Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
“Paesaggio sonoro” è la traduzione italiana del termine soundscape, un concetto elaborato per individuare i suoni degli ambienti in cui viviamo. Rispetto agli studi musicali contraddistingue un ambito contiguo o traversale, interessato a come le esperienze uditive mediano la comprensione della realtà e la qualità della vita.
Ambienti acustici e inquinamento sonoro
Arjun Appadurai
Il paesaggio contemporaneo
Propongo di utilizzare come prima sonda esplorativa di queste disgiunture l’osservazione delle relazioni fra cinque dimensionidei flussi culturali globali che possono essere definite: a) etnorami, b) mediorami, c) tecnorami, d) finanziorami ed e) ideorami. Il suffisso -orami permette di indicare la forma fluida e irregolare di questi panorami, forma che caratterizza il capitale internazionale tanto profondamente quanto caratterizza gli stili internazionali di vestiario. [...] Per etnorama intendo quel panorama di persone che costituisce il mondo mutevole in cui viviamo: turisti, immigrati, rifugiati, esiliati, lavoratori ospiti ed altri gruppi ed individui in movimento costituiscono un tratto essenziale del mondo.
A. Appadurai, Modernità in polvere, Roma, Meltemi, 2001
Il paesaggio sonoro è definito dai suoni costitutivi di un ambiente percepito uditivamente, siano essi “naturali” o frutto dell’attività umana.Lo studio dei paesaggi sonori è l’oggetto primario dell’ecologia acustica (o ecoacustica). Il termine soundscape, e gli studi che vi fanno riferimento, devono la loro fortuna soprattutto al lavoro Il paesaggio sonoro (1985) del canadese Raymond Murray Schafer, al World Soundscape Project da lui fondato nella seconda metà degli anni Sessanta (a cui collaborano, fra gli altri, Bruce Davis, Barry Truax, Hildegard Westerkamp), e più di recente alle attività del World Forum for Acoustic Ecology (WFAE).
Il presupposto da cui muovono gli interessi di Schafer, amico e frequentatore di Marshall McLuhan, è che il senso dell’udito media l’esperienza e la conoscenza della realtà circostante, e dunque il paesaggio sonoro – i suoni percepiti, l’ambiente acustico abitato dall’uomo e mediato dalle tecnologie uditive – è parte del contesto che incide sull’esistenza umana. L’interesse di questo ambito di ricerca si focalizza pertanto sulla relazione reciprocamente costitutiva fra l’uomo e il suo ambiente sonoro. Tale relazione è articolata dal nostro grado di consapevolezza dello scenario acustico, dalla capacità di ascoltare e di esercitare l’udito come mezzo di comprensione del mondo, dalla presa di coscienza del ruolo e della responsabilità di ciascuno nella “composizione” del paesaggio sonoro condiviso; in altri termini da diversi livelli di competenza.
Nei propositi di Schafer e dell’ecologia acustica, gli studi sul paesaggio sonoro devono porsi un duplice obiettivo. Il primo, di ordine epistemologico, consiste nell’indagare i modi in cui l’uomo agisce per fini strumentali sui suoni, e i modi in cui questi incidono sulla sua esistenza; ciò implica l’analisi delle proprietà fisiche del suono, il rilevamento delle caratteristiche dei paesaggi sonori, l’indagine di come queste vengano percepite ed esperite dalle persone, e quindi la convergenza di diversi ambiti disciplinari: acustica, musicologia, psicologia cognitiva, etnografia e sociologia. Il secondo, di ordine pratico, consiste nel migliorare la qualità della relazione fra gli uomini e i paesaggi sonori, accrescendo il livello di coscienza delle esperienze uditive, sia tramite l’educazione all’ascolto dei suoni in cui siamo quotidianamente immersi (come se si trattasse di composizioni musicali), sia progettando e realizzando interventi di design acustico, mirati a elaborare ambienti che favoriscano un uso consapevole delle esperienze uditive. In altri termini, un ambiente acustico di qualità dovrebbe consentire una comunicazione efficace: il soundscape è in equilibrio con gli uomini quando consente di ricevere chiaramente e di processare facilmente gli input sonori, nonché di esprimersi con altrettanta chiarezza e facilità.
Schafer – e la tradizione di cui è il principale esponente – individua una frattura storica fra due tipologie di paesaggi sonori: i paesaggi hi-fi, in cui sono chiaramente distinguibili i diversi suoni e le loro caratteristiche (direzionalità, intensità, collocazione nello spazio acustico), consentono una percezione e una “prospettiva” acustica ad “alta definizione”; viceversa i paesaggi low-fi sono scarsamente definiti, caratterizzati dall’affollamento di suoni sovrapposti, che comportano una prospettiva appiattita e una percezione confusa. Il primo genere di soundscape viene ritenuto tipico delle realtà preindustriali, mentre il secondo viene associato ai paesaggi prodotti dall’industrializzazione. Peraltro, nell’ottica di Schafer, l’inquinamento sonoro e la percezione del rumore aumenterebbero in proporzione al diminuire della rilevanza attribuita all’ascolto. L’industrializzazione e la metropolizzazione favorirebbero anche un uso della musica, tipico di tali realtà, in funzione di barriera difensiva contro le caratteristiche disturbanti dei paesaggi low-fi, ad esempio tramite la ricreazione di un soundscape privato che isoli dall’ambiente acustico condiviso.
La musica come soundmark
Se i paesaggi sonori sono formati dalla percezione di suoni prodotti sia dall’ambiente naturale sia dall’attività umana, essi comprendono a tutti gli effetti anche la musica. Il termine soundmarks (segni di riferimento sonori) viene utilizzato per gli specifici elementi dei soundscapes che articolano il senso del luogo, in quanto suoni distintivi dell’ambiente fisico o delle (inter-)azioni sociali che vi hanno luogo, e per estensione della comunità da esse individuata. Vi rientrano, ad esempio, i suoni di strumenti tradizionali o i modi peculiari di adoperare gli artefatti che producono suono, e in generale i tratti che distinguono e definiscono repertori folklorici associati a particolari popolazioni e aree. A partire da questi aspetti, in alcuni settori dell’etnomusicologia, il termine soundscape ha assunto un significato leggermente diverso: l’ambiente o gli eventi musicali considerati caratteristici di un luogo, perlomeno in un determinato momento storico, come afferma Shelemay in Soundscapes (2001). In consonanza con le considerazioni dell’antropologo culturale Arjun Appadurai in Modernità in polvere sugli –scapes (“panorami”) del mondo contemporaneo, anche i soundscapes si articolano nell’incontro fra tradizioni locali e flussi culturali globalizzati per effetto di migrazioni e media, oppure possono essere ricreati da popolazioni diasporiche per re-immaginare un’appartenenza e una cultura comunitaria.
Le linee di sviluppo delle ricerche sui paesaggi sonori possono essere considerate anche indicative della problematizzazione e dell’assottigliarsi dei confini fra i concetti di suono e di musica, avvenuti lungo coordinate che riguardano diverse estetiche (“colte” e “popular”) e particolari modalità di produzione, distribuzione e fruizione della musica (si pensi, ad esempio, al fenomeno di ubiquitizzazione della musica). Mentre l’ecologia acustica auspica un’attenzione verso il paesaggio sonoro paragonabile all’ascolto di musica, collegandosi indirettamente ad alcuni aspetti del lavoro di John Cage, molta musica viene fruita oggi come sfondo di luoghi e attività quotidiani, oppure viene concepita e prodotta già come “paesaggio sonoro”, come nei casi di alcuni repertori che privilegiano esperienze di tipo immersivo e ambientale. In tal senso sono decisivi gli usi sempre più frequenti e consapevoli della musica come strumento per l’attivazione di stati psicofisici, funzionali o appropriati rispetto a specifiche attività, o per la (ri-)creazione degli spazi di vita: basti pensare ai molteplici usi di autoradio, walkman, sound-system, ghetto blaster, oppure alla Muzak, all’Ambient, alle “compilation per viaggiare”, alla “musica per lo spinning”.