Il modello vincente: la polis aristocratica
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Al centro della vita sociale ed economica della polis sta il più delle volte la figura dell’aristocratico, elemento fondamentale, di lunga durata, dell’esperienza storica dei Greci. Gli aristocratici non sono facilmente definibili, se non per il loro stile di vita e per i valori di cui sono portatori. Il loro dominio politico assume, nel corso dei secoli, diverse forme, in una continua rimodellazione del processo di esclusione/inclusione, che sta alla base della vita politica della polis.
Nel logos tripolitikos è la monarchia, intesa come governo del migliore, a vincere; nel pensiero politico greco, e anche nella prassi costituzionale delle poleis, il modello più apprezzato e diffuso è il governo dell’aristocrazia. Tutto sommato, infatti, l’idea che una ristretta cerchia di rentiers privilegiati, dotati di buoni mezzi (vale a dire proprietà terriere) e quindi non costretti a lavorare per vivere, dovessero detenere il potere, non era alla fin fine contestato da nessuno, tanto che un intelligente paradosso intenderebbe spiegare la democrazia come un allargamento a tutti i cittadini dei privilegi degli aristoi.
Gli aristocratici sono dunque i grandi protagonisti dell’esperienza politica greca. Le motivazioni del loro predominio così duraturo sono state viste nella loro “capacità di rinnovarsi e di cooptare” (Luciano Canfora). Cerchiamo di vederne più da vicino le caratteristiche.
Nel mondo della polis, quella degli aristocratici (da aristos, il “migliore”) è una casta ristretta, ma non chiusa, che si definisce non in base a norme di tipo giuridico, ma in relazione a uno stile di vita, oltre che, ovviamente, alla ricchezza. È caratteristico degli aristoi esaltare le proprie origini ricollegandole a quelle degli eroi del passato leggendario del mondo greco, se non agli stessi dèi.
Non diversamente, poi, dalla nobiltà europea del Medioevo, la distinzione aristocratica poggia su vere o presunte capacità militari; vale a dire su virtù quali il coraggio, l’ardimento, la forza fisica, che avevano consentito agli antenati, in un tempo ormai non precisabile, di elevarsi al di sopra delle masse e conquistare la posizione sociale più ambita all’interno della comunità.
La caccia e lo sport (ricordiamo la data tradizionale del 776 a.C., in cui avrebbero avuto inizio i giochi olimpici), all’interno di un’etica fortemente competitiva (l’uomo “agonale”, secondo la celebre definizione di Jacob Burckhardt), sono dei validi surrogati dell’attività bellica, utili a preparare il corpo e la mente al combattimento, oltre che terreno privilegiato dove poter esibire la propria ricchezza e il proprio status. Quasi sempre la dimensione pubblica dell’aristocratico era legata all’allevamento dei cavalli, un’attività tanto dispendiosa quanto determinante per la costruzione della sua immagine, e alla quale molti di essi si dedicano con grande passione – basti pensare a uno dei più famosi, Senofonte, autore anche di testi sulla cavalleria –, anche se il legame con l’attività militare si fa sempre più labile: la cavalleria infatti, in gran parte delle poleis, tende a divenire marginale nella composizione delle forze militari.
L’ostentazione pubblica dello status è fondamentale per gli aristocratici; altrettanto lo è un rituale che si svolge, invece, negli spazi privati delle loro case: il simposio, la cui etimologia rimanda al “bere insieme”. Lo possiamo definire un banchetto, durante il quale un piccolo gruppo di aristocratici (15 più o meno), nelle ore serali, si riunisce, oltre che per mangiare e bere, per parlare, svagarsi, svolgere una serie di pratiche ritualizzate e identitarie, che cementano la solidarietà di gruppo, fino a sfociare in vere e proprie consorterie politiche (chiamate di solito ‘eterie’, da hetairos, “compagno”). Liberi dal lavoro (che l’ideologia aristocratica considera degradante), gli aristocratici hanno il tempo libero (scholè) per occuparsi degli affari della comunità; è a loro che, insieme all’attività militare, viene demandato questo compito.
La definizione dell’aristocratico nel mondo greco non ci aiuta a capire quante e quali persone siano degne di essere incluse e di godere di conseguenza dei pieni diritti politici. Non solo il concetto stesso di aristocratico è assai vago, basato com’è più sul comportamento che su dati di fatto. Un esempio: Nicia, lo sfortunato generale che portò al disastro la spedizione ateniese in Sicilia, era ricchissimo, ma di recentissima ricchezza. Le sue origini non erano nobili, peraltro egli si comportava come un aristocratico, tanto da ingannare forse anche alcuni dei suoi concittadini, certo alcuni storici di oggi. Cleone, il leader democratico che succede a Pericle, era assai benestante, ma si comportava come un cafone, e quindi non ingannava nessuno. Tucidide, aristocratico come pochi, tollerava il primo, ma era disgustato dal secondo...). In generale, la struttura politica della polis è a geometria molto variabile, e il termine oligarchia (in teoria, il governo degli oligoi, dei pochi, dove è possibile intravedere una sfumatura negativa rispetto ad aristocrazia: lì infatti governano i migliori, qui invece a comandare sono pochi, scelti apparentemente più o meno a caso) può indicare realmente il governo di poche persone così come una “democrazia moderata”, nella quale ad avere la pienezza dei diritti politici è una percentuale elevata del complesso degli abitanti.
Cerchiamo adesso di definire alcuni sottomodelli della città aristocratica, traendoli dalle numerosissime risposte che nei secoli sono state date al fondamentale problema dell’inclusione/esclusione rispetto al corpo politico della polis.
Il “grado zero” dell’assetto aristocratico lo abbiamo già incontrato: poleis governate da gruppi elitari assai ristretti, vere e proprie basilikai dynasteiai, dinastie regali. I Bacchiadi a Corinto, i Pentilidi a Mitilene, grandi clan che fanno capo a un unico capostipite, escludono di fatto la stragrande maggioranza della popolazione, ivi compresi i clan aristocratici minori. Corollario di tale organizzazione è una bassissima istituzionalizzazione delle strutture della polis.
Altrove, specie nelle fondazioni greche d’oltremare (dove il concetto di aristocratico si lega di solito a quello dei discendenti dei fondatori dell’insediamento), si tenta la strada della determinazione di un numero fisso di uomini che acquisiscano la piena cittadinanza, senza contemplare l’ipotesi di una variabilità dell’assetto in termini quantitativi. Mille è il numero favorito, come a Crotone, ad Agrigento e a Locri; in un altro caso famoso, a Marsiglia, il numero prescelto è 600. In sé, tali numeri possono anche essere considerati abbastanza elevati, tali comunque da comprendere una parte consistente della popolazione, o quanto meno di quanti detengano un appezzamento di terra. Uno dei punti cruciali, su cui siamo di solito poco o per nulla informati, è quello del meccanismo che avrebbe dovuto assicurare il mantenimento del numero; le opzioni principali, già individuate da Aristotele nella Politica, sono la cooptazione (quando viene a mancare un cittadino, sono quelli rimasti a scegliere un sostituto) e il più rigido sistema ereditario: quest’ultimo, tendenzialmente, favorisce una maggiore concentrazione delle ricchezze nelle mani di un numero esiguo di famiglie.
Altra scelta è quella di consentire l’accesso alla politica a chiunque detenga un determinato censo: il sistema timocratico, che ha esempi sparsi ovunque e in qualunque epoca della storia, fino alle soglie del XX secolo. Alcune considerazioni su tale sistema: in primo luogo, esso sancisce l’inevitabile – presto o tardi – passaggio da un’aristocrazia di sangue a un’aristocrazia del denaro; in secondo luogo, proprio per la necessità di misurare la ricchezza, si tratta di un sistema di una certa complessità: nei sistemi censitari dell’età arcaica, come quello soloniano, a venire misurata era esclusivamente la produzione agricola; e anche in epoche successive rimase sempre il problema di misurare la ricchezza cosiddetta “invisibile”, vale a dire la ricchezza che non fosse costituita dalla terra. Infine, si tratta di un sistema che non consente di mantenere fisso il numero dei cittadini; tale numero, per un meccanismo naturale, tenderà di solito ad aumentare, diminuendo nel contempo la coesione interna del corpo civico (molto dipenderà, come è facilmente comprensibile, dai livelli di censo stabiliti).
Il regime censitario ha il pregio di consentire la regolazione a piacimento del “termometro” sociale dell’inclusione/esclusione. Una formulazione molto diffusa, tanto da costituire una sorta di base ideologica della cosiddetta democrazia moderata (o “oplitica”), legava la piena cittadinanza alla capacità di difendere la propria polis con le armi e, dunque, alle capacità economiche di procurarsi tali armi. Un tale assetto scremava la popolazione libera fino a individuarne, all’incirca, un 30-40 percento che veniva a costituire il corpo civico. Sulla base di semplici considerazioni aritmetiche, si noterà come ben due terzi, o poco meno, della popolazione fosse comunque esclusa dai diritti politici; nondimeno, ne veniva cooptata una considerevole parte, a perenne soddisfazione dei moderati di ogni epoca, ansiosi di identificare, da qualche parte, una classe media che, appunto, fosse in grado di mediare fra i troppo esclusivi “allevatori di cavalli” e i pericolosi, incolti e rozzi esponenti del demos, del popolo. Si trattava di un sistema “forte”, in quanto riaffermava la fondamentale identità tra il cittadino e il soldato che difende la propria patria, ma nella pratica incontrava enormi difficoltà di applicazione, come è possibile intravedere in alcuni casi concreti.
Il mondo della polis è un mondo intrinsecamente selettivo, basato sul privilegio e sul dominio di una parte della popolazione: in un primo tempo una piccola minoranza, orgogliosa delle sue vere o presunte origini; in seguito, i più ricchi, identificabili a loro volta, nella stragrande maggioranza dei casi, in coloro che erano proprietari di ampie porzioni del territorio della città. Questo è il modello vincente, che si trasmetterà all’età ellenistica e al mondo romano. Le forme istituzionali con cui tale modello si è manifestato sono pressoché infinite, stante il numero delle poleis, la passione e l’inventiva dei Greci per la materia. È sorprendente che le due più famose e potenti poleis del mondo greco costituissero entrambe delle anomalie; una, Atene, per avere proposto un modello liminare, quello della democrazia radicale; l’altra, Sparta, per aver esasperato la funzione militare all’interno del modello aristocratico, del quale fu comunque vista come l’esempio di maggior successo.