Il Leone nella tempesta
Nell’estate del 2011,quando i mercati finanziari di tutto il mondo hanno cominciato a scommettere contro l’Italia e la sostenibilità del suo debito pubblico, tra le società che hanno maggiormente sofferto per le perdite di valore di BOT e CCT sono state le Generali. Le azioni della compagnia triestina, il terzo gruppo assicurativo europeo dopo Allianz e Axa, sono scese fino al 20% in Borsa, penalizzate dalla presenza di un largo portafoglio di obbligazioni della repubblica (circa 50 miliardi di euro). Fino a poco tempo fa quegli investimenti, necessari a fronteggiare gli impegni che il Leone triestino ha nei confronti dei suoi clienti italiani, erano considerati dagli analisti particolarmente prudenti e ‘sicuri’, ma la crisi delle economie europee ne ha improvvisamente mostrato un lato nascosto. E i manager delle Generali hanno avuto la conferma di una dipendenza dall’Italia (e dal suo debito pubblico) che da tempo giudicano eccessiva. Le previsioni di crescita delle economie mature europee, crisi a parte, sono modeste e così l’espansione all’estero è divenuta da anni una scelta obbligata per assicurare alla compagnia un orizzonte di sviluppo a lungo termine. Se nel 2003 la percentuale dei premi raccolti nel mercato domestico era pari al 39%, nel primo semestre del 2011 la stessa quota era scesa al 27,7%. Nel corso del tempo le Generali sono divenute il secondo assicuratore in Francia e Germania e in molti altri paesi, soprattutto in Europa, lottano per le prime posizioni. Le nuove direttrici di marcia guardano soprattutto alla Cina, all’India, all’Europa orientale.
Il clamoroso scontro al vertice che nel 2011 ha caratterizzato le vicende del Leone italiano, con il dimissionamento del presidente del gruppo Cesare Geronzi a meno di un anno dal suo insediamento, può essere almeno in parte spiegato anche alla luce degli obiettivi di crescita all’estero. Non che Geronzi si sia mai dichiarato contrario a quell’indirizzo, ma all’inizio del suo mandato aveva parlato del futuro della società soprattutto al servizio di un «ruolo di sistema» in Italia.
E nell’intervista rilasciata nel febbraio del 2011 al Financial Times, in seguito alla quale il Consiglio di amministrazione gli ha revocato la fiducia, Geronzi ipotizzava investimenti nel settore del credito nella penisola. Una strada che il management operativo (il Group CEO Giovanni Perissinotto) aveva esplicitamente escluso. Geronzi ha perso e, con il senno del poi, è stato meglio così per Generali viste le cadute in borsa che nei mesi successivi hanno colpito le banche della penisola, coinvolte anch’esse nella perdita di fiducia sulle prospettive del paese.
Se l’espansione all’estero è il tratto distintivo della storia recente del Leone triestino, negli assetti di corporate governance ciò che colpisce è la conquista di una maggiore autonomia dei suoi manager dal tradizionale azionista di riferimento Mediobanca. Con il 13,47% del capitale, che ne fa il principale socio del gruppo, la banca d’affari milanese ha sempre esercitato uno stretto controllo sulla sua partecipata, non esitando a dare il benservito a presidenti (è accaduto ad Alfonso Desiata nel 2001 e a Gianfranco Gutty appena un anno dopo) che riteneva in contrasto con i suoi indirizzi.
Con l’arrivo, nell’ultimo decennio, dei nuovi manager operativi (oltre a Perissinotto, l’altro amministratore delegato Sergio Balbinot cui si è aggiunto il direttore finanziario Raffaele Agrusti) quella briglia si è allentata. Tutto ciò ha permesso una maggiore libertà di movimento agli amministratori mentre, allo stesso tempo, è cresciuta nel Cda l’influenza di alcuni azionisti forti (i gruppi Bolloré, De Agostini, Caltagirone, Kelner). Anche questa nuova dialettica può essere colta in controluce nella vicenda che ha coinvolto Geronzi. Di quest’ultimo era nota l’amicizia nei confronti del finanziere bretone Vincent Bolloré che nei primi mesi del 2011 è stato al centro di una complessa vicenda finanziaria. Il suo gruppo ha acquisito una significativa partecipazione nella Premafin, controllante di Fondiaria Sai, con l’obiettivo di partecipare all’aumento di capitale della medesima compagnia e di giungere a lungo termine a un’integrazione.
Se ciò fosse avvenuto ne sarebbero state consolidate, a cascata, la quote che questi gruppi detengono in Mediobanca – Bolloré con il 5%, Fondiaria Sai con il 4% e Groupama con il 4,9% – ciò che avrebbe fatto del nuovo aggregato il maggiore azionista della banca d’affari e dunque anche di Generali.
La storia è andata diversamente perché all’inizio del 2011 la CONSOB – l’authority di Borsa italiana – ha nei fatti impedito l’integrazione Groupama-Premafin. Un collegamento diretto non c’è, ma è un fatto che dopo quella bocciatura è iniziato il turmoil all’interno della compagnia triestina che ha portato all’allontanamento di Geronzi.
Un’azienda storica
Il gruppo Generali è a oggi una delle più importanti realtà imprenditoriali italiane; con alle spalle una storia quasi bicentenaria. Esso nasce a Trieste il 26 dicembre 1831, con la denominazione di Imperial Regia Privilegiata Compagnia di Assicurazioni Generali Austro-Italiche, ma trasferisce la sede a Venezia pochi mesi dopo e cambia nel 1848 il proprio nome in quello di Assicurazioni Generali. I vertici della compagnia ricoprono posizioni di rilievo nella Repubblica veneziana creata da Daniele Manin, e sono quindi costretti all’esilio dopo la caduta di quest’ultima; è a quell’epoca che risale la scelta di inserire nel marchio aziendale il leone alato simbolo di Venezia tuttora presente. Tuttavia, il gruppo delle Assicurazioni Generali, che controlla società in Italia, Austria, Ungheria, Romania e Francia, assume una configurazione simile a quella odierna solo nel 1882; il crollo dell’impero asburgico porta al trasferimento a Roma della sua sede centrale, e all’inizio degli anni Quaranta esso controlla 59 società assicuratrici, un quarto delle quali fuori dall’Europa. Il gruppo subisce però le conseguenze della Seconda guerra mondiale e della decolonizzazione; in particolare, la perdita completa del patrimonio situato al di là della Cortina di Ferro e il forzato abbandono dei mercati africani e asiatici interessati da provvedimenti di ‘nazionalizzazione’ delle economie locali.
Oggi il gruppo Generali è una delle principali aziende assicurative del mondo, attivo in Nordamerica e nell’Estremo Oriente oltre che in Europa.