Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Lo spiccato carattere intellettualistico dell’arte nell’età di Vasari porta a interrogarsi sulla superiorità della pittura o della scultura. Attorno a figure carismatiche come Benedetto Varchi, tra aneddoti storici e scontri frontali, si sviluppa un dibattito serrato che evidenzia una nuova condizione dell’arte e dell’artista nella società cinquecentesca.
Premessa
Cominciato già con Cennino Cennini, il processo di autocoscienza intorno al fare artistico giunge a maturazione completa nel corso del XVI secolo.
Gli artisti e gli intellettuali del tempo cominciano a interrogarsi sul fine dell’arte e, soprattutto, a rivendicare un ruolo centrale per le tre arti (pittura, scultura, architettura) fino ad allora identificate come "meccaniche", perché legate alla manualità e alla tecnica. Si cerca insomma di colmare la distanza che le separa dalle arti dette "liberali", come la poesia e la filosofia, legate alla speculazione teorica. Quello che si cerca, in sostanza, è il riconoscimento sociale di un ruolo sempre più preminente nell’ambito della società dell’età moderna; il dibattito sul tema oraziano ut pictura poësis, cioè dell’arte come poesia visiva, è significativo in tal senso.
All’interno di questo dibattito si apre una disputa sul primato delle arti (già in nuce nel Medioevo) che interessa praticamente tutti i grandi artisti del secolo. Ci si interroga su quale sia la disciplina superiore, se la pittura o la scultura, assumendo di volta in volta metri di paragone diversi. E’ possibile così riscontrare una graduale "salita di tono" nella polemica che vede contrapposti i fautori della pittura (spesso pittori) a quelli della scultura (spesso scultori).
Leonardo e Baldassare Castiglione
Se già nel Quattrocento Leon Battista Alberti si era pronunciato sull’argomento definendo pittura e scultura come "arti cognate", è con Leonardo che si assiste al primo tentativo sistematico di messa a punto di una teoria del paragone tra le arti.Molte delle argomentazioni che fioriscono a metà Cinquecento trovano nelle prime pagine del Trattato della pittura il loro luogo d’origine. Si pensi alla contrapposizione tra la pratica lavorativa sporca e polverosa dello scultore e quella del pittore, più pulita e intellettuale. Il metro di paragone, però, è anche quello della difficoltà: in ciò, per Leonardo, risiede la superiorità della pittura, capace di sintetizzare lo spazio tridimensionale e i colori su un unico piano; cosa che la scultura può fare solo nel caso del bassorilievo che l’artista toscano considera una specie di parente povero della pittura. Per Leonardo la scultura è superiore alla pittura solo per la maggiore durata temporale: perciò egli esorta il pittore moderno alla sperimentazione tecnica, per porvi rimedio.
Echi di un tale scontro si ritrovano persino nel Cortegiano (1528) di Baldassare Castiglione, dove lo scultore Giancristoforo Romano "duella" con il Conte di Canossa, fautore delle morbidezze e dei miracoli di verosimiglianza naturalistica che solo la pittura può dare. Nonostante la dichiarata preferenza per la disciplina pittorica, in questa sede compare quella distinzione tra la scultura come "essere" e la pittura come "parere" che è al centro delle riflessioni di Pietro Aretino nella celebre lettera a Ludovico Dolce del 1537.A Venezia queste teorizzazioni vengono raccolte e sviluppate dal fiorentino Anton Francesco Doni, che nel 1549 pubblica l’opera il Disegno, tesa a innalzare il vessillo della plastica contro la preminenza della disciplina pittorica sancita dal Dialogo della pittura (1548) del veneto Paolo Pino. In questo testo, il limite del punto di vista unico che dipingere porta con sé viene superato ricordando come Giorgione avesse dipinto un San Giorgio che, tramite i riflessi in una fonte e due specchi, presentava all’osservatore diversi piani di visione. Quest’opera non ci è pervenuta, ma il Ritratto di Gastone di Foix eseguito da Giovanni Gerolamo Savoldo nel 1528-1530 rende bene l’idea del racconto di Paolo Pino.
Benedetto Varchi e il primato delle arti
Nella Firenze medicea, dal 1546 si sviluppa un dibattito sul primato delle arti promosso dallo storico e filologo fiorentino Benedetto Varchi. Egli richiede un parere scritto sull’argomento a diversi artisti – Vasari, Pontormo, Bronzino, Cellini, Tribolo, Francesco da Sangallo, Tasso –, sottoponendo poi i risultati di tale inchiesta a Michelangelo, e invitandolo a sua volta a esprimersi. Il tutto viene pubblicato nel 1549 con l’aggiunta del celebre sonetto michelangiolesco sulla scultura (Non ha l’ottimo artista alcun concetto). Ovviamente si dichiarano per il primato della pittura Vasari, Pontormo e Bronzino, mentre Cellini, Tribolo e Francesco da Sangallo sostengono la superiorità della scultura.
Nell’opera di Benedetto Varchi tornano alcuni concetti come la maggiore difficoltà insita nell’attività pittorica, sostenuta da Pontormo. Benvenuto Cellini, invece, ribadisce che la scultura è sette volte migliore della pittura perché ha a che fare con ben otto prospettive diverse, mentre sul tema della mimesi coloristica si esprime con il celebre epiteto di "ingannacontadini", quasi a sottolineare il valore intellettualistico dell’arte manierista. La risposta di Vasari descrive bene la sua grande capacità retorica, allorché dichiara di preferire dipingere un quadro piuttosto che intrattenersi per iscritto su questo tema. In chiusura, Varchi riporta due lettere del grande Michelangelo.
Oltre alle ben note riflessioni sulla scultura "per via di porre" (la plastica) e quella "per via di levare" (la statuaria), Michelangelo si sofferma sul tema rimarcando che, pur sorelle, la scultura e la pittura hanno un rapporto simile a quello tra sole e luna: la prima illumina la seconda.
Al di là dell’ovvia partigianeria, è curioso constatare come entrambe le fazioni basino le loro asserzioni su concetti di scottante attualità come la difficoltà e l’integrazione creativa nei confronti della natura: temi cari a quella cultura denominata civiltà della maniera.
Le Vite del Vasari
Nelle Vite vasariane del 1550 il paragone tra le arti viene risolto con una sostanziale parità, delegando al disegno il valore di principio unificatore di tutte le arti. Nel 1568 la situazione muta e una certa preferenza per la pittura viene dichiarata sin nel titolo: Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti (mentre il titolo del 1550 era Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori).
Molte delle teorizzazioni presentate da Varchi tornano in occasione delle esequie di Michelangelo nel 1564. Nell’orazione funebre, infatti, egli rispolvera il tema del paragone tra le arti con gli esiti di parità che già conosciamo. Ciò provoca però uno scontro tra Benvenuto Cellini da un lato, e Giorgio Vasari e Vincenzo Borghini dall’altro, che assume toni di asprezza unica, seppur senza novità teoriche sostanziali. Lo scultore insiste sul valore di maggiore realtà fisica della sua disciplina, sulla tridimensionalità, mentre il pittore e il teorico pongono l’accento sulla varietà di forme e colori, e anche sul valore persuasivo che solo la pittura, nella sua universalità comunicativa, può avere.
Le accademie: tra teoria e prassi
L’attivismo teorico scatenato da tali dispute è uno degli aspetti che portano alla fondazione delle accademie. A Firenze, nel 1562, Vasari promuove la creazione dell’Accademia del disegno; nel 1572 nasce a Roma l’Accademia di San Luca, riformata dal pittore e teorico Federico Zuccari nel 1593. Si tratta di un tentativo coerente di svincolarsi completamente dalle pratiche di bottega, per codificare il sapere artistico mediante programmi ben definiti. In questi ambiti il dibattito teorico è continuo, anche se perde molto del vigore iniziale. Si pensi al fatto che è proprio l’Accademia del disegno a promuovere il funerale di Michelangelo come una manifestazione pubblica.Alla fine del secolo Federico Zuccari tenta di promuovere un nuovo dibattito sulle problematiche del primato tra le arti nell’ambito dell’Accademia di San Luca. Egli parte dal punto di vista – espresso in Idea de’ scultori, pittori e architetti, edita a Torino nel 1607 – che il disegno interno (l’idea, appunto) sia il principio ispiratore di qualsiasi arte, ribadendo così l’idea cara a Varchi e Vasari. Da pittore, però, la sua preferenza è per la pittura intesa come arte globale. Ma le udienze pubbliche su questo tema sono praticamente disertate da quasi tutti gli artisti attivi a Roma (scultori e architetti in particolare), segno che oramai alle soglie dell’età barocca non si considerano più le discipline artistiche come compartimenti isolati e univoci.
Michelangelo Buonarroti
Non ha l’ottimo artista alcun concetto (sonetto per Vittoria Colonna)
Non ha l’ottimo artista alcun concetto
c’un marmo solo in sé non circonscriva
col suo superchio, e solo a quello arriva
la man che ubbidisce all’intelletto.
Il mal ch’io fuggo, e ’l ben ch’io mi prometto,
in te, donna leggiadra, altera e diva,
tal si nasconde; e perch’io più non viva,
contraria ho l’arte al disïato effetto.
Amor dunque non ha, né tua beltate
o durezza o fortuna o gran disdegno
del mio mal colpa, o mio destino o sorte;
se dentro del tuo cor morte e pietate
porti in un tempo, e che ’l mio basso ingegno
non sappia, ardendo, trarne altro che morte.
M. Buonarroti, Rime, introduzione di G. Testori, Milano, BUR, 1996