Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Con la Colonna Traiana, monumento tra i più rappresentativi e celebri della Roma imperiale, si crea un nuovo genere monumentale, quello della colonna coclide istoriata, destinato a svolgere un complesso insieme di funzioni e a veicolare una pluralità di messaggi politico-propagandistici. Il suo ideatore, benché anonimo, rappresenta una delle più geniali e affascinanti personalità dell’arte romana.
È a seguito della conquista della Dacia (corrispondente all’attuale Romania) grazie alle due campagne militari del 101-102 e del 105-106, che all’imperatore Traiano si offre l’occasione più propizia (oltre alle ingenti risorse finanziarie necessarie) alla realizzazione di un grandioso complesso monumentale, che celebri eternamente le sue vittorie e la sua figura di optimus princeps. Il Foro di Traiano, destinato a concludere il lungo episodio della realizzazione dei Fori Imperiali, viene costruito tra il 107 e il 113 su un’area resa pianeggiante grazie al taglio delle pendici del Quirinale e del Campidoglio, collegate da una sella montuosa; l’architetto a capo dell’intera operazione è Apollodoro di Damasco, l’ingegnere militare che ha seguito l’imperatore nelle campagne belliche in Dacia. Apollodoro progetta un complesso profondamente innovativo rispetto ai Fori dei predecessori di Traiano, e forse allusivo alla pianta degli accampamenti militari. Al centro del Foro è un ampio piazzale, delimitato da porticati con esedre retrostanti e fiancheggiato da un lato dalla facciata mistilinea di una grande sala, alle spalle della quale un cortile porticato conduce al Foro di Augusto, e dall’altro lato dalla facciata della Basilica Ulpia, una imponente struttura a pianta allungata, scompartita in navate e absidata sui lati corti. Alle spalle della Basilica un cortile relativamente piccolo, fiancheggiato dalle due grandi sale della biblioteca (probabilmente una per la letteratura greca e l’altra per quella latina: strutturazione usuale per una cultura sostanzialmente bilingue, quale quella di Roma imperiale) si apre verso il Campo Marzio con un gigantesco propileo, pensato forse per servire da ingresso monumentale per l’intero quartiere dei Fori Imperiali.
L’intera sontuosa decorazione del complesso, realizzata in marmo bianco lunense e in marmi policromi provenienti dalle più remote regioni dell’impero, celebra la vittoria dell’imperatore (la cui statua equestre costituisce il punto focale dell’ampio piazzale porticato) sui Daci, raffigurati abbigliati del loro costume nazionale, vinti, ma dignitosi e nobili, in statue di dimensioni e marmi diversi collocate sull’attico della Basilica e sui porticati aperti sul piazzale stesso. E la storia di quelle campagne militari e di quella vittoria di Roma è narrata, per immagini, sulla colonna istoriata che troneggia al centro del cortile tra le due biblioteche. La Colonna Traiana è pensata per assolvere più funzioni. Come attesta l’iscrizione presente sul basamento, la sua altezza, 100 piedi romani (corrispondenti a 29,60 m senza la base) ricalca quella della sella montuosa tagliata per la realizzazione del Foro, ed è possibile supporre che la colonna dovesse anche ricoprire un ruolo di “sostituzione”, in senso-magico sacrale, di questo elemento naturale eliminato dall’intervento antropico. Va inoltre ricordato che all’interno dei 17 rocchi colossali di candido marmo lunense che compongono il fusto è scavata una scala a chiocciola (cochlea, in greco, da cui l’aggettivo “coclide” che designa la colonna) tramite la quale era possibile accedere alla terrazza superiore come ad un belvedere, dal quale godere dello stesso panorama che si vedeva, in precedenza, dalla collinetta sbancata.
Ma il monumento ha anche un carattere funerario: il basamento, infatti, tipologicamente affine ad un altare funebre e decorato a rilievo con trofei di armi che si richiamano a quelli presenti sull’attico della facciata della Basilica aperta sul grande piazzale, cela al suo interno un ambiente, preceduto da due anticamere e dotato di banchine laterali, destinate a sostenere l’urna (d’oro, secondo la testimonianza di Eutropio, Breviarium ab urbe condita, VIII, 5, 2) contenente le ossa dell’imperatore. La funzione funeraria del monumento, nel quale la colonna diventa una sorta di segnacolo, per quanto monumentale e straordinario, della tomba (costituita dal basamento), secondo un modello di sepolcro effettivamente in uso nel mondo romano, non è ricordata nell’iscrizione di dedica cui abbiamo già fatto accenno, e non è del tutto certo che fosse prevista nel progetto iniziale; occorre però tenere presente che ci troviamo all’interno del pomerio, in un’area cioè dove la legislazione romana già dall’età arcaica vietava di seppellire i defunti e dove, di conseguenza, la presenza di un sepolcro si configura come un onore del tutto straordinario concesso al defunto e legato alla sua consecratio, cioè alla sua divinizzazione. La divinizzazione dell’imperatore e la deroga alla legge antichissima che vieta sepolture all’interno del pomerio, però, possono essere concesse solo dal senato, e solo dopo la morte del princeps; Traiano, particolarmente ligio al rispetto delle regole formali, sicuramente prevede per se stesso tali onori e ne informa il progetto del Foro e della Colonna, ma non può dichiarare in modo esplicito l’intento di fare della Colonna stessa la propria sepoltura.
Ma più che la funzione funeraria, è la funzione onoraria a connotare questo monumento in modo assolutamente peculiare. Il capitello che la corona è destinato a sostenere una colossale statua bronzea dell’imperatore loricato, con un esplicito richiamo ad una delle più antiche e prestigiose tipologie di monumento onorario romano, in cui la colonna, secondo la testimonianza di Plinio il Vecchio (Nat. hist., XXXIV, 27) serviva a sollevare, idealmente e concretamente, l’effigie del personaggio così celebrato sopra gli altri mortali. Oggi la Colonna Traiana non sostiene più la statua dell’optimus princeps, Traiano, andata perduta, bensì quella di san Pietro, princeps apostolorum, collocatavi per volontà di papa Sisto V (papa dal 1585 al 1590). Lo sguardo dello spettatore però vi giunge, allora come oggi, sospinto dall’andamento elicoidale del fregio istoriato che si avvolge sull’intero fusto in 23 spire, per una lunghezza complessiva di circa 200 metri. Su di esso, in un rilievo basso ma accuratissimo e di straordinaria tensione stilistica, si svolgono secondo il principio compositivo della narrazione continua le vicende delle due campagne daciche, distinte l’una dall’altra, a circa metà altezza, dalla presenza di una Vittoria intenta a scrivere su uno scudo.
È in questi rilievi che giunge a completa maturazione la tradizione del rilievo storico ed è possibile individuare il carattere più autentico del linguaggio artistico romano, nella compiuta e disinvolta fusione di elementi stilistico-sintattici di matrice ellenistica e delle esigenze narrative e celebrative alla base di generi tradizionalmente romani come la pittura trionfale e, appunto, il rilievo storico. Dietro a tutto questo, Ranuccio Bianchi Bandinelli individuava il progetto unitario di una grande personalità di artista creatore, il “Maestro delle imprese di Traiano”, da identificare, forse, con lo stesso Apollodoro di Damasco, il che spiegherebbe l’intimo, armonioso bilanciamento tra la Colonna come elemento architettonico e la sua decorazione a rilievo.
Ci si è spesso interrogati sull’effettiva leggibilità del fregio figurato; come già accennato, la Colonna era collocata in un cortile piuttosto piccolo, costretta tra le due sezioni della Biblioteca e la Basilica: non era certo possibile seguire (come del resto non lo è per noi oggi) con lo sguardo l’andamento elicoidale del fregio, e il Maestro delle imprese doveva esserne assolutamente consapevole. Paul Veyne, in un interessante studio (Propagande expression roi, image idole oracle in “L’homme”, 1990, 30. 114, pp. 7-26) ha insistito sul carattere della Colonna come espressione della maestà di Traiano piuttosto che come informazione nei confronti del pubblico: in quanto immagine della gloria dell’imperatore, deve essere altissima e ricchissima dal punto di vista decorativo. Di fronte a simili esempi di arte ufficiale, nei quali, come sottolinea lo studioso francese, è elemento frequente la cattiva leggibilità dei particolari, lo spettatore deve innanzitutto avere l’impressione che l’artista non si sia risparmiato, lavorando con straordinaria acribia non per lui, ma per uno spettatore ideale che, più attento e meglio collocato, saprebbe apprezzare l’opera in tutti i suoi dettagli. Ad ogni modo, per quel che riguarda i rilievi della Colonna, l’unica lettura possibile era, ed è, una lettura per segmenti verticali, in funzione della quale sono certamente disposte alcune delle scene più significative e gravide di messaggi dell’intero rilievo.
Così, ad esempio, lungo l’asse verticale rivolto verso il Campo Marzio, il primo che si presenta allo sguardo di un immaginario spettatore entrato dal propileo monumentale, sono disposte, dal basso verso l’alto, scene come quella nota e controversa del contadino caduto dal mulo (da interpretarsi probabilmente come un omen fausto, che preannunzia a Traiano la vittoria), l’immagine della Vittoria che scrive sullo scudo, che sancisce l’esito favorevole della prima campagna dacica e prefigura la conclusione positiva della seconda, e il fondamentale episodio del suicidio del re dei Daci, Decebalo (la sua morte volontaria è conseguenza del trionfo dei Romani, ma anche immagine emblematica della nobiltà e della dignità dei Daci, elementi che potenziano il valore dei Romani che li hanno sconfitti). La strategia compositiva prevede inoltre la ripetizione di schemi e situazioni che orientano lo sguardo dello spettatore e che, nella loro apparente ripetitività, recano in sé il messaggio più importante dal punto di vista politico-propagandistico; non si tratta infatti tanto di scene di battaglie (non frequenti nell’economia del rilievo) quanto di episodi tesi a mostrare l’imperialismo di Roma sotto una luce favorevole, come azione civilizzatrice: attività di disboscamento o di costruzione di accampamenti e fortezze, di cui sono protagonisti i legionari di Roma.
La stessa figura di Traiano, che compare ben 59 volte nel rilievo, sempre ben riconoscibile, richiama e orienta lo sguardo dello spettatore; l’imperatore non compare impegnato nella battaglia, bensì a ricevere ambascerie, a sacrificare agli dèi, a rivolgere adlocutiones ai suoi soldati: l’accento non batte sul suo valore militare, ma sulla sua pietas religiosa, sulla sua saggezza politica, sul suo ruolo-cardine nell’esercito e nell’impero. È previsto dunque che lo spettatore colga questi aspetti essenziali, non che segua ordinatamente lo svolgersi dell’intera narrazione figurata.
Ma se è così, perché concepire l’idea di un fregio continuo elicoidale, assolutamente originale e privo di precedenti diretti, e peraltro chiaramente connotato come elemento che si avvolge sulla superficie della Colonna, tanto da lasciarne scoperte le scanalature sulla sommità? Probabilmente la risposta a questa domanda va cercata nell’intima connessione architettonica tra la Colonna e le Biblioteche che la fiancheggiano, e in ciò che esse contengono, cioè i libri, nella forma che i libri assumono nell’antichità: quella del volumen, ovvero del rotolo di papiro. Il rilievo che si avvolge sul fusto allude alla forma di un volumen, e chiaramente non ad uno qualunque; bensì ad un libro specifico, che può essere consultato all’interno della Biblioteca Ulpia, e che narra quelle stesse vicende che la Colonna rappresenta figurativamente. Possiamo ragionevolmente identificare questo libro con quello che Traiano aveva scritto sulle sue campagne in Dacia, e di cui il grammatico tardoantico Prisciano ha tramandato un unico e brevissimo frammento. Il probabile titolo dell’opera è Commentarii de bello Dacico: un palese omaggio ad una tradizione che, attraverso i Commentarii de bello Gallico di Giulio Cesare, risale fino ai resoconti sulle campagne militari che i generali di età repubblicana erano tenuti ad inviare al senato. Il nastro figurato della Colonna è dunque interpretabile come una copia, in scala monumentale e figurata, di un documento ufficiale, esattamente come la nota Forma Urbis, la pianta marmorea di Roma di età severiana, costituisce la probabile copia monumentale di un catasto urbano conservato forse negli uffici della Praefectura Urbis.
Non è necessario supporre che il volumen in questione fosse illustrato, come pure è stato fatto: il “Maestro delle imprese” può rifarsi, per la rappresentazione figurata di campagne militari, alla prestigiosa tradizione della pittura trionfale, che trasferisce in linguaggio figurativo, almeno dal IV secolo a.C., su grandi pannelli dipinti da esporre al pubblico durante la cerimonia del trionfo, il racconto degli eventi che avevano condotto il generale trionfatore alla vittoria, forse sulla base di quei resoconti scritti cui abbiamo già fatto accenno. Il complesso Colonna- Biblioteca Ulpia si configura quindi come un insieme polisemico, in cui l’eroizzazione dell’imperatore, i cui resti riposano sotto la Colonna, si basa sul suo valore, ma anche sul suo rispetto verso le più venerande tradizioni romane, e sulla sua sapientia. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, va rimarcato che il modello sepolcro-biblioteca rimanda ad una formula di “eroizzazione tramite la cultura” che sta alla base di strutture quali la nota Biblioteca di Celso ad Efeso (eretta e completata tra 110 e 135), in cui lo stesso titolare della biblioteca, Gaio Giulio Celso Polemeano, era sepolto, circondato da statue che raffiguravano allegoricamente le sue qualità intellettuali. Il fulcro di tutto questo è la Colonna: in quanto tale, non poteva non diventare un modello e un punto di riferimento per l’arte ufficiale successiva.
Una nuova colonna coclide istoriata sorge a Roma, forse tra il 180 e il 193, votata dal senato per celebrare le vittorie dell’imperatore appena defunto Marco Aurelio sulle popolazioni dei Germani e dei Sarmati. La Colonna Aureliana viene eretta nell’area del Campo Marzio settentrionale, su una piazza, corrispondente all’attuale Piazza Colonna, probabilmente delimitata da portici e chiusa da un tempio dedicato all’imperatore divinizzato, tempio che i Cataloghi Regionari citano in associazione con la Colonna stessa, ma sulla cui collocazione non è al momento possibile formulare alcuna ipotesi. La programmatica ripresa del modello della Colonna di Traiano è chiarissima: come quella, la Colonna Aureliana è alta 100 piedi senza il basamento (quest’ultimo, però, è notevolmente più alto di quello traianeo); dotata all’interno di una scala a chiocciola; destinata a sostenere una statua bronzea dell’imperatore (sostituita nel 1589 da quella di San Paolo); ma, soprattutto, coperta da un fregio istoriato elicoidale che la avvolge in 21 spire dalla base del fusto, in forma di corona di alloro, fino al summoscapo su cui emergono le scanalature al di sotto del capitello ad echino con ovoli. Anche in questo caso, ad essere narrate per immagini sono le res gestae dell’imperatore contro i barbari ribelli; la narrazione si articola in due fasi, distinte da una figura di Vittoria che scrive su uno scudo, la prima delle quali, dal basso, deve riferirsi alla campagna contro Quadi e Marcomanni del 171-173, e la seconda alla campagna contro i Sarmati, a seguito della quale Marco, nel dicembre del 176, celebra il proprio trionfo a Roma.
Ma le analogie con la Colonna Traiana finiscono qui: diverso è il linguaggio figurativo, come diversa è l’immagine dell’imperialismo romano e del rapporto tra Romani e popolazioni barbare che emerge dalla narrazione. Il nastro figurato è più alto, quindi le figure sono più grandi, più distanziate, più nette e plastiche, ed emergono in modo più deciso dal piano di fondo, perché lavorate a più forte rilievo: elemento quest’ultimo che spezza quella profonda armonia compositiva tra fregio e struttura che caratterizza la Colonna Traiana. La narrazione è più concisa e avara di particolari, il numero delle figure è inferiore; più drammatica, invece, la resa del chiaroscuro cercato con il massiccio uso del trapano. Questa drammaticità del chiaroscuro ben si accorda con una immagine della guerra più violenta e certo più sincera: drammatiche le scene di distruzione dei villaggi barbari, con il coinvolgimento di donne e bambini, icone di dolore e di terrore così tipiche del rilievo della Colonna; brutali gli scontri tra soldati romani e tribù barbariche, sintesi della sopraffazione dell’ordine sul caos; senza filtri i massacri e le esecuzioni, come nella notissima scena della decapitazione dei Germani ad opera di una truppa di ausiliari, barbari anch’essi, dell’esercito romano. Non c’è più traccia del rispetto con cui nella Colonna Traiana sono rappresentati i Daci: i Germani sono ribelli da schiacciare e ridurre alla sottomissione, come evidenzia uno dei quattro rilievi della base della Colonna, conservato solo in incisioni cinquecentesche, con una scena di submissio di un gruppo di prigionieri di fronte all’imperatore. Alla rappresentazione della dolorosa e brutale necessità della guerra, si affianca in questi rilievi l’espressione di una fede quasi superstiziosa in “miracoli” che rendano favorevoli ai Romani le sorti delle campagne militari, ben esemplificata in episodi notissimi e che peraltro trovano riscontro nelle fonti letterarie, come quello del “miracolo della pioggia”, che salva l’esercito romano assetato mentre travolge i Quadi, o quello del “miracolo del fulmine” che colpisce una macchina bellica barbara che sta assaltando un fortino romano. Anche Marco Aurelio, come Traiano, compare frequentemente nel rilievo che celebra le sue res gestae; la sua figura, frequentemente frontale e isolata, incarna però un concetto mutato della maestà imperiale, più vicino a quello della regalità divina di ambito orientale, destinato a diventare norma nell’iconografia imperiale del III secolo. Le novità stilistiche, narrative e compositive della Colonna Aureliana sono i sintomi di un profondo cambiamento della cultura, della mentalità e dell’arte romana, e in questo monumento viene riconosciuto l’inizio della nuova visione artistica tardoantica.
Nel 330 l’imperatore Costantino fonda sul Bosforo la propria capitale, Costantinopoli, sul sito della greca Bisanzio, con l’intenzione, resa via via sempre più esplicita, di farne una “nuova Roma”. Tale progetto assume caratteri ben definiti con la dinastia teodosiana, sotto la quale la città vive una notevole espansione demografica e un intenso sviluppo edilizio.
Elemento sostanziale del piano urbanistico di Teodosio I è la realizzazione di un grande Foro, il Forum Tauri, che si colloca sul percorso della Mése, la grande strada porticata che attraversa la città, e che viene inaugurato nel 393. È probabile che la pianta evocasse quella del Foro di Traiano, il più celebre e il più grandioso dei Fori Imperiali dell’Urbe: dietro alla ripresa di questo modello (ipotetica, e al momento non suffragata da riscontri archeologici) è da leggersi l’intento di Teodosio di dichiarare una propria ideale discendenza da Traiano, come lui spagnolo di origine, legittimando così il proprio ruolo. In questo Foro, Teodosio erige una colonna coclide istoriata, destinata a celebrare nel fregio le sue vittorie contro i Grutungi, sconfitti nel 386, e a sostenere una sua statua in bronzo argentato. Distrutta agli inizi del XVI secolo, di essa si sono rinvenuti solo dei frammenti, gravemente compromessi, reimpiegati nelle murature dell’Hamam di Bayazit II, relativi a scene di marcia e di combattimento. Ad essa, inoltre, si è ricondotto un disegno tardocinquecentesco del Louvre, copia di un disegno più antico, che riproduce parte dei rilievi di una colonna coclide.
Per altri studiosi, il disegno sarebbe però piuttosto da riferire ad un’altra colonna coclide di Costantinopoli, quella voluta nel suo nuovo Foro dal figlio di Teodosio I, Arcadio, per celebrare la propria vittoria contro i Goti di Gainas, e dedicata solo nel 421 dal figlio Teodosio II. Di questa, distrutta nel XVIII secolo, resta soltanto il basamento, in situ, con rilievi su tre lati a carattere trionfale e celebrativo su quattro registri, ormai poco leggibili, e alcuni disegni del XVI e XVII secolo, che mostrano marce e scene di battaglie navali e terrestri. Come quelle dell’Urbe, entrambe le Colonne di Costantinopoli, secondo quanto attestato dalle fonti, sono coclidi, e consentono di affacciarsi sulla città. È chiaro dunque come già dalla fine del II secolo, e poi ancora nel IV, si riconosca alla Colonna Traiana un ruolo di modello, di punto di riferimento imprescindibile per l’arte ufficiale legata alle tematiche del trionfo. Troppo lungo sarebbe ripercorrere la storia delle riprese post-antiche di questo modello, che ne mostra la straordinaria continuità: basti ricordare, in chiusura, la colonna in bronzo di san Bernoardo a Hildesheim (1022), nella quale sono raffigurate scene della vita di Gesù, e quella di Place Vendôme a Parigi, realizzata nel 1810 con il bronzo ricavato dai cannoni russi e austriaci catturati ad Austerlitz.