Il regolamento UE sulla fornitura dei servizi portuali
Il reg. 2017/352/UE del 15.2.2017 ha lo scopo di migliorare l’efficienza e la concorrenza degli scali europei attraverso la facilitazione dell’accesso ai servizi nei porti e l’emanazione di norme in tema di trasparenza finanziaria. Esso conferma il vivo interesse dell’Unione europea per i traffici marittimi, considerati fondamentali per il mercato interno, e per l’efficiente funzionamento della rete transeuropea di trasporto. Allo stesso tempo, tuttavia, il testo normativo non sembra affrontare e risolvere direttamente molte delle problematiche relative alle profonde diversità tra i sistemi portuali dei diversi Stati membri. In ogni caso, allo stesso occorre riconoscere il merito di aver spostato definitivamente l’attenzione dal porto in sé considerato al porto come sistema, come snodo di una rete logistica, come centro di interessi che si estendono ben al di là del proprio territorio.
Il sistema dei porti e dei servizi resi all’interno degli stessi rappresenta ormai da anni un settore di particolare importanza per l’Unione europea, sempre al centro di un vivace dibattito giuridico-economico, legato alle continue trasformazioni ed ai numerosi adattamenti che sia le strutture sia i modelli giuridici destinati a disciplinarle subiscono a seguito dell’incessante sviluppo del comparto.
Negli ultimi anni, in particolare, il grande incremento dei traffici marittimi, lo sviluppo della globalizzazione e del trasporto multimodale stanno producendo rilevanti mutamenti nella realtà tecnico-operativa, i quali inducono a considerare il porto sempre più come sub sistema di una catena logistica, in cui il flusso di merci richiede una necessaria coordinazione di tutte le fasi del trasferimento delle stesse con le operazioni che si svolgono all’interno dello scalo portuale, nonché un armonico sviluppo dell’intera rete di trasporto, della quale i porti rappresentano importanti nodi.
Allo stesso tempo, occorre ricordare la profonda diversità che caratterizza gli scali marittimi dell’Unione, «dovuta alla loro ubicazione geografica, ai diversi tipi di attività economiche, ai diversi regimi normativi portuali e ai diversi quadri politici nazionali applicabili ai porti»1: si pensi al fatto che «da soli tre porti transita il 20% delle merci dirette in Europa»2.
Le difficoltà nell’approcciare ad una politica comune in materia è dovuta, come noto, alla «doppia anima»3 dei porti, ove l’applicazione dei principi concorrenziali si scontra con le realtà fisica dei singoli scali e con gli interessi pubblicistici da preservare, legati in particolare alle esigenze di sicurezza e di rispetto dell’ambiente.
Tra i diversi modelli di governance portuale, elaborati sia dalla dottrina sia dalle istituzioni europee4, largamente diffuso tra gli scali medio-grandi dell’Unione ed anche in Italia è il modello del landlord port, nel quale l’autorità del porto provvede alla regolamentazione e pianificazione dello scalo e delle attività in esso esercitate, mentre l’erogazione dei servizi è svolta da soggetti privati.
In tale quadro – già invero piuttosto complesso – emergono le criticità relative alla integrazione tra l’hub portuale e le catene logistiche presenti all’interno del territorio: ai fini del buon funzionamento della rete dei trasporti, infatti, non è sufficiente il mero sviluppo del singolo scalo portuale ma è necessario anche il complessivo funzionamento dei sistemi intermodali che collegano quel porto al resto del territorio.
Infine, non può trascurarsi l’estremo dinamismo con il quale tali realtà sono in costante mutamento, alla luce degli importanti cambiamenti che interessano il trasporto marittimo da un lato (gigantismo navale, necessità di scali adeguati ed infrastrutture dedicate) e la globalizzazione del trasporto stesso dall’altro, nel rispetto dei principi di sicurezza e sostenibilità ambientale.
In tale ottica, peraltro, anche le problematiche relative ai temi concorrenziali aumentano di complessità: alla concorrenza tra imprese operanti nel medesimo scalo viene ad aggiungersi quella tra operatori che forniscono i propri servizi in porti diversi. Se poi si abbandona il punto di vista del singolo operatore per passare a quello dell’intera infrastruttura portuale, occorre prendere in considerazione la concorrenza tra scali diversi nel medesimo paese, ed ancora quella tra sistemi portuali dei diversi paesi dell’Unione, e tra essi ed i paesi terzi (concorrenza «intraportuale» ed «interportuale»)5. L’evoluzione ora descritta sembra chiamare le autorità dei porti a ruoli di maggior rilievo e dinamismo, in potenziale superamento del modello landlord: in tal senso, ai fini concorrenziali, potrebbero essere necessario ridisegnare il concetto di “mercato rilevante”.
La sfida rappresentata da questa nuova dinamica realtà è alla base del più recente orientamento dell’Unione europea, confermato anche dal regolamento in commento6: superare la visione del singolo porto per prendere in considerazione la rete dei trasporti, nella quale gli scali portuali sono importanti nodi nei flussi delle merci.
Come osservato dalla Commissione, circa il 74% delle merci in entrata ed in uscita dall’Unione transita per i suoi porti marittimi, mentre entro il 2030 si prevede un aumento del 50% delle merci gestite nei porti europei nel 2011, pari a 3,7 miliardi di tonnellate7. Dal punto di vista occupazionale, il settore portuale allo stato attuale impiega direttamente ed indirettamente circa 3 milioni di lavoratori8, e si stima che entro il 2030 vi sarà una ulteriore necessità di circa il 15% di lavoratori in più rispetto ad ora9.
Tali dati spiegano il vivo interesse dell’Unione per un mercato in continua evoluzione, ricco di potenzialità e di problematiche10.
Le politiche portuali sono state oggetto, negli ultimi anni, di numerosi e significativi interventi dell’Unione, rappresentati dal Libro bianco sui trasporti del 2011, dall’iniziativa “cintura blu” e dall’atto per il mercato unico II del 2012, seguiti dall’istituzione – con reg. 2013/1315/UE – della rete transeuropea di trasporto (TENT), formata da 319 porti dell’unione attraverso i quali transita la gran parte delle merci, al fine di promuovere la coesione economica, sociale e territoriale dei paesi dell’unione, contribuire ad uno spazio unico europeo efficiente e sostenibile, con miglioramenti e vantaggi per tutti gli utenti; nonché dalla creazione del meccanismo per collegare l’Europa (MCE), istituito con reg. 2013/1316/UE. In tale contesto si innesta la proposta del presente regolamento (cd. Port Paper)11, presentata, unitamente alla Comunicazione Porti: un motore per la crescita, dalla Commissione, il 23.5.13, in cui – dopo i fallimenti iniziali in materia12 – si adotta un approccio differente, che rinuncia ad individuare un modello unico per tutti i porti dell’Unione, e che considera gli scali marittimi come fondamentali snodi della rete europea dei trasporti.
Si è giunti infine all’approvazione del reg. 2017/352/UE, il quale si applica proprio ai porti core della rete TEN-T e fa riferimento al porto non più come cellula isolata ma come elemento inserito in una rete logistica: l’obiettivo è quello di non modificare le diversità esistenti tra i vari modelli di gestione degli scali europei, e di fissare un quadro normativo comune, in modo da incidere esclusivamente su quei porti in cui tale efficienza non si è ancora sviluppata, senza imporre ulteriori oneri a quelli già ottimizzati.
Il regolamento ha una struttura del tutto simile alla proposta di regolamento presentata dalla Commissione nel 2013, essendo diviso in quattro capi contenenti complessivamente 22 articoli, preceduti da una serie di considerando: il primo capo contiene le definizioni e l’ambito di applicazione del regolamento stesso; il secondo detta norme relative alla fornitura dei servizi portuali; il terzo capo ha ad oggetto la trasparenza finanziaria degli scali e la relativa autonomia; il quarto capo, infine, contiene alcune disposizioni generali e finali.
Il testo del regolamento è preceduto da un nutrito numero di considerando, ben 57: in particolare, al considerando 10 si precisa che «il presente regolamento non impone un modello specifico di gestione dei porti marittimi e non incide in alcun modo sulla competenza degli Stati membri a fornire, nel rispetto del diritto dell’Unione, servizi non economici di interesse generale. Sono possibili vari modelli di gestione dei porti, a condizione che il quadro normativo per la fornitura di servizi portuali e le norme comuni in materia di trasparenza finanziaria di cui al presente regolamento siano rispettati».
All’art. 1, par. 1, viene quindi precisato l’oggetto del regolamento, consistente nella istituzione, da un lato, di «un quadro normativo per la fornitura di servizi portuali»; dall’altro, nella fissazione di «norme comuni in materia di trasparenza finanziaria e diritti per i servizi portuali e l’uso dell’infrastruttura portuale». Sono quindi individuate, al successivo par. 2, le categorie di servizi portuali in relazione ai quali trova applicazione il testo comunitario: rifornimento di carburante, movimentazione merci, ormeggio, servizi passeggeri, raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico, pilotaggio e servizi di rimorchio; mentre al dragaggio (art 1, par. 3), si applica solo l’art. 11, par. 2, in tema di contabilità separata (v. infra, § 2.3).
Nel medesimo articolo, al par. 4, si prevede quindi che il regolamento troverà applicazione esclusivamente in relazione ai porti facenti parte della rete transeuropea dei trasporti (TENT), elencati nell’allegato II del reg. 2013/1315/UE; è tuttavia fatta salva la possibilità per gli Stati membri di applicare il regolamento anche ad altri porti marittimi, previa comunicazione di tale decisione alla Commissione (art. 1, par. 6).
In base al successivo par. 7, si prevede espressamente che il regolamento lascia impregiudicate le direttive 2014/23/UE e 2014/24/UE, rispettivamente sull’aggiudicazione dei contratti di concessione e sugli appalti pubblici, nonché la direttiva 2014/25/UE, sulle procedure di appalto nelle public utilities13. Nell’art. 2 è contenuta, quindi, una nutrita serie di definizioni, relative alle terminologie utilizzate nel regolamento, ivi compresi i servizi portuali sopra menzionati.
Con le norme in tema di «fornitura dei servizi portuali», contenute nel capo II, il legislatore eurounitario prevede una serie di condizioni alle quali può essere subordinato l’accesso al mercato dei servizi in esame, riassunte all’art. 3: si menziona la presenza di «determinati requisiti minimi»; la «limitazione del numero di prestatori»; di «obblighi di servizio pubblico» e di «restrizioni applicabili agli operatori interni». È facoltà degli Stati membri, peraltro, non assoggettare alle condizioni ora indicate una o più categorie di servizi portuali.
I requisiti minimi che possono essere richiesti per la fornitura dei servizi portuali sono meglio specificati all’art. 4, e riguardano in particolare le qualifiche professionali, la capacità finanziaria, le attrezzature nonché la buona reputazione del prestatore dei servizi portuali, il quale sarà anche tenuto al rispetto della legislazione sociale e del lavoro presente in quel determinato Stato membro. La procedura per garantire la conformità a tali requisiti posta in essere dall’ente di gestione del porto o dall’autorità competente è contenuta nel successivo art. 5, e deve assicurare un «trattamento trasparente, obiettivo, non discriminatorio e proporzionato dei prestatori di servizi portuali». Il numero dei prestatori di servizi portuali nel porto può essere limitato per le ragioni fissate all’art. 6 e relative, tra le altre, alla eventuale carenza o diversa destinazione delle aree portuali; nel caso in cui l’assenza di tale limitazione collida con gli obblighi di servizio pubblico o contrasti con esigenze di sicurezza o di sostenibilità ambientale nello svolgimento delle operazioni stesse; nel caso in cui, infine, siano le caratteristiche stesse del porto o la natura del traffico portuale a non consentire la presenza di più operatori. Un altro limite al numero dei prestatori di servizi portuali è costituito dalla eventuale presenza di obblighi di servizio pubblico che gli Stati membri – o gli enti di gestione all’uopo incaricati – possono imporre agli stessi al fine di garantire la disponibilità del servizio a tutti gli utenti, con continuità, senza discriminazioni; la relativa accessibilità economica per determinate categorie di utenti, la sicurezza e la sostenibilità ambientale delle operazioni stesse (art. 7). L’ente di gestione del porto (o l’autorità competente) può in ogni caso decidere di prestare direttamente un servizio portuale o per il tramite di un organismo distinto sul quale esercita un controllo analogo a quello che ha sulla propria struttura (cd. operatore interno, art. 8).È importante precisare che il capo II e le misure transitorie previste all’art. 21 non trovano applicazione in relazione alla movimentazione merci, ai servizi passeggeri o al pilotaggio (art. 10): è facoltà degli Stati membri eventualmente deciderne l’applicazione, previa comunicazione alla Commissione, al pilotaggio (si veda al riguardo il considerando 39), il cui regime di responsabilità è stato recentemente ritoccato (l. 1.12 2016, n. 230)14.
Il capo III contiene tre articoli in tema di trasparenza finanziaria: all’art. 11 si prevede innanzitutto una indicazione chiara dei rapporti finanziari intercorrenti tra la pubblica autorità e l’ente di gestione del porto beneficiario di fondi pubblici, relative in particolare all’assegnazione ed all’utilizzo di tali fondi. Inoltre, è necessario che l’ente di gestione beneficiario dei fondi pubblici che eserciti in proprio – o tramite un ente per suo conto – uno o più dei servizi portuali o di dragaggio, mantenga una contabilità separata da quella relativa alle altre attività.
Espressa indicazione in contabilità devono anche avere i fondi pubblici erogati come corrispettivo di obblighi di servizio pubblico, né possono essere trasferiti ad altri servizi o attività (art. 11, par. 7).
Il regolamento inoltre, rispettivamente agli artt. 12 e 13, disciplina i diritti per i servizi portuali ed i diritti d’uso dell’infrastruttura portuale.
Con riferimento ai primi, si prevede che essi siano fissati in maniera trasparente e non discriminatoria in tutti i casi in cui siano dovuti diritti ad un operatore gravato da obblighi di servizio pubblico, siano dovuti diritti per servizi di pilotaggio non esposti alla concorrenza o si tratti di diritti riscossi da operatori portuali in obbligo di servizio pubblico o comunque da un operatore interno in obbligo di servizio pubblico. I diritti per l’uso dell’infrastruttura portuale, invece, «sono stabiliti in base alla strategia commerciale e ai piani di investimento del porto e rispettano le norme in materia di concorrenza»; e l’ente di gestione del porto garantisce che tutti gli utenti del porto siano informati circa la natura ed il livello dei diritti relativi all’uso dell’infrastruttura portuale.
Il capo IV contiene infine un insieme di disposizioni di carattere generale: anzitutto, particolare attenzione è posta sulla formazione dei dipendenti degli operatori portuali, con particolare attenzione alle tematiche della salute e della sicurezza (art. 14, considerando 37).
Si ribadisce la necessità di consultazione degli utenti del porto e delle parti interessate sulla tariffazione, sulle modifiche dei diritti d’uso della infrastruttura e dei diritti per i servizi portuali in caso di presenza di operatore interno, nonché in relazione alle materie essenziali di competenza dell’ente di gestione dello scalo (art. 15, considerando 52).
Sono altresì fissate disposizioni in merito alla gestione dei reclami (art. 16) e dei ricorsi (art. 18); si prevede inoltre che le norme sulle sanzioni applicabili in caso di violazione del regolamento stesso sono emesse dai singoli Stati membri (art. 19).
Il regolamento troverà applicazione a far data dal 24.3.2019 (art. 22), ed entro i quattro anni successivi la Commissione presenterà una relazione «sul funzionamento e sugli effetti» del regolamento (art. 20).
Dal confronto delle norme approvate con la proposta presentata dalla Commissione nel 2013, la versione definitiva del testo sembra aver tenuto in considerazione le osservazioni formulate nei pareri del Comitato economico e sociale europeo e del Comitato delle regioni, e pertanto rappresenta senza dubbio un avanzamento rispetto alla proposta del 2013.
Tra le modifiche apportate, è stato eliminato ogni riferimento relativo all’«accesso al mercato dei servizi portuali», sostituito con la semplice «fornitura dei servizi portuali»15, in linea con la volontà di non predisporre un modello unico di gestione.
Del pari opportuna è stata l’esclusione dell’applicazione del capo II al servizio di pilotaggio, per le ragioni meglio evidenziate nel considerando 39, così come l’esclusione del dragaggio dall’integrale applicazione del regolamento, ad eccezione delle norme in tema di contabilità separata, «non costituendo un servizio portuale offerto agli utenti», come precisato all’art. 2, n. 4.
Certamente condivisibile appare poi l’attenzione posta sulla trasparenza finanziaria degli scali, legata alle note problematiche relative agli aiuti di stato16: anche in questo caso, la versione finale del regolamento rafforza il potere decisionale e la discrezionalità dell’ente di gestione nella determinazione dei diritti di uso della infrastruttura, eliminando il riferimento agli atti delegati che la Commissione – secondo la proposta – avrebbe potuto adottare circa la classificazione di «imbarcazioni, carburanti e tipologie di operazioni»17.
Si escludono, altresì, ulteriori oneri ed appesantimenti organizzativi: l’ente di gestione è tenuto alla sola consultazione degli «utenti del porto», così escludendo nella versione approvata l’istituzione di un apposito «comitato consultivo degli utenti del porto», prevista invece nella proposta18.
Nello stesso senso, è stata eliminata anche l’istituzione di un «organismo indipendente di vigilanza» deputato al controllo ed alla supervisione del regolamento stesso19 nonché alla cooperazione tra organismi di vigilanza dei vari Stati membri: la possibilità di presentazione dei reclami dinanzi ad un organismo indipendente può infatti essere garantita attraverso il ricorso ad un organismo già esistente, senza la necessità di ulteriori oneri derivanti dalla creazione di nuovi soggetti.
A fronte delle modifiche ora indicate, permangono tuttavia alcune problematiche, evidenziate anch’esse in sede di commento della proposta, che non sembrano risolte20.
In primo luogo, devono ribadirsi le perplessità suscitate dalla scelta dello strumento del regolamento, in contrasto con la volontà di non incidere sui diversi modelli di gestione portuale21, e più in generale relative alla tecnica utilizzata dal legislatore europeo.
Al riguardo, occorre evidenziare la apparente contraddittorietà del testo eurounitario, il quale nel promuovere una maggiore efficienza dei porti e nello stabilire principi per una trasparenza finanziaria, da un lato, non arriva ad imporre meccanismi e procedure specifici, lasciando agli Stati membri la possibilità di adattare i precetti normativi forniti, nel dichiarato rispetto delle diversità anche significative che caratterizzano il settore portuale; dall’altro, tuttavia, fissa alcuni obblighi di dettaglio che potrebbero non rappresentare una valida soluzione al problema e tradursi, di fatto, in ulteriori appesantimenti nella gestione del sistema, con risultati opposti a quelli sperati. Appare, in ogni caso, difficile definire procedure e individuare principi applicativi – sia in relazione alla fornitura dei servizi sia in riferimento alle norme sulla trasparenza – senza tuttavia effettuare alcun intervento sulla base istituzionale e giuridica che giustifica, allo stato, i diversi assetti dei porti dell’Unione e le differenze che li caratterizzano22. È stato inoltre osservato che tale regolamento potrebbe aumentare la frammentarietà della disciplina relativa alle attività portuali23, considerando che troverebbe applicazione unicamente per i porti della rete TENT, frammentarietà che si aggiunge alla mancata applicazione del regolamento al servizio di pilotaggio, nonché ai servizi di movimentazione merci e assistenza passeggeri24, oltre alle limitazioni che possono essere attuate nei singoli porti a norma del regolamento stesso. Le stesse definizioni di servizi portuali utilizzate nel regolamento all’art. 2, peraltro, in molti casi non corrispondono esattamente a quelle utilizzate nelle diverse discipline nazionali, circostanza che potrebbe concorrere ad ingenerare ulteriori problemi interpretativi ed applicativi25. Ancora, permangono le perplessità circa l’inserimento, tra i servizi portuali oggetto del regolamento, dei cd. servizi tecnico-nautici diversi dal pilotaggio (rimorchio, ormeggio), caratterizzati anch’essi da finalità di carattere generale, legate alla «sicurezza della navigazione e dell’approdo»26, e quindi non sempre idonei ad essere aperti ad un mercato concorrenziale27. Infine, si deve registrare, anche nel testo definitivo, la mancanza di qualsivoglia riferimento all’autoproduzione, nonché l’assenza di norme efficaci e complete in tema di lavoro portuale28. In conclusione, il regolamento rappresenta il concreto riconoscimento, da parte dell’Unione, della necessità di sviluppare la concorrenza e la efficienza non solo del mero scalo portuale – obiettivo già realizzato invero negli anni passati, sebbene con modalità e risultati differenti – ma dell’infrastruttura portuale unitamente alla componente logistica: il sistema portuale, uno snodo di una rete transeuropea di trasporto, la cui inefficienza o sub efficienza potrebbe compromettere il funzionamento dell’intera rete. Le scelte effettuate dal legislatore eurounitario e la tecnica adottata inducono, tuttavia, a ritenere che il testo in esame sarà soggetto ad applicazioni disomogenee e potenzialmente contrastanti, e non fugano i dubbi sull’effettiva efficacia dell’intervento adottato.
Peraltro, le tendenze emerse nella prassi in ordine ad una maggiore autonomia imprenditoriale ed integrazione delle autorità del porto con le fasi precedenti e successive all’ingresso ed all’uscita delle merci nello scalo29 sembrano non andare di passo, ad esempio, con le recenti modifiche apportate in Italia alla materia dell’ordinamento organizzativo portuale30, le quali continuano ad evidenziare in maniera netta la distinzione tra i poteri di indirizzo e controllo – ora attribuiti alle nuove Autorità di Sistema Portuale, espressamente qualificate quali enti pubblici non economici31 – e l’attività imprenditoriale ed operativa, affidata ad imprese all’uopo autorizzate. Occorrerà, pertanto, attendere pazientemente i primi anni di applicazione del testo in commento per valutare se effettivamente le scelte fatte dal legislatore dell’Unione saranno in grado di far vincere agli scali europei le difficili sfide che li attendono in un assetto globalizzato, equilibrandone in concreto l’efficienza e la trasparenza, ed al contempo incrementandone la competitività.
Note
1 L’espressione è utilizzata nel Parere del Comitato delle regioni – Quadro sulla futura politica portuale dell’UE del 28.11.2013, relativo alla proposta di regolamento in esame, in GUUE C 114/57 del 15.4.2014, par. 5.
2 Sic Comunicazione della Commissione Porti: un motore per la crescita del 23.5.2013, COM(2013) 295 final, 4.
3 L’espressione è di Vezzoso, G., La riforma dei porti italiani in una prospettiva europea, in Giureta, 2015, 256.
4 Alla distinzione formulata dalla dottrina tra landlord port authorities, comprehensive port authorities e company ports si aggiunge quella di matrice europea tra public service ports, tool ports, landlord ports e fully privatized ports. In generale sull’argomento, oltre ai contributi indicati in Ragazzoni, D., La proposta UE sull’accesso ai servizi portuali, in Libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014, 464, nt. 3, si veda l’indagine svolta dall’ESPO – l’organizzazione dei porti europei – dal titolo Trends in EU port governance 2016, scaricabile dal sito www.espo.be, oltre ai contributi di Vezzoso, G., Politica portuale europea e riforma dei porti in Italia, in Giureta, 2014, 243 ss.; Id., La riforma dei porti italiani in una prospettiva europea, cit., 260 ss.; Crismani, A., Competizione cooperativa tra modelli portuali differenziati, in Riv. dir. nav., 2015, 173 ss.
5 Sul tema si veda Crismani, A., op. cit., 161 ss.
6 Reg. 2017/352/UE del 15.2.2017 del Parlamento e del Consiglio «che istituisce un quadro normativo per la fornitura di servizi portuali e norme comuni in materia di trasparenza finanziaria dei porti», in GUUE L 57/1 del 3.3.2017.
7 Si veda la Comunicazione della Commissione Porti: un motore per la crescita, cit., 3 e 5.
8 Il dato è menzionato nel Parere del Comitato delle regioni, cit., par. 1.
9 In tal senso il Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento, dell’11.7.2013, in GUUE C 327/111 del 12.11.2013, par. 5.1.
10 Sul tema, in generale, si veda Vezzoso, G., Politica portuale europea e riforma dei porti in Italia, cit., 235 ss.
11 Per un commento alla proposta di regolamento, sia consentito rinviare a Ragazzoni, D., La proposta UE sull’accesso ai servizi portuali, cit., 461 ss. Al riguardo si vedano anche i rilievi critici presenti in Vezzoso, G., Politica portuale europea e riforma dei porti in Italia, cit., 256 ss.; Id., La riforma dei porti italiani in una prospettiva europea, cit., 281 ss.
12 Si vedano i riferimenti presenti in Ragazzoni, D., La proposta UE sull’accesso ai servizi portuali, cit., 464, nt. 2.
13 Alle tre direttive è stata data attuazione in Italia con d.lgs. 18.4.2016, n. 50 (cd. codice degli appalti pubblici), con il relativo primo correttivo di cui al d.lgs. 19.4.2017, n. 56.
14 Per maggiori approfondimenti, v. in questo volume, Diritto dei trasporti, 1.1.2 La nuova responsabilità nel pilotaggio.
15 Le modifiche riguardano, in particolare, il titolo del regolamento, l’oggetto del regolamento – art. 1, par. 1, lett. a) – ed il titolo del capo II.
16 Si vedano al riguardo le decisioni della Commissione contro Belgio – C(2017) 5174 final – e Francia – C(2017) 5176 final – del 27.7.2017 in tema di aiuti di stato in ambito portuale.
17 Il riferimento è all’art. 14, par. 5 della proposta, eliminato nella versione finale del regolamento.
18 Si confrontino al riguardo le diverse formulazioni – nella proposta e nel testo licenziato – dell’art. 15.
19 Il riferimento è agli artt. 17 e 18 della proposta di regolamento, non presenti nella versione definitiva. Si vedano al riguardo le osservazioni critiche presenti nel Parere del Comitato delle regioni, cit., parr. 20 e 21, e nel Parere del Comitato economico e sociale, cit., parr. 1.7 e 4.8, e condivise in dottrina da Vezzoso, G., Politica portuale europea e riforma dei porti in Italia, cit., 260; Id., La riforma dei porti italiani in una prospettiva europea, cit., 283 ss.
20 In generale sulle criticità della proposta si veda Ragazzoni, D., La proposta UE sull’accesso ai servizi portuali, cit., 463 ss.; Vezzoso, G., Politica portuale europea e riforma dei porti in Italia, cit., 256 ss.; Id., La riforma dei porti italiani in una prospettiva europea, cit., 281 ss., oltre ai già citati pareri del Comitato delle regioni e del Parere del Comitato economico e sociale.
21 Le perplessità sono condivise nel Parere del Comitato delle regioni, cit., ove si osserva al par. 7: «Sarebbe contraddittorio optare per uno strumento giuridico direttamente e interamente vincolante qual è il regolamento, riconoscendo nel contempo il ruolo centrale degli Stati membri e degli enti regionali e locali che partecipano allo sviluppo delle infrastrutture portuali. Una direttiva, inoltre, sarebbe più adatta a tenere conto della grande diversità esistente tra i porti dell’UE». In dottrina si vedano le osservazioni critiche di Vezzoso, G., Politica portuale europea e riforma dei porti in Italia, cit., 259; Id., La riforma dei porti italiani in una prospettiva europea, cit., 282 ss. Si richiamano al riguardo anche le osservazioni della commissione del senato indicate in Ragazzoni, D., La proposta UE sull’accesso ai servizi portuali, cit., 463 e 464, nt. 5.
22 Sul tema ancora Vezzoso, G., Politica portuale europea e riforma dei porti in Italia, cit., 256 ss.; Id., La riforma dei porti italiani in una prospettiva europea, cit., 290 ss.
23 Si richiamano ancora Ragazzoni, D., La proposta UE sull’accesso ai servizi portuali, cit., 463; Vezzoso, G., Politica portuale europea e riforma dei porti in Italia, cit., 257.
24 L’esclusione è legata all’applicazione, nel caso di specie, delle direttive 2014/23/UE e 2014/24/UE.
25 Si veda in tal senso Ragazzoni, D., La proposta UE sull’accesso ai servizi portuali, cit., 463.
26 Sic art. 14, co. 1bis, l. 28.1.1994, n. 84.
27 In tal senso anche il Parere del Comitato delle regioni, cit., par. 13, in base al quale, trattandosi di servizi di interesse generale legati alla sicurezza ed alla tutela dell’ambiente, non sono come tali assoggettabili alle logiche del mercato. In tal senso anche il Parere del Comitato economico e sociale europeo, cit., par. 1.3. Per ulteriori considerazioni circa la possibilità di apertura al mercato nella fornitura di tali tipologie di servizi, si veda Ragazzoni, D., La posizione della AGCM sui servizi tecnico-nautici, in Libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014, 465 ss. Circa le recenti modifiche legislative nel nostro paese relative ai servizi tecnico-nautici ed in particolare al pilotaggio, si vedano anche le modifiche apportate dalla l. 1.12.2016, n. 230, in relazione alla quale si rimanda a Zampone, A., La nuova responsabilità nel pilotaggio, in questo volume.
28 Si rimanda alle osservazioni di Ragazzoni, D., La proposta UE sull’accesso ai servizi portuali, cit., 463; Vezzoso, G., Politica portuale europea e riforma dei porti in Italia, cit., 258 ss.; Id., La riforma dei porti italiani in una prospettiva europea, cit., 288 ss.
29 Si veda al riguardo Vezzoso, G., Politica portuale europea e riforma dei porti in Italia, cit., 265 ss.
30 In riferimento è al d.lgs. 4.8.2016, n. 169, in relazione al quale si veda Mancini, F., Le Autorità di sistema portuale, in Libro dell’anno del Diritto 2017, Roma, 2017, 473 ss.
31 In tal senso l’art. 6, co. 5, l. n. 84/1994, in seguito alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 169/2016.