Il potere delle donne nel Medioevo centrale
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il secolo XI conferma l’esercizio del potere femminile delle sovrane e conosce anche l’affermarsi del potere semiepiscopale delle badesse, le quali esercitano la loro autorità nei confronti del clero e dei fedeli a loro sottoposti. Anche alcuni monasteri doppi, nei quali convivono una comunità maschile e una femminile, iniziano a conoscere, alla fine del secolo, la preminente autorità del ramo femminile. L’inasprimento delle leggi contro il clero indisciplinato e concubinario, tuttavia, favorisce l’affermarsi di una concezione negativa della donna, allontanata dal sacro.
Il secolo XI conferma l’esercizio del potere femminile aristocratico con modalità simili a quanto già accadeva nei secoli altomedievali. Per quanto concerne l’esercizio della reggenza, esso si articola su vari piani e vede le donne adottare soluzioni differenziate, di seguito esemplificate attraverso l’esposizione di tre casi riguardanti contesti geografici diversi: l’Oriente, la Scozia, l’Italia.
Zoe incarna il modello della sovrana che fa un uso spregiudicato del potere. Succede al padre Costantino VIII alla guida dell’impero d’Oriente, unendosi in matrimonio a Romano Argiro. Cinque anni dopo (12 aprile 1034) ordisce l’uccisione del marito, sposando nello stesso giorno il giovane amante Michele, con il quale dividerà la gestione del potere per sette anni. Alla morte di costui elegge a suo favorito il nipote Michele V Calafato che, tuttavia, le si rivolterà contro costringendola a ritirarsi in monastero. Un’insurrezione popolare ristabilisce Zoe sul trono unitamente alla sorella Teodora. Le due sorelle sono, però, ben consapevoli di non poter conservare le prerogative di governo da sole, cosicché Zoe decide di sposare Costantino Monomaco, accettando l’umiliazione di vedere introdotte ufficialmente a palazzo e collocate in posizioni di riguardo le giovani amanti del marito, Selerena e Alana.
Un secondo modello è offerto da Margherita di Scozia – in seguito canonizzata – sposa nel 1070 di Malcolm III di Scozia. Sotto la sua reggenza la nazione scozzese comincia a prendere forma: viene avviato un processo di centralizzazione governativa e burocratica, sancita l’unione della Chiesa di Scozia alla Chiesa di Roma, mentre la corte, sempre più modellata sulla cultura degli Angli, diventa centro di mecenatismo. Per 23 anni Margherita, in qualità di consigliera del marito, ha un ruolo considerevole nella politica e nell’organizzazione del regno, anche sotto i profili culturale e religioso. Il suo impegno nel promuovere e incoraggiare la cristianizzazione della Scozia, nel patrocinare nuove fondazioni monastiche, opere di carità e ospizi, nonché l’esemplare condotta di sposa-madre-regina (che mette insieme regalità, pietà religiosa e umiltà), ne faranno ben presto un modello tipicamente medievale. Margherita genererà sei figli maschi, dei quali gli ultimi tre, Edgardo, Alessandro e David, assurgeranno in successione al trono di Scozia, e due figlie, Maria ed Edith, quest’ultima andata in sposa a Enrico I d’Inghilterra.
Diverso il ruolo esercitato dalla marchesa Matilde di Canossa che, insieme alla madre Beatrice di Lotaringia, governa la Toscana con energia e determinazione a sostegno del papato nella lotta contro gli imperatori tedeschi Enrico IV ed Enrico V. Beatrice e Matilde si dimostrano personaggi di primo piano nel processo di riforma della Chiesa, presenziando entrambe ai sinodi di Roma del 1074 e 1075.
Matilde ospita Gregorio VII ed è testimone autorevole dell’atto di penitenza di Enrico IV, rimanendo punto di collegamento e di mediazione tra papato e impero; un ruolo che la vedrà, per oltre 40 anni, ai vertici della diplomazia internazionale medievale e che le consentirà di arginare le pretese egemoniche imperiali. Matilde in persona guiderà le truppe a Sorbara (1084), riportando una clamorosa vittoria su Enrico IV. In tali frangenti, il suo castello, più volte posto sotto assedio dal sovrano, diviene simbolo della resistenza di una donna all’imperatore.
Un altro segno della sua autorevolezza è da cogliersi nell’influenza esercitata nella designazione di nuovi pontefici. Nel 1087 partecipa in prima persona alla spedizione militare che riporta a Roma l’abate Desiderio di Montecassino, in seguito eletto papa con il nome di Vittore III. Spentosi il pontefice in breve tempo, Matilde invia suoi rappresentanti all’incontro di Terracina, dal quale uscirà il nome del nuovo papa, Urbano II.
I monasteri sono strumento delle strategie politiche adottate dall’aristocrazia, che investe beni e prestigio nel fondare, ingrandire e arricchire comunità religiose presso le quali inviare le donne non destinate al matrimonio. Il governo del monastero è perlopiù riservato a una donna appartenente alla famiglia del fondatore attraverso la sua elezione a badessa, ruolo che, nel monachesimo benedettino, consente di svolgere legittimi e riconosciuti compiti e funzioni episcopali. Si tratta di un potere ampio ed esteso, che le badesse eserciteranno sui propri territori all’incirca dall’VIII al XVI secolo.
L’autonomia giurisdizionale di tali monasteri, indipendenti dalla locale autorità episcopale in quanto direttamente soggetti a Roma, comporta per le badesse autorità nei confronti del clero e della popolazione del distretto e la possibilità di esercizio di molte prerogative prettamente episcopali, eccettuate quelle strettamente connesse al sacramento dell’ordine, per cui si può parlare di poteri “semiepiscopali”. Non di rado avviene che ad alcune badesse sia consentito di fregiarsi delle insegne dell’autorità episcopale, quali l’anello, la mitra, il pastorale.
Oltre a essere responsabili dell’impostazione della direzione spirituale delle monache loro sottoposte, nonché delle necessità della vita religiosa dei fedeli che abitano il territorio amministrato dal monastero, in qualità di feudatarie le badesse sono chiamate a occuparsi dell’amministrazione dei feudi soggetti al proprio monastero, con relative conseguenze giuridiche ed economiche. Agiscono, dunque, come vere e proprie sovrane, sia pure su di un territorio limitato, cui è spesso anche demandato il compito dell’amministrazione della giustizia civile e penale, tanto sui laici direttamente dipendenti dal monastero, quanto sul clero a esso legato. Le badesse assistono ai sinodi e firmano i testi dei concili ai quali partecipano; dirigendo le abbazie, ne fanno spesso importanti centri di studi, di committenza artistica, di direzione spirituale. Un fenomeno tutt’altro che sporadico, bensì riscontrabile in tutta Europa.
Accanto al fenomeno delle abbazie-feudi rette dalle badesse, si afferma in questo periodo, soprattutto in Germania, l’istituto delle canonichesse (vedi santa Maria di Überwasser e sant’Orsola a Colonia), delle quali abbiamo testimonianze già a partire dal IX secolo. Consacrate dal vescovo, davanti al quale professano i voti di castità e di obbedienza, le canonichesse guidano monasteri, con riconosciuti diritti che ne testimoniano il grado di autorità: possono prendere parte alle sedute del capitolo della cattedrale, dei sinodi diocesani e hanno potere disciplinare sul clero.
Un’altra singolare realtà nel quadro dell’esercizio dell’autorità femminile è quella costituita dai “monasteri doppi”. Nel 1099 Roberto d’Arbrissel fonda la congregazione benedettina di Notre-Dame de Fontevrault, nella quale convivono una comunità maschile e una femminile, entrambe poste sotto l’autorità dell’abbadessa, rappresentante la Vergine Maria. Tutti, uomini e donne, fanno professione nelle sue mani.
Fontevrault comprende quattro monasteri: il maggiore, destinato alle vergini e alle vedove, quello di San Lazzaro per le lebbrose, quello della Maddalena per le penitenti e il monastero di San Giovanni Evangelista destinato ai maschi, incaricati di assistere le monache nelle attività liturgiche. Nelle mani della badessa è riposta la piena autorità, a lei deve rispondere lo stesso priore del monastero maschile. La formula di benedizione abbaziale comporta, infatti, la potestà di reggere il monastero sia spiritualiter che temporaliter. È lei che detiene il potere supremo: sceglie tra i novizi coloro da destinare al sacerdozio, riceve le professioni religiose, sorveglia la vita dell’ordine tramite visitatori da lei nominati e che, pur investiti di ampi poteri, sono sempre a lei subordinati.
La riforma della Chiesa che attraversa l’XI secolo, con l’inasprimento delle leggi contro il clero indisciplinato e concubinario, favorisce l’affermarsi di una concezione negativa della donna, che viene allontanata dal sacro, avvertito come incompatibile con la vita matrimoniale.
Si delinea in maniera sempre più netta una teologia del sacramento dell’ordine sacro. Considerato di diritto divino, esso è riservato esclusivamente agli uomini, cui vengono riconosciuti la potestà di attuare il sacrificio eucaristico e di santificare i credenti attraverso l’amministrazione dei sacramenti (potere d’ordine), la facoltà dell’insegnamento ai fedeli (potere di magistero) e la direzione della vita cristiana attraverso leggi (potere giurisdizionale). Tale distinzione tra potere d’ordine e potere di giurisdizione, se esclude le donne dall’esercizio delle prerogative di chi ha ricevuto l’ordine sacro, consente loro di esercitare il potere di giurisdizione (potestas ad regendum populum), considerato di diritto positivo, distinto in foro esterno e foro interno (potere di legare e sciogliere, come ad esempio nel sacramento della confessione). Molte badesse fruiscono del potere di giurisdizione in foro esterno.
Le disposizioni ecclesiastiche non consentono alle donne la predicazione pubblica, ritenuta veicolo di grazia che rimanda più alla presenza della parola potente di Dio che alla mediazione della debole parola umana; malgrado ciò, essa viene comunque praticata in forme private, quali le collationes familiari, destinate all’edificazione della comunità.
Anche le badesse, nelle vesti di madri spirituali, svolgono l’ufficio pastorale di istruzione e di guida, utilizzando le più diverse forme di evangelizzazione. I loro insegnamenti, rivolti perlopiù ad altre religiose, si presentano sia come nutrimento spirituale, sia come indicazione etico-formativa. Ammonizione fraterna, istruzione religiosa, ma anche discorsi a carattere teologico e commenti esegetici, nati da consuetudine pastorale o da esperienza mistica, entrano a far parte dei sermoni monastici caratterizzati da semplicità espressiva ed esprimono, comunque, il potere della parola autorevole femminile che ammaestra e disciplina.