Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I secoli XIII-XIV manifestano in pieno le contraddizioni relative al potere delle donne. Se da una parte, infatti, assistiamo a una sistematizzazione del pensiero teologico e a una codificazione delle leggi che escludono la donna dagli ambiti del potere, da un’altra ci troviamo in presenza di un numero considerevole di donne che, di fatto, esercitano un’autorità indiscussa.
Già nella metà del XII secolo il Codice di Graziano (1140 ca.), pur riconoscendo alle mogli il diritto di amministrare la propria dote, di fare testamento e di avere una personalità giuridica autonoma, afferma l’incompatibilità tra il divino e il femminile, con la conseguente improprietà dell’esercizio del potere da parte della donna: nel solo maschio (vir) si rinviene l’immagine diretta di Dio; pertanto, egli solo è partecipe del suo potere e può governare (c. XXXIII, q. 5).
Questa idea del femminile viene rafforzata da Tommaso d’Aquino, a motivo della ricezione dell’aristotelismo che diventa interpretazione complessiva della realtà naturale. L’Aquinate, infatti, elabora una concezione antropologica che fa propri i principi della biologia aristotelica, assumendo la teoria dell’imperfezione del corpo femminile in quanto mas occasionatus (maschio mancato) e ribadendo lo stato di minorità della donna, destinata dunque a mansioni ausiliarie e subalterne (Summa Theol. I, q. 92). Per san Tommaso praesidentia non decet mulieres quae subditae sunt (il potere non si confà alle donne che sono sottomesse); ne consegue che lo stesso ministero sacerdotale, incompatibile con lo status subiectionis, non possa essere esercitato dalle donne, le quali, propter infirmitatem corporis et imperfectione rationis, sono inadeguate all’esercizio del potere in tutte le sue forme o ad assumere ruoli di mediazione tra Dio e gli uomini.
Tali concezioni, che si affermano nella filosofia scolastica e finiscono col diventare patrimonio della tradizione della Chiesa, devono tuttavia confrontarsi con casi reali e concreti dell’esercizio del potere da parte di donne. Così il giureconsulto Andrea d’Isernia sostiene il principio e la legittimità della successione femminile in virtù del fatto che, come stabilito dal codice di Federico II, in mancanza di eredi maschi sia consentita alle figlie femmine l’assunzione della reggenza.
Allo stesso modo, il giurista Bartolo da Sassoferrato riconosce ad alcune donne eccellenti la legittimità del loro esercizio di potere, sia pure sempre in base alla “consuetudine”. Sulla stessa scia, il canonista Baldo degli Ubaldi, pur negando in linea di principio la possibilità della concessione di un feudo alle donne (adducendo a motivo la loro debolezza fisiologica e morale), l’ammette “in via consuetudinaria” sempre nel caso in cui manchino eredi diretti maschi. Infine, il filosofo Guglielmo di Ockham accetta che, in caso di pericolo e in assenza di uomini validi, le donne capaci debbano partecipare pienamente alla lotta.
I secoli XIII-XV conoscono una variegata articolazione del potere femminile, che va dalle regnanti alle badesse, dalle profetesse alle eretiche.
Si conferma in questi secoli la consuetudine del governo delle donne in veste di tutrici dei figli. Nella codificazione di questo ruolo ha un posto di riguardo l’opera Ley de las Siete Partidas, un’elaborazione dottrinale composta da più giuristi tra il 1275 e il 1284, nella quale si definiscono i compiti e i doveri della regina, che non assolve puramente alla sua funzione di madre chiamata a tutelare gli interessi dei figli, bensì si occupa in modo fattivo della gestione degli affari pubblici. Ricordiamo che già Margherita di Navarra, reggente del Regno di Sicilia per conto del figlio Guglielmo II, nel giorno dell’incoronazione aveva proclamato un’amnistia generale, liberato i prigionieri politici ed ordinato la restituzione dei beni di riscatto. Una notevole influenza esercitata sulla sorte dei propri regni, oltre che l’energica difesa dei diritti dei propri figli, spesso minacciati, dimostrano Bianca di Castiglia, reggente in nome del figlio Luigi IX; Margaret Sambiria, regina di Danimarca che governa in nome del figlio Erik; Plaisance di Antiochia, regina di Gerusalemme per il figlio Ugo II; Isabella di Francia, regina d’Inghilterra, che costringe il marito Edoardo II ad abdicare in favore del figlio Edoardo, facendolo poi assassinare; Elisabetta di Polonia, regina di Ungheria e di Polonia dal 1320 insieme al figlio Luigi il Grande, dopo essere intervenuta anche nelle vicende del Regno di Napoli per difendere gli interessi del figlio Andrea, marito della regina Giovanna I; Elisabetta di Bosnia, regina di Ungheria dal 1353 in nome della figlia Maria; Margherita di Durazzo, regina di Napoli e di Ungheria per conto del figlio Ladislao; Maria di Blois, regina titolare di Sicilia, per il figlio Luigi II d’Angiò.
Il potere delle regine è spesso affiancato a quello del re, come nel caso della regina di Sicilia Eleonora d’Angiò, che esercita un ruolo politico notevole insieme a Federico III d’Aragona, soprattutto nell’opera di mediazione con la nobiltà siciliana e con il pontefice, o in quello di Costanza di Aragona, che condivide il potere con Pietro d’Aragona nel governo dell’isola.
Non mancano casi di governo “diretto”, come quello di Eleonora di Provenza, reggente del trono d’Inghilterra durante il periodo trascorso in Guascogna da Enrico III, o di Giovanna I d’Angiò la quale, nominata erede al trono dal nonno Roberto all’età di quattro anni e incoronata regina di Napoli a sedici, si dimostra donna di grande temperamento, riuscendo, anche attraverso la violenza, a conservare la propria indipendenza e autorità rispetto a ben quattro mariti. Di tempra non inferiore è Margaret, regina di Danimarca, di Norvegia e di Svezia che, alla morte del marito Haakon e del figlio Olaf, assume nelle sue mani il governo dei tre regni tentando un grandioso programma di unificazione politica dei Paesi scandinavi.
La profezia femminile, inaugurata da Ildegarda di Bingen, rappresenta un ulteriore canale, anche se non istituzionale, attraverso il quale alcune donne, sentendosi chiamate da Dio per intervenire nelle gravi questioni della renovatio ecclesiae, esercitano un ruolo autorevole nella comunità ecclesiale.
Margherita da Cortona, Angela da Foligno, Brigida di Svezia, Caterina da Siena, Francesca Romana sono alcune tra le tante donne autorevolmente impegnate nel progetto di riforma della Chiesa, consapevoli del proprio ruolo profetico di partecipazione attiva alla vita ecclesiale e alla politica del loro tempo, attraverso un vasto impegno di rinnovamento della cristianità. Di particolare rilievo è il ruolo svolto dalla santa svedese, non solo per il suo impegno nel liberare il papato dalla prigionia di Avignone, ma anche per aver fondato l’Ordine del SS. Salvatore nel quale la badessa rappresenta Maria caput et domina. La comunità religiosa da lei ideata prevede la presenza di 13 monaci (simboleggiano gli apostoli, compreso san Paolo), 4 diaconi, 8 fratelli laici e 60 religiose (simboleggiano i 72 discepoli), tutti alle dipendenze della badessa. Il modello a cui si ispira Brigida nel progettare un monastero doppio a guida femminile è quello della Chiesa primitiva: la madre di Gesù è anche madre dei discepoli e della Chiesa nascente. Nell’evidenziare la centralità di Maria nella Pentecoste ed il suo ruolo nella storia della salvezza se ne riconosce l’autorità, accettando quindi quella della badessa, che la rappresenta nella comunità religiosa.
Anche Caterina da Siena è impegnata per il ritorno del papa in Roma e, in più, per il ristabilirsi della pace in Italia e in Occidente. L’espressione “Io Caterina”, ricorrente nelle sue lettere, manifesta la volontà imperiosa di chi si sente chiamata a una missione, la consapevolezza di sé e del proprio compito di guida in una comunità cristiana lacerata.
Parallelamente all’affermarsi della mistica femminile, va considerato anche il filone eretico per le rappresentazioni che ci offre del potere femminile in quanto oggetto di condanna. Guglielma da Milano è venerata a Milano come l’incarnazione dello Spirito Santo. Secondo le aspettative dei suoi discepoli ella, morta nel 1280, sarebbe salita al cielo nella Pentecoste del 1300 per elevare le donne e per instaurare una nuova Chiesa retta da una gerarchia femminile. Maifreda, designata sua vicaria, in attesa di essere eletta papessa, predica, esercita poteri sacerdotali e richiede ai seguaci gesti di ossequio normalmente riservati al papa. Il processo nei confronti dei Guglielmiti si conclude nel 1302 con la condanna al rogo degli esponenti più in vista della comunità.
Non è forse insignificante, infine, che, a partire dalla metà del XIII secolo, sia circolata in tutta Europa la leggenda della papessa Giovanna: una donna che, travestita da uomo, avrebbe ottenuto il papato alla morte di Leone IV e che, dopo due anni di governo, sarebbe stata scoperta durante una processione perché colta dalle doglie del parto. La papessa Giovanna è figura emblematica e irriverente di un potere femminile da esorcizzare. Nella sua rappresentazione grottesca il racconto è un monito per gli uomini a non ammettere le donne al potere e al sacerdozio.
Parallelamente alla presenza femminile forte e attiva nei movimenti religiosi dei secoli XIII e XIV, si registra una crescente ossessione nei confronti del potere che esercitano le cosiddette “streghe”. Nel De planctu ecclesiae (1330), il vescovo Alvaro Pelayo identifica la donna, impura ministra di idolatria, come l’oggetto privilegiato del demonio, avviando un fatale passaggio da superstizione a eresia. La credenza circa le attività delle streghe non sono più considerate, come nei secoli precedenti, superstizione da tollerare e al più da arginare; ora si dà valore ai gesti di queste donne, reputandoli veri e propri atti eretici, di rivolta contro la Chiesa, e, pertanto da punire con la morte.
Va da sé che l’esercizio del potere, nonostante le posizioni teoriche e le normative giuridiche, copre una vasta gamma di possibilità, articolandosi nelle maglie larghe della quotidianità: le donne, infatti, esercitano ruoli autorevoli come madri e mogli prendendo spesso in mano le sorti della conduzione familiare; come vedove portando avanti attività economiche e lavorative nelle campagne, nell’artigianato, nel commercio; come aristocratiche favorendo patrocini artistici e letterari; come favorite influendo, nel sistema di corte, sulle scelte politiche del sovrano; come maestre beghine, guidando, in veste di laiche, con dottrina e pietà, comunità che vivono del lavoro delle proprie mani, conformate sull’esempio della condivisione apostolica.