Il linguaggio dei segni
Gli animali comunicano in molti modi assai complessi. Per esempio, i nostri parenti più vicini nel regno animale, gli scimpanzé, in alcuni momenti gesticolano visibilmente, ma vocalizzano anche rumorosamente. La vista e l'udito sono quindi i loro principali canali comunicativi. Ma i richiami e i gesti degli animali e addirittura alcuni suoni e gesti umani sono stati raggruppati insieme e definiti 'non verbali'. Oggi gli scienziati non dubitano che la specie umana derivi dai Primati, ma il pregiudizio antropocentrico secondo il quale gli esseri umani sono unici nella loro diversità ha portato molti linguisti a ritenere che la nostra lingua non possa avere avuto origine in qualcosa che venga o che veniva fatto dagli animali. Tale pregiudizio, di conseguenza, ha reso il deciframento dei documenti fossili degli Ominidi e della specie umana oggetto di continue polemiche, invece che di crescente consenso tra antropologi, psicologi e neuroscienziati.
I più recenti studi sulle lingue dei segni, sui Primati e sull'evoluzione umana aprono per il linguaggio una prospettiva di ricerca sui segni quali collegamenti evoluzionistici tra la comunicazione gestuale dei Primati superiori e le lingue parlate dall'attuale specie umana. I segni, o gesti, usati dalle scimmie antropomorfe e presumibilmente dagli Ominidi sono una combinazione di configurazioni della mano e di movimenti. A un certo punto della storia umana i gesti divennero un nuovo tipo di segni che potevano significare e comunicare su due livelli, ovvero erano dotati di sintassi. Ciò accadde quando una parte della popolazione ominide si rese conto non solo che un essere animato veniva indicato da una configurazione e un'azione rappresentata dal movimento, ma anche che le due parti del segno esprimevano il rapporto tra l'essere che agiva e l'azione intrapresa. Le vocalizzazioni che regolarmente accompagnavano i segni della lingua gestuale cominciarono a sostituire i gesti omessi e, con il tempo, assunsero la funzione di interi enunciati.
Comunemente si ritiene che le persone che non parlano la stessa lingua possano comunicare usando i gesti. Tutti i bambini comunicano con i gesti prima di usare il linguaggio propriamente detto; inoltre, esistono molte lingue che usano simboli visibili ma non vocalici. Ciononostante, molti osservatori scientifici e il grande pubblico ritengono che vi sia un abisso incolmabile tra i gesti (o la cosiddetta 'comunicazione non verbale') e il linguaggio. Filosofi antichi e moderni hanno sostenuto che i gesti esistevano ben prima che si evolvesse la lingua parlata nel senso in cui la immaginiamo oggi, ma non è mai stato raggiunto un consenso su come sia avvenuta l'evoluzione del linguaggio umano a partire dai gesti o dai richiami che altri animali usano per comunicare. L'antico preconcetto che solamente un sistema veicolato dalla modalità parlata possa essere una lingua impedisce di considerare una lingua dei segni come una lingua vera e propria. È difficile evitare tale preconcetto: nel mondo la quasi totalità delle persone usa uno o più sistemi veicolati dalla modalità parlata e solo poche hanno potuto vedere in azione una lingua dei segni e ne hanno potuto riconoscere, quindi, la natura di lingua.
Grazie al fondamentale lavoro dell'antropologo Adam Kendon (1988) oggi si distingue tra lingue dei segni primarie e alternative. Le lingue dei segni alternative sono sistemi di gesti codificati (o 'segni') che possiedono "forme standardizzate e possono essere generalmente utilizzati quali alternative alle espressioni parlate" e anche "come un modo autonomo di discorso". Le lingue dei segni primarie sono anch'esse codificate e standardizzate, ma nelle comunità dei sordi non rappresentano un'alternativa all'espressione parlata, bensì l'unica o la prima lingua di coloro che la utilizzano (fig. 2).
I gesti codificati costituiscono il vocabolario di una lingua dei segni, i suoi segni. Una lingua dei segni consiste quindi nel cambiamento visibile o nel movimento in una parte del corpo o di una parte del corpo. Le mani e le braccia sono le più osservate e descritte: infatti, molti dei primi libri sulle lingue dei segni si occupavano solo dei gesti manuali. Tuttavia, la grande mobilità del viso fa sì che azioni facciali e altre azioni non manuali contribuiscano in maniera determinante a formare la grammatica delle lingue dei segni primarie. Sostenere che i gesti manuali costituiscono gran parte del vocabolario di una lingua dei segni e che i gesti non manuali forniscono gran parte dei segnali grammaticali sarebbe un'eccessiva semplificazione. Tuttavia, tale affermazione corrisponde in parte a verità, soprattutto quando la categoria non manuale include sottili variazioni dei movimenti necessari alla produzione di un segno.
Ted Supalla ed Elissa Newport (1978) mostrarono per la prima volta come due gesti che appaiono identici all'osservatore non esperto vengano effettivamente distinti nelle categorie nome o verbo dagli utenti della lingua dei segni. I verbi delle lingue dei segni sono generalmente caratterizzati da maggiore movimento o da movimenti più lunghi o uniformi, mentre i sostantivi sono generalmente distinti da movimenti più brevi, bruschi o ripetuti. Inoltre, attraverso lo sguardo, il voltarsi e l'indicare, gli utenti delle lingue dei segni possono 'collocare' una persona, una cosa o un evento in questa o quella direzione e fare un rapido ed economico riferimento a essa o a esso, più avanti, nel corso del discorso. Allo stesso modo, un generico movimento all'indietro della testa o dell'intero corpo può indicare che l'enunciato è collocato in un tempo passato. Un movimento in avanti del braccio e della mano, spesso accompagnato da un movimento verso l'alto e dallo sguardo verso l'alto, indica un tempo futuro. Sottili variazioni permettono anche di indicare se si tratta di un salto temporale più piccolo o più grande. Una caratteristica particolare delle lingue dei segni è che il soggetto o l'oggetto di un'azione, oppure entrambi, possono essere incorporati nella produzione di un segno indicante un verbo. Ciò vuol dire che un unico segno può rappresentare un'intera frase. Più avanti sosterremo che tale possibilità è reversibile, cioè che le frasi, le lingue dei segni e quindi la lingua e la sua grammatica si sono probabilmente originate come singoli segni gestuali.
Sebbene finora sia stato fatto specifico riferimento alle lingue dei segni delle comunità di sordi, non è sufficientemente noto che tali lingue, simili nel fatto di usare gesti codificati, variano da una comunità di utenti all'altra, esattamente come accade per le lingue parlate (fig. 3). Alcune lingue dei segni di uno stesso Paese sono simili perché hanno una stessa origine, altre sono molto diverse, come sono diverse le regioni geografiche e le culture degli utenti di tali lingue. Perciò, sebbene il gesticolare sia un universale umano, i significati dei gesti delle lingue dei segni sono sufficientemente differenti da rendere un mito l'idea del gesto quale 'lingua universale'. D'altro canto, nel caso di alcuni semplici bisogni umani, pochi elementari gesti bastano a colmare divari linguistici e culturali, come scoprirono i primi esploratori di nuovi mondi. Poiché ricevere la propria lingua primaria sotto forma di gesti, esclusivamente attraverso la vista, rende più semplice l'interpretazione di gesti ad hoc impiegati da altri, utenti sordi di lingue dei segni diverse possono essere in grado di stabilire la comunicazione più velocemente di utenti di lingue parlate diverse.
La semiotica è una disciplina che consente di esaminare il linguaggio dei segni in una prospettiva evoluzionistica. Il suo campo d'indagine specifico è il fenomeno universale della semiosi, o azione del segno, il processo secondo cui qualsiasi cosa, in quanto segno, viene interpretata come significante qualcosa di diverso da sé od oltre se stessa. Perciò, secondo una prospettiva semiotica, la lingua è un insieme di segni linguistici che vengono interpretati dagli esseri umani come indicanti significati stabiliti. Se si considerano i segni linguistici più da vicino, se ne possono notare due tipi, parole e frasi, tra i quali esiste una relazione molto importante: una frase è composta da parole, ma le parole non sono indipendenti dalla frase, in quanto esse devono essere preorganizzate nelle classi necessarie per costruire la frase.
La semiotica, tra le tante domande, si chiede in che modo i segni si pongano in relazione con ciò a cui si riferiscono, significano o denotano. Esistono sei modi principali in cui i segni svolgono la funzione detta di 'denotazione': segnali, sintomi, indici, icone, simboli e nomi. Le parole delle lingue dei segni, soprattutto i nomi, sono generalmente segni iconici nel senso che assomigliano in qualche modo all'oggetto a cui si riferiscono, o sono derivati da quelli che una volta erano chiaramente segni iconici. Ciò è vero essenzialmente per l'ovvia ragione che le posture e i movimenti degli arti superiori, soprattutto le configurazioni della mano, possono apparire simili a un qualche aspetto di un certo numero di cose presenti nell'ambiente. Ed è vero anche perché la vista è il sistema sensoriale principale e l'orientamento umano nel mondo, come nel caso di tutti i Primati, è fondamentalmente visivo. Molto di ciò di cui parla la lingua di ogni giorno è visibile o, qualora non lo sia, la metafora ne offre una rappresentazione visiva. Per esempio, il tempo è sicuramente invisibile, ma una volta che un gesto, un segno indice, è stato interpretato come indicante qualche luogo di fronte o dietro a colui che lo ha eseguito, i gesti che inizialmente denotavano distanza cominciano a essere usati come metafora del tempo passato o futuro.
Ovviamente i verbi della lingua dei segni non possono imitare i suoni come fanno i suoni della modalità parlata, ma possono imitare, e in effetti imitano, molti tipi di azione in maniera estremamente diretta: perciò essi sono essenzialmente segni indice. Naturalmente un segno indice può anche essere arbitrario, cioè simbolico. Ciò che lo rende simbolico è la convenzione tra un gruppo di utenti che accetterà tale segno come avente tale significato. Ciò che lo rende arbitrario è il fatto che gli utenti accettano un certo segno, e non un altro, come avente un certo significato specifico. Per esempio, non solo nelle lingue dei segni, ma anche nei gesti che generalmente accompagnano la modalità parlata, il significato 'vieni qui' è espresso più o meno universalmente dal movimento della mano (o delle mani) o del braccio (o delle braccia), oppure di entrambi verso il corpo. Si tratta quindi di un indice o di un 'segno indice'. Ma il fatto che venga compiuto con la mano aperta o chiusa con un dito esteso, con l'avambraccio orizzontale o sollevato rispetto al gomito, con l'avambraccio in posizione supina o prona e il movimento del braccio superiore, viene deciso per convenzione, in maniera arbitraria. Perciò, per imitare un gesto con precisione bisogna conoscere la convenzione locale dei gesti come simboli. Tuttavia, conoscere la convenzione può non essere necessario per arguire il significato, perché il contesto, in genere, rende il significato sufficientemente chiaro.
Mentre l'interpretazione della documentazione fossile è ancora oggetto di animate controversie, i vari cladogrammi, alberi filogenetici e scenari tracciati dai paleontologi concordano su un punto: la capacità fisica e l'anatomia necessarie per produrre segni gestuali emersero molto prima della fisiologia necessaria per produrre segni nella modalità parlata. Un reperto fossile esemplifica il problema in maniera chiara. Lo scheletro dell'adolescente di Turkana, risalente a 1,6 milioni di anni fa, possedeva una struttura anatomica generale simile a quella umana attuale. La sua potenziale capacità di parola, tuttavia, è controversa: la sua rassomiglianza con l'uomo moderno, secondo Ian Tattersall (1995), non vuol dire che egli sia moderno in tutti i suoi aspetti. La parte superiore del canale attraverso il quale passa il midollo spinale è stretta, forse a indicare che i segnali nervosi al torace erano limitati. Qualcuno sostiene che ciò potrebbe indicare un controllo meno preciso della respirazione volontaria, il che potrebbe riflettere una limitata capacità di comunicare utilizzando suoni complessi e controllati con precisione.
Lo stretto canale del midollo spinale può aver limitato o meno la respirazione dell'adolescente di Turkana, ma dobbiamo ricordare che la sopravvivenza del fanciullo e dei bipedi suoi antenati e contemporanei dipendeva dalla loro capacità di correre velocemente, quindi probabilmente egli respirava come oggi respira un maratoneta. Se l'adolescente di Turkana e Homo neanderthalensis (0,6-0,2 milioni di anni fa) possedessero o meno l'anatomia della bocca e della faringe atta a produrre i suoni necessari ad articolare il linguaggio, è una questione che resta ancora aperta.
Tuttavia esistono valide prove, nei reperti fossili attribuiti al genere Homo, che arti superiori indistinguibili da quelli odierni abbiano assunto la loro forma almeno un milione di anni prima che vivesse l'uomo di Neandertal. Perciò, in una prospettiva evoluzionistica è necessario collocare la lingua parlata non all'inizio dell'evoluzione del linguaggio, ma in un'epoca molto più vicina a quella attuale. A tale scopo bisogna esaminare i gesti visibili per individuare cosa possa aver trasformato quelli eseguiti da altri animali (e che gli esseri umani ancora producono quando utilizzano la cosiddetta comunicazione non verbale) in linguaggio umano. Comunque, le prime forme di linguaggio utilizzate dagli esseri umani primordiali non devono necessariamente essere conformi ai moderni esempi o definizioni di lingua. L'evoluzione dalla comunicazione animale al linguaggio richiede un cambiamento semiotico.
Secondo questa nuova prospettiva, la lingua è semplicemente un unico doppio sistema di segni a due livelli, e così probabilmente si è evoluta: a un primo livello vi sono i segni che contraddistinguono i concetti, di cui sono evidentemente capaci anche gli animali; ma queste coppie segno-concetto devono poi diventare il materiale per produrre i segni di ordine superiore, cioè le frasi (o, secondo la terminologia linguistica attuale, le stringhe di simboli). I gesti degli scimpanzé osservati allo stato selvatico, per esempio, dimostrano che questi animali possiedono non solo i concetti, ma anche i segni che rappresentano tali concetti. Ciò è confermato dal fatto che in cattività essi apprendono, con l'aiuto degli sperimentatori, a utilizzare gesti, gettoni di plastica o speciali tasti del computer per indicare i loro concetti. Quindi, sebbene gli scimpanzé siano privi di vere e proprie capacità linguistiche, essi hanno raggiunto il livello in cui i segni vengono utilizzati con la potenzialità di essere trasformati in parole. Ma in un milione di anni di evoluzione, gli scimpanzé non hanno trasformato queste poche coppie concetto-segno in segni linguistici di livello superiore: i loro segni non possiedono la distinzione in classi richiesta dalle frasi e, quindi, le loro coppie segno-concetto non possono essere chiamate parole.
Il cervello svolge un ruolo importante, come gli occhi e le mani, nella produzione e ricezione dei segni linguistici, in quanto trasforma la ricezione degli impulsi sensoriali in interpretazioni e azioni utili per il ricevente. Esso modifica anche le semplici coppie segno-concetto in relazioni di segni di ordine superiore. Secondo Adolf H. Schultz (1969) l'ordine dei Primati si distingue dagli altri Mammiferi per la tendenza a sviluppare un cervello straordinariamente grande in rapporto alla dimensione totale del corpo e che, inoltre, mostra un graduale aumento e una graduale elaborazione della corteccia cerebrale. Quest'ultima serve essenzialmente alla ricezione degli impulsi sensoriali e alla loro trasformazione in azioni che costituiscono appropriati schemi comportamentali. La progressiva differenziazione della corteccia nei Primati ha migliorato la loro capacità di ricevere gli stimoli ambientali e di reagire a essi con accresciuta versatilità, in relazione alla precisa distribuzione di moltissime funzioni specializzate in aree diverse della corteccia. La disposizione e l'estensione proporzionata di queste aree nettamente differenziate rappresentano un complesso mosaico che, per molti aspetti, è caratteristico dei Primati e che diventa particolarmente sofisticato nelle specie superiori dell'ordine.
Il possesso di un linguaggio basato sull'uso di vista e movimento avrebbe reso il cervello più efficiente, ma non necessariamente più grande. Derek Bickerton (1995) sostiene di non credere che il linguaggio abbia subito un'evoluzione e sottolinea che, durante il lungo periodo di sviluppo del cervello degli Ominidi, la tecnologia e la cultura (per quanto si può apprendere dai reperti fossili) non sono cambiate e dal tempo in cui l'anatomia degli esseri umani è diventata quella di oggi il cervello non è cresciuto. Il possesso del linguaggio potrebbe aiutare a spiegare questo apparente paradosso: la sintassi richiede almeno la classificazione dei concetti in indicatori di persona (sostantivi, nomi) e verbi (indici delle azioni). Tale classificazione, con le sue naturali suddivisioni (per es., quella dei nomi in animati e inanimati), avrebbe reso la memorizzazione più efficiente.
Probabilmente il cervello è cresciuto gradualmente a mano a mano che l'uomo imparava a usare i suoi strumenti in diverse maniere, a dare loro forme differenti e a impiegare diversi materiali per costruirli, a utilizzare disparati modi di insegnare ad altri a usarli e a conoscere sempre più il suo ambiente e i suoi simili. Come sottolinea Jonathan Kingdon (1993), l'invenzione di uno strumento ha meno implicazioni per la dimensione del cervello di quante ne abbia la capacità di insegnare a usarlo in maniera efficace. Ogni nuova cosa di cui ci si occupa implica un nuovo concetto, che a sua volta richiede spazio nel cervello per poter essere richiamato e utilizzato. Tuttavia, quando si cominciò a capire che un concetto come quello di persona poteva essere collegato con atti manuali al concetto di azione, cioè quando cominciò la sintassi, il cervello non ebbe più bisogno di crescere ulteriormente, ma soltanto di formare, con le sue reti neuronali, maggiori interconnessioni che gli consentissero di elaborare i collegamenti nome-azione.
Lo studio di ciò che accade nel cervello quando un individuo utilizza ed elabora le lingue dei segni è ancora a uno stadio iniziale, ma sembrerebbe che le mappe cerebrali possano essere diverse per le lingue parlate e per le lingue dei segni. L'azione del cervello nell'elaborazione del linguaggio è diversa nel caso in cui la lingua venga espressa nella modalità visivo-gestuale: "È stata studiata l'attivazione cerebrale nella fase di comprensione della lingua dei segni. Sono state esaminate le risposte di sei persone sorde con genitori sordi e confrontate con quelle di nove persone udenti con genitori sordi. L'attivazione cerebrale è stata misurata mediante la registrazione del flusso sanguigno nelle regioni cerebrali (rCBF). Il gruppo dei sordi ha mostrato maggiore attivazione rispetto al gruppo udente nella regione parieto-occipitale destra, il che indica una maggiore dipendenza della lingua dei segni dalle componenti spaziali. I risultati indicano, quindi, che i sordi con genitori sordi sono diversi dagli udenti che utilizzano la lingua dei segni fin dalla nascita" (Söderfeldt et al. 1994, p. 199).
La comunicazione, più precisamente definita come 'trasferimento dell'informazione sul piano sociale', richiede naturalmente dei sistemi di segni, proprio come avviene per ciascun organismo, a qualunque specie appartenga, che ha bisogno di modellare il proprio mondo. Per uno scimpanzé o per un essere umano una pietra reale è un segno presente in natura che indica il concetto di 'pietra'. Ma una mano umana, tenuta come se tenesse o raccogliesse una pietra, anche se in realtà non la tiene né la raccoglie, può ugualmente significare 'sasso'. Barbara J. King (1994) sottolinea che gli scimpanzé acquisiscono le informazioni, sia generali che specifiche (come l'uso di pietre per schiacciare noci o di ramoscelli per pescare termiti), guardando gli altri, quasi mai perché l'informazione viene loro data mediante un'istruzione, direttamente dalla madre ai figli. Secondo King il tramandare informazioni è raramente osservato in altri Primati. Ma è evidente che la specie umana si caratterizza proprio per la volontà e la capacità di tramandare le informazioni nella comunità e attraverso il tempo.
Senza utilizzare la lingua, un individuo che sa tutto sulla pietra come materiale per produrre strumenti può insegnare ad altri indicando in successione gli esemplari di una serie di pietre e mostrando contemporaneamente approvazione o disapprovazione. Questi segni 'va'/'non va' potevano essere resi udibili con la voce o visibili con il movimento del corpo. Comunque, per indicare un oggetto particolare, bisogna mostrarlo in maniera visibile. I suoni provenienti dall'apparato fonatorio possono essere, e spesso sono, segni sintomatici di approvazione/disapprovazione, ma in quanto tali possono non essere distinguibili da altri segni sintomo che esprimono sazietà, irritazione, piacere o qualche altro stato emotivo. Il punto è che i suoni non potranno mai essere segni indice e indicare direttamente o designare qualcosa. Questo probabile uso dei segni visibili per tramandare le informazioni per la scelta delle pietre è solamente un tassello di quella che sarebbe stata una vasta rete per il trasferimento dell'informazione.
Le comunità primitive di caccia-raccolta possiedono strategie selettive diverse e più complesse da rendere esplicite con segni, che ancora una volta possono essere segni visibili. Poiché in tali società quasi tutto, se non tutto, ciò che viene raccolto è riconosciuto dal suo aspetto e non dal suo suono e poiché i segni visibili sono adatti (mentre i segni vocali sono quasi inutili) a designare aspetto, dimensioni, forma, peso, portata, orientamento, ecc., quasi sicuramente i segni visibili sono stati il primo modo di etichettare i contenuti del mondo esterno. Ma attirare l'attenzione di altri su oggetti dell'ambiente richiede che siano indicati in maniera visibile. Quando una società sviluppa una convenzione per i nomi per ognuna delle classi importanti di cose indicate, tali nomi possono essere suoni prodotti vocalmente. Tuttavia, la paleontologia ci insegna che sono stati necessari milioni di anni per arrivare alla fase vocale dell'evoluzione del linguaggio. Inoltre, bisogna considerare che i primi gruppi di esseri umani avevano la necessità di spostarsi e, quindi, di decidere chi dovesse andare e dove andare, quale via scegliere, cosa riportare e cosa lasciare dietro di sé. Questi compiti potevano essere facilmente eseguiti soltanto rendendo un po' più sofisticato il modo primitivo di indicare. E anche i primissimi esseri umani dovevano occupare tutte le ore di luce del giorno: in un ambiente in via di mutamento, la sopravvivenza di specie che avevano trasformato i propri corpi massicci e potenti e una dentatura formidabile in corpi dotati di mani più agili e cervelli più grandi richiedeva, innanzitutto, un tipo di trasferimento di informazione basato su azioni visibili, sebbene molte espressioni vocaliche avrebbero potuto essere utili.
Indipendentemente dal fatto che i primi segni per esprimere i concetti fossero vocali o gestuali, una recente teoria sostiene che durante l'evoluzione della specie umana, quando il repertorio di concetti e di relativi segni (in termini linguistici, il lessico) si ampliò fino a raggiungere una notevole dimensione, coloro che lo utilizzavano ebbero bisogno di un modo per gestire tale quantità di informazioni: essi dovettero mettere ordine nel caos di concetti e di vocalizzazioni o di gesti che li denotavano. Perciò, sentendone la necessità, inventarono la sintassi. Philip Lieberman (1991), secondo il quale la parola sarebbe nata prima del linguaggio, afferma che i meccanismi cerebrali adattati per gestire le complesse operazioni sequenziali necessarie alla produzione del parlato non avrebbero incontrato difficoltà nel gestire i problemi relativamente semplici della sintassi.
La semiotica permette di esaminare la sintassi al di là di questa prospettiva linguistica. Come sostiene Thomas A. Sebeok (1994), sembra che la sintassi sia il marchio di tutte le principali transizioni avvenute nel corso dell'evoluzione; egli elenca, quali sistemi semiotici biologici controllati dalla sintassi, tra gli altri e oltre al codice verbale (cioè la lingua) il codice genetico, il codice metabolico e il codice neuronale. È importante a questo punto sottolineare una differenza tra i codici biologici controllati dalla sintassi. La combinazione e la ricombinazione degli amminoacidi, la trasformazione di una sostanza in un'altra all'interno del tessuto umano, o la concatenazione sinaptica dei neuroni: questi sono tutti fenomeni abbastanza analoghi alle operazioni del codice verbale da poter essere chiamati sintassi.
Tuttavia, i codici genetico, metabolico e neuronale agiscono in conformità alle leggi fisiche e chimiche direttamente su atomi, molecole e ioni che sono oggetti materiali: essi non hanno la libertà di agire diversamente da come agiscono. La sintassi del codice verbale, invece, agisce sui concetti e sulle classi di concetti che gli utenti possono alterare volontariamente quasi all'infinito. Soltanto avendo i concetti, i segni per esprimerli e i segni di ordine superiore prodotti dalla sintassi gli esseri umani hanno potuto scoprire questi codici, il loro funzionamento e la loro base chimico-fisica. Comunque, nonostante l'apparente libertà che il linguaggio offre di dire la verità o di mentire e di dire cose mai dette prima, il codice verbale funziona: cioè, il cervello che lo possiede funziona in virtù degli stessi fattori fisici e biologici che regolano i codici genetico o neuronale. La comparsa del codice verbale rappresenta dunque sicuramente una delle principali transizioni dell'evoluzione.
Nel segno gestuale utilizzato dallo scimpanzé, la mano esegue un'azione che significa, per esempio, 'dammi un po' di quel cibo' oppure 'grattami qui'. Anche nei gesti umani un'azione della mano denota (è associata a) un significato. Ma i gesti diventano parole della lingua dei segni quando il segno fisico viene diviso tra la mano e il suo movimento, e nella denotazione concettuale viene riconcepito come attore e azione, o soggetto e predicato. Immediatamente dopo questa divisione, le parti possono essere combinate o, più precisamente, ricombinate e così si gettano le basi dell'infinita creatività del linguaggio. La struttura del gesto manuale rispecchia dunque quella della stringa sintattica minima o frase. Come la frase, il gesto manuale è composto da due parti: la mano che può muoversi e il movimento che la mano compie. Naturalmente la mano non si muove da sola, ma viene mossa dai muscoli controllati dal cervello, e tale movimento avviene un attimo dopo che la mano ha assunto una qualche configurazione. Perciò, tale segno possiede tutto ciò che potrebbe renderlo un segno linguistico: è controllato dal cervello; la sua forma iconica o di indicatore denota naturalmente il concetto di attore; il suo movimento riproduce visibilmente, naturalmente e come indice l'azione concettualizzata che rappresenta; essendo un tipo speciale di segno, in quanto indice mima anche la connessione concettuale di agente e azione.
Gli esseri umani avrebbero potuto arrivare alla padronanza dei due livelli di segni di ordine superiore senza dover possedere, sul piano biologico, nulla di più di quello che è stato descritto finora. Questo balzo a segni per esprimere concetti di ordine superiore non è un passo evoluzionistico impossibile. Dopotutto, il possesso di concetti (e l'abilità a esprimerne alcuni con gesti) contraddistingue gli scimpanzé, che non sono molto lontani dagli esseri umani nell'albero filogenetico, anzi sono piuttosto vicini, come dimostrano gli studi di biologia molecolare.
È proprio nel campo dei segni esprimenti una diversità (linguistici o prelinguistici, udibili o visibili) che il quadro evoluzionistico si amplia. Una mano umana può essere aperta o chiusa, tesa o rilassata, e le dita possono assumere moltissime posizioni (il ruolo delle mani e delle dita nell'evoluzione del contare e dei sistemi numerici è collegato al nostro quadro, ma richiede una trattazione a parte). Una mano umana, diversamente dalla mano di una scimmia antropoide, è dotata di un pollice opponibile alle altre dita, il che le permette di assumere un maggior numero di configurazioni diverse. Ma, anche quando mostra la stessa configurazione, la mano, come segno, può ancora presentare parecchie diversità, perché il polso può essere dritto, flesso e retroflesso, l'avambraccio può essere in posizione prona, supina o non girato, il braccio può essere flesso o dritto rispetto al gomito e addotto, abdotto o non girato, esteso, neutro o retroflesso rispetto alla spalla. Gli esseri umani non solo hanno due piedi, ma hanno anche due mani: essi sono dunque in grado di utilizzare una mano come agente attivo e l'altra come paziente passivo.
Questa grande libertà nelle azioni manuali è in realtà uno dei punti messi in risalto da coloro che sono inclini a escludere le lingue dei segni e i gesti da un quadro evoluzionistico del linguaggio. Si è parlato molto della differenza tra informazione analogica e digitale, o informazione continua e discreta. Poiché l'anatomia umana permette di muovere liberamente la mano in uno spazio tridimensionale, si pensava che il movimento manuale variasse continuamente, come l'altezza e l'intensità del suono, e che non avesse il tipo di contrasti che gli articolatori della parola producono: vocale versus consonante, vocale alta versus vocale bassa, consonante occlusiva versus consonante continua, e così via. È vero, per esempio, che un movimento della mano da sinistra a destra può essere eseguito in alto o in basso davanti al corpo, può seguire una linea dritta o curva e può essere corto o lungo entro i limiti di natura fisica. Può, quindi, essere impossibile stabilire se un unico movimento isolato in quello spazio determinato debba essere interpretato come corto o lungo. Ma questa valutazione negativa è errata: l'anatomia umana e i movimenti visibili volontari possono indicare in maniera inequivoca che un qualcosa è corto oppure lungo. Per 'corto' le mani, prima distanti, vengono avvicinate (adduzione bilaterale del braccio superiore); per 'lungo' le mani, vicine o che si toccano, vengono allontanate (abduzione bilaterale del braccio superiore). L'estensione del movimento non è importante. Questa opposizione è non soltanto assoluta, ma immediatamente percepibile dalla vista e dai sensi del corpo.
A questo punto è nuovamente necessario assumere un punto di vista semiotico. Abbiamo già accennato che uno dei tipi di segni fondamentali è il sintomo. Questo tipo di segno permette a un individuo che lo osserva di inferire da esso le condizioni di un altro. Un altro tipo di segno fondamentale è il segnale. Nelle forme di vita più semplici, la risposta di base di un organismo a degli stimoli semiotici (segnali di un qualche tipo) è binaria: 'non fare nulla' oppure 'fare qualcosa', e in quest'ultimo caso 'avvicinarsi' oppure 'allontanarsi'. Risposte di questo tipo in esseri quali i batteri monocellulari fino a quelli dotati di un sistema nervoso centrale vengono chiamate 'riflessi'. Ma nella catena filogenetica i riflessi permangono, anche negli esseri umani, sia come riflessi sia come trasformazioni dei riflessi in altri tipi di comportamento.
Così i gesti, o segni, delle lingue dei segni, che significano 'venire' e 'andare' oppure 'amare' e 'odiare' (per prendere due delle moltissime coppie contrastanti), sono universali e vengono eseguiti rispettivamente mediante un movimento braccio-mano verso l'interno versus un movimento braccio-mano verso l'esterno (una variazione di avvicinarsi e allontanarsi), oppure attraverso la posizione supina dell'avambraccio (invito) versus la posizione prona (rifiuto). David B. Givens (1977; 1978) ha identificato un certo numero di altri casi di neotenia, la ritenzione e la riformulazione di riflessi o azioni 'istintive' in gesti compiuti da adulti (e segni delle lingue dei segni). Esiste a tale proposito un chiaro quadro semiotico sull'evoluzione che si estende dalla vita monocellulare fino a giungere al linguaggio umano.
Una prospettiva evoluzionistica sulla nascita del linguaggio umano che includa le lingue dei segni abbraccia milioni di anni: ha inizio quando i segni visibili indicanti concetti cominciarono a essere utilizzati per formare segni di ordine superiore atti a esprimere concetti collegati dal punto di vista cognitivo e si protrae fino a oggi. Anche se la maggioranza degli esseri umani utilizza la modalità parlata, il quadro d'insieme deve focalizzarsi sui due tipi di lingue dei segni che spesso vengono ignorati: le lingue dei segni primarie, utilizzate dai sordi, e le lingue dei segni alternative, utilizzate da coloro che possono usare, e che effettivamente usano, la modalità parlata. È interessante notare che coloro i quali usano maggiormente le lingue dei segni alternative sono gli aborigeni australiani, alcuni popoli africani e gli indigeni americani, tutte popolazioni che fino a poco tempo fa avevano una cultura primitiva.
Non esistono ancora indicazioni precise su quando la modalità parlata si sia imposta sui gesti nella produzione dei segni linguistici, né prove se tale cambiamento sia avvenuto gradualmente o all'improvviso. È certo però che la specie umana non ha mai smesso di utilizzare segni visibili per descrivere o plasmare il mondo e per comunicare. Inoltre, includendo i casi delle minoranze (lingue dei segni primarie e alternative attuali), è anche certo che i movimenti visibili non hanno mai cessato di essere usati per la produzione dei segni linguistici.
Questo approccio apre anche nuove frontiere alla biologia. Lo studio dell'attività del cervello nell'elaborazione delle lingue dei segni è già cominciato ma vi è ancora molto da imparare sulle differenze comportamentali e fisiologiche nella ricezione di una lingua attraverso la vista e l'udito. Il lavoro di Doreen Kimura (1993) mostra chiaramente che è necessario anche riesaminare tutta la letteratura riguardo gli effetti sul linguaggio dei danni cerebrali, in quanto l'afasia (un disturbo della facoltà linguistica) non è sempre stata distinta chiaramente dalla aprassia (compromissione dei movimenti motori coinvolti nella produzione sia del linguaggio parlato sia di quello dei segni). Gli attenti esperimenti di Kimura confermano il lavoro dei neuroanatomisti, i quali sostengono che i centri cerebrali cruciali nel controllare i complessi movimenti muscolari ‒ necessari sia per la parola che per produrre segni e per atti motori quali quelli coinvolti nell'esecuzione di un pezzo musicale ‒ sono gli stessi oppure sono centri cerebrali adiacenti. La comoda distinzione tra un emisfero sinistro che presiederebbe al linguaggio e un emisfero destro che presiederebbe a diverse attività cognitive viene sempre più messa in discussione dalle prove dell'esistenza di complesse reti che collegano le varie parti del cervello e dell'intero cervello visto come un organo del linguaggio.
Un approccio che includa le lingue dei segni sposta l'attenzione sull'interfaccia tra biologia e istruzione. Troppo spesso si ritiene che l'istruzione inizi solo quando i bambini sono sufficientemente grandi da frequentare la scuola per gran parte della giornata. Ma i bambini cominciano ad apprendere, e devono cominciare ad apprendere, dal momento della nascita. Prima di iniziare a usare la lingua parlata o la lingua dei segni, essi comunicano con i gesti ed è proprio in questa fase che hanno maggiormente bisogno di una comunicazione significativa, non dopo avere iniziato a parlare o dopo che si è scoperto che non sentono. Esaminare l'acquisizione linguistica solo dopo aver osservato i primi segni linguistici riconoscibili nella modalità parlata fa perdere dati importanti sullo sviluppo semiotico e cognitivo. Sono infine necessari studi, sia di tipo biologico che di tipo etnografico, per descrivere e comprendere la crescita del cervello e i suoi cambiamenti in questo periodo critico e maggiori dati sui mutamenti fisici che avvengono nel corso dei primi anni di vita; tali informazioni vanno cercate con la consapevolezza che i movimenti gestuali possono esprimere il linguaggio prima di quelli vocali.
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