GUERCINO, Il
, Con questo nome è noto il pittore Giovanni Francesco Barbieri, nato a Cento l'8 febbraio 1591, morto a Bologna il 22 dicembre 1666. Dimostrando, precocissimo, una viva disposizione per il disegno, fu mandato a riceverne i primi elementi presso Bartolomeo Bertozzi a Bastiglia (Modena) che poi lo allogò, verso il 1607, a Cento presso Benedetto Gennari seniore, modesto pittore, attratto nell'orbita carraccesca. Verso il 1610 andò a Bologna frequentando la scuola di G. B. Cremonini; quivi potè anche conoscere le opere dei Carracci, in particolare quelle di Ludovico, che lungamente l'attrassero. Dopo avere eseguite opere, poi disperse, ricordate dai biografi, nel 1615 dipinse alcune tele, che portate a Bologna, suscitarono una grande ammirazione: gli Evangelisti, di cui due si possono identificare con i Ss. Luca e Giovanni della Galleria di Dresda. Nel 1616 compì per S. Agostino di Cento una tavola con la Madonna, il Figlio e quattro Santi, ora al museo di Bruxelles, in cui sono già determinati i caratteri del primo periodo della sua arte, che si trovano nelle opere successive: la Resurrezione di Tabita, e il Marsia scorticato da Apollo di Palazzo Pitti, il Martirio di S. Pietro della Pinacoteca di Modena, il Figliol prodigo della Galleria di Torino e della Corsini di Firenze, eseguite tutte negli anni 1618-1620. Il G. si distingue dai suoi contemporanei in questo felice periodo per avere liberato le sue creazioni da quella pesantezza e opacità dei carracceschi: egli introduce per primo forti contrasti luministici, illuminando il quadro con un filo di luce radente, che, colpendo violentemente le cose nelle parti più aggettanti, inghiotte nell'ombra le altre; e le ombre, non più dense come nei carracceschi, acquistano in lui una freschezza caratteristica, tutta trasparenze ariose. In questo amore dei contrasti di luce e di ombra i biografi del G. vollero vedere un influsso caravaggesco: mentre la ricerca luministica, che nel Caravaggio è semplicemente un mezzo per ottenere valori costruttivi, nel G. è fine a sé stessa, compiacendosi il pittore di puri effetti di luce.
Il capolavoro di questo periodo e di questa tendenza, è il San Guglielmo d'Aquitania della Pinacoteca di Bologna, del 1620, in cui la composizione aiuta in modo aderente il forte partito luministico, permettendo anche di avvolgere le cose in una calda atmosfera dorata. Appartengono ancora a questo periodo: il S. Girolamo (Vienna, Coll. Liechtenstein), impressionante nello snodarsi della composizione, il S. Francesco e il S. Matteo della Galleria di Dresda, la Susanna al Bagno del Prado, di una miracolosa freschezza, la Susanna e i Vecchioni di Pitti, d'intenso, prezioso colore, ecc.
Nel 1618 il G. si recò a Venezia per portarvi un suo libro di disegni: Primi elementi per introdurre i giovani al disegno, e vi rimase un anno intento allo studio dei maestri veneziani. Nel 1621 il G. andò a Roma, chiamato dal cardinale Antonio Ludovisi, già suo protettore a Bologna, divenuto Gregorio XV. Quivi egli dipinse il ritratto del pontefice, ora a Strafford House (Londra), il soffitto della chiesa di S. Crisogono, figurante la gloria del Santo (l'originale a Strafford House), la S. Maria Maddalena della Pinacoteca Vaticana, di uno squisito senso compositivo, e il Seppellimento di Santa Petronilla della Galleria capitolina (1621).
Quest'opera fu ritenuta il capolavoro del G. dai biografi, che vi videro l'inizio della seconda maniera dell'artista. L'opera più bella che il G. lasciò a Roma è l'Aurora, affrescata nella volta terrena del Casino Ludovisi per Gregorio XV (1621); opera veramente moderna per l'acuto preciso senso del bianco e nero, in cui l'artista dimostra una giustezza così profonda di valori luministici, soprattutto nei dinamici cavalli e nei deliziosi puttini, da lasciare ammirati. Tornato da Roma nel 1623, il G. rimase a Cento fino al 1642, anno in cui si stabilì a Bologna, dopo la morte di Guido Reni, di cui divenne da allora in poi, l'infelice continuatore delle forme più deboli, per aderire al gusto del pubblico e dei committenti. Nel 1623 il G. dipinse l'Assunzione della Vergine, ora all'Ermitage, opera che rivela i caratteri di un periodo di transizione, perché accanto alle salde qualità del G. si notano già influssi del Reni.
Nel 1626, a Piacenza, affrescò nella cupola del Duomo, i Profeti e i Genietti alati, già iniziati dal Morazzone, spiegandovi, forse per l'ultima volta, quel serrato senso compositivo e quella freschezza luministica della sua prima maniera. Del 1630 è il Cristo che appare alla Maddalena della Pinacoteca di Cento, che fu esaltato insieme con la mediocrissima S. Elena dei Mendicanti a Venezia, come una delle cose più belle dell'artista, mentre segna, invece, l'inizio della decadenza; che s'infiltra man mano nelle opere seguenti: la Morte di Didone (1631) di cui resta una copia nella Galleria Spada (Roma), veramente povera cosa, priva di ogni sensibilità; il ritratto del Cardinale Spada della stessa collezione (1631); la Madonna e i Ss. Pietro e Paolo della Certosa di Pavia del 1641, ecc. Qualcosa rimane, ancora, malgrado il disfacimento della sua arte, della virtù antica, nella Decollazione di S. Maurelío (Pinacoteca di Ferrara) del 1635, nella Vergine che appare a S. Bruno (Pinacoteca di Bologna) del 1647.
Ma tutto, intorno, cade: il S. Girolamo della chiesa omonima di Rimini del 1641, il S. Francesco di S. Giovanni in Monte di Bologna (1645), la Semiramide di Dresda (1645); fino a che, affrettata per aderire alle continue richieste, confusa con la collaborazione del fratello e dei Gennari, suoi scolari e nipoti, l'opera del G. si riduce alla parodia delle forme del primo periodo, con l'Annunciazione (Galleria di Forlì) del 1748, col Ripudio di Agar del 1657 (Milano, Brera), l'opera forse più popolare del G. con la S. Francesca Romana (Pinacoteca di Torino del 1656), ecc., riprodotte tutte su uno stesso stampo, privo di vita, e di tocco, pesante, oleografico. Una delle ultime opere del G. è il S. Tommaso in S. Domenico di Bologna, del 1662. Il G. è rappresentato in quasi tutte le grandi collezioni d'Europa, purtroppo, in gran parte, con opere della decadenza. Lasciò anche un grande numero di disegni, raccolti alla sua morte in dieci volumi dagli scolari, e poi dispersi nelle grandi collezioni (Gabinetto degli Uffizî; all'Albertina di Vienna, ecc.). Essi rappresentano in gran parte studî per le opere più note: squisiti di tocco leggero e nervoso, rapidi nel determinare in pochi tratti ogni valore luministico, sono fra i più deliziosi di tutto il '600.
Il G. fu anche incisore: i biografi ricordano di lui due incisioni all'acquaforte: S. Antonio da Padova e S. Giovanni Battista. A Cento il G. ebbe una vera scuola, dalla quale uscirono il fratello Paolo Antonio (1603-1649) e i Gennari.
Paolo Antonio nacque a Cento nel 1603 e morì a Bologna nel 1649. Notò, nel libro di casa, in cui segnava tutte le commissioni e i pagamenti delle opere del fratello, circa quaranta opere proprie, raffiguranti in gran parte nature morte, uccelli, pesci, frutta, ecc., nelle quali, secondo i biografi, fu abilissimo.
In alcune di queste collaborò il G., dipingendovi le figure: ad es., nella Fruttaiola della Collezione Rospigliosi di Roma.
V. tavv. XV e XVI.
Bibl.: C. C. Malvasia, Felsina pittrice, Bologna 1841, II, p. 257 segg.; I. Calvi, Notizie della vita di G. Fr. Barbieri detto il G., in C. C. Malvasia, op. cit., p. 277 segg.; A. Bartsch, Le peintre graveur, XIX, Vienna 1818, p. 361 segg.; H. Voss, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, IV, Lipsia 1922 (con ampia bibl.); M. Marangoni, Il "vero" G., in Dedalo, I (1920-21), pp. 21-40, 133-42; id., Il G. (coll. d'arte), Firenze 1920; id., Arte barocca, Firenze 1927, p. 69 segg.; A. G. B. Russell, Drawings by G., Londra 1923; U. Ojetti, L. Dami, N. Tarchiani, La pittura ital. del '600 e del '700 alla mostra di pal. Pitti, Milano e Roma 1924; A. J. Rusconi, in Dedalo, III (1922-23), pp. 598-600; A. Ferrari, Un nuovo G. al museo di Padova, in Bibl. del museo civico di Padova, n. s., III (1927), pp. 58-66; A. Sambon, Les dessins de L. Cambiaso et de G. F. Barbieri, dit le G. Exposition à la Galerie Sambon, Paris, du 8 au 20 novembre 1929, Parigi 1930; A. de Rinaldis, Di alcuni disegni del G., in Boll. d'arte, X (1930-1931), pp. 461-71.