Il nuovo codice doganale dell'Unione
Il 1° maggio 2016 è divenuto pienamente operativo il nuovo codice doganale dell’Unione; si tratta della conclusione, almeno allo stato, di un lungo percorso iniziato nel 1992, in una delle materie, quella doganale, in cui più che in altre si è manifestata fin dagli albori della Comunità europea un’idea di unità ed integrazione continentale. Il nuovo codice rappresenta uno strumento in linea, dal punto di vista giuridico, con la nuova struttura dell’Unione dopo il Trattato di Lisbona, ma ha anche lo scopo di adeguare le operazioni doganali alla nuova realtà globale nel difficile scenario odierno, nel quale il settore doganale trascende ormai il suo significato più tipico meramente economico per diventare componente rilevante delle grandi sfide dei tempi presenti, da quelle legate alla sicurezza a quelle attinenti alla evoluzione del nuovo ordine del commercio ed, in ultima analisi, della politica mondiale.
Il 1° maggio 2016 è divenuto concretamente applicabile quello che viene generalmente definito come il nuovo codice doganale dell’Unione europea.
Con tale definizione onnicomprensiva si devono intendere, in realtà, una pluralità di atti normativi dell’Unione, approvati in tempi diversi, che hanno progressivamente condotto alla piena efficacia della nuova disciplina.
Il codice in senso stretto è stato, infatti, istituito con il reg. (UE) 9.10.2013, n. 952, del Parlamento europeo e del Consiglio, Tale regolamento, entrato in vigore il 30.10.2013, non consentiva però ancora la piena efficacia operativa del nuovo codice; per la stessa, è stato necessario attendere l’adozione di un ulteriore atto, il reg. delegato 28.7.2015, n. 2446, della Commissione UE, che integra il suddetto reg. n. 952/2013 relativamente alle modalità di applicazione di determinate disposizioni del codice. Ancora, successivamente a tale data è stato approvato il reg. di esecuzione 24.11.2015, n. 2447, della Commissione UE che ha fissato le modalità applicative di determinate disposizioni del reg. n. 952/2013; infine, con reg. delegato (UE) del 17.12.2015 n. 341/2016, sono state fissate le norme transitorie sulle modalità di applicazione di determinate disposizioni del già citato reg. n. 952/2013.
In virtù di questo complesso di strumenti normativi, che, come detto, nel loro insieme costituiscono quello che viene generalmente chiamato il codice doganale dell’Unione, quest’ultimo è divenuto operativo ed applicabile nel corso del 2016.
Prima di addentrarsi nell’esame di alcune delle novità più rilevanti del nuovo strumento normativo, però, può essere opportuno domandarsi le ragioni per cui l’Unione ha deciso di dotarsi di un nuovo codice doganale, e sostituire così quello già esistente1.
La materia doganale rappresenta da sempre una delle competenze tipiche della allora Comunità economica europea, oggi divenuta Unione europea, essendo funzionale alla realizzazione di almeno una delle libertà fondamentali su cui poggiava la idea stessa di creazione della nuova entità, la libera circolazione delle merci. L’istituzione di una tariffa doganale comune (TARIC) e l’adozione di un codice doganale comunitario sono state manifestazioni della competenza della CEE in materia, confermatasi anche dopo l’istituzione dell’Unione europea, con il Trattato di Maastricht, in quello che rappresentava il Primo Pilastro dell’Unione, cioè proprio quello delle politiche comunitarie. Anche con il Trattato di Lisbona, secondo l’art. 28 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, l’unione doganale si estende al complesso degli scambi di merci e comporta, da un lato, il divieto di istituzione, fra gli Stati membri, di imposizioni daziarie all’importazione e all’esportazione, nonché di qualsiasi tassa di effetto equivalente, e, dall’altro, l’adozione di una tariffa doganale comune nei rapporti con i Paesi terzi.
Non va, poi, dimenticato che la regolamentazione del settore doganale ha notevoli riflessi che trascendono il tecnicismo dello stesso, arrivando a coinvolgere politiche di commercio internazionale e, in ultima analisi, la stessa geopolitica mondiale. L’istituzione di un dazio particolarmente gravoso rispetto alle merci importate da un Paese terzo può fortemente condizionare in senso negativo l’economia di quest’ultimo, così come prevedere agevolazioni può avere l’effetto opposto. La Comunità europea prima e l’Unione poi, rappresentando ormai una area di circa 500 milioni di persone, consumatori ma anche produttori, ha così assunto in questo campo un ruolo di estrema importanza, divenendo attore di primo piano nello scacchiere planetario del commercio internazionale.
Ora, che un codice doganale, come qualunque altro testo legislativo, possa essere oggetto di revisione e comunque di modifica nel tempo è un fatto che può considerarsi in re ipsa. Ciò tanto più se si tratta di un codice che regolamenta un settore particolarmente sensibile alle evoluzioni del mondo, quale, appunto, quello delle dogane. Infatti, lo stesso codice comunitario del 1992 prevedeva la possibilità della propria revisione. Le istituzioni comunitarie, dopo avere proceduto ad alcune modifiche del regolamento originario, presero, pertanto, l’iniziativa di proposta legislativa di un nuovo codice comunitario nel 20052. La proposta fu poi approvata nel 2008 divenendo il nuovo codice doganale comunitario che già precorreva alcune novità del successivo codice dell’Unione del 2013 quali una maggiore informatizzazione delle procedure.
Un altro fattore che è stato individuato3 come una delle origini della riforma prima del 2008, e poi indirettamente di quella del 2013, è rappresentato dalla modifica, nel 1999, della Convenzione di Kyoto4, intervenuta per adeguare il vecchio testo della Convenzione alle nuove esigenze del commercio internazionale ed in particolare, anche in questo caso, all’uso delle nuove tecnologie informatiche e all’uso di nuove metodologie di controllo.
In seguito, l’entrata in vigore, nel dicembre 2009, del nuovo trattato sull’Unione, il Trattato di Lisbona, ha aperto nuovi scenari nelle competenze e nell’architettura istituzionale dell’Unione che non potevano non riguardare anche il settore doganale.
Relativamente all’impatto avuto dal Trattato di Lisbona sui sistemi fiscali vigenti, la dottrina che si è occupata specificamente dell’argomento5 ha rilevato, tra le caratteristiche generali, la conferma della regola dell’unanimità per la materia fiscale e la conferma delle competenze fiscali dell’Unione, che sono rimaste invariate, accanto ad una maggiore attenzione per la tutela dei diritti fondamentali anche in questo settore che porta al «definitivo superamento di quel rapporto gerarchico tra obiettivi di carattere economico e scopi di tipo sociale che ha caratterizzato la costruzione comunitaria nei decenni precedenti in favore di una più complessa interrelazione tra tali finalità, rivolta all’individuazione di un punto di equilibrio tra tali esigenze necessariamente mutevole di volta in volta a seconda della materia di riferimento»6. È stato però anche rilevato il mancato inserimento nel Trattato di principi di carattere tributario, la mancata istituzione di tributi a livello europeo e lo scarso rilievo delle politiche fiscali europee.
Al di là di tali aspetti generali, poi, in particolare è emersa la necessità di adeguare la normativa di base alle nuove disposizioni del Trattato di Lisbona, recependo, a titolo esemplificativo, le istanze connesse a varie esigenze divenute sempre più pregnanti nella società moderna. Ci si riferisce, in particolare, alla informatizzazione delle attività, ma anche al sempre crescente interesse per attività di natura extratributaria, ed in particolare quelle connesse a tematiche quali la sicurezza internazionale – ormai priorità assoluta – che ha determinato anche una parziale metamorfosi delle dogane attribuendo loro un ruolo – se non completamente nuovo, certamente da interpretare in una maniera del tutto diversa rispetto al passato –, di soggetto impegnato attivamente non solo nella tutela della correttezza degli scambi, ma anche nella sicurezza dei cittadini. Ancora, è emersa in questi ultimi anni la necessità di pervenire ad un più compiuto riconoscimento, a livello comunitario, degli operatori economici ritenuti soggetti professionalmente capaci e finanziariamente ed eticamente affidabili, così come di porre in essere semplificazioni nelle procedure, sempre maggiormente richieste dalla continua velocizzazione degli scambi e dalla necessità di libera circolazione delle merci.
Già l’adozione del codice comunitario aggiornato, del 2008, cui si è fatto sopra riferimento, voleva recepire le suddette esigenze. Tuttavia, come messo in luce dagli studiosi della materia, la situazione che venne a determinarsi in occasione della sua approvazione era, per certi versi, paradossale7.
L’entrata in vigore del nuovo codice fu fissata, infatti, al 24.6.2008, data da cui deve considerarsi abrogato il vecchio codice comunitario. Tuttavia, il nuovo codice si sarebbe applicato solo in parte da tale data, dovendosi fare riferimento, per la sua piena applicazione, all’adozione delle relative disposizioni di applicazione (da pubblicarsi non prima del 24.6.2009) e, in ogni caso, al più tardi il 24.6.2013 (termine successivamente prorogato al 1.11.2013).
Il vecchio codice era, quindi, abrogato, ma, in pratica, non fu sostituito da quello nuovo, in vigore, ma non applicabile.
È stato, così, rilevato che le dogane continuarono, di fatto, ad applicare il vecchio codice, unico testo completo, benché abrogato.
Il 20.2.2012, poi, la Commissione europea pubblicò il documento di lavoro COM (2012) 64, recante una proposta di revisione del codice doganale aggiornato: lo stesso, mai applicato, veniva già emendato.
L’1.11.2013 doveva divenire completamente applicabile il codice doganale aggiornato; ma erano tante e tali le proposte di emendamento avanzate dai servizi comunitari, che il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea, vista la proposta della Commissione europea, hanno preferito emanare il nuovo reg. n. 952/2013, di approvazione del codice doganale dell’Unione, nel quale viene rifuso, per ragioni di chiarezza e trasparenza, il reg. (CE) n. 450/2008, con il quale era stato adottato il codice doganale comunitario aggiornato.
Il codice doganale dell’Unione, entrato in vigore il 30.10.2013 ed applicabile in parte da tale data, in parte dal 1.5.2016, segna, dunque, almeno al momento, il punto di arrivo (approvazione delle relative disposizioni di applicazione a parte) di un percorso iniziato molti anni fa e costituisce, finalmente, uno strumento moderno, innovativo, rispetto ai precedenti testi e destinato a regolare i traffici internazionali considerate le osservazioni e le istanze delle categorie economiche e professionali interessate.
Varie sono le novità introdotte dal nuovo codice, dallo sdoganamento centralizzato, alle dichiarazioni doganali, dalle nuove regole sulla rappresentanza doganale ai regimi doganali, ad un maggior rilievo alla figura dell’operatore economico autorizzato (AEO), alla specificazione di principi in materia di origine delle merci, alle chiarificazioni sui regimi doganali e sull’obbligazione doganale stessa.
Senza potersi addentrare troppo nel dettaglio di ciascuna di esse per i limiti propri del presente lavoro, può essere opportuno soffermarsi su alcune, di carattere più generale e di specifico rilievo giuridico.
Il codice delinea, innanzitutto, un nuovo ruolo della dogana, atteso che il completamento del mercato interno, la riduzione degli ostacoli al commercio e agli investimenti internazionali e l’accresciuta necessità di garantire la sicurezza alle frontiere esterne dell’Unione hanno trasformato il ruolo della stessa. Come è stato messo in luce dalla stessa Agenzia delle dogane italiana, rispetto alle disposizioni recate dal CDC8, che definivano succintamente l’autorità doganale quale entità «competente, tra l’altro, ad applicare la normativa doganale», l’art. 3 CDU definisce più compiutamente ed esaustivamente il ruolo dell’autorità doganale e descrive le sue competenze specifiche al fine di:
a) assicurare la tutela degli interessi finanziari dell’Unione e dei suoi Stati membri;
b)contrastare il commercio sleale ed illegale e sostenere, nel contempo, le attività commerciali legittime;
c) garantire la sicurezza dell’Unione e dei suoi residenti nonché la tutela dell’ambiente;
d) bilanciare l’attività dei controlli in sede doganale con la facilitazione degli scambi legittimi9.
Anche l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, alla base della creazione della cosiddetta Douane sans papier, è un elemento essenziale per garantire, nel contempo, agevolazioni al commercio ed efficacia dei controlli doganali, riducendo, in tal modo costi e rischi per le imprese; ecco, dunque, declinato il principio giuridico secondo il quale tutte le operazioni doganali e commerciali devono essere effettuate per via elettronica e i sistemi telematici doganali devono offrire agli operatori economici le stesse possibilità in ciascuno Stato membro.
Dall’1.5.2016 il contradditorio endoprocedimentale diviene, di regola, obbligatorio prima della adozione di ogni provvedimento concernente l’applicazione della normativa doganale, come definita all’art. 5, n. 2), CDU, che può avere conseguenze sfavorevoli per il destinatario, ivi compresi i casi di sospensione, revoca o annullamento dei provvedimenti adottati. La codificazione del principio, finora affermato più volte dalla giurisprudenza10, a partire da quella della Corte di giustizia11, costituisce una novità di rilievo significativo. La disposizione in esame ha ricompreso nel diritto ad una buona amministrazione quello «di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio».
L’art. 22, par. 6, co. 1, CDU, adeguandosi a tale postulato, dispone espressamente che prima di adottare una decisione con conseguenze sfavorevoli per il richiedente, le autorità doganali comunicano le motivazioni della stessa al richiedente, cui è data la possibilità di esprimere il proprio punto di vista entro un dato termine. La decisione è notificata solo dopo la scadenza del termine suddetto.
Rappresentano ancora delle eccezioni al principio le ipotesi di cui all’art. 22, par. 6, co. 2, CDU e art. 10 RD, ed in particolare i casi di rilascio delle Informazioni tariffarie vincolanti (ITV) e delle Informazioni vincolanti in materia di origine (IVO); di rifiuto di un contingente tariffario, qualora sia già stato raggiunto il volume del contingente stesso, o, ancora, i casi in cui l’esercizio del contraddittorio endoprocedimentale possa pregiudicare indagini avviate al fine di contrastare possibili frodi ai danni degli interessi finanziari dell’Unione europea o pregiudicare la salute e sicurezza dei cittadini12.
Nel nostro ordinamento, comunque, il d.l. 24.1.2012, n. 1, conv. con mod. della l. 24.3.2012, n. 27, aveva già mutato i termini del contraddittorio doganale di cui al d.lgs. 8.11.1990, n. 374, riconoscendo all’operatore economico – sia nelle ipotesi di revisione dell’accertamento dei diritti doganali su base documentale con attività integralmente posta in essere in Ufficio, che all’esito di accessi, ispezioni, verifiche – il diritto di comunicare all’amministrazione, prima della notifica dell’atto impositivo, osservazioni e richieste entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla data di consegna o avvenuta ricezione del verbale delle operazioni compiute.
I termini e le modalità per l’esercizio del diritto ad essere ascoltato sono contenuti negli artt. da 8 a 10 RD e negli artt. 8 e 9 RE.
Per quanto riguarda le conseguenze del mancato rispetto del diritto al contradditorio anticipato, la questione fondamentale è se l’atto impositivo emesso in violazione del diritto dell’interessato ad essere ascoltato debba considerarsi illegittimo o meno. Sul punto, viene ancora in rilievo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che, in sintesi, è giunta all’affermazione del principio che si può riassumere nel senso che una violazione dei diritti della difesa, specie del diritto ad essere ascoltati, determina l’annullamento del provvedimento adottato soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento amministrativo avrebbe potuto comportare un risultato diverso: «di conseguenza, una violazione del principio del rispetto dei diritti della difesa comporta l’annullamento della decisione adottata soltanto quando, senza tale violazione, il procedimento avrebbe potuto condurre ad un risultato differente»13.
L’art. 42 CDU detta disposizioni di principio per l’applicazione di sanzioni amministrative nel caso di violazione della normativa doganale.
Come è stato giustamente osservato14, ad oggi manca una disciplina armonizzata a livello dell’Unione in materia di sanzioni amministrative doganali. La Commissione europea, nel dicembre 2013, ha presentato una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul quadro giuridico dell’Unione relativo alle infrazioni ed alle sanzioni doganali, per la cui approvazione sono in corso i negoziati presso la Istituzioni europee.
La proposta mira a creare una base giuridica comune tra tutti gli Stati membri per superare le differenze esistenti nelle legislazioni nazionali in materia di infrazioni alla normativa doganale e di sanzioni amministrative, differenze che rendono più difficile una efficiente gestione dell’unione doganale oltre che a creare una disparità di trattamento tra operatori economici, permettendo anche casi di forum shopping nel senso di scelta dal luogo dove compiere le operazioni illecite sulla base della legislazione sanzionatoria più mite.
Le sanzioni previste dal codice, che, conformemente ai principi punitivi per la tutela degli interessi finanziari dell’Unione, devono essere “effettive, proporzionali e dissuasive”, sono essenzialmente di carattere pecuniario, eventualmente anche in sostituzione di una sanzione penale, e di natura più propriamente amministrativa, mediante la revoca, la sospensione o la modifica di qualsiasi autorizzazione di cui è titolare il responsabile.
Il rapporto tra sanzioni amministrative e penali ha acquistato sempre più rilievo giuridico negli ultimi anni grazie all’affermazione giurisprudenziale, ed in particolare ad opera delle Corti sovranazionali15, della tendenza alla qualificazione delle stesse in base alla loro sostanza e non in base al titolo formale; questo ha portato come corollario l’applicazione di principi quali il ne bis in idem, per cui uno stesso fatto, già sanzionato con pene formalmente amministrative ma in realtà dotate di rilevante significato punitivo, non può essere assoggettato nuovamente a sanzioni di carattere penale.
Non si può escludere, quindi, che tali questioni sorgano in futuro in occasione dell’applicazione di sanzioni previste dal codice doganale.
Il criterio primario per la determinazione del valore in dogana delle merci importate è rimasto il valore di transazione, da intendersi, ai sensi dell’art. 70 CDU, il «prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando sono vendute per l’esportazione verso il territorio doganale dell’Unione, eventualmente adeguato».
La novità che si delinea ora è, dunque, rappresentata dall’ultima parte della definizione del valore di transazione elaborata dal nuovo codice (art. 70) con l’aggiunta delle parole «eventualmente adeguato». Con tale ultimo inciso e con la semplificazione introdotta dall’art. 73 (nei casi in cui il valore non sia quantificabile al momento dell’importazione) si prospetta ora la possibilità di richiedere in dogana non solo la forfettizzazione degli elementi del valore (elencati negli artt. 71 e 72) ma anche del valore di transazione inteso in generale, quale pagamento in totale effettuato a beneficio del venditore (così l’art. 70 par. 2).
Per rendere il valore in dogana sempre più aderente al prezzo effettivo, è stata anche introdotta nel codice la codificazione degli sconti (art. 130 RE) e la disciplina della riduzione di valore in dogana per merci difettose, che, invece, trova la sua base legale nell’art. 132 del regolamento stesso.
Le disposizioni in materia di valore in dogana consentono ora, a determinate condizioni previste dalla norma, di tener conto dell’adeguamento del prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate nel caso in cui, dopo l’immissione in libera pratica, sia rilevato il carattere difettoso delle suddette merci.
L’accettazione in dogana del valore di transazione basato sulla prima vendita (cd. first sale rule) è consentita, ai sensi della disposizione transitoria espressa nell’art. 347 RE, solo per i contratti conclusi prima del 18 gennaio 2016 ed in ogni caso non oltre il 31.12.201716.
Come è stato precisato anche dalla Corte di cassazione17, tale regola rappresenta un particolare metodo di determinazione del valore doganale, applicabile ogniqualvolta una data merce sia assoggettata a vendite a catena prima della sua importazione definitiva. La regola in questione è stabilita dall’art. 147 DAC e prevede che l’utilizzo, a fini daziari, del «prezzo relativo ad una vendita anteriore all’ultima vendita sulla cui base le merci sono state introdotte nel territorio doganale della Comunità». Siccome il prezzo della prima vendita o vendita anteriore è normalmente più basso di quelli di ogni successiva rivendita, il metodo in questione consente agli operatori di realizzare risparmi, potendo calcolare i dazi ad valorem su una base imponibile più bassa.
Nell’UE l’utilizzo della first sale rule coesiste con il criterio opposto della last sale rule (C. giust., 6.6.1990, n. 11).
Una delle novità più rilevanti in materia di valore in dogana è costituita dalla disciplina del trattamento dei diritti di licenza (inclusi i canoni per marchi di fabbrica, tipo di licenza più diffuso in dogana), questione che origina non di rado contenziosi complessi e di rilevante entità.
L’art. 71 par. 1, lett. c), CDU ribadisce che tra gli elementi da addizionare al valore rientrano i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare.
Viene altresì chiarito, in applicazione di tale principio, che il pagamento, ai sensi dell’art. 136 RE, è da includere nel valore anche quando non è richiesto espressamente dal venditore o da persona ad esso legata: sono infatti previste fattispecie aggiuntive rispetto a tale caso in modo da prevedere quale condizione di vendita anche il versamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza al licenziante da parte dell’acquirente (a prescindere dunque dall’espressa richiesta del venditore).
Un documento così complesso, per quantità di norme che in esso sono contenute e per la delicatezza della materia che tratta, non può, naturalmente, non lasciare aperti una serie di aspetti problematici.
Il primo, di carattere generale, ma, forse, anche il più rilevante, riguarda la stessa operatività concreta del nuovo codice. Per quanto esso abbia cercato di rendere più semplici e chiare varie procedure e definizioni, resta il dubbio su quanto le nuove norme potranno veramente conseguire i risultati che lo stesso si prefigge. Ciò anche in virtù della notevole complessità della sua struttura e dell’estremo tecnicismo della materia, che incide sulla operatività del nuovo strumento legislativo. Si è visto, infatti, che esso si compone di più atti normativi, la cui adozione ed entrata in vigore hanno luogo in periodi distinti, cosicché si pongono problemi di coordinamento tra le stesse. Inoltre la notevole quantità di norme transitorie per regolare situazioni in corso non aiuta a semplificare il quadro di operatività delle disposizioni. Il primo dubbio, quindi, riguarda il funzionamento del codice nel suo insieme.
Anche sugli aspetti di dettaglio, poi, per quanto il nuovo codice abbia cercato meritoriamente di procedere ad un’opera di semplificazione e chiarificazione di questioni già esistenti sotto il codice previgente, non tutti i dubbi interpretativi potevano essere superati.
Resta, così, da vedere la operatività delle nuove norme in materia, per esempio, di nuovi regimi doganali, di operatore economico autorizzato, di definizione di esportatore, di prescrizione dell’obbligazione tributaria. In tema di operatore economico autorizzato (AEO), per esempio, la sostituzione del certificato esistente con due tipi di autorizzazione, per la semplificazione doganale e per la sicurezza, apre scenari da valutare a proposito delle sorti dei certificati esistenti. Se si dovesse accedere all’opinione per cui il nuovo regime comporta il completo riesame delle certificazioni attualmente esistenti, vi potrebbe essere un notevole impatto soprattutto sulle aziende esportatrici.
In ogni caso, il nuovo codice ha ormai mosso i primi passi; oltre alle prevedibili difficoltà intrinseche, va anche detto che, poche settimane dopo la sua entrata in vigore, lo stesso si è anche imbattuto in eventi esterni che hanno aperto scenari imprevedibili, ed in particolare l’esito del referendum britannico sulla permanenza nell’Unione (cd. Brexit), che, con la cautela ancora necessaria nell’analisi di un evento così complesso, dovrebbe aprire ulteriori aree problematiche finora inesplorate che riguarderanno in prima battuta proprio il settore doganale, e quindi anche il funzionamento del nuovo codice nei rapporti con il Regno Unito.
L’esperienza ed il tempo diranno quanto le innovazioni da esso introdotte saranno efficaci e migliorative del quadro esistente; agli studiosi, il compito di analizzarle nei mesi a venire; è certo, comunque, che il nuovo codice rappresenta uno strumento indispensabile per raccogliere le sfide che il mondo moderno pone nel settore degli scambi internazionali e, forse, come la predisposizione di questo testo dimostra, ha anche il merito di attirare l’attenzione di un vasto pubblico su un settore del diritto, quello doganale, spesso considerato di estrema nicchia e riservato agli addetti ai lavori, per quanto, occorre sempre ricordare, sia uno di quegli ambiti del diritto che, invece, incide di più sulla vita anche quotidiana delle persone, se solo si pensa alla quantità e tipologia di beni, anche di largo consumo, i cui movimenti esso ordina e disciplina.
Note
1 Codice doganale comunitario adottato con reg. (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12.10.1992, modificato dal reg. (CE) n. 450/2008 del 23.4.2008
2 Proposta di nuovo codice doganale aggiornato COM(2005)608.
3 Si veda, tra gli altri, Fantasia, F., Il nuovo codice doganale dell’Unione Europea, in www.to.camcom.it.
4 La Convenzione di Kyoto è stata conclusa dalla Organizzazione mondiale delle dogane nel maggio 1973 ed è entrata in vigore nel settembre 1974. Nel giugno 1999 è stata modificata da un protocollo aggiuntivo definito “Convenzione riveduta di Kyoto” per adeguare la stessa alle esigenze del nuovo commercio internazionale.
5 Melis, G.Persiani, A., Trattato di Lisbona e sistemi fiscali, in Dir. prat. trib., 2013, n. 2; Iannuzzi, L.Massari, P., Il Codice doganale dell’Unione: una lunga storia..., in www.euromerci.it.
6 Melis, G.Persiani, A., op. cit.
7 Iannuzzi, L.Massari, P., op. cit.
8 per semplicità di lettura, pare opportuno indicare gli acronimi con i quali sono indicati i vari strumenti legislativi in materia doganale citati nel presente testo: CDU: reg. (UE) n. 952/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9.10.2013 che istituisce il Nuovo codice doganale dell’Unione; CDC: reg. (CEE) n. 2913 del 12.10.1992, che istituisce il codice doganale comunitario; DAC: reg. (CEE) n. 2454 del 2.7.1993, recante disposizioni di applicazione del reg. (CEE) n. 2913/1992; RD: reg. delegato (UE) n. 2446 del 28.7.2015; RE: reg. di esecuzione (UE) n. 2447 del 24.11.2015; RDT: reg. delegato transitorio (UE) n. 341 del
17.12. 2015.
9 Agenzia delle Dogane, circ. n. 8/D del 19.4.2016.
10 In materia di contraddittorio doganale, la giurisprudenza della Corte di cassazione, pur riconoscendo l’inapplicabilità dell’art. 12 l. 27.7.2000, n. 212 alla materia doganale, ha, però, sempre riconosciuto il principio sulla base della normativa applicabile. Sul tema, va anche segnalato che Cass., 6.5.2016, n. 9728 ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione «per chiarire se contrasta con il principio generale del contraddittorio procedimentale di matrice eurounitaria la normativa italiana laddove non prevede, in favore del contribuente che non sia stato ascoltato prima dell’adozione dell’atto fiscale da parte dell’amministrazione doganale, la sospensione dell’atto come conseguenza normale della proposizione dell’impugnazione». Cfr. in questo volume, Diritto tributario, 2.1.1 Accertamento e contraddittorio endoprocedimentale.
11 A partire dalla decisione C. giust., 18.12.2008, C349/07, Sopropè.
12 Come messo in luce anche da Agenzia delle dogane, circ. n. 8/D del 19.4.2016.
13 C. giust., 3.7.2014, C129/13 e C130/13, Kamino.
14 Agenzia delle dogane, circ. n. 8/D del 19.4.2016.
15 Si veda C. eur. dir. uomo, 23.11.1976, Engel ed altri c. Paesi Bassi; C. eur. dir. uomo, 4.3.2014, Grande Stevens ed altri c. Italia. Cfr. Conti, R., Ne bis in idem, in Libro dell’anno del Diritto 2015, Roma, 2015, 438.
16 In tal senso Agenzia delle dogane, circ. n. 8/D del 19.4.2016.
17 Cass., 6.11.2013, n. 24895.