Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le opere di architettura e scultura promosse in Italia meridionale dall’imperatore Federico II costituiscono un momento decisivo per lo sviluppo del linguaggio figurativo occidentale, grazie al recupero di un classicismo inteso come studio dei modelli antichi e attenzione quasi scientifica al dato naturale.
Nato a Jesi il 26 dicembre 1194, Federico II viene incoronato nel 1198 re di Sicilia, titolo che precede di alcuni anni la nomina imperiale. Gli anni Venti del XIII secolo sono dedicati dall’imperatore soprattutto al riordino amministrativo e legislativo del regno meridionale, operazione strettamente connessa con l’enorme sforzo edilizio intrapreso per la fortificazione e la protezione del territorio. Le energie spese per la riorganizzazione del Regno di Sicilia portano Federico a rimandare la crociata promessa al papa in occasione del IV concilio Lateranense (1215): la spedizione, effettuata dopo la scomunica papale, si risolve nell’accordo stipulato nel 1228 con il sultano d’Egitto Malik al-Kamil, con cui Gerusalemme viene ceduta per dieci anni agli occidentali. Pur se anomala dal punto di vista militare, la cosiddetta crociata degli scomunicati rappresenta un momento fondamentale per lo sviluppo dell’arte federiciana, perché permette all’imperatore di venire a contatto con modelli culturali e soprattutto architettonici che verranno poi riadattati e rielaborati nella produzione artistica dell’Italia meridionale.
Gli anni Trenta e Quaranta del XIII secolo sono segnati dalla crescente ostilità dei Comuni lombardi: le difficoltà militari – tra cui è emblematica la sconfitta di Fornovo, nei pressi di Parma, nel 1248 – causano in Italia meridionale un repentino blocco dei numerosi cantieri edilizi avviati, che si interrompono bruscamente quando nel 1239 si rende indispensabile la ridistribuzione dei fondi. Ammalatosi gravemente nel 1250, l’imperatore muore a Castelfiorentino, in Puglia, ed è sepolto, come da sue precise indicazioni, a Palermo, con le insegne del potere imperiale.
Strettamente collegato alla politica federiciana di controllo del territorio nel regno siciliano è il fervore architettonico che caratterizza, a partire dal 1230, l’Italia meridionale: negli stessi anni in cui vengono promulgate le costituzioni di Melfi è indetto dall’imperatore un censimento delle rocche, dei castelli e delle residenze (Statutum de reparatione castrorum) così da redigere un elenco delle strutture difensive di competenza regia presenti sul territorio pugliese e siciliano, su cui intervenire con restauri, consolidamenti, fortificazioni.
Tra il 1225 e il 1240 vengono edificati, a volte sfruttando preesistenti costruzioni normanne, numerosi castelli che hanno lo scopo non solo di proteggere il territorio da eventuali invasioni – rischio che fu assai basso durante il regno di Federico II – ma soprattutto di segnalare anche visivamente la presenza del re su tutto il territorio. Si delinea un modello di costruzione più volte ripetuto e via via adattato alle specifiche morfologie territoriali, come appare evidente negli esempi di Foggia (1223), Barletta (1225-1228), Brindisi (1227), Lucera (1233, oggi ridotto a rudere), Trani (1230-1233), Siracusa (1232-1240), Bari (1233-1240), per citare solo gli esempi più famosi.
Il castrum federiciano, l’innovazione più caratteristica nel panorama della contemporanea architettura militare, è impostato intorno a una corte quadrata o rettangolare, rafforzato agli angoli e lungo le cortine da torri in blocchi di pietra sbozzata, a base poligonale, con ambienti coperti da volte costolonate ad arco acuto. Esso si connota per un linguaggio aulico e insieme funzionale, che trova i suoi presupposti nei modelli di fortificazioni crociate in Terrasanta, nella razionalità e nella eccezionale perizia tecnica delle costruzioni cistercensi. Probabilmente molti di questi edifici non nascono per accogliere Federico tra le loro mura, ma per proclamare “con armoniche masse turrite che egli era là, vigile” (A. Cadei, Federico II. Architettura e scultura, 1995).
In questo senso va letto lo straordinario Castel del Monte (Andria), dove forse i lavori si interrompono bruscamente nel 1240, quando, a seguito della lotta con i comuni lombardi, l’imperatore si vede costretto a bloccare molti cantieri, o, secondo una diversa cronologia, nel 1250, per la morte di Federico. L’edificio ha pianta ottagonale e a ogni angolo si innesta una torre, a sua volta ottagonale; lo spazio interno, strutturato su due piani, è costituito da otto stanze trapezoidali, coperte attraverso un complesso sistema di volte a crociera e spicchi di volta a botte. In un modo forse più marcato che per altre costruzioni federiciane, i modelli – anche se è impossibile trovare un diretto ed esatto precedente – vanno ricercati in certe architetture islamico-orientali del X secolo, come i palazzi omayyadi diffusi tra Siria, Palestina e Giordania, e nelle architetture della Terrasanta, che in questi anni servono da modello per le costruzioni di numerosi committenze legate alle imprese crociate. Difficile è giungere a conclusioni definitive sull’utilizzo dell’edificio che, pur presentando strutture militari, non è posto in una zona strategica e manca degli ambienti necessari a renderlo residenza estiva o base per battute di caccia: forse il suo significato sta racchiuso nell’elaborazione della forma ideale dell’edificio turrito a pianta ottagonale, svincolata dalla necessità di assolvere precise funzioni pratiche, grandioso segnale visivo della potenza regia.
Accanto a Castel del Monte, capolavoro assoluto dell’architettura federiciana, la Porta di Capua (1234-1239), eretta al confine tra il regnum meridionale e lo Stato Pontificio, è forse il monumento di maggior impegno progettuale, stilistico e formale eseguito dagli scultori pugliesi. Insieme porta della città, sistema difensivo sul fiume Volturno e arco trionfale per l’imperatore, il monumento, oggi ridotto a rudere dopo la parziale distruzione del 1557 e i bombardamenti del 1943, è una grandiosa macchina architettonica e plastica, che ben illustra il valore ideologico e programmatico dell’arte federiciana. A tre piani, in tufo grigio, era interamente ricoperta di bassorilievi e sculture in pietra chiara, come mostrano due disegni di Francesco di Giorgio Martini oggi conservati agli Uffizi: il fulcro della decorazione era la statua centrale dell’imperatore, direttamente ispirata alla statua di Costantino, visibile allora nella basilica di Massenzio. La struttura architettonica, insieme all’apparato scultoreo, posta al confine del territorio federiciano, funzionava come manifesto ideologico per chi arrivava in quelle terre provenendo dallo stato pontificio e contribuiva a proclamare l’impronta civile del regno e della giustizia che vi si amministrava: suo garante è l’imperatore, unico e legittimo erede dell’impero antico.
La porta, di cui si conservano alcuni frammenti scultorei nel Museo provinciale di Capua, è opera di una bottega composita, in cui maestranze locali coabitano con altre già caratterizzate da un preciso senso della spazialità, mai soffocata dal dettaglio descrittivo. È questo uno dei cantieri decisivi in cui si forma la personalità artistica di Nicola Pisano.
Il recupero quasi filologico dell’antico, che passa attraverso un reimpiego anche utilitaristico di materiali – non a caso, infatti, molti cantieri federiciani sorgono in zone archeologiche in cui è possibile riutilizzare pezzi romani –, l’uso consapevole dei mezzi stilistici e la perfetta aderenza della forma al messaggio ideologico da trasmettere, uniti a un ripensamento delle caratteristiche e del valore propagandistico dell’opera d’arte, creano nell’Italia meridionale della prima metà del XIII secolo un linguaggio figurativo nuovo, che sarà linfa vitale per tutta la produzione scultorea dai Pisano ad Arnolfo di Cambio.
Un analogo discorso può essere svolto per le sculture che decoravano Castel del Monte dove, secondo alcune ipotesi critiche, si può intravedere la mano del giovanissimo Nicola: nei reggi-mensola, nelle chiavi di volta con teste coronate di pampini o uomini barbuti, nelle cornici in porfido, il modello antico diventa parametro stilistico nella resa del dato naturale, attraverso una sicura conoscenza dei risultati più aggiornati della scultura gotica francese.
Il classicismo federiciano non è solo riproposta di modelli e recupero di abilità e tecniche: è anche coerente proposta ideologica, come nella messa in scena della propria sepoltura che un Federico giovanissimo dispone per via testamentaria. Nel 1215 fa spostare da Cefalù a Palermo due sarcofagi romani di porfido rosso dove far seppellire il padre, Enrico VI, e se stesso, vestito delle insegne del Sacro Romano Impero d’Occidente, proseguendo una tradizione già iniziata da Ruggero II (1095-1154). La celebrazione è insieme recupero dell’antico, attraverso la scelta del monumento romano, richiamo alle origini normanne, con la prosecuzione di una tradizione già degli Altavilla, e riaffermazione decisa del ruolo di imperatore, con la scelta delle insegne del potere con cui essere tumulato.
L’architettura e la scultura rivestono il ruolo di arti maggiori nell’ambito della produzione federiciana. Pochissime sono le testimonianze pittoriche, perduti il ciclo profano che decorava il castello di Roseto in Calabria e la decorazione a fresco o a mosaico del palazzo imperiale di Napoli. Fra i pochi dipinti superstiti si segnala l’affresco con l’incontro dei tre vivi e dei tre morti dipinto su due pareti contigue nella Cattedrale di Atri.
La quasi totale assenza di pittura monumentale di epoca federiciana in Italia meridionale può forse spiegarsi con un consapevole programma imperiale: se i sovrani normanni hanno affidato la promozione della loro immagine soprattutto alle grandi cattedrali, rivestite di decorazioni musive, in un collegamento voluto e diretto con la tradizione bizantina, Federico, rex romanorum, spezza questo filo privilegiato, facendosi promotore di architetture e sculture civili.
Differente è il discorso che riguarda la miniatura e l’esecuzione di numerosi codici, volumi di lusso che viaggiano con la corte, come dimostra il fatto che il prezioso De arte venandi cum avibus viene sottratto a Federico nel 1248, durante la battaglia di Fornovo. Come la scultura, anche i manoscritti scientifici – ognuno con la propria specifica individualità, a differenza della Bibbia –costituiscono una serie organica e sono maggiormente legati alla produzione parigina degli anni Quaranta del XIII secolo. Essi recuperano il linguaggio della tradizione classica, inteso come ricerca di nuove formule conoscitive e quindi descrittive della realtà, in grado di fornire strumenti efficaci per la rappresentazione della verità di natura.
In particolare il De arte venandi cum avibus, trattato sull’arte venatoria e sulla falconeria, contiene dettagliate informazioni scientifiche sui sistemi di allevamento, addestramento e impiego degli uccelli rapaci nella caccia. Tramandato in differenti versioni, tra cui il codice Palatino Latino 1071 della Biblioteca Apostolica Vaticana, costituisce un chiaro esempio del raffinato ambiente della corte federiciana, aperto a numerosi stimoli e caratterizzato da una viva curiosità nei confronti della natura. Il ricco apparato miniato, che descrive con puntualità e straordinaria attenzione più di 80 specie di uccelli e cani, è una vera e propria rappresentazione scientifica, basata sull’osservazione diretta del dato naturale, ritratto con realismo e vivace gusto narrativo .
Notevoli sono anche i risultati raggiunti nella glittica, nell’oreficeria e nella numismatica: Federico II è attento collezionista di pezzi antichi – recente è l’ipotesi che l’imperatore abbia acquistato nel 1239 la celebre tazza Farnese, oggi conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli – e promotore di una produzione classicheggiante, in grado di interpretare con raffinatezza la figura imperiale e i suoi emblemi.
L’augustale in oro, moneta imperiale coniata nelle zecche di Brindisi e di Messina, esprime, nel nome e nell’iconografia, tutta la pregnanza del progetto imperiale di Federico II e la profondità del suo legame con l’antico.