di Giovanna D’Agostino
Il termine land grabbing (letteralmente ‘accaparramento di terra’) è emerso nei media di tutto il mondo durante la crisi dei prezzi agricoli del 2008. Il fenomeno non è certo una novità, ma nuovi rispetto al passato sono alcuni aspetti con cui oggi esso si manifesta: 1) la sua rapida crescita degli ultimi anni; 2) la grande dimensione delle aree interessate dai singoli investimenti; 3) le modalità con cui essi avvengono, attraverso contratti di acquisizione o di leasing di lunghissima durata; 4) la diffusione geografica, che vede coinvolti numerosi paesi: dal lato degli investitori, i paesi occidentali sviluppati, ma soprattutto i cosiddetti emergenti e i rentier state; mentre i paesi oggetto dell’investimento sono soprattutto in Africa ma anche in Sudamerica e Asia.
Più in generale, ciò che caratterizza il land grabbing è che si tratta di un investimento legato non solo a logiche di mercato convenzionali ma anche e soprattutto a motivazioni strategiche di lungo periodo, alimentate da obiettivi di sicurezza alimentare ed energetica dei paesi investitori, e/o dall’azione di grandi compagnie che intendono sfruttare il controllo di risorse di base quali terra, acqua, foreste e risorse minerarie.
Il fenomeno è visto con preoccupazione, proprio per il rischio di perdita del controllo di tali risorse da parte dei paesi oggetto dell’investimento e per le possibili conseguenze negative in termini di marginalizzazione delle popolazioni rurali a favore di uno sviluppo di cui esse non beneficiano. Inoltre, in molti casi, la cattiva definizione dei diritti di proprietà e di uso della terra, o la mancanza di trasparenza e controlli dei contratti, può creare terreno fertile per la corruzione. Ancora, vi può essere il rischio di danno ambientale e di perdita di biodiversità, conseguente al fatto che spesso gli investimenti tendono a utilizzare un sistema di monocoltura.
Se tutto questo può essere vero, va comunque sottolineato che il land grabbing è pur sempre un investimento diretto estero (Ide) che può portare benefici ai paesi che lo ricevono: basti pensare alle tante politiche di attrazione degli Ide messe in piedi dai paesi di possibile destinazione. L’interesse principale dei governi ospitanti è l’impegno degli investitori a costruire le infrastrutture che sono necessarie allo sviluppo del settore agricolo, e che sono un’occasione per la crescita occupazionale. Inoltre, molti contratti prevedono come clausola la costruzione di infrastrutture sociali, quali scuole e ospedali.
In un studio della Fao del 2012, vengono confrontati due casi: quello della Solar Harvest Limited Company e quello della Integrated Tamale Fruit Company (Itfc), che si differenziano per il diverso grado di inclusività del modello adottato e per i diversi effetti sulle comunità locali.
La Solar Company, compagnia norvegese, ha preso in leasing circa 11.000 ettari di terreno nella regione settentrionale del Ghana per coltivare jatropha. Il contratto ha una durata di 25 anni e un canone di 1,20 dollari per acro. Dopo la stipula, molti contadini sono stati costretti a trasferirsi non potendo vantare nessun diritto di possesso sulla terra che coltivavano da sempre. Inizialmente l’iniziativa era stata comunque vista di buon occhio, poiché la compagnia assunse una persona per famiglia, ma una volta piantata la jatropha la domanda di lavoro si ridusse e furono mantenuti soltanto cinque lavoratori. Inoltre la compagnia ha disboscato un’area comune detta bush land per riconvertirla a monocoltura. In sintesi, quella che era considerata una leva di modernizzazione ha invece distrutto un sistema agricolo e la ricca biodiversità che lo caratterizzava.
L’Itfc è una compagnia ghanese-olandese, con sede nella stessa regione, la cui maggiore attività è la commercializzazione di manghi biologici. La compagnia gestisce quasi 1200 acri di terreno con un modello inclusivo basato sulla coltivazione di un acro di mango dato a contratto a ogni singolo contadino. Questo è un caso di successo giacché, anziché espropriare i contadini, la compagnia li ha coinvolti nella coltivazione, assicurandosi una capacità produttiva maggiore senza acquistare terreno. L’Itfc, insieme al ministero dell’agricoltura, ha infatti incoraggiato la creazione dell’Organic Mango Outgrowers Association, che conta ad oggi quasi 1200 membri, favorendo la creazione di capitale istituzionale. Oltre a ciò, durante la stagione della pioggia, l’Itfc sostiene la coltivazione di arachidi come fonte alternativa di reddito per ridurre la minaccia di insicurezza alimentare.