Il modello Bartoletti nell'Italia mancata
La figura di Enrico Bartoletti è di rilievo nella storia della Chiesa italiana del postconcilio come segretario della Cei, dopo un breve periodo come vescovo a Lucca1. Ma il ‘modello Bartoletti’ ha radici profonde, che risalgono ad almeno un decennio prima della sua nomina alla Cei da parte di Paolo VI. Molto del Bartoletti traghettatore-segretario della Cei nacque infatti al Vaticano II: il concilio contribuì a plasmare il ministero pastorale di un vescovo che, a pochi anni di distanza dalla conclusione nel 1965, guidò un episcopato difficile e numeroso come quello italiano nella sofferta ridefinizione dei pesi e dei rapporti tra Chiesa e Stato, tra gerarchia ecclesiastica e laicato2.
La reazione di Bartoletti all’annuncio del concilio da parte di Giovanni XXIII nel gennaio 1959 non si distanziò in modo radicale dall’approccio cauto tipico di gran parte dell’episcopato italiano. Il giovane vescovo ausiliare di Lucca rispose sollecitamente alla richiesta, proveniente da Roma, di proposte per il concilio con un votum incentrato sulla necessità di riaffermare dottrina e disciplina3. Tra gli errori da condannare per il Bartoletti del 1959 rientrava anche una chiarificazione dei rapporti tra clero e laici: «va evitato l’errore secondo cui la chiesa può essere retta e governata con sistema democratico […] andranno chiariti i principi sulle relazioni della chiesa con le società civili, dichiarando le implicazioni della tanto proclamata separazione della chiesa dallo Stato [...] e in che senso e con che limiti tanto i chierici quanto i laici cattolici possono aver parte nelle cose della politica». Bartoletti chiedeva anche la compilazione di una sintesi degli errori moderni, relativi specialmente alla «attitudine dell’intelletto umano nel raggiungimento della verità, sia in materia di morale sia in materia teologica». Tali errori, infatti, «sembrano essere causa di ogni genere di ‘relativismo’», che Bartoletti denunciava, in compagnia di molti altri vescovi, essere l’errore degli errori del tempo moderno, «tanto nella vita pratica, che nell’ambito intellettuale che nella stessa vita religiosa». La seconda parte del votum, circa la disciplina, affrontava il tema dell’episcopato, ma in modo minimalista, allineata alle richieste – in certo modo tipiche dell’episcopato italiano – di ripristino del «potere monarchico episcopale». Bartoletti chiedeva un rafforzamento del potere episcopale, ma a ciò affiancava la richiesta di un ausilio da parte delle conferenze episcopali, una richiesta che qualificava e rendeva il votum di Bartoletti – almeno in parte – atipico rispetto al resto dei vescovi italiani4.
Già dalla preparazione del concilio Bartoletti rivelò un’attitudine diversa rispetto a quella che si sarebbe potuta aspettare dall’estensore di un voto così tipico di un vescovo italiano degli anni Cinquanta, con un vasto coinvolgimento dei laici e della diocesi nel dibattito preconciliare5. Ma questa peculiarità di Bartoletti divenne evidente all’inizio dell’esperienza del concilio. Dalle pagine del suo diario conciliare, emerge la crescita del giovane vescovo all’interno della crescita del concilio come esperienza di apertura. Attento ascoltatore del magistero di Pio XII, la sua attenzione è tutta per Giovanni XXIII, di cui ammira la santità, il profondo carisma, e la considerazione per i tempi moderni: nella Gaudet mater ecclesia vede ‘la linea’ del concilio. Il discorso in piazza S. Pietro viene quasi a confondersi con l’allocuzione solenne: l’emozione è profonda, ben distante dalla disattenzione, diffidenza o sconcerto di alcuni vescovi italiani per «l’ottimismo, la sua fiducia nei tempi nuovi»6. Bartoletti notò da subito l’emergere di diverse sensibilità, «romana e straniera», quest’ultima guidata dai cardinali d’Oltralpe, Liénart, Frings e Döpfner. Si nota quindi un’evoluzione dal Bartoletti del 1959 a quello del 1962, quando pareva propendere per la sensibilità straniera, più che per quella romana.
Il Vaticano II coincise per Bartoletti con un importante momento di maturazione di elementi già presenti nella sua formazione. Esso non determinò una vera e propria ‘conversione conciliare’, un cambiamento di rotta radicale circa la visione teologica e pastorale dell’ausiliare di Lucca, che già all’inizio degli anni Sessanta mostrava – non senza ambiguità – di aver colto gli elementi più aperti della propria formazione romana, di aver intuito la direzione di marcia della Chiesa universale e italiana, di avere chiare le esigenze pastorali di un mondo e di una Chiesa uscite da una prospettiva di «cristianità»7. Proveniente da una formazione romana di prim’ordine e dalle forti testimonianze della Firenze religiosa degli anni Cinquanta, fedele al ricordo di Pio XII ma ancor di più impressionato dalla personalità morale e religiosa del cardinale Dalla Costa, Bartoletti mostrò infatti di saper cogliere, lungo i quattro periodi conciliari, le istanze e le novità emerse con la convocazione di Giovanni XXIII. È evidente il suo apprezzamento per la riforma liturgica, per la riscoperta della Bibbia come fonte per la vita di fede dei cristiani, per un rinnovato rapporto e presenza della Chiesa nel mondo moderno. Bartoletti contribuì alla ‘traduzione’ del messaggio conciliare per la Conferenza episcopale toscana, e si mise presto in luce, all’interno della Cei, come una delle personalità più aperte e consapevoli.
Nelle prime settimane di postconcilio, l’11 gennaio 1966, Bartoletti venne nominato amministratore apostolico sede plena della diocesi, divenendo il vero responsabile del governo di essa in anni difficili, attraversati dalle discussioni sul significato del concilio e sul modo di applicarlo, e dalla nascita della ‘contestazione’ all’interno della Chiesa. Negli anni di episcopato a Lucca, il concilio rimase sempre il punto di riferimento, per il cammino pastorale proposto da Bartoletti alla diocesi prima, alla Chiesa italiana poi. In un discorso tenuto al XX convegno universitario della Pro civitate christiana di Assisi nel dicembre 1965, Bartoletti mostrava la comprensione del concilio appena concluso, assieme alla capacità di cogliere elementi teologicamente validi in autori ‘discussi’, citando – pur con alcuni distinguo – il Dio non è così del best seller di John Arthur Thomas Robinson8 e ponendo il problema dell’ateismo in una prospettiva biblica9. Egli fondava la sua visione ecclesiologica su ripetuti richiami alla costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium e a quella sulla liturgia Sacrosanctum concilium, sposando i nuovi apporti dell’aggiornamento conciliare con un’ecclesiologia attenta all’elemento gerarchico all’interno della Chiesa locale, e tra di essa e la Chiesa universale10. Parlando del rapporto fede-cultura a partire dalla costituzione pastorale, Bartoletti nel 1968 evidenziava che la Gaudium et spes «riafferma in modo esplicito e chiaro l’autonomia, la libertà, la razionalità, la storicità della cultura […] una tale autonomia, una tale libertà, va non solo rispettata, ma promossa, perché è essa stessa un valore integralmente umano e obbiettivamente cristiano»11.
Nel postconcilio a Lucca, il suo ministero episcopale si tradusse in capacità di dialogo e in tentativo di conciliare con la solida tradizione cattolica della città le esigenze dei gruppi di cristiani impegnati nella riforma della Chiesa. Per molti di essi, in quegli anni, il tema della riforma della Chiesa si legava strettamente alla questione del rapporto tra Chiesa e laicità dello Stato: come si vedrà con la legge sul divorzio, che portò al referendum del 1974, la questione era destinata a suscitare un ampio dibattito all’interno del mondo cattolico12. Il tentativo di staccare l’Ac lucchese dalla Dc, la decisione di non riattivare i Comitati civici e l’atteggiamento ‘illuminato’ di Bartoletti sulla partecipazione dei cattolici alla vita politica, erano segnali in contrasto rispetto alla continuità dell’interventismo ecclesiastico da parte della Cei nella vita politica del paese.
Ben presto l’orizzonte si dovette allargare alla scena nazionale: il postconcilio di Bartoletti si identifica non solo con gli anni dell’episcopato a Lucca, ma anche con l’elezione a membro della commissione episcopale della Cei per la dottrina della fede e la catechesi (assemblea Cei del 14-19 aprile 1969)13, con la presidenza della Commissione donna, istituita da Paolo VI nel 1973; con il suo ruolo di ispiratore dei piani pastorali dei primi anni Settanta fino al convegno Evangelizzazione e promozione umana del 1976 e di segretario generale della Conferenza14. In questo primo periodo del postconcilio, di ridefinizione dell’identità ecclesiale sulla base dei decreti del Vaticano II, la sensibilità teologica e pastorale di Bartoletti venne sempre più coinvolta per contribuire, al livello dell’episcopato, alla recezione delle decisioni dell’evento conciliare. In Bartoletti, infatti, l’interpretazione e l’attuazione del concilio si esplicavano nella consapevolezza delle difficili condizioni del cristianesimo nel mondo contemporaneo e nell’attenzione preferenziale per l’evangelizzazione, primo necessario termine – e non a caso – dei progetti pastorali sui sacramenti e la promozione umana.
Il binomio sacerdozio-evangelizzazione fu al centro del suo servizio alla Chiesa universale e italiana. Nell’aprile 1971 i vescovi italiani approvarono la quarta stesura, opera di Bartoletti, del documento pastorale dell’episcopato Vivere la fede oggi15. Nella prima parte di questo documento, ricco di sapienza biblica e fortemente ancorato, nei testi e nello spirito, all’opera di rinnovamento del Vaticano II, non ci si nascondeva la crisi religiosa, che non risparmiava neppure l’Italia, le luci e le ombre del tempo presente, per le quali «esistono tuttavia precise responsabilità dei cristiani [...] una sincera ‘revisione’ della nostra vita alla luce del Vangelo e degli insegnamenti autentici della Chiesa si impone a tutti – sacerdoti, religiosi e laici – qualunque sia l’ufficio che ricoprono nella Chiesa e nella società»16. Il percorso tracciato dal documento per «la fede oggi», incentrato sull’iniziativa, la benignità e l’amore di Dio, su una struttura pasquale e dinamica della fede, si concludeva con parole di speranza, che individuavano le cause delle difficoltà attuali non nell’‘aggiornamento’, ma nel travaglio del passaggio da una cristianità di massa ad un’epoca di secolarizzazione e laicizzazione della vita pubblica e privata:
«l’attuale processo di trasformazione, che coinvolge la vita religiosa del nostro tempo, se ben considerato e coraggiosamente affrontato, non mette in pericolo la vera fede nel Dio vivente, può anzi renderla più pura ed efficace. Se ci saranno uomini illuminati e vivificati da questa fede, Dio non apparirà assente dalla ‘città’ che l’uomo si va costruendo»17.
Su queste linee si sviluppava anche il contributo di Bartoletti al Sinodo dei vescovi sul sacerdozio ministeriale e la giustizia, aperto il 30 settembre 1971 da una sua relazione come segretario generale18. Nella relazione, basata sui contributi inviati dalle Conferenze episcopali, egli tentava di tracciare un quadro della situazione della Chiesa e del mondo post-Vaticano II, con accenti e toni più sofferti e pessimistici rispetto ai suoi precedenti interventi. Nella prima parte – I fatti del mondo che hanno avuto un influsso, positivo o negativo, nella vita del popolo di Dio – si presentavano i principali mutamenti culturali, scientifici e socio-economici, come l’urbanizzazione, la crescente differenziazione tra paesi ricchi e paesi poveri, le crescenti domande di democrazia e giustizia nel mondo e la secolarizzazione. Nella seconda parte – La Chiesa negli anni del post-concilio – Bartoletti enumerava i positivi effetti del rinnovamento conciliare: al primo posto, la più attiva partecipazione alla liturgia, anche se «non mancano passività, resistenze, sparse e, talvolta, organizzate, come non mancano esperienze anomale, deplorevoli abusi, superficiali innovazioni»19. Nella terza parte – dedicata ai maggiori problemi della Chiesa nel momento presente – denunciava la crisi di fede, le difficoltà ad accettare il ruolo e i contenuti del magistero autentico della Chiesa, la necessità di tematizzare e approfondire la teologia delle chiese particolari e del loro rapporto con il centro della comunione ecclesiale, i rapporti con le chiese missionarie, il rafforzamento dell’azione della Chiesa per la pace nel mondo, specie in Medio e in Estremo Oriente.
La presenza di Bartoletti al Sinodo dei vescovi del 1971 e nel Consilium fece sì che, nel giugno 1972, egli tenesse all’assemblea generale della Cei una relazione sul documento sinodale relativo al sacerdozio ministeriale20, in cui sottolineava la riaffermazione, operata dal Sinodo, della dottrina del Vaticano II sul sacerdozio, ed evidenziava la continuità tra le linee pre-sinodali inviate dalla Cei e il documento finale del Sinodo. Questo contributo si poneva, cronologicamente, alla vigilia della sua nomina a segretario della Conferenza episcopale.
La nomina a segretario generale, il 4 settembre, fu una scelta mirata da parte di Paolo VI21 e uno dei segnali più importanti per il superamento della timida fase postconciliare da parte della Cei: non solo per i problemi di rilievo che vennero posti ai vescovi italiani in quei primi anni Settanta dalla situazione politica, ma anche per lo sforzo di progettazione pastorale e di ridefinizione della presenza della Chiesa cattolica in Italia, sulla base della consapevolezza della mutata situazione culturale, sociale e religiosa. La Conferenza episcopale italiana, creata nel 1952 con uno statuto particolare e alquanto diverso da quelli delle altre conferenze episcopali nazionali sorte a partire dalla metà dell’Ottocento, con il pontificato di Giovanni XXIII e poi di Paolo VI assunse via via una fisionomia sempre più strutturata22. Se durante il concilio la Cei aveva esercitato un ruolo più defilato e meno autonomo, rispetto ad altre conferenze episcopali più ricche di storia, nel postconcilio essa acquistò maggiore autorevolezza.
Se è vero che il concilio Vaticano II fu portatore di messaggi diversi e in parte contrastanti tra la presa d’atto teologica della fine dell’’era costantiniana’ e un impianto canonistico e concordatario in sostanziale continuità con la tarda età moderna, non è meno vero che il concilio segnò l’inizio di una ridefinizione dei rapporti tra Chiesa e Stato: ridefinizione che in Italia prese le forme di un dibattito sulla necessità e le modalità di una revisione del Concordato del 192923. Quest’ultima si incrociò con la questione del divorzio, che investì in pieno il segretario della Cei Bartoletti dall’inizio del suo mandato, e lo coinvolse nelle vicende legate al referendum abrogativo della legge Baslini-Fortuna24. A partire dalla sentenza della Corte costituzionale che dichiarò ammissibile la richiesta di referendum popolare per il divorzio (14 febbraio 1972) e dalle proposte di Lelio Basso per una modifica degli articoli 7, 8 e 19 della Costituzione (23 febbraio 1972), il tema divenne sempre più importante nell’agenda vaticana e della Cei25. Bartoletti divenne ben presto l’uomo di fiducia di Paolo VI, all’interno di una geometria complessa di forze: il papa, la Segreteria di Stato (e il sostituto specialmente), l’ala della Cei nostalgica del periodo pacelliano, la Dc, il Pci.
Bartoletti poteva contare su un lungo periodo di riflessioni sul tema che, alla fine del 1971, lo aveva visto protagonista all’interno della Conferenza episcopale toscana. A partire dal 1971, infatti, la questione della revisione del Concordato aveva subìto un’accelerazione: nel novembre di quell’anno la Cei aveva proposto «alle singole conferenze episcopali regionali e, per loro tramite, ai singoli vescovi per l’opportuno esame, alcuni quesiti relativi ai contenuti del Concordato»26. Nella riunione del 3 gennaio 1972 la Cet dava risposta al questionario della Cei: il tono era ambivalente, schierato per il «permanere di un patto concordatario», ma anche attento a una revisione del concordato «solo se riveduto alla luce del Concilio ecumenico Vaticano II e della stessa legge costituzionale italiana». La risposta sottolineò i singoli punti proposti dalla Cei, con l’aggiunta della questione della libertà di nomina dei vescovi e di altri ecclesiastici e della libertà della Chiesa di istituire sue scuole con i diritti a esse spettanti27.
Sul testo di questa risposta Bartoletti aveva annotato di suo pugno delle osservazioni critiche sul punto del matrimonio concordatario, e in particolare al comma in cui si precisava che «il fedele che celebra il matrimonio dinanzi alla Chiesa rinunzia, ipso facto, in conformità all’indissolubilità del matrimonio canonico, alla facoltà di chiedere il divorzio in Italia o all’estero». Ma le critiche di Bartoletti alle proposte della Cet in materia di revisione del Concordato non si appuntarono solo su questo aspetto. Senza entrare nel merito tecnico-giuridico della legislazione concordataria, egli evidenziava alcuni principi adeguati a stabilire un rapporto Stato-Chiesa più fedele al dettato conciliare: riteneva fondamentale la rinuncia ai privilegi connessi allo stato ecclesiastico e all’equiparazione di esso agli uffici burocratici statali. La confessionalizzazione dell’istruzione pubblica suscitava i suoi dubbi, e non solo per questione di ‘buon gusto’. In tal senso, era comprensibile anche l’opposizione di Bartoletti all’inserimento nel Concordato di discipline interne alla Chiesa, come il divieto per sacerdoti e religiosi di iscriversi a partiti politici.
Nell’estate del 1973 Bartoletti intraprese all’interno del mondo politico una serie di incontri per le trattative sulla legge che introduceva il divorzio nella legislazione italiana, trovando in Gianfranco Pompei, ambasciatore italiano presso la Santa Sede, un lucido interlocutore, che ha lasciato un diario con fatti e valutazioni che documentano l’impegno del segretario della Cei nella ricerca di soluzioni non traumatiche28. Ma gli incontri con il segretario della Dc Fanfani e con esponenti del Pci furono intervallati dalle udienze con il papa, le cui indicazioni non univoche esposero il segretario della Cei a marce indietro e correzioni di rotta. Per il Pci e per il suo segretario Berlinguer, Bartoletti fu uno dei più importanti punti di riferimento nelle trattative29. In questa prima fase il papa pareva contrario a spingere i cattolici italiani a un «eroismo pastoralmente inutile». Durante l’udienza del 18 agosto 1973 il papa diede a Bartoletti alcune direttive per la sua attività di mediazione:
«a) Referendum. Il Santo Padre mi mostra il documento riservato – e da me fatto pervenire in Segreteria – del Pci. Ne riconosce l’abilità giuridica e politica. Avverte le ‘chances’ che vi sarebbero nell’ipotesi di una revisione seria della legge Fortuna-Baslini. Teme che spingere al referendum sia invitare ad ‘un eroismo dei cattolici italiani pastoralmente inutile’. Desidera conoscere il pensiero della Presidenza [Cei]. b) Concordato: già ferito mortalmente. Superato dalle nuove condizioni di vita sociale, di pensiero ecclesiologico. Bisognerebbe anche perdere il nome, ma come sostituirlo? Chiedere ai politici che cosa propongono. Il loro progetto può essere per la chiesa un buon punto di partenza. Che cosa salvare? Certo l’insegnamento di religione e un trattamento equo per il clero... Forse però convenzioni particolari potrebbero essere più deboli ma più facilmente riformabili e meno odiose all’opinione pubblica laicistica»30.
Bartoletti discusse in questa fase con Fanfani – direttamente e tramite il suo emissario «cardinal Bernabei»31 –, dopo aver chiesto indicazioni a Benelli e Casaroli, che evidenziarono la posizione attendista della Santa Sede e rinviarono la questione alla Cei e alla sua presidenza in particolare32. Ma pochi giorni dopo, il papa riconvocò Bartoletti e gli fornì indicazioni restrittive in materia di referendum, che però vennero corrette nuovamente in un appunto, con le indicazioni del papa, preparato per Bartoletti33. L’appunto era stato preparato da Casaroli e Benelli, che modificarono in senso ancora più rigido quanto detto precedentemente dal papa.
La precarietà della posizione di Bartoletti dipendeva dall’atteggiamento del Vaticano verso la Dc e le sue trattative per il referendum34, e forse anche dalle timidezze dell’uomo Bartoletti, più portato alla riflessione e al dialogo che alle energiche prove di forza tipiche di Benelli. Di fronte alle rigidità dei vescovi italiani – dietro cui si celava la divaricazione del mondo cattolico – dopo il Consiglio permanente della Cei di metà ottobre 1973, Bartoletti dovette fare affidamento in questa fase sulle possibili aperture del papa e della Segreteria di Stato. Ma fu proprio in questa fase che prese forma la scelta ‘referendaria’ della Santa Sede, parallelamente al crescere dell’orientamento ‘frontista’ all’interno della Dc35. Nell’autunno 1973 l’azione di Bartoletti sulla Segreteria di Stato e sul papa – del quale, peraltro, molti osservatori registravano i cali di tensione e le indecisioni – ricevette l’influsso delle pressioni favorevoli al referendum del cardinal Poma, di Castellano e Luciani. Ma per tutto il 1973 Paolo VI rimase per il segretario della Cei il solo interlocutore non totalmente chiuso ad una soluzione negoziata che tendesse ad evitare il referendum sul divorzio.
Dalla testimonianza dell’ambasciatore Pompei emerge la centralità del ruolo dell’ambasciata italiana presso la Santa Sede in questi frangenti: uno dei motivi e dei temi portanti della testimonianza è proprio il rapporto di fiducia instauratosi tra Pompei e Bartoletti, che consentì di superare le fasi di incertezza e, infine, di digerire anche la sconfitta della linea delle trattative tese ad evitare il referendum. In una delle fasi cruciali, l’ultima che vide qualche possibilità di un esito positivo, nel dicembre 1973, alle riunioni dedicate dal Pci36 alla questione fecero eco gli incontri di Bartoletti con Fanfani, il 20 dicembre, e il resoconto presentato al papa, il 22 dicembre, evidenziando l’esistenza di un «problema di fondo: Rapporto Cei-Santa Sede-Stato italiano»37.
L’altalena di aperture e chiusure di cui Bartoletti dovette farsi portavoce presso Pompei parve terminare con la metà del mese di gennaio 1974, quando cioè il ricorso al referendum divenne, agli occhi degli stessi protagonisti della trattativa, sempre più inesorabile38. La notizia della determinazione del papa e il suo chiaro richiamo alla Dc quale forza politica cattolica vennero portate a Pompei il 9 gennaio, ma nel tentativo di tenere aperta una porta al dialogo e di evitare un Kulturkampf39. Questa silenziosa lotta vide protagonista Bartoletti specialmente all’interno di una Conferenza episcopale in cui riemergevano toni e risoluzioni battagliere tipiche degli scontri elettorali dell’epoca pacelliana e dell’impegno politico diretto della Chiesa italiana precedente la svolta di Giovanni XXIII e del Vaticano II. Alla riunione riservata della commissione per la famiglia insieme alla presidenza Cei, il 22 gennaio, monsignor Fiordelli chiese «un solo stato maggiore» e avanzò la proposta di riattivare i Comitati civici delle elezioni del 194840. In questa riunione Bartoletti sottopose la bozza del pronunciamento che avrebbe desiderato far adottare dal consiglio permanente convocato per il 18 febbraio 1974. La bozza, elaborata con alcuni gesuiti de «La Civiltà cattolica», si articolava in una premessa e quattro punti:
«il referendum è sostanzialmente un fatto sociale, non religioso. I punti: 1) va rispettata la libertà di coscienza, secondo il concilio Vaticano II; 2) va preso atto del pluralismo politico, culturale e religioso della società moderna; 3) va tenuto conto che nella società attuale, date le strutture economiche e sociali esistenti, molti matrimoni sono destinati al fallimento; 4) la chiesa, se da una parte non può rinunciare a richiamare i credenti ai principi del matrimonio cristiano, non vuole entrare direttamente nella controversia, affidando a ciascun fedele un giudizio di coscienza sulla legge circa il divorzio»41.
Ma se sul piano dei toni la linea Bartoletti parve sopravvivere, le debolezze della collocazione di lui nell’organigramma ecclesiastico portarono il 18 febbraio alla bocciatura della «bozza Bartoletti»42 all’interno del Consiglio permanente della Conferenza episcopale e alla nomina di una commissione per la stesura del nuovo documento43. Per parte sua, il segretario della Cei ebbe ben chiaro il quadro che si andava delineando in seguito alla vanificazione degli sforzi – suoi e non solo suoi – di mediazione tra Vaticano, Cei e forze politiche: una situazione di silenziosa lacerazione all’interno dell’episcopato italiano44, riflesso delle crepe del mondo cattolico italiano, che vedeva alcuni autorevoli protagonisti, assai ascoltati anche Oltretevere, assumere posizioni critiche e differenziate: tra questi, Giuseppe Lazzati45.
Bartoletti presentò questo quadro al papa nell’udienza del 22 aprile, in cui evidenziò l’esistenza da una parte di una «lacerazione interna, che il Referendum ha manifestato con violenza senza esserne la causa prima» e dall’altra parte la situazione del «Comitato cattolici democratici, e la mancanza di una vera mediazione culturale; atteggiamento inacidito di protesta»46. La franchezza del rapporto tra Paolo VI e il segretario della Cei non fu sufficiente a mitigare le durezze dell’atteggiamento del pontefice immediatamente prima del referendum e gli interventi vaticani di quei giorni, giudicati a metà tra un disimpegnato distacco e un laconico avallo del papa all’operato della Cei47.
L’esito del referendum del 12 e 13 maggio 1974 fu segnato da una larga maggioranza dei ‘no’ all’abrogazione della legge Fortuna-Baslini (59,1% dei No contro 40,9% dei Sì). Per alcuni dei protagonisti delle trattative tese a evitare la consultazione popolare, tra cui l’ambasciatore italiano, questa fu l’occasione per un giudizio su alcuni degli artefici della prova di forza. Al di là dell’aspra sentenza su Paolo VI48, l’analisi dell’ambasciatore Pompei portò a individuare il fallimento e la sconfitta di una linea politica nella decisione stessa di andare al referendum, frutto di una manovra spericolata di Fanfani iniziata sull’onda di un timido appoggio della Santa Sede. Da parte ecclesiastica, il brusco risveglio in un’Italia che si era pronunciata, col no all’abrogazione, per un assetto diverso da quello immaginato da gran parte delle gerarchie vaticane e della Cei, vide di nuovo come protagonista Bartoletti, che si rese interprete dello scarto tra la situazione politica, culturale ed ecclesiale dell’Italia degli anni Settanta e le reazioni dei vescovi italiani e della Santa Sede. Da qui trasse nuova forza, non solo nel segretario della Cei ma in tutti gli interlocutori, la sensazione della necessità di una revisione del Concordato del 1929, che il referendum del 1974 aveva mostrato essere drammaticamente in ritardo sulla reale situazione italiana.
Nell’udienza del 29 maggio 1974 la questione legata al referendum era solo uno dei punti in agenda della prossima assemblea della Cei del 3-8 giugno. Bartoletti propose un «rinvio alle commissioni dello studio dei risultati del Referendum e della situazione ecclesiale che ne è derivata». Tra gli argomenti della sessione riservata, vi era la necessità di discutere «eventuali proposte circa l’atteggiamento pastorale nei riguardi del matrimonio concordatario», senza prendere posizioni «di rivalsa, ma di dignitosa coerenza e fermezza, evitare l’accusa alla Presidenza di immobilismo, avviare il discorso sulla necessaria revisione del Concordato»49. La Chiesa italiana e il Vaticano presero atto di una sconfitta, se non pronosticata da tutti, prevista da coloro che si erano rivelati impotenti a evitare la prova di forza. Da questa situazione la posizione di Bartoletti uscì rafforzata in linea di principio, ma ancor più isolata all’interno dell’episcopato italiano: non dal papa però, che mantenne fiducia immutata nel segretario della Cei. Il referendum assunse, agli occhi di Bartoletti, il significato di una ferita senza la quale «non si sarebbe mai avuta un’idea esatta della situazione»50. All’assemblea della Cei del giugno 1974, la rinnovata fiducia del papa in Bartoletti derivò anche dalla consonanza tra i loro giudizi sul referendum: a differenza di quei vescovi che, come Siri, attaccarono Bartoletti dichiarandosi sorpresi dell’esito delle urne, il papa parlò della sconfitta referendaria come della «dolorosa conferma di vedere documentato quanti cittadini di codesto sempre dilettissimo paese non siano stati solidali in un esperimento relativo ad un tema, l’indissolubilità del matrimonio, che avrebbe dovuto, per indiscutibili ragioni civili e religiose, trovarli assai più concordi e più comprensivi»51.
Nei mesi successivi la Cei, preso atto della sconfitta referendaria, dispose contatti necessari a un adeguamento della posizione ecclesiastica verso i problemi giuridici del matrimonio concordatario. Nel Consiglio permanente del 17-19 settembre 1974 si era discusso come adattare alle nuove condizioni socio-culturali la struttura giuridica del matrimonio concordatario:
«si dà mandato alla Presidenza di chiedere alla Sede Apostolica che la lettura degli articoli del Codice civile [...] possa essere trasferita dopo la celebrazione [e] di domandare alla S. Sede l’allargamento della casistica per cui, a giudizio dell’Ordinario, si possa celebrare il matrimonio religioso separato da quello civile, per accertati motivi di ordine pastorale [...]. Circa il matrimonio concordatario: a) si ritiene anzitutto necessaria e urgente una revisione di tutta la attuale legislazione, perché dopo l’introduzione del divorzio, l’art. 34 del Concordato è praticamente disatteso dallo Stato italiano; b) si proponga, poi, alla Sede Apostolica che nella eventuale revisione del Concordato si studi una forma di collegamento che contempli la rilevanza giuridica della celebrazione del matrimonio religioso di fronte allo Stato (NB il card. Pellegrino ha chiesto che si aggiunga la clausola ‘nel rispetto della volontà dei nubendi’) [...]. Si coglie l’occasione per far presente anche l’esigenza, più volte emersa in varie riunioni degli organi collegiali della Cei e sempre con discrezione e il dovuto riguardo, di una revisione globale del Concordato. A parte il disagio per alcuni aspetti e la necessità di risolvere talune incertezze che creano difficoltà per la stessa azione pastorale, è stata avanzata l’opinione che con l’evolversi della mentalità e del costume dei cittadini e il deterioramento della situazione politica, il ritardare la revisione pregiudicherebbe ulteriormente ogni trattativa o questa si inserirebbe in un contesto fortemente laicista»52.
Nell’udienza papale del 22 novembre Bartoletti presentò le proposte circa la revisione del Concordato, resasi necessaria dopo l’introduzione del divorzio: «urgenza di revisione o trasformazione. Matrimonio unica celebrazione con rilevanza giuridica nel civile. Colloquio con la Presidenza e la Segreteria di Stato»53. Bartoletti si fece latore della proposta di un’‘urgente’ revisione globale del Concordato e assieme della formula della «unica celebrazione del matrimonio con rilevanza giuridica nel civile»: le opinioni erano state diverse, ma con questa formula parve uscire vincente dal Consiglio permanente la proposta avanzata da Fiordelli, autore di un lungo promemoria inviato a Bartoletti il 21 novembre54.
Le spinte di Bartoletti per una revisione del Concordato parvero trovare, alla fine del 1974, accoglienza favorevole nella Cei. Facendosi tramite tra l’ambasciatore Pompei e la presidenza Cei, Bartoletti riuscì a far passare le linee di una possibile revisione; la proposta di Pompei era mediana tra la restaurazione completa del matrimonio concordatario e la separazione totale del matrimonio canonico da quello civile55. In questa fase «si ipotizza una revisione del Concordato che preveda un trattato di fondo comprendente, come una legge-quadro, i punti fondamentali di accordo, con garanzie costituzionali da studiare nel loro aspetto giuridico. Seguirebbero accordi particolari da non includere nel trattato stesso»56. Tra dicembre 1974 e gennaio 1975 Bartoletti spiegò e chiarì i progetti di revisione al papa, preoccupato delle forme di celebrazione del matrimonio. Dall’udienza del 3 gennaio Bartoletti riportò che «il Santo Padre vedrebbe con favore una innovazione radicale. Pensa che si potrebbero consultare Jemolo e Gonella. Insiste sulla celebrazione unica di tipo concordatario»57. Il resoconto fatto da Bartoletti a monsignor Riva faceva però emergere una posizione del papa assai più moderata e diffidente nei confronti di una «innovazione radicale» del Concordato58. Alle iniziative di Bartoletti per una revisione completa, il papa parve rispondere con una proposta di più basso profilo59.
Nell’udienza pontificia del 13 febbraio con Paolo VI, il segretario della Cei ribadì la propria «preferenza per una innovazione e non per un semplice restauro»60. In tal direzione vennero a Bartoletti i suggerimenti che Riva aveva inviato al papa pochi giorni prima, dato che il consigliere ecclesiastico dell’ambasciata italiana vedeva come irrealizzabile l’ipotesi di restauro come enunciata dal padre Lener61:
«Eccellenza Rev.ma, mi perdoni se vengo ancora da Lei, questa volta per un consiglio. Le note vicende attuali dei rapporti Chiesa-Stato in Italia mi preoccupano molto. La mia coscienza mi chiede di frequente se io ho fatto tutto il possibile per portare quel povero contributo, che mi è consentito, data l’esperienza più che decennale in un lavoro che rappresenta un osservatorio interessante del mondo politico italiano e del mondo ecclesiastico. Nei giorni scorsi la coscienza mi fece sentire un impulso a mettere per scritto alcune riflessioni da sottomettere umilmente alla benevola attenzione del Santo Padre. Ma ne sono piuttosto tremebondo. Le faccio avere copia del testo che avevo steso, pregandola della massima riservatezza. Le sarei molto grato se Lei mi dicesse una parola in proposito circa l’opportunità o meno di far giungere il testo al Santo Padre, oppure di chiuderlo nel cassetto. La ringrazio anticipatamente del suo prezioso parere che mi tranquillizzerebbe in coscienza»62.
In questa fase Bartoletti insistette presso il papa affinché accettasse una revisione del Concordato più ampia del semplice ‘restauro’, più vicina, cioè, alle vedute di Villot e dell’ambasciatore Pompei, che notò sbalordito di «avere simili aperture dal Cardinale Segretario di Stato, che mi propone quasi una congiura»63. Di fatto, il papa diede impressioni contrastanti sul proprio atteggiamento: se da una parte vennero commissionati in curia (secondo Pompei, in particolare da Casaroli) articoli a padre Lener sul Concordato – articoli che il papa apprezzò –, dall’altra alcuni interlocutori notavano una posizione più aperta alle innovazioni64. In ogni caso, le linee proposte da Bartoletti non trovarono accoglienza, così come i suoi sforzi tesi a evitare che si ripetesse con l’aborto quanto successo per il divorzio65.
Nonostante gli sforzi profusi da Bartoletti in funzioni di mediazione diplomatica (che travalicavano i compiti istituzionali di segretario della Cei), i tentativi di apertura di una prospettiva di vera riforma del Concordato non furono accolti in Vaticano. Il 20 marzo 1975 il papa ribadì che per la revisione «è necessario considerare il parere dell’opinione pubblica, il desiderio dei vescovi, l’iniziativa della S. Sede e le varie possibili ipotesi»66. Il giorno successivo, in udienza, Paolo VI oscillava ancora tra le due ipotesi: «innovazione o revisione»67 e nelle successive udienze la prospettiva non cambiò68.
La posizione di Bartoletti rimase difficile, anche nei confronti della Dc che fece responsabile la Chiesa (la Cei in particolare) delle difficoltà politiche, fino a rendere evidente anche agli occhi di Pompei l’esaurimento degli spazi di manovra per le trattative sul Concordato. In curia vaticana i prelati favorevoli ad una ampia riforma degli accordi del 1929 non avevano vita facile, né facile accesso a Paolo VI: erano infatti di questo stesso periodo le difficoltà – o l’impossibilità – per Riva di ottenere dalla Segreteria di Stato un’udienza papale. Nonostante – o proprio per – la posizione difficile di Bartoletti, Pompei nel maggio 1975 fu buon profeta nel vedere una riconferma del segretario della Cei per un altro triennio69, ma tra giugno e agosto 1975 divenne evidente l’impossibilità di raggiungere un rapido accordo tra Italia e Santa Sede sul Concordato:
«Signor Ministro, giova fare il punto del problema della revisione del Concordato, dopo tre incontri con Monsignor Casaroli e numerosi altri con il Segretario della Cei Mons. Bartoletti: ufficiali solo i primi, personalissimi i secondi, ma assai utili per controllare gli schieramenti all’interno della Chiesa e l’origine e i fondamenti di alcune posizioni [...]. Dagli inizi del pre-negoziato, annunciato l’8 febbraio u.s., ad oggi il margine per un’intesa, sia pure di principio, è venuto assottigliandosi, fino ad essere nullo o quasi, almeno provvisoriamente»70.
Gli incontri con il papa e le trattative proseguirono, ma senza le speranze dell’anno precedente71.
Nell’estate 1975 Bartoletti, incaricato da Paolo VI di esplorare la difficile situazione interna alla Dc, fu protagonista di una serie di incontri con i principali esponenti del partito. Dopo la sconfitta nelle elezioni amministrative del 15-16 giugno e la successiva riunione del Consiglio nazionale Dc, che aveva messo in minoranza Fanfani, Paolo VI diede a Bartoletti l’incarico di ‘salvare’ il segretario Dc dalle dimissioni. Bartoletti aveva una visione chiara e pessimistica delle condizioni interne del partito guidato da Fanfani, tanto che il 30 giugno 1975 scriveva di un partito in cui
«esplode la lotta delle correnti o fazioni partitiche. Incoscienza, sete di potere, caccia alle streghe. È bene che l’episcopato non si sia impegnato in primo piano con la Dc [...] mi si chiede di prendere contatto con Piccoli e con Andreotti e Moro. Ritengo opportuno chiamare Scalfaro per dire agli interessati la nostra preoccupazione. Fanfani non comprende la situazione. Pensa solo a mosse tattiche, sincere, ma non idonee»72.
Il 5 luglio Bartoletti ricevette, in un’udienza col segretario di Stato Villot, l’incarico di una mediazione all’interno delle correnti della Dc. Villot gli espose anche le divergenze fra Benelli e Casaroli sull’opportunità di un intervento da parte della Santa Sede o della Cei, e non fu reticente sul fatto che in segreteria di Stato «si ascolti un solo canale (Bernabei)»73.
I dissensi all’interno della Chiesa circa l’atteggiamento da tenere nei confronti del mondo politico italiano, e dei comunisti in particolare, coinvolsero Bartoletti in prima persona, in quanto segretario della Cei, e come uomo di fiducia di papa Montini. Dopo le elezioni amministrative del 1975, che misero in grave difficoltà il quadro della stabilità politica di un’Italia all’insegna dell’«unità politica dei cattolici», Bartoletti venne incaricato dal papa di tenere i contatti informali con i dirigenti della Dc, pur essendo il segretario della Cei fermamente contrario ad intromissioni della Chiesa nel campo politico. Come già nel 1973 durante le trattative per evitare il referendum sul divorzio, anche in questo frangente Bartoletti sperimentò – a proprie spese – le oscillazioni e le divisioni della politica vaticana:
«dall’udienza di mons. Benelli colgo le diversità profonde, accennatemi dal card. Villot, fra le due sezioni della Segreteria di Stato. Mons. Benelli è per un pronunciamento chiaro e sollecito della Santa Sede sul comunismo. Dice di avere il consenso di molte personalità ecclesiastiche, me ne farà avere fotocopia accenna. In anticamera prima dell’udienza, alla difficile situazione, vista in tono drammatico, da parte di Oddo Taccoli e Luigi Del Gallo. Mons. Macchi mi esprime la sua opinione, riflesso di colloqui con Bernabei circa la necessità di interventi dei quali mi parlerà il Santo Padre»74.
Pochi giorni dopo, il 10 luglio, la visione del papa fu precisata in udienza a Bartoletti, che così la riportava:
«1) situazione politica italiana: a) contatti avuti costantemente; b) situazione penetrazione pacifica dell’ideologia marxista con estensione di potere del P.C.I., a consolidamento e avanzamento dei risultati del 15 giugno. Gravi difficoltà interne della D.C., che indeboliscono e annullano la sua capacità di recupero e di sostegno dell’elettorato. Divisioni nel mondo cattolico e nello stesso tessuto ecclesiale. Si è potuto evitare l’esplosione del dissenso, ma non l’azione sconsiderata di sacerdoti e di laici impegnati nelle associazioni e nei movimenti; c) proposte operative: nel momento attuale seguire l’evolversi della situazione, specialmente nella D.C., cercando di far riflettere e di far recedere da posizioni di contrasto. In un secondo momento (non oltre il prossimo ottobre) un pronunciamento dottrinale sulle ideologie marxiste, con chiare ed esplicite spiegazioni pratiche. Iniziare, a livello diocesano, una graduale opera di chiarificazione interna, evitando il formarsi di gruppi di rivendicazione, che finirebbero di lacerare definitivamente il tessuto interno delle Chiese locali. Auspicabile un chiarimento Superiore della Santa Sede: a) che non preceda, ma possibilmente sia preceduto da opportuni pronunciamenti delle Conferenze Episcopali Nazionali, b) che spieghi e non comprometta»75.
Nella strategia politica di Paolo VI, l’incarico di Bartoletti era di primaria importanza: le questioni erano quelle dell’avanzata del Partito comunista e della crisi della segreteria Fanfani dopo la sconfitta del giugno 1975. In Bartoletti, consapevole degli oggettivi limiti della sua autorità come segretario della Cei nella missione del salvataggio di Fanfani che il papa gli aveva affidato, la piena obbedienza al papa conviveva con un atteggiamento assai più distaccato – rispetto al papa, alla Segreteria di Stato, e alla Cei – circa le sorti prossime della Dc:
«Esame prolungato e approfondito della situazione italiana dopo il 15 giugno. Il Santo Padre dice che si sente in qualche modo esonerato dalle questioni italiane, che debbono essere affrontate e risolte in prima istanza dalla Cei. È tuttavia quotidianamente partecipe delle nostre pene e difficoltà. Lamenta di non avere alcun contatto diretto con personaggi politici che pure ha conosciuto apprezzato e aiutato. Riconosce un cambiamento profondo di cultura e di mentalità del Paese. Il voto del 15 giugno ne è espressione. Si duole della divisione e incapacità degli uomini politici, mentre ritiene che vi sia uno spazio limitato di recupero. Rispondo:
- che la Santa Sede e il Santo Padre, per motivi storici e situazioni obiettive, è coinvolto nella situazione italiana.
- che la Cei come organismo collegiale è di difficile agibilità.
- che la situazione italiana è segnata da un vuoto di cultura cattolica e da una invasione progressiva di cultura laicomarxista.
- che il mondo cattolico e lo stesso tessuto ecclesiale è lacerato da divisioni interne e contrapposizioni
- che tuttavia esiste un largo spazio di speranza e di attesa per motivazioni fondamentalmente religiose. Occorre un risveglio serio, e un impegno culturale e pastorale, che non accentui le divisioni ma cerchi di ricomporle in unità.
Terapia.
Il Santo Padre concorda nella possibilità di una terapia.
a) Distinzione ma non separazione degli uomini politici (D.C.) dalla Chiesa. Occorre che [la Chiesa] se ne curi in modo organico e unitario.
Il Santo Padre dice che sono io incaricato di questo mandato, che Egli intende sostenere senza incertezze.
Che devo subito prendere contatto entro il 19, con i principali responsabili della D.C.
Che devo continuare ad interessarmi del settore, per una assistenza continuata, sul piano culturale e religioso, servendomi di uno o due Sacerdoti o Vescovi da me designati.
Che si deve preparare un documento pastorale da inviare ai Vescovi entro il 15 agosto.
Che si deve preparare un documento pubblico dottrinale-pastorale per il prossimo autunno.
b) Replico obbiettando 1) la mancanza di autorità propria o delegata inerente al mio ufficio; 2) la difficoltà di intesa con altri organismi (Segreteria di Stato) e Cei. Insiste perché prenda con sicurezza in virtù del Suo mandato, le necessarie iniziative. Esco confortato, ma più che mai appesantito»76.
Nel luglio 1975 i tentativi di Bartoletti di salvare la segreteria Fanfani risultarono vani: dopo la riunione del Consiglio nazionale, il 22 luglio Fanfani si dimise e il 26 luglio, caduta la candidatura di Piccoli, della corrente dorotea, venne eletto segretario Zaccagnini77. Gli eventi non fecero migliorare il quadro della situazione agli occhi del papa, che il 19 settembre ricevette Bartoletti. Il papa riproponeva una lettura assai negativa della situazione politica italiana, minacciata dalla crisi elettorale, culturale e politica, della Dc, e dalla contemporanea avanzata del Pci, anche all’interno di larghi settori del mondo cattolico:
«1. Situazione socio-politica italiana. a) Relazione sui contatti avuti anche dopo il 15 luglio. Aspetti positivi del contatto con esponenti D.C. Interpretazioni negative. Opportunità di una continuazione. b) Giudizio sulla situazione: 1) avanzata del Comunismo. 2) Debolezza della D.C. 3) Scollamento del “mondo cattolico”. 4) Generale, ma disarticolato desiderio e proposito di “rifondazione”. Urgenza dei tempi brevi. 5) Breve momento di attesa, per cogliere segni di ripresa e cercare di convogliarli. 6) Necessità per la Cei di promuovere e sostenere la rinascita di un “movimento cattolico” di rinnovamento e di impegno unitario.
2. Programma della Cei: a) preparazione di un messaggio chiarificativo Appello alla coerenza e alla convergenza socio-politica. b) presenza animatrice nei movimenti e Associazioni di ispirazione cristiana. c) Convegno per Evangelizzazione e Promozione umana [...] d) Consiglio Permanente Cei (1-3 ottobre) per le decisioni immediate circa la situazione italiana.
3. Urgenti necessità operative della Cei: a) ricomposizione della Segreteria [...]
4. Questioni concordatarie: a) attuali difficoltà per i matrimoni; b) auspicio per una urgente revisione del Concordato»78.
Nonostante il fallimento della missione politica di Bartoletti nell’estate del 1975, in settembre il papa gli comunicò la sua decisione di rinnovo del mandato di segretario della Cei e gli espresse la volontà di ripartire «da zero» nell’azione politica organizzata dei cattolici in Italia:
«L’udienza di oggi è stata per me una grazia del Signore, attesa con sofferenza, ricevuta con intima gioia e profonda commozione. Il Papa quasi rispondendo ai miei dubbi ed incertezze interiori, mi ha confermato il suo mandato e la sua fiducia approvando quanto ho potuto fare nella difficile situazione italiana ed esortandomi a continuare col suo pieno appoggio. Mi ha detto di essere consapevole della difficoltà in cui mi trovo e delle critiche cui posso essere esposto, mi ha però incoraggiato a portare il peso, che non ho cercato, ma mi è stato imposto. Mi ha detto, citando l’Imitazione che devo “portare la croce e la croce porterà me”. [...] Ha ascoltato, sottolineando e approvando l’esposizione che Gli ho fatto circa la situazione italiana. Ha insistito perché continui ad avere rapporti informali di presenza pastorale e di consiglio, con gli esponenti della vita politica:
a) in particolare ha insistito perché trovi aiuti di sacerdoti o vescovi per questo compito. Gli ho citato P. Sorge e la “Civiltà Cattolica”. Ha approvato, pur manifestando qualche perplessità per la troppo facile apertura di p. Sorge verso le Acli che ritiene “perdute”. Gli ho accennato a mons. Franceschi ed ha approvato, con parole di stima e di elogio.
b) ha detto che bisogna ricominciare da zero per rifondare una coerenza e una convergenza dei cattolici. Ha mostrato ancora fiducia nella possibilità di un “movimento cattolico”, pur pronunciando giudizi negativi sulle Acli e la Cisl. Cl [Comunione e Liberazione] deve essere sotto sorveglianza. Bisogna educare uomini laici che sappiano amare e servire la chiesa. Riprendere una azione formativa per il clero, sia a livello regionale, sia a livello nazionale. Gli ho detto che questa del Clero, è la questione più grave e urgente della Chiesa in Italia»79.
L’11 dicembre 1975 Bartoletti venne confermato dal Consiglio permanente della Cei per un secondo mandato triennale di segretario. Due giorni dopo, lo stesso consiglio permanente diffuse una dichiarazione sul rapporto tra fede e prassi politica, sollecitato dal papa a Bartoletti fin dal luglio e deciso nell’udienza del 30 ottobre 197580: la Cei affermava l’impossibilità di «essere simultaneamente cristiani e marxisti»81 e lanciava un appello ai cattolici italiani, chiamati ad una prova di «coerenza e fedeltà» nell’ora in cui si profilava un nuovo confronto sull’aborto, dopo quello sul divorzio. È Bartoletti che il 19 dicembre presentò la dichiarazione al papa durante l’udienza, ed è a lui che venne indirizzata nel gennaio 1976, per opportuna conoscenza, una lettera di Benelli che chiedeva a Poletti di intervenire presso C. Riva per una smentita della sua intervista, rilasciata l’8 gennaio a Furio Colombo per «La Stampa»82.
Nonostante le difficoltà in cui si dibatteva, Bartoletti – come per altri versi Riva – non cessò di essere mediatore e ‘ambasciatore’ della Chiesa italiana e della Santa Sede nei confronti del mondo politico italiano: ascoltato dai politici aperti al dialogo e al confronto, alieno dalle condanne e dalle scomuniche, egli era conscio della necessità di impostare su basi nuove, dopo il Vaticano II, il rapporto tra Chiesa e Stato. Una verifica e conferma del suo isolamento, fino agli ultimi mesi di vita, si ebbe con la questione dell’aborto. In questo caso, la mediazione di Bartoletti, tesa a evitare che dalle dichiarazioni di principio si scendesse alle formule politiche, non fu sottoposta alle oscillazioni degli anni 1973-1974 sul divorzio. Dopo un corsivo ‘ispirato’ su «L’Osservatore romano» del 1° febbraio 1976, il 2 febbraio Bartoletti si incontrò con Pompei, in una lunga serie di colloqui privati:
«Mons. Bartoletti ha mostrato personalmente la massima comprensione: direi anzi completa. Purtroppo ciò non serve a nulla perché ha confermato la totale chiusura della sola persona che conta e che decide. Il timore reale è che dalle dichiarazioni di principio si scenda alle formule politiche, alle scelte concrete, sia pure allontanandosi dalle costituzioni conciliari [...]. Tra le motivazioni ne ho colte due: una internazionale (problema con le chiese di Francia, Austria, Germania, Svizzera) e una interna (la convinzione – esatta – di aver recuperato i cattolici del no). Mons. Bartoletti non si faceva illusioni sull’esito del referendum: poteva anche essere peggiore»83.
L’orientamento del papa seguì una parabola analoga a quella già vista per le vicende del divorzio e della riforma del Concordato: dopo una prima fase di disponibilità all’astensione, imboccò la via del pronunciamento per il voto contrario84. Nel febbraio 1976, poco prima della morte, il segretario della Cei dovette attivarsi nuovamente – su incarico di monsignor Benelli, ‘uomo forte’ del governo di Paolo VI – per una pressione sulla dirigenza Dc per una presa di posizione circa la legge sull’aborto: il 20 febbraio, giorno del dibattito parlamentare per la fiducia al governo Moro, Bartoletti dovette intervenire ripetutamente presso l’on. M.E. Martini, e tramite questa, presso Moro e Zaccagnini. La faticosa e paziente opera della «segreteria-cuscinetto»85 di Bartoletti dovette ancora una volta manifestarsi in una direzione che non collimava con le sue convinzioni personali.
Quelli del marzo 1976 furono gli ultimi giorni della paziente opera di mediazione di Enrico Bartoletti. Per mettere fine alla triangolazione Cei-Paolo VI-Segreteria di Stato – che si ripeteva, dopo la vicenda del divorzio, anche per l’aborto –, il segretario della Cei chiese e ottenne una riunione a quattro, con il papa, il cardinale Villot e monsignor Benelli. Il 1° marzo 1976 Bartoletti tornò da quel colloquio notturno, che «si era concluso 3 a 1 essendo rimasto in minoranza l’intransigente mons. Benelli»86 –, con una vittoria che avrebbe potuto in seguito mettere fine alle estenuanti mediazioni e continue sconfessioni del suo operato e dei suoi accordi con Paolo VI. Era nelle intenzioni di Bartoletti, con questa riunione, chiarire la propria posizione nei confronti della Segreteria di Stato: dal 1974, infatti, aveva dovuto sottoporre preventivamente a Benelli gli ordini del giorno delle udienze con Paolo VI, e allo stesso Benelli riferire subito dopo l’udienza87. Vittima di un infarto in seguito alla riunione notturna in Segreteria di Stato, dopo il primo attacco tra il 1° e il 2 marzo e una momentanea ripresa, il 5 marzo 1976 Enrico Bartoletti morì a 59 anni. Alla camera ardente e ai funerali in S. Giovanni in Laterano, sfilarono gli uomini di Chiesa e del mondo politico che aveva incontrato, da Firenze fino a quei difficili anni romani, specchio della varietà di contatti e dell’universalità della stima che raccoglieva: da La Pira a Fanfani, da Lazzati a Andreotti, dal cardinale Villot a don Franzoni.
All’universalità della stima non corrispose l’universalità di una condivisione degli sforzi del segretario della Cei, come notò l’ambasciatore Pompei:
«Le pene dovute all’intensità con la quale ha vissuto il dramma della Chiesa in Italia, comprendendolo perfettamente e non riuscendo a dominarlo (per l’incomprensione dei superiori) lo hanno condotto prematuramente (non aveva compiuto 60 anni) alla tomba nella quale sarà rinchiuso martedì 9 marzo pomeriggio nella sua cattedrale di Lucca. Pure egli aveva piena udienza presso il papa: ricordo che il card. Villot nel tessermi l’elogio di questo prelato mi diceva: “È il solo che possa dire tutto a Paolo VI senza perderne mai la fiducia, il che non è da tutti”»88.
La breve ma intensa stagione della Cei di Bartoletti trovò più interlocutori nel mondo politico e culturale italiano che all’interno della Curia romana, dell’episcopato, e anche della Chiesa italiana89. La crisi della Chiesa postconciliare e dell’Italia degli anni Settanta trovarono in lui un punto di compensazione particolarmente esposto alle tensioni di quella transizione. All’interno della Chiesa, la Cei di Bartoletti dovette gestire la presa di coscienza della secolarizzazione e il lancio di un’evangelizzazione ancorata all’antropologia e all’ecclesiologia conciliari, all’interno di un cattolicesimo in transizione dalla ‘Chiesa in Italia’ di marca pre-unitaria ad una vera e propria ‘Chiesa italiana’ nella Repubblica dei partiti. All’interno della Cei, Bartoletti si trovò sostanzialmente alla guida di un episcopato non più diviso tra l’élite dei cardinali e il proletariato delle micro-diocesi – durevole eredità dell’Ancien Régime –, ma a partire dal concilio in poi riunito in una Conferenza episcopale del tutto particolare: numericamente simile a quella dei grandi episcopati d’oltreoceano, come quelli nordamericano o brasiliano, ma necessariamente diversa per il peso del legame ombelicale con una Santa Sede alle prese con la prima internazionalizzazione della Curia romana. All’interno del clima politico dell’Italia degli anni Settanta, la sua segreteria coincise con l’avvento degli anni di piombo, l’inizio dell’implosione della Dc di fronte alla prospettiva del compromesso storico con il Pci, e con la parabola discendente del pontificato di Paolo VI nei suoi rapporti con un paese ormai refrattario al ruolo della Chiesa cattolica come pre-potere rispetto alla legittimazione democratica90.
In una situazione di precarietà di ruolo istituzionale e con un habitus personale di modestia e riservatezza, di fronte alle correnti che spiravano in quella stagione tra una riva e l’altra del Tevere, e tra Cei e Curia romana, nella prima metà degli anni Settanta Bartoletti seppe cogliere gli snodi teologici e culturali, ma anche politici, del passaggio all’età della secolarizzazione – senza svolte tipiche del ‘conservatore illuminato’, senza cedimenti agli stereotipi culturali degli anni Sessanta-Settanta. Il modello Bartoletti, costretto negli angusti limiti – dietro ai quali non si trincerò – del mandato istituzionale di segretario della Cei, si ritrovò circondato tra Dc e Segreteria di Stato negli anni del referendum sul divorzio e della riforma del Concordato. Alle debolezze strutturali della posizione di Bartoletti si sommarono, in questa fase, le incertezze della seconda fase del pontificato montiniano, dominato dalle preoccupazioni connesse al controllo dell’applicazione del concilio nella Chiesa universale e, sul versante italiano, all’aggravarsi della situazione politica e ancor di più sociale, culturale ed ecclesiale italiana. Bartoletti fu un segretario della Cei dotato del potere di interloquire con i segretari dei partiti politici, ma si trattò di un esperimento legato alle sue qualità personali e alla fiducia in lui riposta da Paolo VI: la nomina di monsignor Maverna come suo successore significò il ritorno ad una più prevedibile divisione dei compiti tra presidenza e segreteria della Cei, preludio al nuovo assetto dei poteri nella Chiesa italiana a partire dagli anni Ottanta.
Il modello Bartoletti emerge, infatti, come l’occasione perduta91, un tentativo mancato all’interno del «paese mancato»92, anche dal punto di vista della creazione di una figura istituzionale di snodo tra episcopato, Chiesa italiana, Santa Sede e mondo politico. Se risultano apprezzabili le differenze di vedute, di letture, di impostazioni tra due ecclesiastici, pur così simili, come Montini e Bartoletti, ancora più evidenti risultano le differenze tra il modello Bartoletti e i modelli precedente e seguente, quanto ai rapporti tra Chiesa italiana e società italiana, e tra Chiesa italiana e Santa Sede: tanto che non si stenta a cogliere nel modello Bartoletti uno snodo periodizzante per la storia della Chiesa italiana. Rispetto alla storia precedente, esso segnò il tentativo di passaggio alla maggiore età per un episcopato italiano da sempre uso a rifugiarsi sotto le insegne di s. Pietro o della Democrazia cristiana. Rispetto al periodo successivo, rimase il punto alto della presa di coscienza, all’interno della Chiesa italiana, della complessità della transizione dalla condizione di ‘Chiesa di Stato’ a una condizione di ‘Chiesa nella democrazia italiana’.
La morte di Bartoletti venne a segnare la fine di una stagione, nella fase di consolidamento della nuova Cei, e la traumatica presa di congedo dalle tentazioni di riconquista cristiana della società. Gli anni di Bartoletti «il traghettatore» alla Cei segnarono il punto più sofferto della fase postconciliare per la Chiesa italiana, nella transizione verso il lento dissolversi delle cristianità costituite, ma anche nella transizione verso il momento più drammatico nella vita della Repubblica. Dopo il modello pacelliano, privo di autorità intermedie, dei rapporti tra Roma e ‘chiese italiane’, e prima del sogno del ‘modello polacco’ della Chiesa wojtyliana, il modello Bartoletti si caratterizzò per la ricerca di uno stile proprio, dal punto di vista sia culturale sia istituzionale, di ‘Chiesa italiana del postconcilio’. A quel breve ma intenso sforzo della segreteria Bartoletti, di vitale importanza per l’equilibrio dei rapporti tra religione e politica nel sistema-paese Italia, sarebbero seguite tra fine anni Settanta e anni Ottanta un’estremizzazione delle posizioni politiche e, nel tentativo del cattolicesimo italiano di passare alla maggiore età, una radicalizzazione delle minoranze ecclesiali insieme alla frammentazione politica e culturale del corpo ecclesiale.
1 Per un profilo biografico, cfr. S. Nistri, s.v. Bartoletti Enrico, in DSMC, III/1, 1984, pp. 61-62; Id., Bartoletti educatore nella chiesa fiorentina, in Un vescovo italiano del concilio, Enrico Bartoletti 1916-1976, Genova 1988, pp. 38-50. Per gli anni fiorentini e il rapporto con don Lorenzo Milani, cfr. M. Toschi, Don Lorenzo Milani e la sua chiesa, Firenze 1994. Per il contributo di Bartoletti al concilio Vaticano II, si veda Id., Enrico Bartoletti e il suo diario al Concilio, in Cristianesimo nella Storia. Saggi in onore di Giuseppe Alberigo, a cura di A. Melloni, D. Menozzi, G. Ruggieri, et al., Bologna 1996, pp. 397-435. Per un ritratto del Bartoletti alla segreteria della Cei, cfr. A. Riccardi, Vescovi d’Italia. Storie e profili del Novecento, Cinisello Balsamo 2000, pp. 174-206.
2 Un primo apporto sulla partecipazione di Bartoletti al concilio è stato dato da Pietro Gianneschi, suo segretario per sedici anni, prima a Lucca poi a Roma, alla Cei: P. Gianneschi, Mons. Enrico Bartoletti e il concilio Vaticano II, «Presenza pastorale», 11-12, 1985, pp. 177-182.
3 Acta et documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando, Città del Vaticano 1960, vol. I/II-3, p. 882. Cfr. L. Lenzi, L’esperienza pastorale di Bartoletti a Lucca, in Un vescovo italiano del concilio, Enrico Bartoletti 1916-1976, pp. 53-122, in partic. pp. 54-55.
4 Cfr. R. Morozzo della Rocca, I «voti» dei vescovi italiani, in Le deuxième Concile du Vatican (1959-1965), Roma 1989, p. 126; M. Velati, I «consilia et vota» dei vescovi italiani, in À la veille du Concile Vatican II. Vota et réactions en Europe et dans le catholicisme oriental, a cura di M. Lamberigts, Cl. Soetens, Leuven 1992, pp. 83-97.
5 Cfr. M. Faggioli, Enrico Bartoletti e il concilio Vaticano II, «Oecumenica Civitas», 0, 2000, pp. 80-104.
6 M. Toschi, Enrico Bartoletti e il suo diario, cit., p. 410.
7 Cfr. L. Lenzi, Concilio e post-Concilio in Italia: mons. E. Bartoletti arcivescovo a Lucca, 1958-1973, Bologna 2004.
8 Il libro del vescovo ed esegeta anglicano J.A.T. Robinson, Honest to God, London 1963 (tr. it. Dio non è così, Firenze 1965), che tra 1963 e 1965 raggiunse le 750.000 copie vendute.
9 Il senso cristiano di Dio, relazione del 31 dicembre 1965, in E. Bartoletti, La chiesa nel mondo, a cura di P. Gianneschi, Roma 1982, pp. 37-51.
10 Omelia tenuta nella cattedrale di S. Martino a Lucca alla messa del giorno di Pentecoste, 29 maggio 1966, in E. Bartoletti, Parola di Dio e omelie, a cura di P. Gianneschi, Roma 1981, p. 258.
11 Rapporto fede-cultura nell’uomo e nella storia, relazione tenuta a un convegno promosso dalla presidenza della gioventù di Ac, a Leggiuno sul Lago Maggiore, nel settembre 1968, in E. Bartoletti, La chiesa nel mondo, cit., p. 78.
12 I problemi nel rapporto tra Chiesa cattolica e Stato italiano per l’introduzione della legge sul divorzio iniziarono nel 1967: il 23 gennaio Paolo VI pronunciò un duro discorso in seguito alla deliberazione del Parlamento che escludeva la necessità di una riforma costituzionale per l’introduzione del divorzio in Italia; il 16 febbraio successivo si ebbe una nota di protesta della Segreteria di Stato al governo italiano per il vulnus inferto al Concordato dalla legge sul divorzio, presentata in Parlamento dal socialista Loris Fortuna, dopo il via libera della commissione affari costituzionali della camera. L’assemblea generale straordinaria Cei del 2-4 settembre 1969 fece propria (come già molti episcopati regionali) la nota dei vescovi lombardi del 20 agosto 1969, che adombrava l’ipotesi del referendum preventivo.
13 Gli altri membri della commissione episcopale della Cei per la dottrina della fede e la catechesi: Carlo Colombo, Luigi Carli, Armando Fares, Ferdinando Lambruschini, Carlo Maccari, Giuseppe Almici, Gilberto Baroni, Albino Luciani. La commissione visse dell’apporto di Bartoletti. I tre convegni più significativi si tennero nel 1973, Evangelizzazione e sacramenti, nel 1974, La penitenza oggi e nel 1975, Evangelizzazione e sacramento del matrimonio: cfr. S. Cipriani, Bartoletti e un «progetto» di collaborazione fra vescovi e teologi, in Un vescovo italiano del concilio, cit., pp. 149-152.
14 Cfr. M. Faggioli, Enrico Bartoletti tra concilio e post-concilio: il primato dell’evangelizzazione e la «commissione donna», «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», 2, 2001, pp. 471-500.
15 Evangelizzazione, sacramenti, promozione umana. Le scelte pastorali della chiesa in Italia, Roma 1979, pp. 321-348.
16 Ibidem, p. 326.
17 Ibidem, pp. 347-348.
18 Cfr. Conspectus hodiernae vitae Ecclesiae seu panorama, Città del Vaticano 1971, p. 34.
19 La vita della chiesa nel momento presente. Un bilancio di cinque anni di post-concilio, «L’Osservatore romano», 2 ottobre 1971.
20 Bartoletti era stato, assieme a monsignor Henríquez Jiménez, monsignor Carlo Colombo e Hans Urs von Balthasar, nel piccolo gruppo dei revisori del testo sinodale sul sacerdozio, De sacerdotio ministeriali, AAS, LXIII, 1971, pp. 909-922.
21 Cfr. F. Sportelli, La Conferenza Episcopale Italiana (1952-1972), Galatina 1994.
22 Cfr. A. Melloni, Da Giovanni XXIII alle chiese italiane del Vaticano II, in Storia religiosa dell’Italia contemporanea, III, L’età contemporanea, a cura di G. De Rosa, T. Gregory, A. Vauchez, Roma-Bari 1995, p. 380. La presente ricerca si è in gran parte basata sulle carte personali di monsignor Bartoletti, custodite dal segretario monsignor Pietro Gianneschi nella diocesi di Lucca e in parte già utilizzate da A. Riccardi, Il potere del papa da Pio XII a Giovanni Paolo II, Roma-Bari 1993, pp. 303-305; Id., Vescovi d’Italia, cit., pp. 174-206.
23 Cfr. M. Faggioli, Tra referendum sul divorzio e revisione del Concordato. Enrico Bartoletti segretario della Cei (1972-1976), «Contemporanea», 2, 2001, pp. 255-280.
24 Una ricca appendice documentaria della revisione del Concordato nel periodo 1966-1974 in edizioni curate da G. Spadolini, tra cui La questione del Concordato, Firenze 1976, pp. 397-469. Si veda anche G. Scirè, Il divorzio in Italia. Partiti, Chiesa, società civile dalla legge al referendum (1965-1974), Milano 2007. Una trattazione esaustiva, che cronologicamente va oltre la morte di Bartoletti e si estende fino al nuovo Concordato del 1984, in R. Pertici, Chiesa e Stato in Italia. Dalla Grande Guerra al nuovo Concordato (1914-1984), Bologna 2009, pp. 526-598.
25 Impegnata in quegli stessi anni nella ridiscussione del concordato spagnolo, stipulato con la dittatura di Franco nel 1953 e considerato dalla diplomazia vaticana il tipo ideale di concordato.
26 Documento della Conferenza episcopale italiana sulla revisione del concordato. Appunti per una riflessione, 26 novembre 1971, edito in F. Margiotta Broglio, Modifica degli artt. 7, 8, 19 della Costituzione e prospettive di revisione del Concordato lateranense, in Atti del convegno nazionale di diritto ecclesiastico (Siena 1972), Milano 1973, pp. 1027 segg. Un primo quesito era sull’opportunità del permanere di un patto concordatario tra Santa Sede e Italia. Sul tema cfr. S. Lariccia, Chiesa e Stato in Italia 1948-1980, Brescia 1981.
27 Inoltre, la CET raccomandava di inserire: «o) libertà della chiesa nelle sue attività caritative e assistenziali; p) assistenza religiosa nelle carceri e negli ospedali; q) personalità giuridica della Cei e eventualmente delle Conferenze episcopali regionali; r) istituzione di cattedre di Teologia, di Facoltà Teologiche e di Diritto Canonico» e proponeva anche la soppressione di alcuni articoli del Concordato perché anacronistici, in contrasto con la Costituzione o perché tesi a tutelare un privilegio «odioso e inutile». Cfr. Abbozzo di un parere collettivo circa la revisione del Concordato: verbale della riunione della CET del 3 gennaio 1972, 5, pp. cicl., in Archivio Bartoletti XXIX.5. Archivio Bartoletti, d’ora in avanti AB, custodito dal segretario, monsignor Pietro Gianneschi, ora in copia presso l’archivio della Fondazione per le scienze religiose di Bologna.
28 G.F. Pompei, Un ambasciatore in Vaticano. Diario 1969-1977, a cura di P. Scoppola, note di R. Morozzo Della Rocca, Bologna 1994, p. 287.
29 I referenti del Pci per la questione referendum sono Paolo Bufalini e Giglia Tedesco; Adriana Seroni invece, ne è occasionalmente incaricata in quanto referente per le questioni relative alla condizione femminile: Archivio Istituto Gramsci Roma, fondo Pci, regesti degli anni 1971-1974: microfilm 0159, p. 1564 e 1593 (Seroni, 22 gennaio e 11 maggio 1971); bobina 017, p. 01673 (Bufalini, Direzione del 23 novembre 1971); bobina 032, p. 933 seg. (Bufalini, Direzione del 5 ottobre 1972); microfilm 041, p. 482 seg. (Seroni, Direzione del 28 febbraio 1973); microfilm 066, p. 908 (Tedesco, nota su incontro con esponenti del comitato per il referendum, 21 dicembre 1973).
30 Appunti dell’udienza del 18 agosto 1973, in AB, IV.11.
31 Soprannome usato nel diario dall’ambasciatore Pompei. Recentemente nelle sue memorie Ettore Bernabei, fanfaniano, direttore generale della RAI dal 1961 al 1974 poi al vertice dell’Italstat, ha teso ad avvalorare la tesi di un isolamento di Fanfani nella vicenda del referendum sul divorzio: cfr. E. Bernabei, G. Dell’Arti, L’uomo di fiducia, Milano 1999, pp. 230-231.
32 In un memorandum per il presidente del Consiglio del 29 settembre 1973, Pompei giudicava il presidente della Cei, cardinale Poma, «persona molto aperta alle nuove idee, ma non lo credo, in questo momento, tanto disposto a cedere sul referendum. Non sarà confortato in questo senso se si rivolge alla base composta in maggioranza di vescovi conservatori, abituati a vivere sotto l’ombrello del Concordato», cfr. G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 291.
33 Cfr. G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 297.
34 Cfr. il memoriale di C. Riva, consigliere ecclesiastico dell’ambasciata italiana presso la Santa Sede, in seguito a un incontro con Bartoletti del 13 ottobre 1973, in G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., pp. 380-382.
35 Questa era la conclusione dell’ambasciatore Pompei, maturata dopo la sconfitta del referendum, nel giugno 1974: cfr. G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 406. Questa conclusione non confligge con la tesi di R. Pertici, Chiesa e Stato in Italia, cit., p. 553.
36 La questione fu discussa il 20 dicembre dall’Ufficio politico, il giorno successivo dalla Segreteria: Archivio Istituto Gramsci Roma, fondo Pci, microfilm 066, p. 897.
37 Pro-memoria per l’udienza del 22 dicembre 1973, AB, IV.14.
38 Il 15 gennaio 1974 viene costituito dal Pci il gruppo di lavoro centrale per il referendum: G.C. Pajetta, P. Bufalini, A. Cossutta, U. Pecchioli, A. Seroni, D. Valori, A. Tortorella, M. Ferrara: Archivio Istituto Gramsci Roma, fondo Pci, microfilm 074, senza pag. Tra il 7 e il 17 gennaio 1974 si ha uno scambio di note tra Paolo Bufalini e «l’On. Franco Cossiga»: 7 gennaio 1974, copia nota verbale di Bufalini all’On. Franco Cossiga, e 17 gennaio 1974, copia nota verbale di Franco Cossiga a Bufalini in risposta alla nota del 7 gennaio: Archivio Istituto Gramsci Roma, fondo Pci, microfilm 074, p. 1049 e p. 1055.
39 «Alla sola idea poi che gli potesse essere attribuita la minaccia di un partito cattolico confessionale, monsignor Bartoletti si sente venir male e respinge l’ipotesi con tutte le forze»: G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 30.
40 Appunti sulla riunione della Commissione per la famiglia della Cei del 22 gennaio 1974, in AB, A37.
41 Appunti sulla «bozza Bartoletti» in G.C. Zizola, I vescovi e il referendum, «Testimonianze», 164-165, 1974, p. 295.
42 «La più adeguata al reale respiro della cattolicità italiana e l’unica in grado di ricomprendere in un’ecclesiologia di comunione la pluralità delle posizioni politiche dei credenti»: S. Magister, La politica vaticana e l’Italia 1943-1978, Roma 1979, p. 425.
43 Vennero incaricati Del Monte (vescovo di Novara, vicino a Bartoletti), il cardinal Pellegrino (Torino), Castellano (Siena) e Fiordelli (Prato). Il documento uscì il 21 febbraio 1976: Di fronte al referendum, notificazione del Consiglio permanente, in Enchiridion della Conferenza episcopale italiana, 2 (1973-1979), Bologna 1985, nn. 970-974.
44 Si veda per esempio il colloquio con Pompei del 13 marzo 1974, in G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 356.
45 Il 3 marzo 1974, sulla prima pagina dell’«Avvenire» venne pubblicata una auto-intervista di G. Lazzati sul referendum (Clamore senza giustificazioni), in cui, pur affermando la propria intenzione di votare per l’abrogazione della legge, prendeva le distanze dallo strumento referendario e dai fini ad esso sottesi da parte della Santa Sede. Cfr. M. Malpensa, A. Parola, Lazzati. Una sentinella nella notte (1909-1986), Bologna 2005, pp. 759-765.
46 AB, IV.73.
47 Testimoniate dal diario di Pompei, note dell’8 maggio 1974, in G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 367.
48 «103 anni fa, il 13 maggio 1871: legge delle Guarentigie. Questa sera è una nuova Porta Pia. Anche Paolo VI, come Pio IX, ha voluto avere la sua»: G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 376.
49 AB, IV.74.
50 Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 403, nota del 30 maggio 1974. Probabilmente a queste conclusioni arrivarono anche alcuni interlocutori politici della Cei e della Santa Sede, tra cui il Pci: «Nella riunione di segreteria del 9 luglio 1974 è stato nominato un gruppo di lavoro del Partito sulla questione della revisione del Concordato. (Del gruppo fanno parte i compagni Bufalini, Jotti, Perna, Natta e Santini)»: Archivio Istituto Gramsci Roma, fondo Pci, microfilm 080, p. 21. Nella riunione di Segreteria del 9 luglio 1974, all’ordine del giorno «Rapporti tra Stato italiano e Vaticano»: Archivio Istituto Gramsci Roma, fondo Pci, verbale n. 66, microfilm 079, p. 141. Un riflesso della presa d’atto anche nel Comunicato della presidenza Cei del 14 maggio, dopo i risultati della consultazione: cfr. «La Civiltà cattolica», 2976, 15 giugno 1974, p. 604.
51 Ibidem, p. 622.
52 Lettera riservata personale di Bartoletti al sostituto della Segreteria di Stato Benelli, 9 novembre 1974, AB, IV.20.
53 AB, IV.24.
54 AB, IV.22.
55 G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 413.
56 Colloquio col cardinale Villot, 21 dicembre 1974, AB, IV.28.
57 AB, IV.65.
58 «Mons. [Bartoletti] gli ha chiarito che si trattava di unica celebrazione, con una separazione dei due ambiti giuridici autonomi dopo la registrazione [...] Mons. ha voluto anche indagare più concretamente intorno ad un eventuale “gruppo ristretto di esperti vaticani” per la trattazione della cosa. Il papa ha fatto i soliti nomi Lener, Ciprotti [...] Mons. ha detto che la Cei non poteva non essere presente in questo gruppo. È venuto fuori poi anche il nome di Jemolo, come possibile membro di questo gruppo (?!) [...] Mons. Bartoletti è del parere che ogni giorno che passa è un giorno perduto. Io gli ho risposto che è il momento in cui tutti devono lavorare seriamente e sollecitamente per non perder tempo e per portare tutto il peso delle proprie convinzioni e responsabilità nella riuscita di un’impresa di grande respiro culturale, civile ed ecclesiale, con gli occhi rivolti al futuro più che al passato. Mons. Bartoletti mi ha espresso alcuni consigli: a) che oramai la cosa è matura e non può più aspettare; b) che l’iniziativa di esplorazione debba partire dalla parte italiana; c) che l’incontro primo dell’Ambasciatore debba esser fatto con il Card. Segretario, piuttosto che con altri». Appunto lasciato da C. Riva, consigliere ecclesiastico dell’ambasciata italiana presso la Santa Sede, a Pompei, il 10 gennaio 1975, in G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., pp. 435-436.
59 «Ho detto chiaramente al Cardinale che se veramente la S. Sede crede di procedere con piccoli rappezzi del Concordato (tipo articolo Lener), non si approderà neppure a un risultato che il governo abbia il coraggio di presentare al Parlamento, che se lo presentasse non passerebbe»: G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., pp. 435-436, nota del 6 febbraio 1975.
60 AB, IV.31.
61 Sulla revisione del Concordato. Postulati dottrinari e interessi concreti, «La Civiltà cattolica», 1 febbraio 1975, pp. 216-228.
62 AB, IV.35.
63 G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 440, nota del 4 marzo 1975.
64 Ibidem, p. 443, nota del 18 marzo 1975.
65 Il 18 febbraio 1975 la Corte costituzionale aveva ammesso la depenalizzazione dell’aborto procurato su donna consenziente nei casi in cui l’ulteriore gestazione implicasse danno o pericolo grave per la sua salute. Sui timori per la nuova emergenza dell’aborto e l’incapacità del vertice vaticano di elaborare risposte a partire dalla comprensione dell’Italia contemporanea, cfr. il resoconto dell’incontro Riva-Bartoletti del 14 marzo 1975, lasciato da Riva a Pompei, in G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 506.
66 AB, IV.33.
67 AB, Agenda Bartoletti, 21 marzo 1975.
68 Le udienze del 10 aprile, 24 maggio, 19 e 20 settembre, 30 ottobre 1975. Bartoletti annotava circa l’udienza del 10 aprile con il papa: «Concordato a) Innovazione: lex fundamentalis. Pacchetto di trattative, garanzie costituzionali b) Ritmo dei tempi: linee di discussione entro la metà di maggio c) Articolo 34 Matrimonio. Unica celebrazione con rilevanza giuridica. d) Scuola di Religione obbligatoria in quanto risponde all’educazione integrale [...] Questione del Concordato: a) Necessità di intese generali prima delle elezioni; b) Opportunità di integrare la Commissione Pontificia, con una rappresentanza dell’Episcopato Italiano; c) Struttura giuridica del nuovo trattato; d) Questioni particolari: 1) Matrimonio; 2) Obbligatorietà dell’insegnamento di Religione»: AB, Agenda Bartoletti, 10 aprile 1975.
69 G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., pp. 451-452. Il cardinale Poma venne confermato il 21 maggio 1975 per un terzo triennio alla presidenza della Cei.
70 Ibidem, p. 456, rapporto di Pompei al Ministro degli Esteri Rumor, 13 giugno 1975. Cfr. anche AB, Agenda Bartoletti, 24 maggio 1975, con un appunto, redatto in risposta ai Principi predisposti dall’ambasciata d’Italia presso la S. Sede (1975), in Presidenza del Consiglio dei Ministri, La revisione del Concordato. Un accordo di libertà, Roma 1986.
71 Bartoletti annotava il 5 agosto, in preparazione dell’udienza col papa: «Concordato: a) Arresto delle trattative, nuove maggiori difficoltà; b) Necessità di una commissione di studio. Disponibilità della Cei. Attesa di invito da parte del Consilium (Mons. Casaroli); c) Parere dell’ambasciatore Pompei»: AB, Agenda, 5 agosto 1975. Il 17 settembre Bartoletti annotava: «a) Impossibilità di andare avanti nelle trattative sia per l’art. 34 che per l’art. 36. b) Opportunità che la Presidenza [Cei] si esprima, in modo chiaro e forte, richiedendo la urgente revisione del Concordato ed esprimendo il proprio parere a proposito del 34 e del 36»: Agenda Bartoletti, 17 settembre 1975. Gli articoli 34 e 36 trattavano della celebrazione del matrimonio e dell’insegnamento religioso nelle scuole.
72 AB, Agenda Bartoletti, 30 giugno 1975.
73 AB, Agenda Bartoletti, 5 luglio 1975.
74 AB, Agenda Bartoletti, 7 luglio 1975. Taccoli e Del Gallo erano Prelati d’Anticamera del papa.
75 AB, IV.49.
76 AB, Agenda 10 luglio 1975.
77 Cfr. G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 465. Il contenuto dell’articolo di Luciano Capovilla, I retroscena dell’intervento del papa per salvare Fanfani, «Il Tempo», 7 agosto 1975, venne avvalorato da Bartoletti: «mi è stato confermato da Bartoletti nell’ultimo pranzo in Ambasciata (lunedì 28 luglio sera). Ha riconosciuto, presente don Riva, di aver agito per obbedienza (cioè contro i suoi convincimenti circa l’opportunità e l’esito di simili azioni)»: G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 471.
78 Appunti dell’udienza con Paolo VI del 19 settembre 1975, in AB, IV.52.
79 AB, Agenda 20 settembre 1975.
80 Venne decisa «la preparazione di un documento sulla situazione attuale, in particolare si propone un documento su Cristianesimo e Marxismo», AB, Agenda 30 ottobre 1975.
81 «Notiziario Cei», 13 dicembre 1975, pp. 254-255. Durante la riunione del Consiglio permanente, alle preoccupazioni di Siri, che evocava la persecuzione in Polonia e la Cecoslovacchia e notava come in Italia vi fosse uno «stato di persecuzione già in atto» dovuto anche alla «mancanza di presenza e di assistenza alla DC» da parte della Cei, Poletti evidenziava la necessità per la dichiarazione sul marxismo di «rimanere al piano della fede» e Castellano ricordava l’opportunità di «non ridurre il marxismo al comunismo», AB, XVII.14.
82 F. Colombo, Viaggio entro la politica del Vaticano. Un vescovo, Roma, e il Pci, «La Stampa», 8 gennaio 1976. In questa intervista Riva aveva toccato i temi del compromesso storico, della secolarizzazione dell’Italia, del rinnovamento conciliare e del Catechismo olandese. Il contenuto di queste dichiarazioni di Riva era stato considerato in segreteria di Stato «al quanto equivoco per le affermazioni che si riferiscono alla chiesa, al concilio, ai vescovi, oltre che inopportuno per quanto riguarda le motivazioni al ‘compromesso storico’ ed alcune valutazioni concernenti determinati uomini politici della Democrazia cristiana»: lettera di Benelli a Poletti del 17 gennaio 1976, in AB, IV.57. Nonostante le insistenze di Benelli, mai vi fu smentita o rettifica dell’intervista. In questi stessi giorni La Valle inviò a Bartoletti, sempre per conoscenza, l’articolo per «Rinascita» sul rapporto tra cattolici e comunisti, in cui cercava, parlando dei comunisti «di farlo in positivo, richiamandoli [...] ai problemi reali, e dunque alle loro responsabilità», in particolare circa il rapporto tra Pci e comunismo sovietico: lettera di R. La Valle allegata all’articolo, datata 14 gennaio 1976, in AB, VI.1.
83 G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., p. 488, nota del 6 febbraio 1976.
84 In tal senso si muoveva anche parte del Consiglio permanente Cei riunito dal 4 al 6 febbraio. 5 febbraio 1976: «Luciani: DC non intende combattere! Meglio perdere dopo aver combattuto. Siri: errore grave astenersi. Far luce sulla legge. La legge umana non obbliga in coscienza»: AB, XVII.15. Sia Pompei che i vescovi avevano ben presente che un pronunciamento sul voto nel referendum avrebbe avuto conseguenze negative sulla formazione del governo nel passaggio dal Moro IV al Moro V.
85 A. Melloni, Da Giovanni XXIII alle chiese italiane, cit., p. 381.
86 M.E. Martini, memoria dattiloscritta, gennaio 1986, p. 10. In questo senso sono anche le testimonianze raccolte da don Silvano Nistri e da don Carlo Zaccaro.
87 Testimonianza del segretario di Bartoletti don Pietro Gianneschi, il quale subito dopo le udienze del segretario della Cei col papa, riceveva le telefonate di mons. Re, che chiedeva a Bartoletti di mettersi subito in contatto col sostituto Benelli.
88 G.F. Pompei, Un ambasciatore, cit., pp. 492-493.
89 Cfr. M. Cuminetti, Il dissenso cattolico in Italia 1965-1980, Milano 1983; D. Saresella, Dal Concilio alla contestazione: Riviste cattoliche negli anni del cambiamento (1958-1968), Brescia 2005.
90 Per un confronto con altre situazioni comparabili a quella italiana, cfr. R. Scott Appleby, Decline or Relocation? The Catholic Presence in Church and Society, 1950-2000 e Gregory Baum, Comparing Post-World War II Catholicism in Québec, Ireland, and the United States, in The Church Confronts Modernity: Catholicism since 1950 in the United States, Ireland, and Québec, a cura di L.W. Tentler, Washington D.C. 2007, pp. 208-235, 268-295; D. Pelletier, La crise catholique: Religion, société, politique en France (1965-1978), Paris 2002.
91 Cfr. A. Melloni, L’occasione perduta. Appunti sulla storia della Chiesa italiana 1978-2009, in Il Vangelo basta. Sul disagio e sulla fede nella Chiesa italiana, a cura di A. Melloni, G. Ruggieri, Roma 2010, pp. 69-121.
92 Cfr. G. Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, Roma 2005.