia stato informato tramite una lettera del medico fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli (1397-1482), lettera sulla cui autenticità sono stati tuttavia sollevati seri dubbi.
Per gli Spagnoli, come per tutti gli Europei, era impossibile raggiungere l'India e l'Oriente, in quanto, dall'inizio del XV sec., le rotte di navigazione erano state gradualmente conquistate dai Portoghesi guidati dall'infante Enrico il Navigatore (1394-1460). Basterà del resto uno sguardo alle carte nautiche moderne per capire perché il periplo dell'Africa presentasse ancora maggiori problemi nautici. Nell'anno 1487, Bartolomeo Dias riuscì a circumnavigare Cabo Tormentoso, ribattezzato da re Giovanni II Capo di Buona Speranza in segno di gioia per il successo.
Questa impresa costituì la base delle rivendicazioni portoghesi sul traffico verso l'India, che trovarono il loro definitivo riconoscimento giuridico con il trattato di Tordesillas (7 giugno 1494), a presiedere il quale Spagnoli e Portoghesi avevano invocato papa Alessandro VI. Le esperienze dei Portoghesi non hanno tuttavia trovato, all'epoca, espressione in scritti geografici.
Una dimostrazione delle eccellenti capacità di osservazione sistematica esistenti all'inizio del XV sec. è data dal resoconto di Clavijo di un viaggio per mare (attraverso il Mediterraneo e il Mar Nero) e per terra, verso Samarcanda e di ritorno verso Siviglia. Forse l'alta qualità di questo straordinario resoconto fu influenzata da autori arabi, come Ibn Ḫaldūn. Buone possibilità di osservazione avevano avuto anche i diplomatici invitati da Timur (Tamerlano), il cui resoconto fu stampato a Siviglia nel 1582.
La scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo il 12 ottobre 1492, se segnò l'inizio della presa di possesso europea del nuovo continente, non rappresentò tuttavia l'inizio di una nuova epoca nella letteratura geografica. Dovette passare molto tempo prima che la nuova terra venisse menzionata nelle opere geografiche, mentre prevalsero storie di azioni gloriose e di scandali ("di gente nuda e mangiatori di uomini"). Soltanto in seguito si verrà a sapere qualcosa in Europa, almeno della flora e della fauna esotica, e se ne darà conto nelle relazioni di viaggio.
Agli inizi dell'epoca moderna, il più importante compendio di cosmografia e geografia fisica rimaneva il Libro II della Naturalis historia di Plinio. A partire dal 1520, e per tutto il tempo trascorso a Wittenberg, Filippo Melantone (1497-1560) fece sempre in modo che vi fosse una lezione su Plinio, dedicata esclusivamente proprio al Libro II di cui volle anche curare una nuova edizione. Un forte interesse per la cosmologia e la geografia fisica attraversa tutta la sua vita: egli si adoperò affinché la geografia diventasse materia d'insegnamento nelle scuole dei paesi e delle città riformate. Oltre a quelli di Plinio, furono stampati e diffusi anche gli scritti di altri geografi antichi (Strabone, Pomponio Mela e altri), nonché di autori medievali (Isidoro di Siviglia, Alberto Magno, Pietro d'Ailly). Tra gli umanisti che si dedicarono a quest'attività di divulgazione del sapere geografico antico, oltre a Melantone, ricordiamo anche Regiomontano, Corrado Peutinger e altri.
La Cosmographia Petri Apiani fu stampata per la prima volta a Landshut nel 1524, ebbe diverse edizioni e, a partire dal 1540, fu arricchita dai commentari e contributi di Gemma. La Cosmographia di Apiano è composta di due parti. La prima, analogamente a quanto accade in Tolomeo, inizia con la distinzione tra cosmografia e corografia, e introduce come terzo concetto quello di geografia, nel quale è incluso tutto ciò che concerne la Terra nel suo complesso.
Diversamente da Tolomeo, nell'opera di Pietro Apiano segue un'ampia trattazione della Terra quale corpo celeste. I modelli ai quali ci si rifaceva per tale concezione risalivano alla tradizione di Plinio, Sacrobosco e Pietro d'Ailly. La qualità distintiva della cosmografia di Apiano è rappresentata dalle illustrazioni, spesso più efficaci del testo stesso, che in seguito, come si è precedentemente ricordato, fu integrato da preziosi contributi di Gemma.
Entrambi gli autori mostrano un particolare interesse per la determinazione delle longitudini geografiche, al cui proposito si registrano variazioni da un'edizione all'altra. Sebbene il fondamentale metodo consistente nell'utilizzare la distanza lunare fosse già documentato nell'Alto Medioevo, non è conosciuta alcuna descrizione dettagliata di epoca più recente. Il testo di Pietro Apiano e Rainer Gemma rimane così il più antico che sia stato mai stampato. Vi si trova allegato un elenco delle stelle vicine all'eclittica, come anche descrizioni, corredate da disegni, per la costruzione del notturlabio e della ballestriglia o bastone di Giacobbe, strumenti questi imprescindibili per un'applicazione accurata del metodo.
Data l'importanza vitale dell'argomento per la navigazione, il lavoro ebbe enorme diffusione. I capitoli relativi ai problemi di geografia fisica sono, come in Pietro d'Ailly, focalizzati sugli oceani, pur essendo ancora più brevi di quanto non siano nell'opera di quest'ultimo. Nella seconda parte, Pietro Apiano segue la Geografia tolemaica, con brevi descrizioni dei continenti accompagnate da tabelle di coordinate. Seguono i trattati di Gemma, fra cui il già citato Libellus de locorum describendorum con le istruzioni per la triangolazione. Nel 1520, la Cosmographia Petri Apiani era stata preceduta da una Introductio cosmographica, piccolo volume in ottavo, quasi privo di illustrazioni e con un testo frammentario. Nel 1533, Apiano ripropose l'argomento sotto altra forma nella sua Introductio geographica, che è, tuttavia, una ristampa, scarsamente commentata, di una precedente edizione della Cosmographia di Tolomeo, curata da Johann Werner a Norimberga nel 1514. Apiano e Gemma ebbero, fra gli altri, grande influsso su Oronce Fine (1494-1555).
Fra le numerose cosmografie apparse nel corso del XVI sec., quella di Sebastian Münster (1488-1552) merita un'attenzione particolare. Uscita per la prima volta a Basilea nel 1544, tradotta in varie lingue, ebbe, fino al 1628, 36 ristampe. Nell'arco di questo periodo, l'opera fu integrata passando da uno a quattro volumi, senza che comparissero mai i nomi degli editori e dei curatori dell'epoca più recente. La sola sezione riguardante l'America aumentò da 7 a 67 pagine. Si tratta, nell'insieme, di un'opera storica di vasto impianto relativa ai fondamenti della geografia, strutturata secondo continenti e paesi, in cui compaiono anche descrizioni geografiche e indicazioni relative a fenomeni di geografia fisica.
All'inizio dell'opera, sin dalla sua prima uscita, figuravano 13 grandi carte, fra cui una dell'intera America, nonché un libro sulla cosmografia e la geografia fisica sistematica. Münster utilizzò interi capitoli tratti da Agricola e Tolomeo e, inserendoli in un contesto molto più generale, ne determinò l'ulteriore diffusione. Alla rilevazione topografica, oggetto di particolare interesse, Münster aveva già dedicato vari scritti. Sin dall'inizio, aveva raccolto tutto quanto riguardava venti e mari in un capitolo sistematico sulla navigazione che, con gli anni, aumentò da una a cinque pagine. A parte le esperienze dei navigatori, che non vanno oltre le descrizioni antico-medievali dei venti e mari, non figurano comunque teorie idrografiche e meteorologiche. Fatta eccezione per l'Africa del Nord e l'Asia orientale, tutte le carte si discostano da Tolomeo. Oltre ai continenti, sono rappresentati soprattutto quei paesi che appartenevano all'Impero oppure che erano governati dagli Asburgo. Münster dedicò l'opera al re Gustavo I di Svezia, che vi è designato come suo "graziosissimo signore". La cosmografia di Münster è l'opera geografica e storica più ampia e conosciuta dell'inizio dell'Età moderna.
Titoli come Cosmografia oppure Geografia ricorrono in altre opere pubblicate in quegli anni, ma devono essere intesi in un'accezione più ampia; le parti relative alla cosmologia e geografia fisica, infatti, vi sono trattate soltanto sommariamente. Si possono ricordare il Geographia liber unus del 1527 di Heinrich Loriti (detto Glareano), il Weltbuch del 1533 di Sebastian Franck, la Cosmographia del 1576 di Siegmund Feyerabend. Nella Margarita philosophica di Gregor Reisch, opera stampata per la prima volta nel 1496 e sottoposta a continui ampliamenti fino all'inizio del XVII sec., la geografia era stata, in un primo tempo, associata all'astronomia, come avveniva talora nel Medioevo. A partire dal 1512, Reisch, che riteneva la geografia parte essenziale della formazione culturale, aggiunse alla sua opera enciclopedica appendici tecniche e di scienze naturali di altri autori. Per esempio, l'edizione del 1515 conteneva un mappamondo di Martin Waldseemüller e considerazioni cosmologiche, integrate da parti di geografia regionale mancanti nelle edizioni più vecchie.
Le opere geografiche: relazioni di viaggio
I particolari geografici erano meglio trattati in alcune relazioni di viaggio. È difficile considerare i resoconti di Cristoforo Colombo quali fonti geografiche e nautiche, in quanto essi furono tramandati soltanto nella forma in cui Bartolomé de Las Casas li fece stampare molti decenni dopo la morte di Colombo. Anche se difficilmente da questi documenti si può inferire in modo indiscusso ciò che Colombo sapeva e pensava, è tuttavia possibile ricostruire come egli agì: dopo aver atteso sulle Isole Canarie l'arrivo dei venti favorevoli, gli alisei, giunse in sole cinque settimane, sfruttando la corrente nord-equatoriale, fin nei Caraibi. Al ritorno, si diresse verso nord (stazionando nelle Azzorre e approdando involontariamente a Lisbona), e utilizzò in tal modo la corrente del Golfo e i venti occidentali. Le relazioni del viaggio furono raccolte a Siviglia nella Casa de Contratación, dove fu messo a punto il loro contenuto geografico e furono disegnate le carte. La maggior parte di questo materiale non veniva reso pubblico, per cui non è neppure chiaro a partire da quale epoca gli Spagnoli, che nella prima metà del XVI sec. disponevano delle migliori informazioni, fossero in possesso di conoscenze nautiche sistematiche.
I primi accenni alle grandi correnti marine nell'Atlantico si trovano nello scritto, apparso nel 1516, De orbe novo tertia decas di Pietro Martire d'Anghiera (1457-1526), che aveva accesso alla Casa de Contratación. Egli era a conoscenza dell'esistenza sia di una corrente marina est-ovest nell'Atlantico settentrionale, la cosiddetta 'corrente del Labrador', descritta da Sebastiano Caboto, sia di quella, più tardi nota come 'corrente del Golfo', sfruttata dai naviganti al ritorno da Cuba verso la Spagna. Quest'ultima era di gran lunga meno forte della corrente tra Cuba e Hispaniola, a sua volta paragonabile alla corrente nello stretto di Messina tra la Sicilia e la Penisola italiana.
Soltanto trent'anni dopo, il piloto mayor y cosmógrafo Alonso de Chaves (1495 ca.-1587), descrisse nella sua opera, Quatri partitu en cosmografía practica, y por otro nombre espejo de navegantes, stampata solo nel 1983, la direzione est-ovest delle correnti oceaniche (fondamentale per le rotte nautiche) che svoltano ogni tanto in direzione nord. Egli descrisse in particolare la corrente più importante dell'Atlantico, che scorre dall'Oceano Indiano verso l'Atlantico (corrente di Capo Agulhas, corrente del Golfo di Benguela), per seguire quindi, nella strettoia tra Africa e America del Sud, la direzione est-ovest (corrente sud- e nord-equatoriale), e la linea costiera dove, costretta a scostarsi dal continente, davanti alla costa della Florida, ripiega verso nord, attraverso lo stretto di Bahama, in direzione di Terranova, per raggiungere infine l'Islanda, l'Inghilterra e le Fiandre. Egli sapeva anche che vi erano correnti importanti e impetuose. La sua opera, tramandata in modo incompleto, non contiene invece una trattazione completa delle condizioni dei venti; né i capitoli in cui si parla di venti e di fenomeni atmosferici in genere si discostano dalla tradizione antico-medievale già descritta, sebbene siano insolitamente ricchi in quanto coinvolgono anche il mondo animale nelle previsioni meteorologiche a breve termine. Alla fine dell'opera, tra descrizioni di posizioni di promontori e isole importanti, compaiono anche descrizioni di rotte che richiamano espressamente l'attenzione sulle correnti marine e fissano regole concernenti direzioni e distanze, rivelandosi quindi utili per la navigazione a vela. In nessun caso è però indicata la stagione più favorevole per iniziare i viaggi, come se la navigazione sull'Atlantico si potesse svolgere prescindendone completamente. Una descrizione delle condizioni delle correnti atlantiche appare in un'opera stampata nel 1576, di Humphrey Gilbert, il Discourse of a discovery for a new passage to Cataia.
Indicazioni generali sui venti prevalenti nell'Atlantico (a nord dell'equatore) furono pubblicate nella Historia natural y moral de las Indias di padre José de Acosta (1539-1600), stampata a Siviglia nel 1590. Egli usa il termine calmería, ma cerca di mettere in evidenza come la zona vicina all'equatore (da lui ancora chiamato linea) non sia affatto completamente priva di venti, cosa questa che sarebbe altrimenti fatale per i naviganti, bensì, in virtù dei persistenti venti orientali, che spirano da nord-est e da sud-est (non compare ancora il termine 'alisei'), sia caratterizzata dal cambiamento non sempre prevedibile dei venti marini e terrestri che si avvicendano nel corso della giornata. Particolare attenzione viene dedicata anche alle correnti nello stretto di Magellano, come anche ai primi esploratori di quelle zone polari. Mentre lo stretto rappresentava un importante accesso all'Oceano Pacifico, gli esploratori sono ritratti piuttosto come avventurieri. Sotto una luce simile devono esser state presentate le prime notizie, che poco prima della fine del XVII sec. giunsero in Europa circa le inospitali coste settentrionali dell'Australia.
Fu per lungo tempo difficile, se non impossibile, ricavare dai resoconti di viaggio qualche descrizione fisica dei tropici del nuovo mondo, del tutto sconosciuti agli Europei. Malgrado ciò, i resoconti furono raccolti, alla stregua di deposizioni giurate, e stampati quali opera collettanea: Delle navigationi et viaggi di Giovanni Battista Ramusio (1485-1557), stampate nel 1550-1559, con ristampe nel 1565, 1583 e 1606; i Divers voyages touching the discoverie of America and the islands adjacent unto the same del 1582 e The principal navigations, voyages and discoveries of the English nation del 1589 di Richard Hakluyt (1552 ca.-1616); infine, l'opera in 25 volumi, pubblicata dal 1590 al 1634, contemporaneamente in latino e in tedesco, da Theodor de Bry (1528-1598), da suo figlio Johann Theodor (1561-1623) e da suo genero Matthaeus Merian (1593-1650), Collectiones peregrinationum in Indiam orientalem et occidentalem.
La pubblicazione di relazioni di viaggio era motivata, fra l'altro, anche dal fatto che si avvertiva come in Europa non vi fosse, al momento, nessuno in grado di discernere tra realtà e fantasia.
Fra i primi che si impegnarono particolarmente nelle descrizioni naturalistiche, figura di nuovo José de Acosta nell'opera già citata, che fu anche tradotta e ristampata. Talvolta egli non era in condizione di fornire una spiegazione relativa, per esempio, ai resoconti di misteriosi malori e morti improvvise nel vento gelido dei passi di montagna peruviani, i quali, come sappiamo oggi, sono situati tra vette di più di 6000 m di altitudine. A quei tempi l'altimetria era sconosciuta e il paragone tra le alte catene montuose, con la loro flora, dell'area tropicale e quelle familiari agli Europei poteva essere fuorviante.
Le opere geografiche: letteratura geografica specialistica
Benché non sia possibile suddividere le singole categorie della letteratura geografica in gruppi ben definiti, in quanto nelle edizioni successive le opere generali venivano spesso integrate con informazioni specifiche e le relazioni di viaggio costituivano a loro volta la base tanto delle opere di carattere generale quanto della letteratura specialistica, all'inizio dell'epoca moderna si poteva tuttavia distinguere chiaramente una tendenza alla diversificazione delle varie branche disciplinari geografiche sulla base della letteratura specialistica. Si possono distinguere quattro gruppi di scritti: 1) nautica e cartografia; 2) geografia regionale; 3) geologia; 4) biogeografia. Attraverso quest'abbondante letteratura, fino a ora non sistematicamente raccolta, le conoscenze geografiche ebbero vasta diffusione all'inizio dell'Età moderna. Dal punto di vista dei contenuti, queste opere si differenziarono solo gradualmente dalle opere di carattere generale di cui si è già detto. Soprattutto la Cosmographia di Apiano e Gemma, ristampata ancora una volta nel 1584 dal figlio di Gemma, Cornelio, rimase insuperata all'epoca. La prima parte costituiva la base più aggiornata per i manuali nautici, in cui la determinazione della posizione e la rappresentazione cartografica svolgevano una funzione di rilievo. Esempi importanti sono contenuti nel Libro de cosmographia del 1561 di Pedro de Medina e nella Instrucción nautica del 1587 di Diego Garcia de Palacio. Nella seconda metà del XVI sec. subentrarono inoltre dibattiti sempre più numerosi sul magnetismo terrestre, tra cui quello di Fernan Pérez de Oliva (1494-1531) nella sua lezione Cosmografia nueva tenuta a Salamanca nel 1526, ma pubblicata soltanto, in epoca recente, nel 1985. Soprattutto compaiono in quest'epoca tabelle con i valori della declinazione e sulla loro variabilità. Soltanto verso la fine del secolo, e quindi senza ripercussioni sull'epoca precedente di cui stiamo qui discutendo, fu utilizzata la tavola pretoriana, detta nella letteratura matematica mensula praetoriana, dal nome del professore di Altdorf Johannes Praetorius (1537-1616), e di cui si ha notizia per la prima volta nel 1598 nell'opera stampata anonima da Paul Pfintzing (1554-1599), Methodus geometrica, e nello scritto annesso Ein schöner kurtzer Extract der Geometriä und Perspectivae, in cui Pfintzing si rifà a Wenzel Jamnitzer e Albrecht Dürer. Un'altra importante raccolta di materiali utilizzata in cartografia a partire dalla seconda metà del XVI sec. furono i resoconti relativi all'Asia orientale dei missionari gesuiti i quali, fra l'altro, avevano l'incarico esplicito (instructiones) di annotare le caratteristiche geografiche, il clima e le coordinate locali di una zona e venivano redarguiti quando le relazioni erano troppo imprecise. Soltanto un archivio di questo genere, purtroppo non più conservato, e le conoscenze matematiche insegnate a Roma da Cristoforo Clavio (1537-1612), consentono di spiegare la buona conoscenza della Cina di cui disponeva Martino Martini (1614-1661), conoscenza che si riflette nel suo Novus atlas Sinensis uscito ad Amsterdam nel 1656, senza alcun precedente modello.
Nella letteratura nautica il concetto di cosmografia era stato usato opportunamente, ma lo si trova anche in uno scritto geografico di André Thevet, la Cosmographie du Levant (1554), privo di preliminari astronomico-matematici. Thevet non solo aveva navigato nel Mediterraneo orientale, ma conosceva e usava anche le rappresentazioni corografiche del Levante, senza tuttavia giungere alle osservazioni di carattere generale proprie di Sebastian Münster. Nelle opere geografiche specialistiche un posto particolare era riservato alle descrizioni della Terra Santa, che erano numerose, molto diffuse e godevano di grande popolarità. Melantone, che attribuiva grande importanza alla conoscenza geografica della Palestina, si preoccupò perché fossero tenute lezioni speciali e gli studenti venissero esaminati nella materia; sebbene il suo opuscolo Descriptio Terrae Sanctae sia piuttosto scarno, emerge la preoccupazione di diffondere le conoscenze concrete relative alle località geografiche in cui aveva avuto luogo l'evento salvifico.
Le numerose descrizioni di luoghi, come anche le prime corografie nazionali nell'Europa del XVI sec., erano nate come risultato di un'attività di raccolta e sistemazione di cognizioni già note. Ma esisteva anche un tipo di letteratura che si occupava di quelle regioni rimaste fino ad allora bianche sulla carta geografica, come nel caso della descrizione dell'Africa redatta, su commissione di papa Leone X, da un ex diplomatico marocchino, portato a Roma dopo essere stato fatto prigioniero nel 1518, e battezzato con il nome di Johannes Leo (Leone l'Africano). L'opera fu stampata per la prima volta nel 1550. Per le descrizioni geografiche e climatiche ivi contenute, lo scritto ha rappresentato, fino al XVIII sec. inoltrato, un'importante fonte di informazioni sul 'continente nero'.
La Scandinavia e le isole dell'Atlantico settentrionale, descritte da Olaus Magnus a coronamento della sua Carta marina (v. sopra) pubblicata nel 1539, erano ancora sconosciute nel XVI secolo. La sua Historia de gentibus septentrionalibus pubblicata per la prima volta nel 1555, fu riedita più volte in versione completa e, a partire dal 1558, in forma abbreviata. Prima di narrare la storia dei popoli nordici, Olaus descrive le rispettive regioni con le loro caratteristiche geografiche. Tuttavia, della rinomata arte vichinga della navigazione, già famosa nel primo Medioevo per gli spettacolari successi ottenuti, poco si parla, mentre i capitoli sistematici su venti e acque, posti all'inizio dell'opera, seguono lo schema antico-medievale che risale a Plinio. Una macchia bianca al centro dell'Europa copre l'alta catena montuosa alpina, scoperta geograficamente in effetti soltanto nel XVIII secolo. Una notevole eccezione è rappresentata dal lavoro di Josias Simler del 1576 sulle Alpi, o meglio sul loro versante elvetico. Si tratta dell'opera di un umanista e patriota, che ha raccolto la letteratura antica della sua patria in cerca d'indipendenza, documentandone in tal modo le radici storiche e geografiche.
Rimane da affrontare soltanto la letteratura biogeografica nata soprattutto dall'incontro degli Europei con i tropici. Le osservazioni biogeografiche non sono del tutto nuove, in quanto già Alberto Magno aveva focalizzato il suo interesse su questo tema (di cui Alexander von Humboldt era ancora a conoscenza), e Leone l'Africano, sulla scia della tradizione agronomica latina e araba, aveva incluso nel suo resoconto sull'Africa il mondo della flora e della fauna. Sarebbe eccessivo parlare di una letteratura biogeografica sistematica in senso stretto, in quanto le modalità espressive erano dominate dallo stupore e da ammirate metafore, sebbene fosse evidente anche un interesse individuale più profondo: nei tropici gli Europei si addentravano in un mondo che era fonte di impressioni sensoriali del tutto inconcepibili per l'Antichità. Del XVI sec., si deve citare soprattutto il resoconto di Hans Staden relativo al Brasile, apparso per la prima volta nel 1557; la descrizione del fiume Congo di Duarte Lopez e Filippo Pigafetta (Relazione del reame del Congo et delle circonvicine contrade, apparsa a Roma nel 1591; nel 1597 ne uscirà una traduzione inglese), come anche la descrizione della cosiddetta 'Isola delle Spezie' (l'attuale Indonesia) di Willem Lodewijcksz del 1598. Cinquant'anni più tardi, i tropici americani diventeranno anche la meta della prima spedizione scientifica in occasione del soggiorno del principe Maurizio di Nassau-Orange a Recife in qualità di governatore; egli si fece accompagnare da uno stuolo di scienziati il cui lavoro consisteva in rilevamenti topografici, annotazioni e raccolte.
Mentre nell'Antichità e nel Medioevo la composizione materiale della Terra non veniva trattata insieme ai vari fenomeni geologici come terremoti, eruzioni vulcaniche, erosioni e sedimentazioni, essi costituiscono invece un oggetto di studio unitario nella trattazione di Agricola (Georg Bauer, 1494-1555). Pur polemizzando spesso contro Alberto Magno (1193 ca.-1280), Agricola deve molto ai suoi scritti 'geografici' (Mineralium libri V, De causis et proprietatibus elementorum, De passionibus aeris, Physicorum sive de physico auditu libri octo, Liber methaurorum), che erano stati ristampati alla fine del XV e all'inizio del XVI secolo. Lo stesso Gregor Reisch aveva recepito queste conoscenze geologiche tradizionali nel Libro IX della sua Margarita philosophica. Benché già Alberto Magno avesse visto direttamente, durante i suoi viaggi, sia miniere che rocce, Agricola disponeva di una base informativa di gran lunga migliore: anch'egli aveva viaggiato e a Chemnitz aveva avuto frequenti contatti con i minatori della ricchissima regione sassone dei Monti Metalliferi e di altre zone minerarie attingendone molte informazioni e traendo dunque vantaggio dal notevole incremento dell'attività mineraria che faceva seguito a un lungo periodo di depressione iniziata a partire dalla metà del XIV secolo. Nei libri più antichi dedicati alle miniere, come lo Schwarzes Bergbuch o il Canzonale di Kuttenberg, le conoscenze geologiche occupano un posto ancora molto secondario rispetto agli interessi più immediatamente concernenti il lavoro di estrazione. Agricola poté avvantaggiarsi anche delle raccolte di minerali disponibili a partire dal XV secolo. Sulla base di un così vasto materiale, egli presentò nel suo scritto dedicato al principe Maurizio elettore di Sassonia, De natura fossilium libri X (Basilea 1546), un nuovo insieme di fondamenti teorici e di principî metodologici che gli valsero, ancora nel XVIII sec., da parte di Abraham Gottlob Werner (1749-1817), la qualifica di primo geologo. Se precedentemente vi era solo una distinzione molto generica tra pietre, pietre preziose e metalli, Agricola prevedeva invece una suddivisione in terre; miscele acquose solidificate (terrae aquis madidae), quelle che oggi chiameremmo rocce sedimentarie, a loro volta suddivise in miscele magre (sale, salnitro, ecc.) e miscele grasse (zolfo, bitume); pietre, distinte in pietre comuni (magnete, ematite), pietre preziose, marmi, rocce (a loro volta suddivise in: arenaria, concio, rocce detritiche, scisto e calcari); metalli e, infine, miscele le cui parti componenti possono essere separate soltanto utilizzando il fuoco (distinte in 5 tipi, di cui 4 contengono metalli).
Complessivamente, Agricola conosceva più di 700 nomi di 'fossili', 80 dei quali non meglio descritti, e anche sui loro giacimenti era eccezionalmente bene informato. Mentre il susseguirsi delle stratificazioni di varie rocce secondo un certo ordine (e il suo inverso) era già stato oggetto di attenzione da parte dei medievali, quali Avicenna e Alberto Magno, Agricola ha per primo descritto la successione di queste stratificazioni, rappresentandole anche graficamente (De re metallica libri XII), attività questa per la quale poté avvalersi, fra l'altro, delle notizie provenienti dai giacimenti minerari di Mansfeld. Egli non usa ancora il termine 'strato', ma le descrizioni precise e la sistematizzazione da lui fornita costituiscono le conquiste che più hanno contribuito a conferire un significativo impulso alla geologia moderna. La sua attività appare meno originale nella ricerca delle cause, ove egli spesso si rifà agli argomenti medievali e antichi, i quali risalgono, per esempio, alla teoria aristotelica delle qualità (il comportamento di sostanze leggere e pesanti). Già in passato erano state fatte osservazioni su erosioni e sedimentazioni provocate dai venti e dalle acque, e si conoscevano non solo i depositi alluvionali, ma anche le sedimentazioni pietrificate (scorie, stalattiti, depositi calcarei, ecc.).
Nella tradizione antica e medievale erano ritenuti responsabili dei terremoti i 'venti sotterranei' (ventus, flatus, vapor, spiritus, impetus), e per questo motivo, insieme ai fenomeni vulcanici, essi venivano di norma trattati nella cosmografia o nella meteorologia, sebbene già nel Tardo Medioevo, con Alberto Magno e Vincenzo di Beauvais, fosse stato osservato come gli effetti delle forze intratelluriche superassero di gran lunga, quanto a violenza, tutte le altre forze fisiche. Agricola si espresse soltanto sul modo in cui i 'fossili' affioravano sulla superficie terrestre: alcuni erompevano come gas, che in seguito si depositava, e come petrolio che si raccoglieva in un recipiente; altri dovevano invece essere dissepolti. Sebastian Münster, nella sua Cosmographia (I, 11) del 1544, enumerava le rocce che venivano eruttate dai vulcani. A questo proposito l'autore menzionava i casi dei vulcani Hekla, Etna e Vesuvio. Agricola descrisse dettagliatamente le eruzioni vulcaniche per le quali ora si usa il termine "lava". In modo analogo a quanto aveva fatto per gli strati di roccia, egli scelse varie analogie (massas ferri specie; crassam flammam liquidiorem; lutum paulo post congelasse et esse factum assimile lapidibus molaribus), senza, tuttavia, giungere ad alcun nuovo concetto.
Le sorgenti termali calde, considerate terapeutiche sin dall'Antichità, furono descritte più dettagliatamente nel loro odore sulfureo, nel sapore salato della loro acqua e nella composizione chimica ricca di metalli, da Leonhard Thurneysser (1530-1597). Un resoconto esauriente dei bagni frequentati nel XVI sec. sempre a scopi terapeutici si trova anche nel diario di viaggio di Montaigne (1533-1592), i cui disturbi alla vescica lo avevano spinto a recarsi in Germania, Italia e Francia. Ma, come per l'estrazione del sale, attività in cui era stato raggiunto un livello notevole di abilità tecnica, all'inizio dell'epoca moderna anche le sorgenti termali venivano considerate soprattutto sotto il profilo pratico.
Sul finire del XV e soprattutto nel XVI sec. i fenomeni geologici sembrano interessare un vasto pubblico. Ne sono una riprova per esempio le annotazioni di Leonardo da Vinci (1452-1519), conservate nel cosiddetto Codice Atlantico; le osservazioni di fossilizzazioni di animali marini trovate molto al disopra del livello del mare suscitarono in lui una serie di interrogativi sulla formazione delle montagne. Leonardo non era, tuttavia, il primo a interessarsi di fossili; già Alberto Magno, per esempio, aveva richiamato l'attenzione sulle conchiglie chiaramente riconoscibili nelle rocce di Parigi (calcare conchilifero). Il medico Girolamo Fracastoro (1483 ca.-1553), cui nel 1517 a Verona, sua città natale, erano stati sottoposti vari fossili, spiegava come i reperti non potessero rappresentare una conseguenza del diluvio universale. Questa tesi compare anche nella sua opera del 1538 Homocentrica sive de stellis, nonché in quella del giurista veronese Torello Saraina De origine et amplitudine civitatis Veronae (1540), e di Georg Braun Beschreibung und Contrafactur der vornehmster Stät der Welt (1586). Anche in Germania i fossili costituivano oggetto di studio, come testimoniano le opere di Agricola (1546), Kentmann (1565), von Gesner (1565), Moller (1570). Una classificazione storica di queste 'pietre', considerate in parte veri miracoli della Natura, non era all'epoca ancora possibile, il che però non impedì che venissero indagati con maggiore precisione e identificati vari tipi di fossilizzazione, alcuni dei quali avevano consentito anche di preservare le viscere degli animali.
Altri artisti, come Lucas Cranach (1472-1553) e Matthias Grünewald (1475 ca.-1528), giunsero attraverso i colori alla geologia, sulla scia di Plinio, la cui parte centrale dei cinque libri di mineralogia (ovvero il Libro XXXV) era dedicata proprio ai colori: Cranach con un interesse più spiccatamente commerciale rivolto all'origine delle pietre dalle quali ricavava i colori, Grünewald invece con un interesse legato ai suoi studi di alchimia.
Le annotazioni di questi artisti non furono stampate durante la loro vita, ma Valerio Cordo nella sua opera postuma del 1561 e Agricola (1546), che a sua volta aveva attinto da Cordo, scrissero sui giacimenti di ocra rossa e creta nera nella zona di Hildesheim.
È probabile che una delle collezioni di minerali più vecchie sia quella vaticana descritta da Michele Mercati (1541-1593), in un'opera per la quale Anton Eisenhoit (1554 ca.-1603) durante il suo soggiorno romano (1572-1581) incise su rame delle eccellenti illustrazioni, stampate tuttavia soltanto nel 1717. Già nel 1565 era stato stampato un catalogo di minerali e fossili del medico Johann Kentmann (1518-1568), la cui sistematica si rifaceva ad Agricola. Sempre nello stesso anno, Konrad von Gesner (1516-1565) aveva stampato una sistematica dei minerali, illustrata con immagini della sua collezione. Dopo la sua morte, la raccolta di Gesner divenne di proprietà del medico di Basilea Felix Platter, ma la sua classificazione dei minerali non ebbe alcuna risonanza. Il collezionista sassone Joannes Mathesius (1504-1565) possedeva minerali delle Alpi e dei Carpazi, che neppure Agricola conosceva, e ne faceva oggetto di commercio e scambio. Intorno alla metà del XVI sec., la maggior parte delle collezioni tuttora esistenti fu sistemata nell'ambito delle cosiddette 'Kunstkammern': a partire dal 1547 nel castello di Ambras presso Innsbruck, nel 1552 a Praga e nel 1560 a Dresda. In Francia Bernard Palissy (1510-1590), autodidatta e scrupoloso osservatore nel suo lavoro di apprendista vetraio, creò a Parigi una collezione di reperti di storia naturale, specialmente minerali e fossili, e tenne lezioni pubbliche.
Per la geologia del XV e XVI sec., la cartografia svolse un ruolo soltanto marginale. Nel Libro III del De re metallica, Agricola rappresentò visivamente le singole regole della topografia mineraria mediante schizzi di paesaggi in ciascuno dei quali lo stesso paesaggio era visto da diverse prospettive, come avveniva anche nelle rappresentazioni paesaggistiche in occasione di sopralluoghi giudiziari. Alcuni schizzi eseguiti con la stessa tecnica, che fissavano i confini di proprietà montane, oggetto di dispute giudiziarie, furono conservati a Dresda e Friburgo a partire dal 1500, mentre altri relativi a topografie minerarie risalgono al 1529.
Infine, sebbene il magnete come pietra venga nominato nella sistematica di Agricola, il magnetismo fu un argomento che svolse un ruolo non tanto nella geologia, quanto piuttosto nella cartografia e nella nautica. La declinazione magnetica si rifletteva nella diversità della direzione settentrionale magnetica quale compariva nei portolani tardo-medievali, ma si dovette attendere la metà del XVI sec. per averne la prima trattazione scritta.
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