Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La nascita del madrigale si collega al rinnovamento linguistico e al nuovo gusto poetico che si affermano nelle corti italiane all’inizio del XVI secolo. Da una parte il madrigale accoglie i semplici procedimenti stilistici del repertorio frottolistico italiano; dall’altra piega le tecniche del contrappunto franco-fiammingo a nuovi intenti espressivi. L’arte madrigalistica, colta e raffinata, presuppone uno stretto rapporto tra musica e poesia: del testo poetico, la musica traduce sonoramente le immagini e i concetti verbali.
All’inizio del Cinquecento la ricerca di una poesia attenta alle qualità espressive e affettive della parola, più che agli artifici formali, promuove una riforma della lingua poetica italiana in senso classicistico. Le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, pubblicate a Venezia nel 1525, mostrano la via: una poesia ispirata al Canzoniere del Petrarca, attenta alla qualità linguistica e sonora, capace di restituire in versi armoniosi testi descrittivi o narrativi, idilli, riflessioni liriche d’argomento amoroso. Le nuove idee determinano il gusto generale nelle corti italiane e favoriscono la nascita e lo sviluppo del madrigale.
Le prime fonti manoscritte del madrigale, provengono da Roma e Firenze e risalgono agli anni tra il 1520 e il 1530; ma è solo a partire dal 1530 circa che i testi musicali su componimenti poetici non strofici vengono chiamati madrigali. Il termine compare per la prima volta in una raccolta pubblicata a Roma nel 1530, dal titolo Madrigali de diversi musici, libro primo de la Serena. Di norma, il testo poetico messo in musica da un madrigale è costituito dalla singola stanza di una canzone, o da una sestina, o da un sonetto. La forma metrica è libera; gli ultimi due versi formano, spesso, un distico. Tra i poeti prediletti, oltre a Petrarca, figurano l’Ariosto dell’Orlando furioso e Jacopo Sannazaro, Pietro Bembo, Luigi Cassola e altri petrarchisti. L’intonazione è cameristica, la destinazione è vocale: ogni linea – tutte le voci hanno uguale importanza – è intonata da un solista, con la possibilità di raddoppi o di sostituzioni strumentali.
Per tutto il secolo, la produzione di madrigali all’interno delle corti e delle istituzioni accademiche è molto ricca.
Comporre ed eseguire madrigali si configura come vero e proprio esercizio accademico; saper prender parte all’esecuzione di un madrigale e comprenderne il raffinato linguaggio è requisito essenziale di un gentiluomo. È un’arte praticata in primo luogo per il diletto di chi esegue la musica, ma non esclude, a volte, funzioni celebrative: i madrigali vengono intonati a feste, banchetti, matrimoni. Non è raro il caso che il committente sia un personaggio nobile, che intende in questo modo celebrare la bellezza della donna amata. Centri della committenza sono anche le accademie letterarie, come l’Accademia Filarmonica di Verona, che coltivano interessi musicali oltre che poetici.
La caratteristica essenziale del madrigale è il rapporto strettissimo tra musica e poesia: il madrigale mira a esprimere il contenuto del testo poetico tramite mezzi musicali. Si presta così particolare attenzione alle parole singole e ai concetti del testo che più si prestano a suggerire immagini poetico-musicali; e il musicista, più in generale, è stimolato ad adeguare la musica al significato espressivo della parola.
Si ricorre perciò agli espedienti di più varia natura, alle risorse della melodia, dell’armonia, del ritmo, del contrappunto, per rendere con la musica le immagini e i concetti verbali. In ogni madrigale si possono verificare contrapposizioni di registro, episodi dissonanti possono alternarsi ad altri consonanti, ritmi rapidi a ritmi lenti, passi in stile imitativo ad altri in stile accordale. Ne risulta una forma “aperta”, basata cioè sull’invenzione continua, senza ripetizione di episodi musicali. Ogni sezione, infatti, si lega strettamente al contenuto del testo poetico di volta in volta messo in musica.
Si definisce “madrigalismo” un procedimento tecnico grazie al quale la musica dà veste sonora a un’immagine, un concetto, un’idea suggerita dal testo poetico. A volte, l’invenzione di figure melodiche connotate in senso descrittivo dà origine a una vera e propria pittura sonora: la musica accoglie e traduce in suoni esperienze del mondo naturale e psicologico. Quando, ad esempio, il testo poetico accenna a una corsa, un volo, un moto rapido, la musica presenta una veloce successione di note; un luogo alto o uno basso (il cielo, l’inferno) sono resi da note acute o gravi. A volte il rapporto tra concetto e segno musicale non è immediatamente percepibile perché richiede un atto d’intelligenza o d’arguzia, come quando vi è una corrispondenza tra l’altezza delle note e le parole mi, fa, sol, la e così via nel testo poetico. Gli artifici musicali possono tradurre i concetti anche dal punto di vista puramente visivo: se note nere (cioè di breve valore) sono poste su parole che implicano oscurità o tristezza, il rapporto fra musica e testo poetico è colto dagli occhi di chi canta, e non dall’orecchio. Non mancano, all’epoca, critiche agli eccessi cui portano questi procedimenti: Vincenzo Galilei li disapprova nel Dialogo della musica antica e della moderna (1581); ma le polemiche toccano solo marginalmente una prassi generale e consolidata.
Intorno al 1530, il linguaggio musicale madrigalistico deve molto a quello della frottola e delle forme affini: passi accordali si alternano ad altri in semplice polifonia imitativa, e i madrigalismi svolgono un ruolo limitato. Costanzo Festa e Philippe Verdelot, tra gli altri, rappresentano l’arte madrigalistica in questa fase. Sono universalmente celebrati i madrigali di Jacques Arcadelt, che per tutto il secolo vengono presi a modello per il linguaggio diatonico d’una purezza palestriniana, la semplicità dell’ordito polifonico, la lineare armoniosità.
Intorno alla metà del Cinquecento si compie l’innesto del madrigale con i procedimenti e le tecniche formali della chanson e del mottetto, già messi a punto dai franco-fiamminghi.
Prende così il via l’età classica del madrigale, che annovera, tra i compositori, nomi quali Giovanni da Palestrina, Nicola Vicentino, Costanzo Porta, Vincenzo Ruffo e Annibale Padovano. L’organico si stabilizza sulle cinque o sei voci, la declamazione musicale si ritaglia sempre più su quella verbale. L’opera del franco-fiammingo Adrian Willaert esercita in questi anni una grande influenza; la sua raccolta Musica nova, apparsa nel 1559, è esemplare per la maestria nel trattamento del testo poetico, il cromatismo impiegato a scopo espressivo, l’incipiente sensibilità armonica, i madrigalismi. Uno sperimentalismo più acceso caratterizza i madrigali di Vicentino, allievo di Willaert, che a fini espressivi impiega un linguaggio fortemente cromatico. Altra figura centrale è il fiammingo Cipriano de Rore, anch’egli allievo di Willaert. Il suo linguaggio musicale è tutto teso, al di là dei vincoli grammaticali, a cogliere il dettato poetico e le sue sfumature: egli cura perciò la declamazione del testo, e drammatizza la poesia per renderne l’atmosfera mutevole con i mezzi musicali.
La generazione di madrigalisti successiva conta, tra gli altri, Luca Marenzio, Philippe De Monte, Orlando di Lasso, Giaches De Wert, Andrea e Giovanni Gabrieli, Alessandro Striggio, Carlo Gesualdo, Claudio Monteverdi. Lo studio della corrispondenza tra testo verbale e musica è spinto ancora più a fondo, il cromatismo è sfruttato intensamente come mezzo espressivo, la musica aderisce con esattezza agli affetti mutevoli suggeriti dalle parole. I madrigalismi, talvolta, sono spinti all’eccesso; la musica si concentra più sulle immagini singole che sul significato generale del testo. Ai poeti già considerati dalle precedenti generazioni di musicisti si aggiungono, ora, Torquato Tasso con le Rime e la Gerusalemme liberata, e Giovanni Battista Guarini con la “tragicommedia pastorale” Il pastor fido: testi ricchi di immagini drammatiche e patetiche, oltre che di affetti vivamente contrastanti.
A questi modelli poetici si connette una nuova scrittura madrigalistica. Le corti di Ferrara e Mantova sono il teatro principale delle sperimentazioni: un linguaggio ardito, ricco di cromatismi e dissonanze, si associa a una declamazione enfatica, tesa alla ricerca di un’espressività incisiva. Verso la fine del secolo è soprattutto Ferrara, dove sono attivi il fiammingo Giaches de Wert e Luzzasco Luzzaschi, che svolge un ruolo di primo piano nel propagare le novità linguistiche. Qui i madrigali non vengono scritti tanto per il piacere degli stessi esecutori, quanto per essere ascoltati a corte, in un ambiente raffinato e riservatissimo; sono eseguiti da cantori professionisti, virtuosi e fortemente specializzati, e sfoggiano uno stile complesso, fiorito e vocalmente impegnativo, aperto alle suggestioni dell’incipiente stile monodico. Altri centri importanti di produzione e diffusione dell’arte madrigalistica, nella seconda metà del secolo, sono Roma, Firenze e Venezia.
Nella seconda metà del Cinquecento, soprattutto a Roma, si afferma il genere del madrigale arioso, basato su uno stile prevalentemente accordale e su un’accurata declamazione del testo. L’esempio più antico è costituito da una raccolta di Antonio Barré, stampata a Roma nel 1555. La parte superiore emerge dal tessuto contrappuntistico, le parti inferiori hanno un ruolo subordinato; con il predominio della melodia superiore è chiaramente percepibile un incipiente gusto armonico.
Verso la fine del secolo emerge il nuovo genere dei madrigali drammatici, che vengono detti anche commedie madrigalesche. Il genere è chiamato “rappresentativo”, ma non è destinato alla rappresentazione scenica: ed è costituito da una vicenda drammatica che si articola in diversi episodi madrigaleschi, alterna episodi nello stile del madrigale colto ad altri in quello della semplice villanella popolaresca.
Le situazioni e i personaggi risentono l’influsso della commedia dell’arte; frequente è la parodia dei dialetti italiani o degli idiomi stranieri. Il cicalamento delle donne al bucato di Alessandro Striggio (1567) è tra i primissimi esempi; L’Amfiparnaso di Orazio Vecchi (1597) allinea episodi di vario carattere, caricaturali o sentimentali, interpretati da personaggi della commedia dell’arte; La pazzia senile di Adriano Banchieri (1598) prende in giro i pruriti amorosi di due vecchi, dei quali si fanno beffe i giovani innamorati.
Oltre il 1620, il madrigale sopravvive soprattutto a scopo didattico: è il genere per eccellenza sul quale si forma un giovane compositore, che impara in questo modo a padroneggiare il linguaggio contrappuntistico e le tecniche compositive, e a trattare nel modo adeguato il testo poetico.