Il probation per gli imputati maggiorenni
Incalzato dalla sentenza “pilota” Torreggiani c. Italia ad adottare entro tempi brevi degli interventi normativi per far fronte al sovraffollamento carcerario e al carico giudiziario, con la l. 28.4.2014, n. 67 il legislatore ha introdotto il nuovo istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’adulto. Il meccanismo, già contemplato in molteplici proposte di riforma,mira a ridurre il rischio di recidiva, favorisce il reinserimento sociale dell’autore del reato e valorizza gli strumenti di riparazione diretta o indiretta del danno derivante dal reato. Configurato come una nuova causa di estinzione del reato e un nuovo procedimento speciale, l’istituto, frettolosamente approvato, solleva non poche questioni e dubbi interpretativi sul piano sostanziale e processuale.
La sospensione del procedimento con messa alla prova destinata agli adulti consente che, in determinati casi, l’accusato, invece che processato, venga sottoposto – col suo consenso – ad un programma di prova consistente, in particolare, nella prestazione del lavoro di pubblica utilità: se la prova è positiva, il reato si estingue e il processo evitato. Il meccanismo si colloca nel cono della logica di maggiore mitezza ed umanità del sistema penale e prevede il coinvolgimento attivo del reo con la vittima del reato1, secondo un modello di giustizia meno repressivo, basato su un paradigma rieducativo, riabilitativo e conciliativo. Nonostante l’assonanza con l’istituto minorile, i due istituti non hanno punti di contatto. La messa alla prova dell’adulto è autonoma.
Essa si fonda su parametri oggettivi (tipologia e gravità dei reati) e su una prognosi di non recidiva che impone un’adeguata indagine sulla personalità del maggiorenne, a cui la misura si adatta in una logica rieducativa e non, come per il minore, educativa, anche ai fini di un suo coinvolgimento diretto e mirato verso la vittima del reato. In ragione dell’esaltazione del valore dell’efficienza e della deflazione processuale, lo Stato rinuncia ad applicare la pena chiedendo all’imputato che non venga reiterato il reato e che presti il lavoro in favore della collettività, conseguendo il vantaggio di un trattamento sanzionatorio meno afflittivo rispetto a quello che seguirebbe all’accertamento pieno della responsabilità.
1.1 La disciplina sostanziale.
Le condizioni oggettive e soggettive Quanto alla disciplina sostanziale può affermarsi che l’istituto sospensivo (concessione e esecuzione) riposa esclusivamente sull’iniziativa dell’imputato (art. 168 bis, co. 1, c.p. e art. 464 bis, co. 1, c.p.p.): l’opzione si conforma alla natura giuridica della messa alla prova che è una misura penale, dal contenuto afflittivo (art. 168 bis, co. 2, c.p.), fondata su un accertamento che non può essere contrassegnato dalla pienezza, ma dalla sommarietà e provvisorietà (art. 464 quater, co. 1, c.p.p.: «il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129, decide con ordinanza»), anche in ragione della fase processuale nella quale la misura è applicata (indagini preliminari; udienza preliminari e atti preliminari al dibattimento). Il consenso, replicato in più parti del testo, manifesta la natura dell’istituto e preserva il diritto di difesa e i principi di legalità, di presunzione di non colpevolezza e del “giusto processo” (artt. 24, 25, 27 e 111 Cost.). Il carattere dell’istituto importa una limitazione del beneficio ai soggetti sottoposti ai reati puniti con pena detentiva sola o congiunta alla pena pecuniaria non superiore nel massimo a quattro anni e quelli previsti all’art. 550, co. 2, c.p.p. (artt. 168 bis, ter e quater c.p.). Il rinvio al limite edittale esclude ogni rilievo alle circostanze aggravanti. Nulla è previsto, invece, in caso di concorso o cumulo di altri reati, commessi prima o dopo l’istanza o pendenti davanti allo stesso o a giudici diversi, anche in sedi differenti: in tali casi la decisione è rimessa alla discrezione del giudice. Se la messa alla prova mira a ridurre il rischio di recidiva, ben si comprende che essa sia interdetta ai delinquenti abituali, professionali e per tendenza, e non possa essere concessa più di una volta. Non è chiaro, invece, in assenza di indicazioni legali, se possa giovarsene il recidivo e il recidivo reiterato e la persona sottoposta a misura cautelare, considerato il carattere e il contenuto della prova.
1.2 L’articolato contenuto della prova
Complesso e articolato appare il contenuto della messa alla prova che può essere distinto in due componenti: quella retributiva ed obbligata (affidamento in prova e lavoro di pubblica utilità) e quella riparativa, del tutto facoltativa (condotte riparatorie e mediazione).
Rispettando le indicazioni europee, sono introdotti strumenti e tecniche di riparazione diretta o indiretta del danno derivante dal reato, valorizzando l’interesse della vittima del reato. Trattasi, tuttavia, di “nuovi” strumenti tutti da costruire sul piano normativo, organizzativo e applicativo, capaci, ad ogni buon conto, di restituire dignità alla persona offesa dal reato che – a prescindere dalla sua costituzione come parte civile – viene sentita in sede di ammissione e valutazione finale della prova espletata (artt. 464 quater, co. 1, 464 septies, co. 1, e 464 octies c.p.p.). Il suo parere – non vincolante – agevolerà il giudizio sul reale grado di offensività dell’illecito. La tutela della vittima importa, altresì, che, ai fini della concessione, il giudice tenga conto che il domicilio indicato dall’imputato nel programma di trattamento sia tale da assicurarle adeguate garanzie (art. 464 quater, co. 3, c.p.p.).L’aspetto retributivo si concentra nell’affidamento dell’imputato al servizio sociale (per un suo reinserimento), in una serie di prescrizioni giudiziarie facoltative (regole comportamentali, obblighi di fare e di non fare, limiti alla libertà di movimento), ma, soprattutto, nello svolgimento del lavoro di pubblica utilità. Quest’ultimo, originariamente facoltativo, è delineato dalla legge quale prestazione non retribuita, calibrata sulla professionalità e sulle attitudini lavorative del soggetto, da svolgersi presso lo Stato, gli enti territoriali, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni anche internazionali operanti in Italia di assistenza sociale sanitaria o di volontariato, i cui contenuti non possono, in ogni caso, pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato. La sua durata – non fissata nel massimo, con grave compromissione della determinatezza e tassatività della norma penale – non può essere inferiore a dieci giorni (anche non continuativi), né superiore alle otto ore giornaliere. È questa la nuova sanzione sostitutiva di tipo prescrittivo2, già nota all’ordinamento (artt. 54 d.lgs. 28.8.2000, n. 274; 73, co. 5, d.P.R. 9.10.1990, n. 390; 186, co. 9-bis, e 187, co. 8-bis, c.d.s.; 165 c.p.),ma del tutto autonoma33, varata dal legislatore. Al fine, infatti, di assicurarne l’esecuzione si è previsto l’ampliamento delle strutture di riferimento e la non necessarietà della preventiva stipula delle consuete convenzioni con gli organi giudiziari (arg. ex art. 168 bis c.p.)4.
1.3 Gli effetti sostanziali della messa alla prova
La durata della sospensione, ergo, della prova è, in maniera irragionevole, predeterminata unicamente nel suo valore massimo (due anni se si procede per un reato per il quale è prevista la pena detentiva – sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria – e un anno per un reato punito con pena pecuniaria).Abbreviazioni sono proponibili solo dall’ufficio esecuzione penale esterna (in seguito, “u.e.p.e.”), a conferma, anche, della ratio specialpreventiva dell’istituto.
L’ammissione alla prova determina la sospensione del processo e il corso della prescrizione per il solo soggetto a cui è concessa. L’esito positivo della prova determina l’estinzione del reato, fatte salve le sanzioni amministrative accessorie eventualmente previste dalla legge (art. 168 ter c.p.). Ipotesi alternative sono l’esito negativo e la revoca.
Sul piano procedurale, la messa alla prova configura un nuovo rito speciale (artt. 464 bis ss. c.p.p. e artt. 141 bis e ter disp. att. c.p.p.), una nuova corsia preferenziale che consente l’emissione di una formula anticipatoria di proscioglimento (artt. 129 e 425 c.p.p.), capace di ridurre il carico giudiziario e contenere i tempi del processo5. L’iter prevede la sospensione del processo per l’elaborazione del progetto di prova (concordato con l’u.e.p.e.), per giungere in caso di esito positivo all’estinzione del reato o alla riattivazione del processo in caso di revoca o esito negativo.
2.1 I tempi
La richiesta è proponibile – oralmente o per iscritto – nel corso delle indagini preliminari (art. 464 ter c.p.p.) o dopo l’esercizio dell’azione penale. Nel primo caso la domanda va presentata al g.i.p. che la trasmette al p.m.: l’inquirente nei cinque giorni successivi (ordinatori) esprime il consenso (con atto scritto e sinteticamente motivato) e formula l’imputazione o il dissenso (che dovrà essere motivato), nel qual caso l’imputato potrà rinnovare la richiesta
prima dell’apertura del dibattimento di primo grado. V’è da chiedersi, se, tuttavia, sussistendo l’udienza preliminare, l’istanza possa essere formulata già in quella sede. Nel secondo caso vigono termini perentori: nell’udienza preliminare l’istanza va presentata fino alla formulazione delle conclusioni (artt. 421 e 422 c.p.p.), nel giudizio direttissimo o nel procedimento a citazione diretta, prima dell’apertura del dibattimento o con l’opposizione nel procedimento per decreto ed entro il termine di cui all’art. 458, co. 1, c.p.p. nel giudizio immediato. In caso di rigetto l’istanza può essere reiterata prima dell’inizio del dibattimento (pertanto l’atto parrebbe non impugnabile dall’imputato). Alla richiesta va allegato il programma di prova elaborato d’intesa con l’u.e.p.e. o l’attestazione dell’avvenuta presentazione della richiesta per la sua predisposizione.
2.2 Il ruolo dell’u.e.p.e.
Nella pianificazione della messa alla prova un ruolo rilevante è svolto dall’ufficio di esecuzione penale esterna a cui spetta, su richiesta dell’imputato (che deve depositare gli atti del procedimento penale che ritiene rilevanti, nonché osservazioni o proposte, v. art. 141 ter, co. 2, disp. att. c.p.p.), redigere, dopo la conduzione di un’indagine socio-familiare, il programma di prova che verrà trasmesso al giudice, dopo aver acquisito il consenso dell’imputato e l’adesione dell’ente presso il quale quest’ultimo deve svolgere le proprie prestazioni e comunicargli le condizioni economiche dell’imputato e la sua disponibilità a svolgere le attività riparatorie e l’attività di mediazione; controllare la corretta esecuzione delle prescrizioni; controllare e informare, secondo la cadenza stabilita nell’ordinanza e, comunque entro un termine non superiore a tre mesi, il giudice dell’attività svolta e del comportamento tenuto dall’imputato nel corso della prova, proponendo, se necessario,modifiche al programma di trattamento, eventuali abbreviazioni di esso ovvero, in caso di grave o reiterata trasgressione, la revoca del provvedimento di sospensione (art. 141 ter, co. 4, disp. att. c.p.p.); trasmettere alla scadenza del periodo di prova al giudice una relazione dettagliata sul decorso e del suo esito (art. 141 ter, co. 5, disp. att. c.p.p.). Al fine d’assicurare il diritto di difesa e il contraddittorio, le relazioni periodiche e quella finale vanno depositate nella cancelleria del giudice non meno di dieci giorni prima dell’udienza prevista dall’art. 464 septies c.p.p., con facoltà per le parti di prenderne visione ed estrarne copia (art. 141 ter, co. 6, disp. att. c.p.p.).
2.3 Il procedimento
Il giudice (nel corso della stessa udienza o in apposita udienza camerale), si pronuncerà – con ordinanza motivata – favorevolmente quando – a fronte di un sommario e provvisorio accertamento – non deve pronunciare il proscioglimento e reputa, ai sensi dell’art. 133 c.p., idoneo il programma e positiva la prognosi che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. La decisione è assunta sentite le parti (nonché la persona offesa), e acquisite, ove necessario e d’ufficio, le necessarie informazioni (che devono essere portate a conoscenza del p.m. e del difensore dell’imputato) tramite la p.g., i servizi sociali o altri enti pubblici. Per verificare la volontarietà della richiesta, la disponibilità e la possibilità di eseguire le prescrizioni, il giudice può disporre la comparizione dell’imputato e integrare o modificare, su suo consenso, il programma di trattamento. Con il consenso della persona offesa può, invece, disporre la rateizzazione del risarcimento. In caso di sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica l’articolo 75, co. 3, c.p.p. Senza produrre effetti sospensivi, le ordinanze che decidono della messa alla prova sono ricorribili per cassazione dall’imputato e dal p.m. (anche sollecitato dalla persona offesa; non è chiaro se operi l’art. 572 c.p.p.). Se è dubbio che l’imputato possa impugnare le decisioni di rigetto pronunciate in udienza preliminare, potendo, come premesso, riformulare l’istanza prima dell’apertura del dibattimento, dovrebbero essere impugnabili le decisioni negative non reiterabili. Il p.m. potrà ricorrere contro le decisioni contrastanti con il parere da lui formulato.
2.4 L’esecuzione della prova
Al di là delle attività spettanti all’u.e.p.e., l’ordinanza di ammissione alla prova sospende il procedimento penale e fissa le modalità e il termini d’esecuzione della prova. Solo l’imputato può chiedere una proroga del termine, per non più di una volta e per gravimotivi (art. 464 quinquies, co. 1 e 2, c.p.p.).L’ordinanza è annotata ai sensi dell’art. 6 l. n. 67/2014 nel casellario giudiziale. Durante l’esecuzione della prova, il giudice, sentito il p.m. e l’imputato, può modificare
le prescrizioni originarie (art. 464 quinquies, co. 3, c.p.p.). Nel corso della sospensione del processo, anche in ragione della variabilità degli esiti, sono acquisibili, a richiesta di parte e con le modalità stabilite per il dibattimento, le prove non rinviabili e quelle che possono condurre al proscioglimento dell’imputato.
2.5 I possibili esiti della messa alla prova
Esaurita la prova, l’esito positivo determina l’estinzione del reato, ma non delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge, che, in ragione della parzialità del giudizio sulla responsabilità non saranno facilmente determinabili. L’esito negativo e la revoca, che opera – senza, peraltro, che sia chiaro quale sia l’effettivo spazio valutativo spettante al giudice – in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle sue prescrizioni o di rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità o commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole di quello per cui si procede, riattivano il processo. Se, in ragione della natura della precedente valutazione, è pacifica la ricorrenza dell’incompatibilità del giudice (art. 34 c.p.p.) che aveva a suo tempo ammesso l’imputato alla prova, in maniera del tutto impropria la legge si disinteressa di indicare quale sia l’ambito d’utilizzo e la validità degli atti processuali posti in essere nel corso della prova.
In entrambi i casi, il lavoro eseguito sarà scomputabile dalla pena definitivamente irrogata: tre giorni di prova sono ragguagliati ad un giorno di reclusione o di arresto ovvero a 250 euro di multa o di ammenda.
In entrambi i casi, l’istanza non può essere riproposta.
Novità assoluta del panorama penale e processuale ordinario, la messa alla prova con sospensione del procedimento, sul piano astratto, pone non pochi problemi di principio dato il “potenziale” contrasto con la mancanza di un pieno accertamento della responsabilità – sacrificato sull’altare della snellezza e velocizzazione del rito penale – e per il forte carico sanzionatorio specialpreventivo che contraddistingue la prova, senza, peraltro, che ad esso corrisponda un ulteriore e ampio vantaggio sul piano del trattamento sanzionatorio. Quest’ultimo aspetto è, peraltro, un dato che incide sul piano della concreta efficacia dell’istituto che, in assenza di una più ampia riforma dei diversi meccanismi sospensivi, non sembra capace di assecondare quella deflazione del carico processuale e carcerario a cui il legislatore mirava.
Alla carenza sul piano premiale si accompagna la poca attenzione dedicata ai molteplici aspetti processuali, fra cui, accanto a quelli appena posti in evidenza, si aggiungono quelli relativi alla compatibilità dell’istituto con i riti alternativi e la sua applicabilità al reato sopraggiunto e antecedentemente commesso. Trattasi di questioni che, com’è intuibile, possono dar luogo ad applicazioni disomogenee sul territorio nazionale, per cui si apprezza l’adozione da parte dei Tribunali, di alcune linee guida6 che permettano, almeno a livello distrettuale, un’interpretazione della normativa il più possibile uniforme.
Ma, il vero nodo interpretativo sollevato dalla legge è la perdurante assenza di una disciplina transitoria che vada a perimetrare gli effetti della novella su tutti quei processi che, al momento dell’entrata in vigore della legge, si trovino in una fase in cui il termine di decadenza per richiedere la messa alla prova sia spirato. Lasciata all’interprete la possibile soluzione, si è univocamente affermato che il profilo sostanziale dell’istituto e il suo carattere favorevole depongono per l’applicabilità dell’art. 2, co. 4, c.p. In sede di merito si è ammessa, infatti, la separazione del procedimenti e la possibile richiesta di restituzione nei termini a difesa ex art. 175 c.p.p. per la predisposizione del programma da parte dell’istante7.
Invero, al di là delle perplessità che un tale rimedio solleva, l’applicazione pratica del principio della retroattività della disciplina solleva, tuttavia, non pochi problemi, posto che, come si è sinteticamente indicato, essa va sviluppata in sedi di cognizione nelle quali occorre un costante collegamento con gli organismi esterni coinvolti nella concessione del beneficio de quo8, tanto da aver sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite9.
1 Sul punto, direttiva 2012/29/UE; raccomandazione 99/19; risoluzione 99/26. V., amplius,Montagna,M., Sospensione del procedimento con messa alla prova e attivazione del rito, in AA.VV., Le nuove leggi penali, Padova, 2014, 369 ss.
2 Caprioli, F., Due iniziative di riforma nel segno della deflazione: la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato e l’archiviazione per particolare tenuità del fatto, in Cass. pen., 2012, 7 ss.
3 Bove, V., Messa alla prova per gli imputati adulti: una prima lettura della L. 67/2014, in www.penalecontemporaneo.it, 11 ss.
4 Per più puntuali indicazioni, Bartoli, R., La sospensione del procedimento con messa alla prova: una goccia deflattiva nel mare del sovraffollamento?, in Dir. pen. e processo, 2014, 661.
5 Al riguardo, v., volendo, Marandola, A., La messa alla prova dell’imputato adulto: ombre e luci di un nuovo rito speciale per una diversa politica criminale, in Dir. pen. e processo, 2014, 674 ss.
6 Alcuni tribunali si sono già attivati in tal senso, ad esempio il Tribunale di Bari o il Tribunale di Vercelli che ha redatto un vademecum sulla messa alla prova, in www.magistraturademocratica.it.
7 Trib.Torino, ord. 25.5.2014, inGuida dir., 2014, fasc. 6, 48.
8 Per l’esclusione in sede di legittimità v. Cass. pen., 31.7.2014, in Guida dir., 2014, fasc. 37, 41.
9 Cass. pen., sez. IV, ord. 9.7.2014, n. 30559.