Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’estate del 1907 Picasso lavora alle Demoiselles d’Avignon; nell’inverno successivo Braque espone nella galleria di Daniel-Henry Kahnweiler a Parigi: i suoi paesaggi verranno definiti “cubisti”. Sono queste le tappe essenziali di gestazione del cubismo, il riferimento di tutte le avanguardie del Novecento.
Les demoiselles d’Avignon
L’appuntamento autunnale del 1908 segue 15 mesi di avvenimenti densissimi per un gruppo di artisti che vivono in stretto contatto. I due promotori sono Georges Braque e Pablo Picasso. Questi nel giugno del 1907 comincia a riflettere su Les demoiselles d’Avignon, un grande quadro di nudo considerato da alcuni studiosi la prima opera cubista della storia. L’intento iniziale di Picasso è di rappresentare uno spaccato di un bordello di Carrer d’Avinyò, nella zona del porto di Barcellona: un marinaio, all’estrema sinistra del quadro, guarda le ragazze del postribolo, mentre uno studente si insinua da destra con un teschio in mano e più in basso della frutta è pronta per la colazione. Sarebbe stato dunque un grande quadro di nudo, abbinato alla rappresentazione di una natura morta e sotteso da un rimando simbolico alla morte alquanto trito se Picasso non avesse deciso di stravolgerne tematica e significato: al posto del marinaio e dello studente sceglie di dipingere altre due ragazze e il teschio viene eliminato dalla composizione. Dal punto di vista stilistico l’opera esprime un profondo senso di rottura nei confronti della tradizione occidentale: sul classico tema del nudo, tema con il quale gli artisti si erano confrontati sin dall’Ottocento, Picasso elabora arti umani volutamente deformati e disarticolati in movimenti innaturali. La linea frastagliata e i tagli geometrizzanti annullano la prospettiva e delimitano i piani che lo spettatore percepisce indistinti rispetto al fondo. Ne Les demoiselles sono distinguibili due fonti visive: Cézanne e l’arte primitiva. Al maestro di Aix-en-Provence che, come scriverà Fernand Léger, è l’unico ad avere “capito tutto quello che vi era di incompleto nell’arte del passato”, il Salon d’Automne del 1907 dedica un’imponente retrospettiva, occasione compendiale per ammirarne l’innovazione visiva. Se la scomposizione dei piani mutuata da Cézanne emerge dall’elaborazione del nudo e dalla natura morta, si possono notare anche gli influssi dell’arte africana osservando il volto e la posizione della donna seduta di schiena in primo piano. In questa fase l’arte africana ha una funzione simbolica, risponde a intenti espressivi: Picasso non copia esattamente le maschere come appaiono ma le deforma a proprio uso.
Il dipinto è dominato dal rosa, colore presente già nei dipinti del 1905 e che presto sarebbe scomparso nella fase nevralgica del cubismo caratterizzata cromaticamente dai grigi e dai verdi spenti. Les demoiselles è l’opera di Picasso che si è prestata al maggior numero di interpretazioni: Leo Steinberg, critico e storico dell’arte, nel 1972 lo legge come una metafora sessuale che descrive il rapporto conflittuale con l’universo femminile. William Rubin, studioso di Picasso e direttore onorario del MoMA di New York, nel 1983 le attribuisce un valore “tanatofobico”, ovvero che esprime la paura della morte, così evidente nei volti spaventosi delle ragazze ai lati e che risalta ancor di più nel confronto con la bellezza femminile dei due nudi centrali.
L’influenza di Cézanne, il cubismo analitico
In omaggio a Cézanne, Braque e RaoulDufy trascorrono l’estate del 1908 a L’Estaque, un villaggio vicino a Marsiglia, raffigurando in diverse opere gli stessi paesaggi dipinti dal maestro. Braque reinterpreta il paesaggio fauve “alla maniera di” Cézanne: in Viadotto all’Estaque (Parigi, Musée national d’Art moderne, Centre Pompidou) o Terrazza all’Estaque – entrambi del 1908 – le forme si compenetrano in una rappresentazione tutta bidimensionalità e la tavolozza si tinge dei colori accesi del sud della Francia stesi a campiture ampie che si offrono alla luce. Nella costruzione del paesaggio Braque tiene conto della celebre esortazione cézanniana di trattare “la natura secondo il cilindro, la sfera, il cono”: le pennellate sono uniformi e unidirezionali, i contorni dei tetti e degli alberi sono liberi di spostarsi da un piano all’altro secondo la tecnica del passage, ben nota a Cézanne. Braque rifiuta la prospettiva con un unico punto di vista abbandonando una delle grandi certezze dell’arte occidentale. L’artista ne mostra piena consapevolezza quando afferma: “La prospettiva tradizionale non mi soddisfaceva […] essendo meccanica, non consente mai di cogliere le cose in maniera completa. […] Quando arrivammo a questa conclusione, tutto cambiò, non avete idea di quanto cambiò!”. Al Salon d’Automne del 1908, quando la giuria rifiuta sia i paesaggi che i nudi dipinti da Braque durante l’estate, ha inizio dunque la storia del cubismo.
Dall’autunno del 1908 il confronto tra Braque e Picasso si fa serrato: “Braque o io ci recavamo nello studio dell’altro. Ciascuno di noi doveva vedere che cosa aveva fatto l’altro durante il giorno. Criticavamo l’uno il lavoro dell’altro”. Picasso ammira la finezza cromatica di Braque, mentre questi assorbe l’energia innovativa dello spagnolo. I due stanno delineando quello che il gallerista Daniel-Henry Kahnweiler definisce “cubismo analitico”, fase che culmina nel dipinto Homme à la guitare (1911, Parigi, Musée Picasso) e nel Ritratto di Ambroise Vollard, collezionista, mercante e amico di Picasso. Qui l’artista abbandona ogni possibile rimando alla verosimiglianza fotografica e inserisce pochi elementi riconoscibili: una bottiglia poggiata sul tavolo in alto a sinistra, un libro in alto a destra, un giornale aperto al centro, un bottone e un fazzoletto da taschino. Non è dunque un ritratto di invenzione ma una frastagliata composizione che rispetta, nell’essenza, l’idea di ritratto realistico. Moltiplicando i punti di vista, Picasso restituisce diverse sfaccettature del soggetto e se fino a questo momento ha tenuto presente l’opacità dei corpi e delle ombre, ora si confronta con la trasparenza dei piani.
Tempo e coscienza
Già nel 1907 il filosofo Henri Bergson aveva pubblicato L’evoluzione creatrice, saggio che introduce una visione rinnovata del rapporto fra tempo e coscienza, fra spirito e materia. Il pensiero bergsoniano influenza radicalmente le opere cubiste nella rappresentazione della dimensione temporale: è Guillaume Apollinaire, poeta e assiduo frequentatore del gruppo, che nel suo Les Peintres cubistes (1912) riconosce nel tempo la “quarta dimensione”. Rompendo con l’unicità del punto di vista, il cubismo infrange inevitabilmente anche la categoria del tempo: presentare più punti di vista implica un prolungamento del tempo di fruizione dell’opera. Sul versante della scienza, Albert Einstein teorizza il principio della “relatività” secondo cui la contemporaneità di due fenomeni è casuale e non ha un nesso di dipendenza reciproca. È chiaro dunque come in campi cognitivi e percettivi differenti – l’arte, la filosofia e infine la scienza – si avverta il medesimo impulso a superare la conoscenza empirica per giungere a nuovi modelli di descrizione e rappresentazione del reale. Un dipinto cubista va compreso attraverso una lettura prolungata per permettere alla mente, una volta assimilati i singoli elementi compositivi, di ricostruire l’immagine e la scena nel suo complesso.
Il cubismo sintetico
Già in alcuni dipinti del 1911 Braque e Picasso utilizzano della sabbia, primo passo verso una polimatericità che, assieme all’introduzione delle lettere e del collage, connota la fase del “cubismo sintetico”. Questo periodo è dunque caratterizzato da un allontanamento dalle tecniche canoniche di pittura: frammenti di realtà vengono incollati sulla tela affinché questa si identifichi con lo spazio pittorico. La rappresentazione diviene così più diretta: vengono collocati sulla tela frammenti di giornali, carte da parati, carte da gioco e legni, annullando il rapporto tra figurazione e spazio.
Chitarra (1913) di Picasso è uno degli esperimenti meglio riusciti di papier collé in cui, dopo mesi d’assenza, ricompare il colore. L’opera è costruita attraverso l’intersezione di figure geometriche semplici, ritagliate in modo da alludere all’oggetto rappresentato. Le linee curve si riferiscono allo strumento musicale, mentre le rette identificano i piani. I ritagli assemblati da Picasso hanno una triplice funzione: quelli stondati ricostruiscono la sagoma della chitarra, la carta da parati rimanda a un contesto quotidiano e i giornali riportano fatti di attualità politica, indicando una precisa posizione ideologica dell’artista. Picasso, che non rinuncia alla dimensione della profondità, costruisce con pochi segni a carboncino i volumi interni della stanza.
La vicenda cubista ha dunque due protagonisti, Braque e Picasso, e alcuni artisti che gravitano intorno. Proprio ai cosiddetti “cubisti minori” viene assegnata una sala al Salon des indépendants del 1911: Albert Gleizes, Henri Le Fauconnier , Jean Metzingerr, Robert Delaunay e Fernand Léger subito notato da Apollinaire per la “luce verdastra e profonda che discende dal fogliame” e per le forme che ricordano dei tubi. Sempre Apollinaire, in Les Peintres cubistes, definisce Delaunay un cubista “orfico”, le cui tele, per la sorprendente capacità evocativa del colore, offrono “simultaneamente un piacere estetico puro, una costruzione che colpisce i sensi e un significato sublime, ossia il soggetto”.
Conoscono una breve stagione cubista anche artisti noti per l’appartenenza ad altri gruppi d’avanguardia come Marcel Duchamp, Piet Mondrian e gli italiani Ardengo Soffici e Gino Severini. Soffici nel dicembre del 1914 pubblica il saggio Cubismo e futurismo, mettendo a confronto analogie e differenze; mentre Severini a Parigi fino al 1913, sperimenta il collage cubista in opere come Ballerina blu (1912, Venezia, collezione Guggenheim), su cui incolla direttamente i lustrini dell’abito della danzatrice.
Con lo scoppio della guerra, che vede Braque impegnato sul fronte, seguito da una successiva rinascita dell’interesse per la figurazione, negli anni Venti il cubismo può dirsi praticamente concluso; la sua lezione però verrà assorbita e metabolizzata da tutti i movimenti delle avanguardie novecentesche.