Principe, Il
Opera (1513) di N. Machiavelli. A partire dall’esperienza di governo e dallo studio degli autori greci e romani (quali Livio, Senofonte e Polibio) Machiavelli teorizza un principato rinnovato fondandosi sulla «verità effettuale della cosa» invece che «sull’immaginazione di essa» (15). In luogo degli assetti politici idealizzati delle teorie classiche e utopistiche, «che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero», la sua costruzione teorica fonda il principato su un’antropologia realistica e pessimistica, descrivendo gli uomini come «tristi», ossia malvagi e moralmente riprovevoli: «Degli uomini si può dire questo generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno» (17). Un principe «nuovo» che voglia mantenere lo Stato e il governo non può assumere a criterio della propria azione la bontà («un uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene ruini infra tanti che non sono buoni», 15) o la correttezza; egli deve poter compiere anche azioni viziose «non partirsi dal bene potendo, ma sapere entrare nel male, necessitato» (17). Il principe deve «vincere e mantenere lo Stato: e mezzi saranno sempre iudicati onorevoli, e da ciascuno laudati» (18), tenendo in conto che in politica esser temuto è fondamento più stabile – seppur non preferibile – che essere stimato. Il principe, pur sembrando possedere qualità morali, tenere fede ai patti ed essere religioso, deve essere pronto a violare tali comportamenti, poiché i suoi antagonisti farebbero altrettanto; egli deve essere insieme uomo e bestia, e come bestia deve essere «golpe» e «lione»: «perché il lione non si defende da’ lacci, la golpe […] da’ lupi» (18). A monte di tali attitudini deve esservi la fondamentale capacità di interpretare le circostanze, riconoscendo gli assetti della realtà storica (che segue cicli necessari) e adeguandosi altresì al variare della «fortuna», onde, mediante la propria peculiare «virtù» e con «impeto», cogliere l’«occasione» per agire: «bisogna che egli abbia uno animo disposto a volgersi secondo ch’eventi della fortuna e le variazioni delle cose li comandano» (18).