Il governo di Roma e la Nuova Roma
Nonostante lo scetticismo degli storici moderni, non vi è in realtà alcun motivo di dubitare che Costantino avesse una sincera e durevole passione per le terre della sua giovinezza, e che ciò fosse un elemento fondamentale della sua identità. Al contempo, gli enormi investimenti prima a Roma e poi a Costantinopoli mostrano la prodigiosa energia da lui profusa rispetto agli imperativi di governo, che richiedevano sia un certo grado di concessioni al vecchio sia la fondazione di qualcosa di nuovo: è soprattutto nella capacità di cogliere questo equilibrio che Costantino rivelò il suo genio nell’esercizio del potere.
Ogni considerazione inerente al governo di Costantino su Roma e Costantinopoli richiede una presentazione che dia conto del compito che l’imperatore si trovò ad affrontare. Ogni città presentava sfide uniche, ma necessitava anche di disposizioni governative comuni o quanto meno simili. Inoltre, è importante ricordare che il compito di governare iniziò per Costantino con la presa di possesso dei luoghi fisici. In primo luogo si esamineranno, pertanto, le particolari condizioni di Roma nel 312 d.C., prima di procedere all’esame della fondazione di Costantinopoli. In seguito si prenderanno in considerazione i comuni temi di governo.
L’indagine non è esente da alcuni seri problemi probatori. Il materiale storico a disposizione non è molto ampio per nessuna delle due città, soprattutto per Costantinopoli nella sua prima fase. Si è soliti caricare di un valore particolare le Notitiae di Roma e Costantinopoli, inventari dei principali monumenti e delle strutture civili, ma esse sono ben lungi dall’essere complete: quella di Roma offre informazioni sulla città riguardo la prima metà del IV secolo, mentre quella di Costantinopoli fu redatta verosimilmente nel V secolo2. Con una certa approssimazione le evidenze romane possono aiutare a ricostruire le modalità di governo di Costantinopoli sotto Costantino, ma al contempo è necessaria una certa cautela: come si vedrà, infatti, non si deve dare per scontata la duplicazione degli uffici e delle responsabilità. Nel caso di Roma, i precedenti augustei e le pratiche imperiali più tarde possono illuminare alcuni aspetti del governo della città, ma la persistenza di titolature analoghe non implica di necessità che le funzioni del IV secolo fossero rimaste invariate rispetto ai periodi precedenti. Il diritto tardo romano rimanda spesso sia alle strutture dell’amministrazione che ai problemi più generali, ma altrettanto spesso si fa riferimento a eventi e figure successivi all’era costantiniana.
Ricostruire il governo costantiniano di Roma e Costantinopoli è dunque un compito particolarmente complesso, in cui si deve attingere a fonti disparate e di qualità molto variabile. È importante, tuttavia, fare un tentativo. Data l’importanza delle città come grandi simboli urbani del cristianesimo, un esame del loro funzionamento rappresenta un utile promemoria del fatto che il lavoro di Costantino in nome del suo Dio cristiano si situava in un contesto molto più ampio, che non sempre viene tenuto in debito conto.
L’ingresso vittorioso di Costantino in Roma segna la sua conquista del cuore antico della civiltà romana, e rappresenta il culmine di una rimarchevole ascesa al potere, che lo aveva portato da Eburacum al Campidoglio, e dall’usurpazione alla legittimazione finale. Lo sconfitto Massenzio era stato invero più che un semplice occupante di Roma. Con tutta la sua vanagloria, l’Impero romano di Massenzio aveva sviluppato notevoli richiami alla storia e alla cultura della città. Il suo potere si era fondato sull’appoggio dei militari di statuto speciale che avevano una significativa tradizione di aderenza al potere romano: le cohortes praetorianae e gli equites singulares. Le sue ambizioni monumentali si espressero nei grandi edifici che si situavano tra gli antichi santuari del Foro e nel suburbium della città3. Inoltre, in una concessione significativa ricordata dai cristiani d’Africa, Massenzio aveva interrotto le azioni legali contro i cristiani4.
Gli apologeti di Costantino sminuirono il governo del suo predecessore a Roma e lo caratterizzarono come afflitto dalla vanità di Massenzio e da agitazioni popolari. Tuttavia, esso si era protratto per sei anni interi, durante i quali Roma era stata governata da un imperatore effettivamente residente in città. Roma non aveva goduto della presenza di un imperatore così a lungo da oltre un secolo. E Massenzio aveva sostenitori in città, dei quali, almeno alcuni, videro l’avvento di Costantino nella prospettiva di un ritorno alla stagnazione che aveva caratterizzato la città prima del patronato di Massenzio.
La sfida di Costantino per la realizzazione di un suo governo nella capitale dell’Impero è quindi duplice: egli ha bisogno, da un lato, di rassicurare i romani, e soprattutto il Senato, sul proprio apprezzamento dell’unicità di Roma; dall’altro, di distruggere e superare l’eredità di Massenzio.
La fase finale del suo adventus nel 312 porta Costantino dinanzi al Senato di Roma5. Un fregio sul lato nord dell’arco di Costantino raffigura l’imperatore seduto nel Foro nell’atto di rivolgersi ai senatori6. Con un’astuzia che eguaglia il suo entusiasmo religioso, Costantino restituisce la libertà e la ricchezza a coloro che avevano sofferto sotto Massenzio7. Rappresaglie e delazioni sono messe fuori legge, e mentre le più offensive tra le leggi di Massenzio vengono spazzate via, quelle ritenute utili sono mantenute8. Il prefetto della città di Massenzio, Annio Anullino, rimane in carica per un mese intero dopo l’arrivo di Costantino, per gestire i giorni critici della transizione, e a succedergli è Ceionio Rufio Volusiano, un altro uomo che si era distinto al servizio di Massenzio9. La prima fase di governo di Costantino a Roma è così caratterizzata dalla sua comprensione della necessità di una forma di continuità.
Nessuna fonte dice esplicitamente che Costantino si rechi al grande tempio di Giove Ottimo Massimo, tradizionale meta del ritorno degli imperatori, ma nemmeno si registrano polemiche per un suo rifiuto di farlo nel 312. Per i commentatori contemporanei sono da registrare dettagli maggiormente degni di nota: tale silenzio non deve quindi essere interpretato troppo in fretta10.
Gli equites singulares e i pretoriani, cioè la base del potere di Massenzio, sono sciolti in breve tempo. Un famoso medaglione emesso nel 315 ritrae Costantino con il monogramma chi-rho sull’elmo. Ma lo scudo nello stesso ritratto mostra la lupa che allatta Romolo e Remo, in un chiaro tentativo di celebrare il successo militare di Costantino come una vittoria specificamente romana11. Costantino fa ristrutturare e riorientare la basilica nova di Massenzio al fine di ospitare una statua colossale di sé stesso, con lo sguardo fisso lontano da chi guarda, reggente il simbolo del potere divino che lo aveva portato alla vittoria, ma piantata con fermezza nella sede imponente della Praefectura urbana12.
Così come era avvenuto a Roma, l’intervento di Costantino sul sito destinato a diventare Costantinopoli si colloca poche settimane dopo una battaglia decisiva. Costantino risiede a Occidente mentre attua le difficili politiche del periodo che conduce alla battaglia di Crisopoli, ma l’esito della guerra con Licinio porta sotto il suo controllo la vasta area dell’Oriente romano. Un Impero orientale pieno di alleati di Licinio e di suoi incaricati. Come a Roma nel 312, Costantino ha bisogno di una piattaforma urbana da cui partire per annunciare il suo arrivo. Ma mentre Roma, nel 312, esiste già, la grande città dell’Impero orientale di Costantino deve essere fatta ex novo.
La città greca di Bisanzio soddisfa perfettamente i requisiti richiesti da Costantino. Fondato da coloni megaresi nel 668 a.C. sulla sponda meridionale del lato europeo del Bosforo, l’insediamento era situato su uno sperone di terra conosciuto come ‘il Corno d’Oro’, che si proiettava nel Mar di Marmara ed era affiancato dal mare su due lati13. Alla grande bellezza della sua posizione Bisanzio abbinava molte difese naturali, e aveva già attirato l’attenzione imperiale quando aveva sostenuto Pescennio Nigro contro Settimio Severo alla fine del II secolo. La città era stata sottoposta a due anni di assedio (193-195 d.C.), che si era concluso con pesanti sanzioni e con l’umiliazione di essere retrocessa al rango di villaggio, subordinata alla città di Perinto, una cinquantina di miglia a ovest14. Ma il suo status le era stato presto restituito da Caracalla, dopo il quale la città giunse a godere del titolo di antoniniana/antonina. Ne conseguirono significativi restauri ed espansioni: a sud e a ovest dell’antica acropoli furono disposte strade colonnate (emboloi), e fu costruito un forum/agora con una basilica pubblica. Furono inoltre approntati i preparativi per le terme e un ippodromo, ma pare che ancora alla morte di Severo essi non fossero stati completati. Recenti ricerche suggeriscono che Licinio potrebbe essere intervenuto sul luogo nei primi anni del IV secolo, e ciò rappresentava forse per Costantino un ulteriore incentivo a imporre il proprio marchio sull’insediamento15. L’arrivo di Costantino trasforma le sorti di Bisanzio. Riconoscendo le sue virtù sia come confortevole località di residenza sia come sito ben difendibile, egli percepì la città come luogo ideale per il governo dell’Oriente. La via Egnatia e la grande strada per Adrianopoli e oltre partivano entrambe da Bisanzio, mentre, attraverso lo stretto, l’arteria per Nicomedia portava alle province d’Oriente. Sul mare, la città sorgeva accanto al punto di comunicazione tra il Mar Nero e il Mar di Marmara, e il Mar Egeo più oltre. Come valuta correttamente Richard Krautheimer, Bisanzio era «a nodal point on the map of the Empire»16.
Il sito fu consacrato domenica 8 novembre 324, e l’impresa fu vista, come gran parte dell’opera di Costantino a Roma, quale una grande offerta ex voto alla forza che gli aveva consegnato la vittoria a Crisopoli17. In seguito gli autori bizantini avrebbero romanzato pesantemente le cerimonie. Secondo l’autore di VI secolo Giovanni Lido, furono consultati «Sopratos il Telestes» e un «Praetextatus hierophantes» per confermare il dies faustus18. Pochi commentatori moderni accettano la storicità del racconto di Lido, mentre appaiono un poco più credibili i resoconti secondo cui Costantino avrebbe tracciato la limitatio della nuova città con la sua stessa lancia, come un venerabile romano dell’antica Repubblica avrebbe eseguito la lustratio19. Furono stabilite regiones formali sul modello di quelle di Roma, sebbene uno dei molti vantaggi del sito, in gran parte vergine, fosse quello di potere riservare maggiore attenzione a un piano complessivamente più ordinato di strade e quartieri, che furono tracciati per essere realizzati in futuro20.
Una nuova cinta muraria, circa quindici stadi a ovest di Bisanzio, quadruplicò l’area urbana. In essa, una grande porta si apriva nello spazio della nuova città. Il punto centrale era l’omphalos, un grande Foro circolare al cui centro vi era una grande colonna di porfido. Sopra di essa, intorno al 328, fu eretta una colossale statua in bronzo di Costantino, la testa circondata da una corona radiata, «sous les traits du dieu solaire». Anche Eusebio di Cesarea promuoveva volentieri l’immagine di Costantino come sole che dà la vita21. Attorno all’omphalos i costruttori di Costantino allestirono un colonnato a due piani, in cui si inserivano due archi di marmo bianco. L’arco sul lato orientale era sormontato da una statua della Fortuna, nonché da una croce placcata d’argento22.
Il Foro di Costantino divenne noto come augusteion, così chiamato dopo che una statua d’argento di Elena Augusta fu eretta sul posto da Costantino, ed era «a true civic center where the community as a whole could meet, interact, and exchange information»23. Si trattava di un grande Foro lastricato, tra i 17.500 e i 3.500 metri quadrati di superficie, attorno al quale erano raggruppati alcuni dei più importanti edifici istituzionali24. Sul lato est vi era il primo di quelli che sembrano essere stati due ritrovi per i clari della città. Esso era introdotto da un portico colonnato, mentre a nord-est una basilica ospitava gli affari legali25. Quest’ultima era, in realtà, un complesso di strutture e comprendeva una biblioteca, un’università e un tribunale. I due ‘templi’ eretti, secondo Zosimo, da Costantino – dedicati a Rea/Kybele e Tyche/Fortuna – avrebbero potuto trovarsi all’interno della corte, così che il visitatore, per entrare nel complesso, fosse obbligato a passare tra di loro26.
Sul lato settentrionale del Foro sorgeva il Senato di Costantinopoli. Due statue colossali di Atena e di Teti precedevano quattro grandi colonne di porfido che conducevano nell’edificio27.Gli autori bizantini credevano che Settimio Severo avesse iniziato a lavorare a un ippodromo, ma fu Costantino a portarlo brillantemente a compimento. Situato a sud e a ovest del foro della città, era di circa 480 metri in lunghezza e 120 di larghezza, e poteva contenere probabilmente fino a 50.000 cittadini: una prodezza di ingegneria architettonica, degna di alcune delle grandi chiese costantiniane di Roma, per la quale gli architetti dell’imperatore piantarono fondazioni enormi per sostenere la sphendone28. Si trattava di un monumento degno di Roma stessa e i suoi ornamenti erano impressionanti: la colonna serpentina di Delfi raggiungeva un palo di volta alto 32 metri29.
Giustapposto all’ippodromo e direttamente collegato al kathisma, o ‘palco imperiale’, era il palazzo di Costantino. Per motivi comprensibili, i costruttori successivi sono intervenuti più volte sulla struttura originaria, con la conseguenza che non è affatto chiaro come il palazzo fosse stato originariamente pianificato. Si estendeva a nord e a est dell’ippodromo, ed era collegato da una diramazione della mese all’augusteion. Dal Foro si accedeva al palazzo attraverso una porta di bronzo su cui un pannello dipinto raffigurava Costantino con l’elmo nell’atto di trafiggere un mostro marino, che presumibilmente simboleggiava Licinio30. Il palazzo stesso ospitava certamente dimore private, una caserma e una grande sala per le udienze imperiali31.
Il significato della città come centro di una grande rete di strade storiche fu enfatizzato dal milion, il miliarium aureum di Costantinopoli, che si trovava sul lato occidentale dell’augusteion. L’arco quadrifornice, o tetrapylon, segnava il punto da cui le strade si irradiavano fuori dalla città32. In direzione ovest, verso le mura cittadine, si snodava la mese, l’arteria originariamente costruita da Severo e perfettamente funzionale per la nuova fondazione. Essa era larga circa 25 metri, e porticata almeno per una parte della sua lunghezza33. Presso un grande crocevia, forse quello che gli autori chiamano Philadelphion, la strada si biforcava in due, un ramo conduceva fuori, verso nord-ovest, alle province di frontiera e l’altro a sud-ovest, alla Tracia, alla Grecia e all’Italia. Gli scrittori più tardi identificarono nel sito del Philadelphion il luogo in cui Costantino aveva avuto la sua visione della croce di Dio, ed era certamente il posto dove sorgeva una serie di importanti statue della famiglia imperiale, tra cui quella di Costantino, dei suoi figli, e di Elena34.
La cerimonia della dedicatio di Costantinopoli, che si tenne l’11 maggio 330, rivelò in maniera spettacolare il successo del progetto di Costantino. Le stesse componenti della parata rivelano la volontà dell’imperatore di apparire come personaggio pubblico centrale, nelle vesti di primo cittadino. L’ippodromo fu riempito, e l’imperatore si fece strada dal palazzo al kathisma. Una guardia militare fece il suo ingresso nello stadio scortando un carro in cui una statua d’oro di Costantino reggeva in alto una personificazione della Tyche della città. La processione andò innanzi, avanzando sino al punto in cui stava l’imperatore, il quale le rese formalmente omaggio. Seguirono donativi, giochi e monete commemorative, segnando quel che Costantino vedeva come culmine dei suoi grandi progetti35.
La nuova città prese forma alla periferia di quella vecchia, che pare fosse rimasta intatta. I luoghi del governo a Costantinopoli erano definiti da ampi spazi e grandiosità di concezione e costruzione. I questuanti procedevano attraverso le larghe vie pubbliche della città verso gli imponenti edifici che ospitavano i potenti. I cittadini esercitavano il commercio in ariosi spazi aperti e godevano dell’intrattenimento nel vasto ippodromo. E in primo piano, in tutta la città, vi erano i simboli dell’imperatore stesso, dei suoi successi e della sua famiglia36.
Il trattamento che Costantino riservò al Senato suscitò reazioni diverse fra i contemporanei. Il panegirista del 313 elogiò l’imperatore per le «decisioni e gli atti verso la curia, con cui fu restituita al Senato l’autorità di un tempo», e il panegirista del 321 rivendicò che la curia ora riceveva «i migliori uomini da ogni provincia»37. Per contro, Giuliano si sarebbe poi lamentato che Costantino avesse svilito la dignità del rango senatorio facendo consoli dei barbari38. Quel che è chiaro è che un numero significativo di uomini ‘nuovi’ fece ingresso nell’ordine senatorio39.
Quando, nel 315, il Senato e il popolo dedicarono il famoso arco a Costantino, i senatori potrebbero aver agito mossi da un certo ottimismo circa il ruolo che avrebbero potuto svolgere nel futuro governo della città. Se la generosità di Costantino nella concessione dello status senatorio per gli uomini già al servizio dell’imperatore fu una politica consapevolmente progettata per integrare (e depotenziare) le antiche famiglie di Roma, fu anche formalmente ampliato il ruolo del Senato nel governo.
L’uso che Costantino fece dei senatori nel governo di Roma rispondeva sia a esigenze del momento sia alla sua più generale visione politica. Sembra che egli sia intervenuto in diverse occasioni per modificare, correggere o annullare accordi già conclusi, forse per far fronte a quello che pare sia stato un rapporto complicato con le antiche famiglie senatorie della città40.
La crescita apparentemente inarrestabile degli equites in posizioni di alto livello dell’amministrazione imperiale, così visibile nelle tre generazioni precedenti, è abilmente ridimensionata da Costantino, che sceglie di porre dei senatori come praefecti vigilum et annonae, carica fino a quel momento ricoperta da perfectissimi41. I governatori di alcune province sono promossi e la carica è accessibile d’ora in poi solo ai consulares42. Inoltre, i correctores sono sostituiti da consulares nelle province più importanti della diocesi d’Italia, in Campania e Sicilia43. Vettio Cossinio Rufino registra di essere diventato proconsole della provincia di Acaia ‘per estrazione a sorte’, evocando la più antica delle pratiche repubblicane44. Molti dei beneficiari sono probabilmente degli equites promossi, ma Costantino è chiaramente determinato a considerarli come senatori in senso stretto. Non si deve dare per scontato che i senatori fossero necessariamente ostili all’infusione di nuova linfa nei propri ranghi. L’eques Celio Saturnino è adlectus tramite un’iniziativa che, secondo quanto afferma lui stesso, è promossa proprio dal Senato, e Ceionio Rufio Albino, più volte prefetto della città, afferma, sul finire del 330, che la storica auctoritas del Senato, perduta circa 381 anni prima sotto Giulio Cesare, è stata restaurata45. Publilio Optaziano Porfirio, esiliato da Roma, forse nel 315, invia una collezione di carmina a Costantino, con la supplica di essere riammesso in città. Non solo la sua richiesta è esaudita: egli va oltre, ricoprendo per due volte la carica di praefectus urbi46.
Anche una significativa ordinanza del 317, in cui Costantino dispone che clarissimi accusati di delitti capitali dovessero essere processati nelle province dove i presunti crimini erano stati commessi e non a Roma, pur confermando un consolidato principio di diritto penale romano, potrebbe essere una risposta a una petizione – il che rivelerebbe la relativa fiducia del Senato nel fatto che Costantino avrebbe conservato lo status speciale dei suoi membri47.
Il Senato si riuniva come organismo due volte al mese (tre volte in gennaio)48. In altri momenti, le riunioni potevano essere convocate dai consoli (raramente), più comunemente dai praefecti urbi Romae e, naturalmente, dall’imperatore. Gli incontri nella Curia Iulia erano preceduti da piccole libagioni di incenso presso l’altare della Vittoria di Augusto49. Un’oratio veniva disposta dinanzi al Senato dal presidente, di norma il praefectus urbi Romae, sebbene si conservi testimonianza di una disposizione sulla proprietà materna del 315, indirizzata da Costantino «ai consoli, pretori, tribuni della plebe e al Senato», la quale fu «letta in Senato al cospetto di Vettio Rufino, prefetto della città»50. Il presidente ricercava i pareri in ordine rigoroso, a partire dal princeps senatus, prima di passare ai consulares. Il Senato continuò a emanare Senatus Consulta, ma non senza l’approvazione formale dell’imperatore e dei suoi agenti. Nei casi in cui le proposte riguardavano l’imperatore, la discussione era senza dubbio breve, le risoluzioni erano adottate rapidamente e accompagnate da formali acclamazioni.
L’album senatorium era curato dai censuales, membri di un reparto di funzionari (officium censuale), sotto la direzione del Praefectus Urbi Romae circa dal 31551. Il loro interesse principale era quello di tenere un registro della ricchezza e delle attività dei membri del Senato, con un occhio sia alla loro idoneità al posto in Senato sia alle loro risorse per la messa in scena dei giochi52.
Secondo André Chastagnol, Costantino modificò la pratica, tipica del III secolo, di tenere consolati suffetti come prodromo di importanti compiti governativi prima di procedere al consolato ordinario (e divenire consul bis). A partire dal 315, si possono osservare ex-pretori procedere a posti ‘consolari’ senza tenere consolati suffetti53. L’effetto sembra essere stato quello di elevare la reputazione del consolato ‘ordinario’, condiviso d’ora in poi tra l’imperatore, coloro che si erano distinti al suo servizio e le antiche famiglie di Roma. Il più alto dei più potenti ufficiali a Roma era il praefectus urbi Romae54. Tecnicamente, il prefetto aveva lo stesso rango onorario del prefetto al pretorio, e tale posizione era molto ambita dai membri dell’élite romana senatoria. Gli imperatori erano consapevoli della competizione e della necessità di placare le ambizioni delle famiglie di spicco. L’elenco completo dei prefetti di Roma tra il 284 e il 374 mette in evidenza questa pratica, condivisa da Diocleziano, da Costantino e dai suoi successori: in quasi un secolo la normale durata di permanenza in carica è stata di circa un anno55.
Il praefectus urbi Romae presiedeva il Senato e ascoltava i procedimenti in cui i senatori erano imputati56. Inoltre, godeva di giurisdizione d’appello fino a cento miglia romane dal confine della città57. La fornitura dei principali servizi civici di Roma, tecnicamente sotto la supervisione del prefetto, fu affidata a incaricati imperiali58. Nonostante il suo status tecnico di «figure de vice-empereur à Rome», rimaneva una tensione latente fra l’autorità dell’imperatore lontano e il prefetto fisicamente presente in città. Costantino sembra essersi scontrato con il problema di bilanciare il potere dei prefetti e quello di altri che rispondevano a lui direttamente. Dai primi anni Venti, per esempio, un vicarius praefectorum praetorio in urbe Roma si poteva trovare in città ad ‘assistere’ il prefetto, con molte delle sue responsabilità, ma nell’ultima parte del decennio fu ripristinato il vicarius praefecturae urbis59. Svolgere la carica di praefectus urbi Romae richiedeva quindi una grande attitudine nel comunicare con l’imperatore e i suoi agenti60.
Gran parte del tempo del prefetto della città era assorbito dall’audizione di cause legali e dall’emissione di sentenze. Il suo officium conteneva funzionari responsabili per lo scrutinio dei documenti (principes), per sorvegliare la gestione dell’officium nel tribunale (cornicularii), per la sorveglianza dei detenuti (commentarienses) e per prendere note (exceptores). I senatori giovani servivano, stipendiati, come assessores o consiliarii61.
Vari segnali indicano che Costantino cercò di rendere più efficiente il governo della città, delegando importanti mansioni in modo inequivocabile all’autorità del prefetto. Prima della fine degli anni Venti del IV secolo, molte leggi imperiali erano indirizzate ai funzionari con responsabilità particolari, ma la legislazione successiva si rivolge costantemente ai prefetti della città62.
È evidente che Costantino partecipò con attenzione all’amministrazione dell’antica capitale dell’Impero. Là erano rimasti uomini ambiziosi e di rango, disponibili a ricoprire le molte posizioni richieste, e la loro partecipazione al governo doveva essere gestita con attenzione. La prefettura storica della città ricevette la massima considerazione e fu ripartita tra le più importanti famiglie della città. Il consolato funse da riconoscimento per senatori già affermati e al contempo da ammissione al rango più elevato per i favoriti imperiali. Quest’ultimo punto dimostra quanto il governo di Roma continuò a essere il risultato di una trattativa tra l’élite cittadina e coloro che erano giunti successivamente in città perché favoriti dalla corte imperiale.
La decisione dell’imperatore di fondare una grande città destinata a diventare sede del governo imperiale richiedeva un personale di rango ben più elevato rispetto a quello presente a Bisanzio. L’Impero d’Oriente era ben fornito di uomini illustri, ma quasi tutti erano in debito con il defunto Licinio. La creazione di un Senato a Costantinopoli si impose in tal modo come parte della strategia di Costantino per porre in atto il suo controllo sull’Oriente. Eusebio raffigura l’imperatore come un victor clementissimus, che ridusse le tasse, restaurò la proprietà e richiamò gli esuli. Il racconto è chiaramente esagerato, così come i resoconti ostili delle fonti pagane più tarde, ma è chiaro che furono fatti investimenti notevoli perché l’imperatore guadagnasse l’appoggio delle popolazioni orientali e dei loro governatori di alto livello63. Così come a Roma, furono trovati posti per alcuni dei sostenitori del precedente rivale di Costantino, Giulio Giuliano, che aveva servito come prefetto al pretorio di Licinio fino alla fine, divenne console nel 32564.
A un certo punto negli anni Venti venne istituito un nuovo ‘Senato’ o, forse più esattamente, un ordine senatorio, che richiamava consapevolmente quello di Roma. I suoi ranghi erano aperti alle élite e ai cittadini ricchi provenienti da tutto l’Oriente romano, compresi quelli che si erano distinti nell’alto servizio imperiale65. A questo scopo, la velocità dell’adlectio era chiaramente fondamentale, e fu, in effetti, notevole. Più tardi, Libanio avrebbe deriso le origini umili di alcuni di questi nuovi ‘senatori’. Il primo di questi a essere noto, Flavio Ablabio, fu accusato di essere un anonimo dipendente dell’ex governatore di Creta; Flavio Filippo, che divenne prefetto del pretorio nel 345, era figlio di un macellaio; il grammatico Ottato, ‘console’ e ‘patrizio’ della nuova città, sposò la figlia di un oste66.
Il numero dei senatori nel Senato costantinopolitano sembra essere stato di circa trecento, dunque leggermente inferiore rispetto all’omologo romano. I suoi membri, almeno all’inizio della loro carriera, erano semplicemente clari in contrasto con i clarissimi di Roma67. Ma, come a Roma, occupavano una posizione centrale nel panorama della città: si riunivano, infatti, in un edificio nel Foro di Costantino o in un altro situato nell’augusteion tra il palazzo imperiale e la chiesa di Santa Sofia68. Il percorso verso il Senato poteva realizzarsi tramite una adlectio a una ‘pretura’, la cui responsabilità più importante era la realizzazione di giochi69. Così come a Roma, le elezioni alle cariche avevano luogo nello stesso Senato70. Al tempo di Costantino, a Costantinopoli non vi erano questori né consoli suffetti. E mentre lo status senatorio poteva essere conferito a coloro che erano riusciti in alte cariche amministrative, sembra che aumentasse il numero di posti disponibili per i senatori nel governo delle diverse province dell’Impero d’Oriente71.
La Notitia di Roma registra circa 1.800 domus e circa 45.000 insulae in città nei primi anni del IV secolo. Senza dimenticare il grado di approssimazione dei numeri, l’evidenza conferma tuttavia che la Roma di Costantino era patria di una popolazione numerosa e spesso compressa per densità72.
Roma conservava l’antico aerarium Saturni (di cui era responsabile un praefectus) e lo completava con tesori dedicati a particolari aree dell’approvvigionamento (arcae frumentaria, olearia e vinaria). I singoli progetti di costruzione, probabilmente, avevano tesori a parte. Jones ritiene che questo regime portasse a una ‘inestricabile confusione’, tuttavia, significativamente, esso dimostra che esistevano ancora ingenti risorse finanziarie a disposizione dell’amministrazione della città, senza contare la tradizionale devoluzione di finanziamenti per distinte aree di governo73.
L’edizione occidentale della Notitia Dignitatum mostra la sopravvivenza di aree tradizionali di amministrazione civica. I titoli degli ufficiali a Roma durante la prima metà del IV secolo oscillano tra l’indicazione di un rango equestre e di quello consolare, anche se quest’ultimo, alla fine, sembra prevalere. Dalla fine degli anni Venti un aquarum consularis riparum et alvei Tiberis et cloacarum assunse la responsabilità per l’approvvigionamento idrico in città e la supervisione degli impianti del Tevere74. La soddisfacente gestione dell’acqua spinse Costantino a intervenire, nel maggio del 330, per garantire a quanti avevano acquedotti sulle proprie terre la possibilità di farsi carico della loro manutenzione senza essere soggetti alle imposte supplementari. Il consularis e il suo personale dovevano assicurarsi che gli alberi nelle vicinanze fossero controllati: «Qualora questi alberi crescano rigogliosi, in qualunque momento, devono essere tagliati in modo che le loro radici non possano danneggiare la struttura dell’acquedotto»75. I gruppi di schiavi pubblici organizzati da Augusto per mantenere gli acquedotti sopravvissero fino al VI secolo76.
Il curator/consularis operum publicorum/maximorum era incaricato per i grandi edifici di Roma. Inoltre, dalla metà del secolo, se non prima, i curatores divennero anche responsabili per le miriadi di statue della città e per la horrea Galbana77. Il praefectus annonae rimase, così come il praefectus vigilum e, dagli anni centrali del secolo – e forse anche precedentemente – un comes portus/portuum supervisionò i porti di Ostia e di Portus78. Uno dei temi importanti, rintracciabili nel governo di Costantino della città di Roma, fu la disponibilità dell’imperatore a restituire al Senato quelle che negli ultimi anni erano divenute posizioni equestri di alto livello. Il primo senatore che servì come praefectus annonae (Nerazio Ceriale) entrò in carica nel 328, il primo praefectus vigilum nel 330 circa79.
Le cohortes urbanae continuarono a esistere e, a seguito della dissoluzione delle cohortes praetorianae e degli equites singulares, acquisirono a Roma un profilo più alto80. Flavio Ursacio, un tribuno delle coorti urbane, in onore di Costantino, si identificò come responsabile di tre distaccamenti e del forum suarium, nei pressi dei castra urbana81. In ogni caso, è chiaro che la città fortemente militarizzata di Massenzio scomparve irrevocabilmente. I prefetti del periodo successivo erano sottoposti, di fronte ai disordini, a un notevole rischio personale, non da ultimo perché le loro risorse militari erano ormai così attenuate82.
Ciascuno di questi ufficiali era servito da un officium composto da funzionari addetti alla supervisione dei vari servizi offerti. Le controversie derivanti dalle disposizioni quotidiane potevano portare a udienze legali presiedute dagli ufficiali superiori, e occasionalmente potevano sollecitare l’intervento dell’imperatore83. Questi ufficiali superiori provenivano, sempre più spesso nel corso degli anni, da ranghi equestri, anche se le posizioni più importanti (la prefettura della città e quella dell’annona, soprattutto) rimasero saldamente nelle mani dei senatori.
In ciascuna delle quattordici regioni della Roma di Costantino si trovavano due curatores (sacrae urbis) e quarantotto vicomagistri. Essi coordinavano una guardia notturna e almeno alcuni dei curatores erano senatori. I cataloghi delle regiones indicano che vi erano sette coorti di vigiles nella prima metà del IV secolo sotto il comando del praefectus vigilum, che nel 333 era di norma un uomo di rango senatorio84. Di combattere gli incendi erano incaricati i membri delle corporazioni di quartiere (collegiati)85.
L’Africa continuò a essere una fonte vitale per l’approvvigionamento del grano, che arrivava alla città di Roma via Portus sotto la supervisione del praefectus annonae Africae, che a sua volta doveva rendere conto al praefectus praetorio Italiae86. Nel 331-332, L. Crepereio Madaliano ricevette il titolo di consularis molium, fari atque purgaturae, con il compito di specificare i particolari aspetti del funzionamento del porto, che erano della massima importanza87. Il quantitativo annuo importato (canon frumentarius) è difficile da stimare senza cifre attendibili, ma secondo alcune ricostruzioni, poteva arrivare a cinque milioni e mezzo di modii88.
Egli supervisionava il personale che scaricava il grano (sacarii), chi lo misurava (mensores) e chi lo inviava (caudicarii), risalendo il Tevere, a Roma dove i catabolenses lo traghettavano ai forni della città89. Fino al regno di Costantino, tale incarico era tenuto da un uomo di rango equestre, ma Costantino aggiornò la posizione del titolare assegnandolo al clarissimato. La nuova titolazione coincise, però, con la perdita di gran parte della tradizionale autonomia del prefetto, visto che egli era strettamente subordinato al prefetto della città90. Più avanti nel III secolo, la distribuzione quotidiana di grano alla plebe venne sostituita da pane gratuito. La Notitia occidentale registra circa 274 forni che a Roma producevano panis gradilis. Fino al 331, le distribuzioni di pane avevano luogo al porticus Minuciae, ma dopo quella data i panes gradiles divennero un’istituzione e furono distribuiti presso ‘gradini’ (grados) pubblici concordati in città, a circa 120.000 cittadini dotati di tesserae, sebbene pare che nella prima metà del IV secolo fosse richiesto un modesto pagamento91. Assicurarsi che in città vi fosse un numero sufficiente di fornai (pistores) rappresentava senz’altro una priorità importante. Quella del fornaio non fu mai una professione troppo popolare, e al principio del IV secolo Costantino affermò che ogni fornaio, o chiunque si trovasse a possedere un forno, era obbligato a svolgere quel mestiere. Nel corso del IV secolo fu addirittura vietata la possibilità di alienare la proprietà di un forno92.
I beneficiari del panis gradilis erano probabilmente destinatari anche di olio africano gratuito, per cui a Roma vi erano circa 2.300 punti di distribuzione (mensae oleariae). Costantino stabilì nel 328 che le mensae arrivate allo Stato per assenza di eredi potevano essere vendute a qualsiasi interessato al prezzo modesto di 20 folles. Si ebbe anche cura di assicurarsi che la mensa e la responsabilità della sua produzione passasse agli eredi del proprietario93.
La distribuzione gratuita di carne di maiale presso il forum suarium era stata avviata da Aureliano, e fece dei suarii di Roma un’altra importante fonte di cibo per i cittadini. Derivante da prelievi dalle città dell’Italia centrale, la carne era disponibile centocinquanta giorni all’anno. Come per i fornai, alla proprietà era collegato l’obbligo alla fornitura. Nel 334 Costantino indirizzò una legge al prefetto del pretorio Pacaziano in cui esprimeva la sua preoccupazione per la diminuzione del numero dei suarii a Roma. Occorrevano indagini pubbliche e quanti avevano la responsabilità della fornitura dovevano essere chiaramente identificati. L’imperatore era già intervenuto per aiutare il prefetto della città, Verino Lucrio, a migliorare l’interazione fra i suarii e gli allevatori di maiali, assicurandosi che questi ultimi potessero scambiare i maiali con denaro calcolato in base ai tassi di mercato locali94. I prezzi a Roma erano significativamente più alti e a metà del IV secolo Giuliano intervenne per tentare di controllare quella che era diventata una famigerata e astuta pratica dei dignitari di più alto rango della città95.
L’arca vinaria riceveva il proprio pagamento dalla vendita del vino prelevato da vigneti locali, ed era gestita da un rationalis vinorum96. I prezzi erano sovvenzionati dallo Stato a partire da Aureliano, la vendita si svolgeva tra i colonnati del tempio del Sol, non lontano dal forum suarium. Le riserve vinarie della città erano così abbondanti che il vino poteva essere usato per effettuare pagamenti in anfore ai suarii e ad altre corporazioni97.
Uno dei fondamentali piaceri civici di cui i romani del periodo imperiale non potevano fare a meno era il bagno pubblico. Roma possedeva dieci grandi terme, cui Massenzio aveva aggiunto uno dei suoi bagni, adiacente al tempio di Serapide, nel versante meridionale, densamente popolato, del Quirinale. Costantino completò alacremente il progetto e il suo nome fu associato a quello che era visibilmente un complesso elegante e imponente98. I mancipes salinarum gestivano i grandi bagni, oltre a coltivare le saline. La legna per alimentare il calore delle sale proveniva da tasse imposte ad alcune città dell’Italia centrale, e Valentiniano, nel tardo IV secolo, confermò una disposizione di Costantino circa sessanta navicularii che dovevano seguire questo trasporto99.
Nella Roma di Costantino ci si aspettava che i questori, i pretori e i consoli suffetti mantenessero la tradizione di inscenare giochi per la cittadinanza: e questi, eletti da altri senatori, svolgevano il loro compito. L’imperatore enfatizza l’importanza degli intrattenimenti in varie lettere indirizzate al praefectus urbi Romae Anicio Giuliano100. A coloro che erano stati scelti per finanziare i giochi, venivano concessi parecchi anni per accumulare le risorse necessarie a realizzarli; quanti di loro fallivano nella missione erano soggetti al pagamento di una multa di 50.000 modii di grano, da versare nei granai pubblici, e verosimilmente mantenevano anche l’obbligo di mettere in scena i loro giochi. Sotto Costantino vi era un comprensibile desiderio di fare il proprio dovere, ma più tardi, nel corso del secolo, una successione di leggi mostra la flagrante evasione, da parte dei senatori, dagli antichi obblighi cui Costantino li aveva richiamati101. I più ricchi senatori continuarono comunque a fornire somme enormi per i divertimenti102. Le risorse dell’imperatore stesso continuarono a essere parte integrante di tutta la struttura103. Nonostante il disgusto professato da Costantino per i combattimenti dei gladiatori, furono mantenute a Roma, a spese pubbliche, quattro caserme di gladiatori fino agli ultimi anni del IV secolo. Gli animali destinati all’esposizione (e al massacro) non furono ospitati in città per lunghi periodi, ma continuarono ad affluire, a spese considerevoli, dalle varie province104.
L’altra passione dei romani, la corsa dei carri, continuò a richiedere il mantenimento delle quattro scuderie delle fazioni. Al Circo Massimo Costantino finanziò la costruzione di «colonne dorate e alti portici» e programmò il trasporto dalla Tebe egiziana dell’ornamento che coronava qualsiasi grande ippodromo: un enorme obelisco105. Con un gesto a effetto, destinato a sostenere lo sport, Costantino integrò le risorse del magistrati che organizzavano i giochi da più tempo mettendo a disposizione i cavalli di sua proprietà106.
Le neonate infrastrutture di Costantinopoli presentavano un magister census, un praefectus annonae e un praefectus vigilum: cariche che illustrano con nettezza gli imperativi della prima fondazione. La città, tuttavia, non ebbe un praefectus urbi107. A differenza di Roma, Costantinopoli ospitava spesso l’imperatore, la sua corte e la moltitudine di dipendenti delle scholae. La loro presenza era senza dubbio una medaglia a due facce: utile quando sostenevano le decisioni degli ufficiali civici, ma troppo vicini quando vi era disaccordo.
Costantinopoli crebbe rapidamente. Più tardi, l’ostile Zosimo avrebbe deriso la scarsa qualità delle costruzioni nella città, sostenendo che gli edifici dovevano essere demoliti poco dopo la loro erezione108. E la legislazione indica che ai costruttori di case fu offerto il diritto al pane gratuito (panis aedium), che passava poi ai possessori degli edifici109. La nuova città di Costantino, come Roma, poteva avere tesori custoditi in edifici indipendenti, dedicati ad aree specifiche dell’approvvigionamento. Una legge più tarda fa riferimento ad arcae per l’olio e il grano110. Non si conosce nient’altro circa l’acquisto di grano, e si sa che vi era un arcarius alla testa di un fondo per un acquedotto, manca però ogni altro dettaglio. Il fatto che l’imperatore risiedesse in città comportava la presenza di una zecca permanente, che cominciò a battere moneta già dal 326111.
Tra i vari servizi offerti ai cittadini di Costantinopoli, la fornitura di acqua fu una priorità sin dall’inizio. La vecchia aqua Adriana alimentava il palazzo imperiale e le terme, nonché i nymphea della città, ma pare che le autorità civili e imperiali si spendessero per fornire acquedotti in grado di soddisfare le esigenze di una popolazione in rapida espansione. Per tutto il IV secolo e oltre le fonti riportano le pressioni esercitate con persistenza sugli ufficiali per finanziare la creazione e la manutenzione di acquedotti112. Le grandi dimore furono premiate a tempo debito dalla normativa che permise diametri generosi per tubi113. Gli aquarii (hydrophulakes), di condizione servile, ispezionavano gli acquedotti e curavano la manutenzione ordinaria114.
La fornitura di acqua per il bagno pubblico era meno complessa che a Roma, visto che la città sembra aver posseduto solo un edificio di thermae (i bagni di Zeusippo), apparentemente ristrutturato da Costantino: disposizione che riflette la dimensione ancora modesta dell’insediamento durante la sua vita115.
Come a Roma, i collegiati di Costantinopoli combattevano gli incendi in città, e al tempo di Giovanni Lido furono chiamati nelle emergenze con la denominazione latina di omnes collegiati – un riferimento significativo all’importazione della prassi da Occidente116.
Il grano per Costantinopoli veniva da Alessandria e la responsabilità del suo trasporto ricadeva probabilmente sul praefectus annonae Alexandriae, anche se la carica non appare elencata nella Notitia orientale. La carica potrebbe essere stata soppressa da Costantino o dai suoi immediati successori, ma è possibile che l’importante compito fosse assegnato ab initio a un alto funzionario; alcune fonti più tarde indicano il praefectus praetorio Orientis come responsabile117. Si conosce l’esistenza di ‘magazzini alessandrini’ in un periodo successivo, ed è probabile che Costantino cominciasse a lavorare su nuovi impianti portuali, o a rimodellare sostanzialmente quelli già esistenti per la nuova città118. Il quantitativo annuo importato (eubole) può essere stimato, per quello che riguarda il regno di Costantino, in diversi milioni di modii. Una legge del 326 confermò l’esenzione dei caricatori (navicularii) dagli oneri pubblici, come in Occidente, con esplicito riferimento al loro ruolo al servizio della città119. Nel maggio del 332, venne inaugurata la distribuzione di annonae populares dal gradus di Costantinopoli. Ottantamila cittadini, apparentemente, godettero delle distribuzioni120. Più tardi, alcuni contestatori potevano affermare che anche dei reparti specifici delle scholae, la guardia del corpo dell’imperatore, avevano ricevuto il permesso di ricevere le razioni da Costantino121.
A Costantinopoli l’organizzazione della distribuzione di pane era, almeno al tempo di Costantino, assai meno capillare che a Roma. Un alto ufficiale, il comes horreorum, supervisionava con ogni probabilità i granai, ma la Notitia orientale si riferisce a soli venti o ventuno forni pubblici presenti in città nel V secolo. Tuttavia, questi dovevano essere molto più grandi rispetto ai loro omologhi romani per far fronte alla domanda della città. Non c’è traccia nella legislazione orientale della coazione imposta ai fornai occidentali per mantenere la produttività, segno forse che la professione era un po’ meno onerosa che in Occidente122.
I giochi pubblici di Costantinopoli furono progettati per emulare quelli di Roma, ma fin dall’inizio erano inferiori quanto a sontuosità. Una delle iniziative più importanti di Costantino fu quella di importare un’élite cittadina, e molti di quelli che arrivarono non possedevano né la ricchezza né le tradizioni di edonismo vistoso che erano alla base dei giochi a Roma. Gli accomodamenti di Costantino a questo proposito non sono noti, ma i suoi successori potrebbero avere espresso una preoccupazione condivisa dal padre circa la capacità di stabilire spettacoli degni di una città imperiale attraverso la definizione di somme minime che dovevano essere spese dai pretori123. Come probabilmente nel caso di Roma, un quorum di senatori eleggeva i pretori, di fatto designandoli per allestire i giochi con anni di anticipo. L’atteggiamento di Costantino in materia causò notevoli difficoltà sia ai suoi successori che ai senatori di Costantinopoli. Una miriade di disposizioni legislative di Costanzo, negli anni centrali del secolo, fornisce la prova delle molte questioni irrisolte, che maturarono con la rapida istituzione di un sistema di giochi finanziato dai membri del Senato124. Il costo dei giochi a Costantinopoli, tuttavia, sembra essere stato sempre meno oneroso per l’aristocrazia della capitale orientale, rispetto a Roma. È evidente che l’urgenza di mettere in atto dei ludi degni di una grande città imperiale era temperata dalla necessità di evitare costi proibitivi. Ma non si può dare per scontato che attorno ai giochi vi fosse universale entusiasmo. Costanzo II si trovò, nel 359, ad arringare su questo senatori assai poco volenterosi, ed è probabile che almeno alcuni membri del Senato di Costantino trovassero l’obbligo di finanziare i giochi uno degli aspetti meno attraenti della leadership civica125.
Non vi è alcuna prova di combattimenti gladiatori a Costantinopoli. Una famosa legge del 325 esprimeva chiaramente il disprezzo di Costantino per questo tipo di divertimento, e la presenza dell’imperatore e la sua residenza in città inibivano probabilmente ogni entusiasmo. Più tardi, Eusebio si adoperò per connotare questa antipatia come una vera e propria linea politica che metteva fuori legge i combattimenti, ma studi recenti hanno suggerito che l’obiettivo della legge di Costantino fosse in realtà di impedire la condemnatio ad ludum e dunque, probabilmente, non si trattava di un divieto dei giochi in quanto tali126.
L’ippodromo della città di Costantino, al contrario, indicava in modo inequivocabile la centralità delle corse nell’intrattenimento popolare di Costantinopoli. La sede era una struttura imponente nel paesaggio urbano. Lungo quasi 450 metri e largo 120, l’ippodromo misurava circa tre quarti delle dimensioni del Circo Massimo a Roma. Come il suo modello, il circo di Costantinopoli esibiva un motivo accuratamente ricercato di sculture e di oggetti che catturavano l’attenzione, tra i quali i più degni di nota erano un grande obelisco proveniente da Tebe, che dominava la spina, e il famoso tripode serpentino di Delfi. Qui potevano godere delle gare fino a 50.000 spettatori127. Non si conosce alcun dettaglio delle modalità effettive con cui le corse erano organizzate sotto Costantino, ma una legge più tarda fa riferimento a degli actuarii currulium equorum quali funzionari statali: potrebbe essere un’eco degli interventi promossi da Costantino in un altro momento per realizzare l’infrastruttura nella sua nuova città128.
Cibo, acqua, giochi e ordine pubblico erano la chiave per il buon funzionamento della città sia a Roma sia a Costantinopoli. Per fornire queste basi, Costantino mantenne – a Roma – o creò – a Costantinopoli – un sistema progettato per sostenere la popolazione di ciascuna delle due città. Ci sono buone ragioni per pensare che lo sviluppo delle istituzioni necessarie a Costantinopoli abbia richiesto del tempo, ma non vi è alcun dubbio sulla determinazione di Costantino nello stabilirle, come si conveniva a una città che portava il suo nome.
Qualunque carattere avesse la comprensione da parte di Costantino del dio dei cristiani nel 312 d.C. – e le fonti cristiane offrono una testimonianza così problematica da essere quasi inutile – è chiaro che il cristianesimo di Roma catturò l’interesse dell’imperatore sin dal momento in cui arrivò in città. Egli si convinse presto, senza dubbio con l’assistenza di Ossio di Cordova, della credibilità dei più autorevoli rappresentanti della comunità cristiana della città. A ciò seguì rapidamente il primo degli enormi doni di Costantino ai cristiani. Sul terreno recentemente occupato dal campo degli equites singulares, l’imperatore ordinò la costruzione di una grande basilica adatta a servire come la chiesa del più alto prelato di Roma129. Attingendo al linguaggio architettonico utilizzato per ospitare i rappresentanti più potenti del governo imperiale, gli architetti di Costantino edificarono una sala degna dei magistrati di Cristo130.
Ma il riconoscimento prima di Milziade (311-314) e, successivamente, di Silvestro (314-335) come vescovi, portò con sé anche l’obbligo di identificare i luoghi di maggiore importanza per i cristiani di Roma e di monumentalizzarli nella stessa misura131. Di conseguenza, le risorse di Costantino furono dedicate ai santuari dei santi defunti nel suburbium di Roma. Il processo fu più lungo e probabilmente più complicato di quanto suggerito nel noto racconto del Liber Pontificalis, come dimostrano le testimonianze archeologiche. Recenti e importanti discussioni hanno stabilito una sicura datazione costantiniana solo per le fondazioni originali dei siti delle attuali strutture di S. Giovanni in Laterano, Ss. Marcellino e Pietro, S. Lorenzo, Santa Croce in Gerusalemme, e della basilica Apostolorum sulla via Appia. Anche la più famosa delle fondazioni costantiniane, la basilica in onore di Pietro sul colle Vaticano, è stata sottoposta ad esame e il suo progetto risulta essere molto tardo, forse completato da Costanzo, il figlio di Costantino132.
Dalla disamina di alcuni edifici si deduce che i membri della dinastia di Costantino inizialmente prevedevano di avere un futuro a lungo termine a Roma. A un certo punto degli anni Venti del IV secolo, una sala del palazzo sessoriano fu modificata ad arte per accogliere la reliquia della Vera Croce, che l’imperatrice vedova Elena aveva portato da Gerusalemme. Il palazzo era la residenza scelta da Elena in città133. Presso il sito del martyrium di Agnese, la figlia dell’imperatore, Costantina, aggiunse, qualche tempo dopo la morte del padre, un mausoleo circolare, destinato in ultimo a diventare una chiesa a lei dedicata134. E presso le tombe di Marcellino e Pietro, Costantino stesso dispose un altro imponente mausoleo circolare, per farne eventualmente il luogo di riposo di sua madre Elena135.
Quello che è certo è che l’edificazione delle chiese costantiniane richiese decenni di lavoro. Ciascuna delle nuove chiese venne eretta su terreni appartenenti al patrimonio personale dell’imperatore (res privata); esse occupavano l’area suburbana, da lungo tempo apprezzata dalle élite di Roma logorate dal lavoro136. Donando terra ai cristiani Costantino sottolineava nei termini più forti il suo personale regalo alla comunità. L’impressione che così facendo l’imperatore volesse evitare di toccare il centro pagano della città è costantemente espressa negli studi moderni, ma si scontra con la distintiva topografia della Roma cristiana e sottovaluta l’impatto di quelli che erano spesso edifici imponenti; essi non erano il lascito di un imperatore timoroso137.
Ma la generosità di Costantino verso i cristiani recò tensioni con l’antica religio. Le sue rare visite alla capitale dell’Impero venivano anticipate con attenzione e osservate da vicino, a dimostrazione di quanto continuasse a essere importante la presenza fisica dell’imperatore in città: le aspettative nei suoi riguardi si possono identificare con chiarezza. L’imperatore arrivava in pompa magna e si dirigeva verso il Foro e il Senato. Nel Circo Massimo e in altri luoghi importanti della città si tenevano intrattenimenti pubblici, largizioni, nonché la stessa esibizione della persona dell’imperatore. Notoriamente Eusebio, con caratteristica ellipsis, riferendo della visita di Costantino a Roma nel 315 per commemorare i suoi decennalia, sostenne che le celebrazioni per l’imperatore avevano preso la forma della preghiera piuttosto che dei sacrifici di «fiamme o fumo»138. Non si registra nessuna reazione pagana, il che indica che il comportamento personale dell’imperatore era osservato, forse, con disappunto, senza tuttavia suscitare particolari preoccupazioni. Il programma artistico e l’iscrizione dedicatoria probabilmente mostrano, da parte dei romani che dedicarono i monumenti, una valutazione favorevole circa l’equilibrio che Costantino cercò di mantenere fra il proprio punto di vista e la tradizione degli antichi culti139.
Le celebrazioni dei vicennalia del 326 sembrano essere state, al contrario, molto più intense. Una commemorazione dei vent’anni di potere dell’imperatore era stata allestita a Nicomedia l’anno precedente e non è improbabile, come riporta Zosimo, che alcuni dei responsabili delle celebrazioni a Roma sentissero di essere stati in qualche modo marginalizzati140. Il viaggio di Costantino in Occidente venne svolto con riluttanza, e la sua permanenza in città sembra essere stata gestita male, culminando nel suo rifiuto di salire al Campidoglio per offrire il tradizionale sacrificio a Iuppiter141. Una notevole emissione di medaglioni aurei insolitamente pesanti, risalenti agli anni Venti, che esaltavano l’imperatore e il Senatus, è la testimonianza di un’aspirazione alla concordia che era in realtà gravemente compromessa alla fine della visita142. Costantino non avrebbe mai più rivisto Roma.
A Costantinopoli, Costantino ebbe mano molto più libera nell’esprimere il suo sostegno per il cristianesimo tramite l’architettura. A nord dell’augusteion, un gruppo di enormi edifici venne a marcare la presenza cristiana nelle strette vicinanze dei quartieri imperiali, nel cuore della città. Negli anni cominciò la costruzione di una chiesa dedicata alla Santa Sapienza (hagia sophia)143. L’edificio fu designato quale sede episcopale, e alcune tracce suggeriscono che esso sorgesse su una pianta piuttosto elaborata: una grande basilica a navate (120×66 m) era preceduta da un cortile cui si accedeva attraverso un propileo colonnato. I cronisti più tardi fecero solo brevissimi riferimenti a uomini che godevano di una certa fama per i progetti edilizi: Zenobio architetto ed Eustazio il Presbitero prima del 336, anno della consacrazione del sito144. Sull’acropoli, nei pressi dell’antica Bisanzio, sorgeva la chiesa della Santa Pace (hagia eirene), un’altra grande basilica che commemorava la pace portata dalla sconfitta di Licinio. Essa funse per alcuni anni da cattedrale della città, fino al completamento di Santa Sofia145. Ma, così come a Roma, la strutturazione della comunità cristiana non era l’unica priorità di Costantino. Di fatto, l’unico edificio cristiano iniziato ed effettivamente completato durante la sua vita fu proprio il mausoleo di Costantino. Situato nella zona ovest della città, vicino alla porta che dava sulla strada di Adrianopoli, il caratteristico edificio fu costruito in cima alla collina più alta di Costantinopoli. Si trattava di una grande tomba circolare di classico stile tetrarchico, ed era un edificio che mostrava la percezione di sé dell’imperatore come ormai fusa con la tradizione cristiana. Come già Augusto, Costantino fu esentato dal tabù della sepoltura entro i limiti della città, ma in rottura con la pratica tetrarchica rinunciò al palazzo imperiale come luogo adeguato alla propria sepoltura, scegliendone invece uno libero e separato. L’edificio sembra essere stato predisposto su una pianta a croce. Su ordine di Costantino – e per l’imbarazzo dei suoi successori – i suoi resti furono sepolti proprio a fianco dei dodici cenotafi che simboleggiavano gli altri grandi agenti della missione di Cristo, e cioè i suoi santi apostoli146.
Eusebio avrebbe scritto più tardi che la nuova città di Costantino sul Bosforo era stata concepita come grande progetto cristiano, non contaminato dalla bruttura del paganesimo. L’idea di Costantinopoli come una tabula rasa religiosa continua a colorire influenti studi moderni147. I templi di tutto il mondo vennero saccheggiati e le immagini degli dei trasformate da oggetti di culto in semplici opere d’arte148. Ma la polemica nasconde forse una realtà più complessa. La ‘de-sacralizzazione’ della statuaria resta un fenomeno più facile da supporre che da dimostrare. Ad esempio l’iconografia del Senato, presso l’augusteion, rappresentava un richiamo consapevole alla «civilisation romano-hellenique». Scene di dei e giganti in battaglia adornavano le porte in bronzo, e sopra lo spazio del Senato stavano le Muse dell’Elicona assieme alle grandi divinità del Pantheon greco. Più avanti, Zosimo si sarebbe compiaciuto di raccontare ai suoi ascoltatori che la statua di Zeus (proveniente da Dodona) e quella di Athena (da Lindos) erano sopravvissute al fuoco del 404149.
Non c’è dubbio che i pagani del tempo testimoniassero di percepire la frequente espressione di un particolare zelo cristiano nella costruzione di Costantinopoli che li disturbava profondamente150. Ma l’idea di una città cristiana non soppiantò completamente la vecchia. Tra coloro che misero in atto le presunte ruberie, molti erano pii e consapevoli pagani151. Molti degli abitanti originari di Bisanzio erano politeisti, e il sito possedeva un ‘Campidoglio’, ossia un tempio a Giove Capitolino o alla Triade Capitolina, «symbole essentiel de la romanité»152. Significativamente, neppure Eusebio sostenne che i pagani della città vecchia fossero stati cacciati o costretti a diventare cristiani. Libanio ammise che Costantino effettivamente aveva raccolto gli oggetti dai templi per adornare la nuova città, ma non associò questo fenomeno a un processo di cambiamento nel culto153. Quest’affermazione sembra essere contraddetta dall’ostilità pubblicamente dichiarata da Costantino verso alcuni aspetti del culto pagano, in particolare il sacrificio di sangue, ma del resto gli dei erano stati a lungo onorati in altri modi154. Di fatto, Costantino distrusse solo i templi che considerava centri di attività immorali o luoghi collegati alle persecuzioni155. Zosimo registrò una tradizione secondo cui Costantino stesso aveva fondato i templi di Fortuna Roma e di Cibele (Rea) a Costantinopoli156. È chiaro, in ogni caso, che nell’identità civica della nuova città di Costantino vi erano forti evocazioni ad antiche divinità tutelari. La dea Roma era onorata sia in iniziali emissioni bronzee di piccolo taglio sia su solidi157. Raymond Janin, rivedendo l’importanza di varie descrizioni della Tyche sia nella topografia che nella monetazione della nuova città, ha postulato un «période demi-païenne que va de la foundation de la ville en 324 à son inauguration en 330»158. Ancora, nelle parole di uno dei commentatori più recenti, «Constantinople was thus hardly a water-tight Christian levee against the receding tides of paganism»159.
In entrambe le città, Costantino bilanciò il suo desiderio di monumentalizzare il suo entusiasmo per il Dio dei cristiani con la chiara consapevolezza che un numero significativo di cittadini non condivideva le sue opinioni. Una delle arti di governo più importanti richieste agli imperatori era l’espressione energica di pareri personali su questioni religiose, governando essi su comunità piene di gente che viveva e pensava in modo diverso. A Costantinopoli, Costantino indubbiamente ebbe mano più libera, ma, come già per Roma, ci sono indicazioni che anche lì egli avesse compreso la realtà delle differenze religiose160.
La dimensione e le ambizioni del lavoro di Costantino a Costantinopoli, nonché la sua residenza abituale in città, portarono naturalmente a un confronto con Roma. L’anonima Origo Constantini imperatoris riporta la famosa ambizione di Costantino di rendere Costantinopoli ‘pari a Roma’ (Romae desideravit aequari), ma la dichiarazione rispecchia meglio le pretese di chi la scrisse che dello stesso imperatore. Manca una dichiarazione esplicita di Costantino in tal senso161. Data la portata del progetto imperiale, però, i contemporanei non potevano resistere alla tentazione di fare un confronto. Tra i primi vi fu Publilio Optaziano Porfirio, che si riferì a Costantinopoli come ad «altera Roma», una seconda Roma162. Si trattò, in Oriente, di un’idea contagiosa, e senza dubbio fu utile a Costante, figlio di Costantino, che si trovò a essere imperatore nella nuova città di suo padre. Dal V secolo, l’elevazione di Costantinopoli fu registrata come una strategia deliberata ab initio163. Nel corso del tempo, ai cittadini di Costantinopoli cominciò a piacere l’idea di aver eclissato l’antica capitale dell’Impero, ed essi stessi si definirono Rhomaioi. Costantino, imbevuto del suo senso del destino ispirato da Dio, potrebbe non aver pianificato lo sviluppo della città, ma gli studiosi moderni, anche in base ai tanti eventi imprevedibili della sua carriera, non ne dovrebbero essere sorpresi164.
1 Anon. post Dionem (FHG IV 199).
2 Si veda L. Grig, Competing Capitals, Competing Representations: Late Antiquity Cityscapes in Words and Pictures, in Two Romes. Rome and Constantinople in Late Antiquity, ed. by L. Grig, G. Kelly, New York 2012, pp. 31-52, in partic. 38-39. Sulla notitia Urbis constantinopolitanae si veda ora J.F. Matthews, The Notitia Urbis Constantinopolitanae, in Two Romes, cit., pp. 81-115.
3 Per Massenzio a Roma si veda J.R. Curran, Pagan City and Christian Capital. Rome in the Fourth Century, Oxford 2000, pp. 43-69.
4 Sulla tolleranza: Optat., I 18.
5 Un adventus e non un trionfo, si veda T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power in the Later Roman Empire, Oxford 2011, p. 83.
6 Una bella fotografia in R.R. Holloway, Constantine and Rome, New Haven 2004, fig. 2.31.
7 Eus., v.C. I 41,3. Si veda anche Paneg. 4(9)31,1; Prud., c.Symm. I 467-471 riguardo a cento senatori creati da Costantino.
8 Ad esempio Cod. Theod. XV 4,3-4 (entrambi del 313); Paneg. 12(9)20,3.
9 Su quest’ultimo, «homme de confiance de Maxence», si veda A. Chastagnol, Les fastes de la prefecture de Rome au Bas-Empire, Paris 1962, pp. 52-58, 63; T.D. Barnes, Two Senators under Constantine, in Journal of Roman Studies, 65 (1975), pp. 40-49, in partic. 46-47.
10 Molti leggono Paneg. 9(12)19,3 come testo decisivo, a prova del fatto che non si tributò alcun sacrificio a Iuppiter. Fra i più recenti: C.M. Odahl, Constantine and the Christian Empire, London 2004, p. 322, che riprende R. MacMullen, Constantine, Oxford 1969, p. 81, e T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge (MA) 1981, p. 44. Nixon e Rodgers offrono una lettura più misurata e attenta al contesto: C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise of Later Roman Emperors. The Panegyrici Latini, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1994, p. 323 nota 119. Si veda J.R. Curran, Pagan City, cit., pp. 71-75.
11 M. Radnoti-Alföldi, Die constantinische Goldprägung. Untersuchungen zu ihrer Bedeutung für Kaiserpolitik und Hofkunst, Mainz 1963, tav. 4 n. 61; tav. 5 n. 62.
12 Si vedano F. Coarelli, Rome and Environs. An archaeological guide, Los Angeles 2007, pp. 95-97, e L. Safran, What Constantine Saw. Reflections on the Capitoline Colossus, Visuality, and Early Christian Studies, in Millennium, 3 (2006), pp. 43-73. Per il rimodellamento si vedano M.J. Johnson, The Architecture of Empire, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006, pp. 278-297, in partic. 280, e J.R. Curran, Pagan City, cit., pp. 80-82. La statua potrebbe essere stata rimodellata su un’immagine di Massenzio, si veda O. Hekster, The City of Rome in Late Imperial Ideology. The Tetrarchs, Maxentius and Constantine, in Mediterraneo Antico, 2 (1999), pp. 717-748, in partic. 738. In generale sull’arte del regno di Costantino, si veda C. Walter, The Iconography of Constantine the Great, Emperor and Saint, Leiden 2006, pp. 11-32.
13 Hdt., IV 144; Hier., chron. a. Abr., propone una data calcolabile al 659 a.C. Cfr. C.M. Odahl, Constantine and the Christian Empire, cit., p. 232.
14 D.C., LXXIV 14.
15 Caracalla: h.A. Caracalla I 7. Si veda S. Bassett, The Urban Image of Constantinople, Cambridge 2004, pp.18-22 per la città severiana. Per Licinio a Bisanzio si vedano T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, cit., p. 113, e P. Stephenson, Constantine. Unconquered Emperor, Christian Victor, London 2009, pp. 192-194, sebbene l’argomentazione non sia affatto decisiva.
16 R. Krautheimer, Three Christian Capitals. Topography and Politics, Berkeley-Los Angeles-London 1983, p. 42.
17 Anon. Vales. I 6,30: «ob insignis victoriae memoriam».
18 Lyd., Mag. IV 2. T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, cit., pp. 126-127, esprime un forte scetticismo, sebbene Costantino dovesse continuare per molti anni a prestare attenzione al parere degli haruspices a Roma, si veda J.R. Curran, Pagan City, cit., p. 174.
19 Philost., h.e. II 9. T.D. Barnes, Constantine. Diynasty, cit., p. 112 fa un’affermazione apparentemente paradossale «he used the rituals and procedures of traditional Roman religion to make it clear that he was inaugurating a Christian equivalent of the city of Rome». Circa i limites, si veda J.B. Campbell, The Writings of the Roman Land Surveyors. Introduction, text, translation and commentary, London 2000, pp. 134-163.
20 Si vedano R. Janin, Constantinople byzantine: Développement urbain et répertoire topographique, Paris 19642, pp. 43-48; C. Mango, Antique Statuary and the Byzantine Beholder, in Dumbarton Oaks Papers, 17 (1963), pp. 55-75, in partic. 32.
21 Statua: Chron. Pasch., p. 528; Theoph. Conf., Chron. a.m. 5821. Si vedano C. Mango, Le développement urbain de Constantinople (IVe-VIIe siècles), Paris 1985, p. 25; G. Dagron, Naissance d’une capitale: Constantinople et ses institutions de 330 à 451, Paris 1974, p. 41 sulla ‘symbolique solaire’ che portò all’erezione della statua; Eus., v.C. I 43. Si veda di recente, diversamente da Mango, G. Fowden, Constantine’s Porphyry Column: The Earliest Literary Allusion, in Journal of Roman Studies, 81 (1991), pp. 119-131. Sul perdurare del motivo del Sol Invictus sulle monete costantiniane tra il 310 e il 325 si vedano P. Bruun, The Disappearance of Sol from the Coins of Constantine, in Arctos, 2 (1958), pp. 15-37; M. Beard, J.A. North, S.R.F. Price, Religions of Rome, II, A Sourcebook, Cambridge 1998, pp. 366-367; R. MacMullen, Christianizing the Roman Empire (A.D. 100-400), New Haven-London 1984, pp. 43-45. Gli scrittori bizantini più tardi avrebbero affermato che Costantino prese il palladium dal tempio di Vesta a Roma e lo pose alla base della colonna, con un gesto spettacolare studiato per enfatizzare il sorpasso di Costantinopoli sulla vecchia Roma. Si veda C. Kelly, Bureaucracy and Government, in The Cambridge Companion, cit., pp. 183-204, in partic. 192-193. Esprimono scetticismo L. Grig, G. Kelly, Introduction: from Rome to Constantinople, in Two Romes, cit., New York 2012, pp. 3-30, in partic. 4.
22 Patria Const. II 101-102; Zos., II 30,4. F.A. Bauer, Urban Space and Ritual: Constantinople in Late Antiquity, in Acta ad archaeologiam et artium historiam pertinentia, 15 (2001), pp. 27-61, in partic. 31 fig. 4.
23 Parastaseis 17. Citazione da S. Bassett, Urban Image, cit., p. 24. Cfr. ivi p. 33: «the Augusteion seems to have been an open, almost neutral point of convergence».
24 Stime delle dimensioni dell’area in S. Bassett, Urban Image, cit., p. 24 nota 24.
25 Secondo la ricostruzione di R. Krautheimer, Three Christian Capitals, cit., pp. 47-49.
26 Zos., II 31,2; S. Bassett, Urban Image, cit., p. 24.
27 S. Bassett, Urban Image, cit., pp. 29-30.
28 Patria Const. I 61; Zos., II 31; S. Bassett, Urban Image, cit., pp. 24-25; R. Janin, Constantinople byzantine, cit., pp. 183-194.
29 S. Bassett, Urban Image, cit., n. cat. 141.
30 Eus., v.C. III 3.
31 Si vedano S. Bassett, Urban Image, cit., p. 25; C. Mango, Le développement urbain de Constantinople, cit., pp. 25-26; R. Janin, Constantinople byzantine, cit., pp. 106-122.
32 Patria Const. I 68. S. Bassett, Urban Image, cit., pp. 23-24.
33 Per esempi degni di nota provenienti da altre parti dell’Impero, S. Bassett, Urban Image, cit., p. 22; C. Mango, Le développement urbain de Constantinople, cit., p. 27.
34 Parastaseis 58 (amplificato in Patria Const., II 50 e I 70). Il nome di philadelphion derivava dalla credenza che le figure rappresentate fossero i figli di Costantino legati insieme da affetto fraterno; si vedano F.A. Bauer, Urban Space and Ritual, cit., pp. 30-31; S. Bassett, Urban Image, cit., pp. 31-32.
35 Chron. Pasch. a.m. 330. T. D. Barnes, Constantine. Dinasty, cit., pp. 126-127. La data coincideva probabilmente con quella commemorativa del martire Mocio. F.A. Bauer, Urban Space and Ritual, cit., pp. 32-37 e N. Lenski, The Reign of Constantine, in The Cambridge Companion, cit., pp. 59-90, in partic. 88 nota 106 per ulteriori riferimenti alle fonti antiche.
36 C. Mango, Le développement urbain, cit., p. 24 : «Elle se distinguait aussi par un style lourd et pompeux, un style étatique destine à éblourir les masses, faisant abondamment usage du marbre de porphyre, de l’or et de l’argent». Per l’idea della città come espressione consapevole di romanitas in ambiente orientale, ancora S. Bassett, Urban Image, cit., pp. 26-33.
37 Paneg. 12(9)20,1: «Nam quid ego de tuis in curia sententiis atque actis loquar»; 4(10)35,2, con Eus., v.C. IV 1 (scritto a grande distanza). Su quest’ultimo, si vedano Av. Cameron e S. Hall nel loro commento a Eusebius, Life of Constantine, Translated with Introduction and Commentary by Av. Cameron and S.G. Hall, Oxford 1999, pp. 309-311.
38 Giuliano in Amm., XXI 10,8; XXI 12,25. Si veda anche Zos., II 38,1.
39 O. Hekster, The City of Rome, cit., pp. 743-744 per l’idea di un’attenzione di Costantino ai senatori come ordo più che al Senato come istituzione.
40 A. Chastagnol, La Préfecture urbaine à Rome sous le Bas-Empire, Paris 1960, pp. 30-36, 52-53.
41 ILS 700; 707.
42 ILS 1240; 6111 (entrambe da Byzacium); 5699 (Lusitania).
43 A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., p. 31.
44 ILS 1217. A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, 284–602, Oxford 1964, pp. 106-107, 527.
45 ILS 1214: allecto petitu senatus inter consulares; ILS 1222.
46 T.D. Barnes, The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA) 1982, p. 119. I termini erano nel 329 e nel 333.
47 Cod. Theod. IX 1,1, si veda C. Humfress, Civil Law and Social Life, in The Cambridge Companion, cit., pp. 205-225, in partic. 209. Cfr. Cod. Theod. IX 16,3 (maggio 318) sui casi riguardanti la magia rimessi al praefectus urbi Romae. Si veda J.R. Curran, Pagan City, cit., p. 172.
48 Alle calende e alle idi, i giorni indicati con la dizione senatus legitimus dal cronografo del 354.
49 Brevemente rimosso da Costanzo II in coincidenza della sua visita nel 357: Symm., rel. 3,4.
50 Cod. Theod. VIII 18,1.
51 Quando il magister census venne posto in una posizione subordinata rispetto al praefectus urbi Romae: A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., pp. 241-242; Id., L’évolution politique, sociale et économique du monde romain de Dioclétien à Julien: La mise en place du régime du Bas-Empire (284-363), Paris 19943, p. 224.
52 Tra le funzioni vi era anche quella della supervisione degli studenti a Roma: A. Chastagnol, L’évolution politique, cit., pp. 224-225.
53 Visibile per la prima volta fra il 318 e il 320 nelle carriere di Lolliano Mavorzio e Valerio Proculo. Si veda ILS 1223, 1224, 1240, con A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., pp. 217, 398-399, 406; A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., p. 217. Ancora, T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 95-97.
54 Sulle caratteristiche della carica si veda A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit.
55 A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., p. 380; A. Chastagnol, Les fastes de la prefecture, cit.
56 A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., pp. 120-130.
57 Ivi, pp. 130-136.
58 Mentre la totalità dell’amministrazione civile è affare della prefettura urbana, alcune branche sono affidate a certi ufficiali minori. Cfr. Symm., rel. 17,2: «il peso dell’intera amministrazione ricade sulle mie spalle».
59 Era il titolo del perfectissimus C. Celio Saturnino nel 325: ILS 1214. Si veda A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., pp. 32-33.
60 A. Chastagnol, L’évolution politique, cit., p. 327. Nell’ultima parte del IV secolo Simmaco, esasperato per la scarsa qualità di alcuni fra i nominati dall’imperatore nel suo staff, fu ripreso con durezza da Valentiniano II, Cod. Theod. I 6,6, riportato in A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., pp. 391-392: «There must be no questioning the imperial judgement: it is close to sacrilege to doubt whether he whom the emperor has chosen is worthy».
61 Si veda h.A. Pesc. Nig. VII 6; Sev. Al. XLVI 1; A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., p. 372.
62 Ancora A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., p. 62, che ha ipotizzato un intervento decisivo nel 331, in collegamento con la creazione di prefetti del pretorio regionali e la fondazione di Costantinopoli.
63 Eus., v.C. IV 1-4; con le osservazioni di Av. Cameron e S.G. Hall in Eusebius, cit., pp. 308-311. Si veda P. Heather, New Men for New Constantines? Creating an Imperial Elite in the Eastern Mediterranean, in New Constantines: the Rhythm of Imperial Renewal in Byzantium, 4th-13th Centuries, ed. by P. Magdalino, Aldershot 1994, pp. 11-33; Id., Senators and Senates, in Cambridge Ancient History, XIII, The Late Empire A.D. 337-425, ed. by Av. Cameron, P. Garnsey, Cambridge 19982, pp. 184-210. Per la politica fiscale di Costantino T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, cit., pp. 257-258.
64 Chron. Pasch. a.m. 325. T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, cit., p. 214. Si trattava forse di un parente di Eusebio di Cesarea: ivi, p. 70.
65 Soz., h.e. II 3,6. Eusebio e Socrate non lo menzionano. Zosimo attribuì la fondazione di un senato a Giuliano: Zos., III 11,3. Lo studio più esaustivo resta G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 119-210. Si vedano anche P. Heather, New Men, cit., e Id., Senators, cit.
66 Lib., or. 42,24-25.
67 Anon. Vales. I 6,30; A. Chastagnol, L’évolution politique, cit., p. 229.
68 Anon. Vales. I 1,30 per il titolo. Si veda C. Kelly, Bureaucracy, cit., p. 197; cfr. C. Mango, The Brazen House. A Study of the Vestibule of the Imperial Palace of Constantinople, København 1959, pp. 56-58; R. Janin, Constantinople byzantine, cit., pp. 154-156; G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 138-139.
69 Anon. Vales. I 6,30; Cod. Theod. VI 4,5-6. La prima legge fa riferimento a tre preture (Flavialis, Constantiniana e Triumphalis), che rappresentano i primi riferimenti indubbi alla posizione di pretore a Costantinopoli. La datazione è al 340, ma si tratta di un terminus ante quem. Cfr. P. Heather, Senators, cit., p. 185. A. Chastagnol, L’évolution politique, cit., pp. 229-230 suppone l’esistenza di un tribunato che comportava l’ammissione al Senato, ma solo sulla base del più tardo Cod. Theod. XII 1,74 § 3 (374 d.C.).
70 Cod. Theod. VI 4,14-15 (entrambi del 359).
71 Come la Bitinia e la Bizacena. Queste province erano state rese senatorie solo di recente: C. Kelly, Bureaucracy, cit., p. 197.
72 Per una discussione del termine domus si veda S. Bassett, The Urban Image, cit., p. 256 nota 59. Come osserva A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., p. 689, il grande numero di domus a Costantinopoli potrebbe riflettere il grande numero di ufficiali di ‘ceto medio’ nella corte imperiale e attorno a essa: questa era presumibilmente una caratteristica della città già nel periodo costantiniano. Si veda J.F. Matthews, The Notitia Urbis Constantinopolitanae, cit., pp. 114-115.
73 Aerarium Saturni: ILS 1233 (dal 344 quando l’ultimo praefectus aerarii Saturni conosciuto era vicario dell’Africa). Per le arcae si veda infra. Progetti edilizi individuali: Amm., XXVII 3,10 (sul praefectus urbi Romae Lampadio).
74 Si veda A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., pp. 46-47.
75 Cod. Theod. XV 2,1, a Massimiliano, consularis aquarum.
76 Cassiod., var. III 31.
77 Curator statuarum: Not. dign. occ. 4,14; Consularis horreorum galbanium: Not. dign. occ. 4,15. Quest’ultimo sembra avere avuto la responsabilità per i magazzini di olio e di vino. Per la horrea galbana nello specifico si veda F. Coarelli, Rome and Environs, cit., pp. 345-346.
78 Praefectus annonae: Cod. Theod. III 1,1; XIV III,1 (nel 319). Praefectus vigilum: Cod. Theod. I 2,1 (nel 314); II 10,1-2 (nel 319). Vi è un comes portuum in ILS 1250 (prima del 370).
79 A. Chastagnol, L’évolution politique, cit., p. 210. Aurelio Vittoriano, vir perfectissimus e praefectus annonae sotto Costantino, era una rara eccezione, ILS 687.
80 A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., pp. 254-256. Facevano base presso i castra urbana.
81 ILS 722. Molto più tardi, un tribunus voluptatum, le cui origini forse risalgono alle disposizioni di Costantino per Roma, supervisionava gli spettacoli teatrali, chi vi lavorava e le prostitute della città. Tale carica è menzionata per la prima volta in Cod. Theod. XV 7,13 (nel 414); A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., p. 691 riteneva che il tribunus fosse un ufficiale delle coorti urbane.
82 Amm., XV 7,2-5 sul prefetto Leonzio nel 355. Per gli altri eventi, si veda A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., p. 1284 nota 13. A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, p. 265 : «Le prefect de la ville vivait constamment dans la terreur de l’émeute».
83 Cod. Theod. VIII 7,1 (marzo 315) rappresenta Costantino che rafforza l’ordine di promozione in seno all’officium di Versennio Fortunato, consularis aquarum. Cfr. Cod. Theod. II 10,1-22 (nel 319, sui tribunali del praefectus vigilum) e in generale le leggi del Cod. Theod. VIII 7.
84 CIL VI 3744 nel 362. Si veda A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., pp. 258-264.
85 Curatores e vicomagistri: Not. Rom.; ILS 1209. Per i collegiati a Roma si veda Not. urb. Const.
86 Not. dign. occ. 2,41 e Cod. Theod. XI 1,13 (nel 365); XIII 9,2 (nel 372).
87 CIL XIV 4449 e A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., p. 50.
88 A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., p. 1287 nota 23, che estrapola da h.A. Sev. Al. XXIII. Si veda A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., pp. 301-305.
89 Cod. Theod. XIV 22,1 (nel 364); ILS 1272. Catabolenses: Cod. Theod. XIV 3,9-10 (nel 370). Si veda A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., p. 315.
90 Tra il 324 e il 328 secondo A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., p. 298.
91 Per il gradus si veda il Libellus de regionibus Urbis, a cura di A. Nordh, Lund 1949, p. 841,14; p. 881,3. Cod. Theod. XIV 17,2-6 (dal 364 al 370). La razione era di 50 once di pane grezzo, che scese a 36 once nel 369. Si veda A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., pp. 312-316; A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., p. 696, con riferimenti.
92 Cod. Theod. XIII 5,2 (nel 315); XIV 3,1 (nel 319). Divieto: Cod. Theod. XIV 3,13.
93 Cod. Theod. XIV 24,1 (nel 328).
94 h.A. Aurel. XXXV. Per la legge di Costantino del 334: Cod. Theod. XIV 4,1. Proprietà: Cod. Theod. XIV 4,1 (nel 334); XIV 4,5 (nel 389), etc. Per divieti successivi, si veda A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., p. 702. Legge di Costantino per Verino del 324: Cod. Theod. XIV 4,2. Cfr. la complessa disciplina di Turcio Aproniano (praefectus urbi Romae nel 339) sulla compensazione da dare ai suarii per i maiali che perdevano peso durante il viaggio a Roma: CIL VI 1771. Per le distribuzioni in generale, si veda A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., pp. 325-330.
95 Cod. Theod. XIV 4,3 (nel 363).
96 Not. dign. occ. 4,9. Cfr. A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., pp. 322-325.
97 Aureliano: h.A. Aurel. XLVII-XLVIII. Pagamento di vino ai suarii: CIL VI 1771; Cod. Theod. XIV 4,4 (nel 367).
98 Aur. Vict., Caes. 42,26-27. Cfr. F. Coarelli, Rome and Environs, cit., p. 237 con M.J. Johnson, The Architecture, cit., p. 281. Furono le ultime thermae costruite a Roma. Si veda LTUR V, S. Vilucchi, s.v. thermae constantinianae, pp. 49-51.
99 Mancipes salinarum: Cod. Theod. XIV 5,1 (nel 370). Navicularii: Cod. Theod. XIII 5,13. Cfr. A. Chastagnol, La Préfecture urbaine, cit., pp. 361-363.
100 Cod. Theod. VI 4,1 (nel 329); VI 4,2 (nel 327). I questori organizzavano i giochi dall’8 al 20 dicembre, subito dopo aver preso servizio: A. Chastagnol, L’évolution politique, cit., p. 212, con CIL I2 1, p. 278; in gennaio i pretori sovvenzionavano sette giorni di giochi: gladiatori, teatro, animali e circo (Cod. Theod. VI 4,4 [nel 354], cfr. A. Chastagnol, L’évolution politique, cit., p. 215); i consoli suffetti allestivano giochi nel giorno della loro presa di servizio, nel natalis urbis, il 21 aprile: ivi, p. 218.
101 Cod. Theod. VI 4,7 (nel 354). Cod. Theod. VI 4,4 (nel 354) mostra Costanzo II che esorta il prefetto del pretorio in Italia a obbligare i senatori morosi a recarsi a Roma per allestire i giochi. Si veda A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., pp. 540-541.
102 Per esempio nel IV secolo Symm., rel. 8 (con ringraziamenti all’imperatore per aver arginato la stravaganza). Secondo Olimpiodoro, 41 (ed. R.C. Blockley, The Fragmentary Classicing Historians of the Later Roman Empire. Eunapius, Olympiodorus, Priscus and Malchus, 2 voll., Liverpool 1981) Simmaco spese duemila libbre d’oro nei giochi pretoriani di suo figlio. Petronio Massimo per quelli di suo figlio ne spese quattromila.
103 Per la distinzione tra questori più ricchi designati dall’imperatore e quelli eletti, che avevano mezzi più modesti, si veda A. Chastagnol, L’évolution politique, cit., p. 213, che impiega h.A. Sev. Al. 43,3.
104 Ludi: Not. Rom. Animali feroci: Cod. Theod. XV 11,1-2 (del 414 e del 417).
105 Aur. Vict., Caes. 40,27; Paneg. 10(4)35,5; Amm., XVII 4,13.
106 Per i ludi: Libellus de regionibus, cit., p. 104; cavalli imperiali: Cod. Theod. XV 7,6 (nel 381).
107 Il primo praefectus urbi Constantinopolitanae: MGH CM I 239; Socr., h.e. II 41. Le fonti per il magister census sono tarde, ma la sua istituzione si accompagnò senza dubbio a quella del Senato. Similmente, la creazione del praefectus vigilum era per Costantino una priorità; si veda A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., p. 1284 nota 11 per riferimenti più tardi.
108 Zos., II 32,1 con Anon. Vales. I 6,30. Sozomeno commentò le splendide ville: Soz., h.e. II 3,4.
109 Cod. Theod. XIV 17,1; 7; 11; 12 (nel 393); 13. Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., p. 520.
110 Cod. Theod. XII 11,2 (nel 386 per Ellenio, vicario di Costantinopoli).
111 R. Krautheimer, Three Christian Capitals, cit., p. 43; RIC VII, pp. 562-563.
112 Aqua Hadriana: Cod. Iust. XI 43,6 (nel 440). Sulla pressione per reperire fondi cfr. Them., Or. 11,151; Cod. Theod. VI 4,29-30 (nel 396). Per il periodo successivo si veda A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., p. 1285 nota 17. Alcuni storici bizantini più tardi suggerirono che Costantino avrebbe costruito un secondo acquedotto, ma non ci sono fonti contemporanee o vicine nel tempo. Si veda R. Janin, Constantinople byzantine, cit., pp. 198-199.
113 Cod. Theod. XV 2,3 (nel 382).
114 Cod. Iust. XI 43,10,4-5 (nel 474-491) ma si tratta quasi certamente di un’istituzione del IV secolo.
115 I ‘bagni di Zeusippo’, sono stati di recente attribuiti a Licinio, su cui si veda P. Stephenson, Constantine. Unconquered Emperor, cit., pp. 193-194.
116 Not. urb. Const., II 25; Lyd., Mag., I 50. A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., p. 695 suggerisce un’origine precedente alla fondazione della città.
117 Praefectus praetorio orientis: Iust., edict. 13.
118 Si veda R. Janin, Constantinople byzantine, cit., pp. 225-227.
119 Cod. Theod. XIII 5,5 (18 settembre 326); ancora Cod. Theod. XIII 5,7 (1° dicembre 334).
120 MGH CM, I 234; Not. urb. Const. I 20; III 18 (1700 gradus in città). Numero di beneficiari: Socr., h.e. II 13. Chron. Pasch., a.m. 332.
121 Cod. Theod. XIV 17,9 (nel 389) in riferimento agli scutarii e agli scutarii clibanarii.
122 Comes horreorum in Cod. Iust. XVI 1 (negli anni 457-465). Fornai: Not. urb. Const. II 18-19; III 17 segg.
123 Cod. Theod. VI 4,5 (nel 340) 50, 40 e 30 libbre d’argento più 25.000, 20.000 e 15.000 folles per le tre preture che aveva fondato. Si veda Cod. Theod. IV 13 (361). Per le rovinose spese legate ai giochi di Roma si veda A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., pp. 537-538.
124 Cod. Theod. VI 4,8-10 (tutti del 356); 14-15 (359); 12-13 (361).
125 Cod. Theod. VI 4,15 (359).
126 Cod. Theod. XV 12,1 (325, da Beirut); Eus., v.C. IV 25,1. Si veda D. Potter, Constantine and the Gladiators, in The Classical Quarterly, 60 (2010), pp. 596-606; cfr. C.M. Odahl, Constantine and the Christian Empire, cit., p. 203.
127 Si veda G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 321-327 per il ciclo scultorio. Di recente Id., L’hippodrome de Constantinople: jeux, peuple et politique, Paris 2011.
128 Cod. Theod. VIII 7,2 (nel 426).
129 La basilica (San Giovanni in Laterano) fu dedicata probabilmente il 9 novembre 318. Si veda R. Krautheimer, Three Christian Capitals, cit., pp. 15, 127-128. R.R. Holloway, Constantine and Rome, New Haven 2004, p. 164 nota 3 osserva che i costi «were held to a minimum» e gli edifici non avevano le impressionanti volte cementate dei più grandi progetti di Massenzio. Ciò è probabilmente dovuto alla dimensione e alla velocità di costruzione delle chiese costantiniane.
130 Il parallelo esplicito in R. Krautheimer, Three Christian Capitals, cit., p. 20.
131 La bibliografia è enorme. Si veda C.M. Odahl, Constantine and the Christian Empire, cit., pp. 141-161 per un’adeguata visione d’insieme, con riferimenti. Si veda ancora T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, cit., pp. 85-89; M.J. Johnson, The Architecture, cit., pp. 282-291; R.R. Holloway, Constantine and Rome, cit.; J.R. Curran, Pagan City, cit., pp. 70-115.
132 T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, cit., p. 88; G.W. Bowersock, Peter and Constantine, in St. Peter’s in the Vatican, ed. by W. Tronzo, Cambridge 2005, pp. 5-15, e A. Logan, Constantine, the Liber Pontificalis and the Christian Basilicas of Rome, in Studia Patristica, 50 (2011), pp. 31-55. Il testo di Eus., h.e. IV 23, apparentemente decisivo, ha tuttavia meno importanza di quanto suggerito. L’ignoranza del soggetto del passo (l’insignificante monaco Ammonio) non è base sicura per la precisione storica.
133 R. Krautheimer, Three Christian Capitals, cit., p. 23; LTUR IV, F. Guidobaldi, s.v. Sessorium, pp. 304-308.
134 R.R. Holloway, Constantine and Rome, cit., pp. 93-104; J.R. Curran, Pagan City, cit., pp. 128-129.
135 R.R. Holloway, Constantine and Rome, cit., pp. 92, 116-118; J.R. Curran, Pagan City, cit., pp. 99-102.
136 R. Krautheimer, Three Christian Capitals, cit., pp. 23-25. Per la terra come res privata, si veda R. MacMullen, Two Notes on Imperial Property, in Athenaeum, 54 (1976), pp. 19-36. Per i problemi specifici sollevati dalla cosiddetta ‘donazione di Costantino’, si veda S.N.C. Lieu, Constantine in Legendary Literature, in The Cambridge Companion, cit., pp. 298-321, in partic. 301-303.
137 Per un’esposizione classica del timore di Costantino si veda, R. Krautheimer, Three Christian Capitals, cit., pp. 26-30.
138 Eus., v.C. I 48.
139 J.R. Curran, Pagan City, cit., p. 171 e il commento alla v.C. di Av. Cameron e S.G. Hall (Eusebius, cit.), pp. 223-224, circa i pagani riluttanti a partecipare a sacrifici di sangue. Per una discussione chiara del ciclo dell’arco si veda F. Coarelli, Rome and Environs, cit., pp. 160-164 e LTUR I, A. Capodiferro, s.v. Arcus Constantini, pp.86-91.
140 Zos., II 29,1-5. Hier., chron. a. Abr. 326; Eus., v.C. III 15,1-2. Cfr. N. Lenski, The Reign of Constantine, cit., pp. 78-79.
141 Zos., II 29,2. La datazione dell’episodio, in assenza di prove cronologiche definitive nelle fonti superstiti, è stata molto discussa. Il contesto, tuttavia, fa pensare al 326 come datazione più probabile: si veda N. Lenski, The Reign of Constantine, cit., p. 89 nota 121, con i riferimenti fondamentali al dibattito scientifico.
142 RIC VII, p. 326 n. 272.
143 Fu dedicata da Costanzo II. Si veda Chron. Pasch. a.m. 360. Scetticismo circa un precoce coinvolgimento di Costantino nel progetto è stato espresso da G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 397-401.
144 Hier., chron. a. Abr. 336. Cfr. Theoph. Conf., Chron. I 33 a.m 5828 (336 d.C.)
145 Socr., h.e. I 16; II 16; Chron. Pasch. a.m. 328. Discussioni moderne rilevanti: P. Stephenson, Constantine. Unconquered Emperor, cit., pp. 201-203; S. Bassett, Urban Image, cit., p. 26; R. Janin, Constantinople byzantine, cit., pp. 59-62, 106-110; G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 392-393; R. Krautheimer, Three Christian Capitals, cit., p. 47.
146 Eus., v.C. IV 58-60. Si vedano S. Bassett, Urban Image, cit., pp. 32-33 con nota 56; M.J. Johnson, The Architecture, cit., pp. 294-295; C.M. Odahl, Constantine and the Christian Empire, cit., pp. 269-271; Eusebius, cit., pp. 337-339.
147 Si veda T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, cit., pp. 126-131, che di fatto prova solo la del tutto plausibile ostilità di alcuni pagani all’imponenza dei progetti cristiani di Costantino in città.
148 Eus., v.C. III 48; III 54; si veda Hier., chron. a. Abr. 232 (330 d.C.): Dedicatur Constantinopolis paene omnium urbium nuditate. Si veda ora S. Bassett, Urban Image, cit., pp. 37-49; G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 374-377.
149 Zos., V 24,6-8. Si veda G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 139-140.
150 Si veda K.W. Williamson, Palladas and the Foundation of Constantinople, in Journal of Roman Studies, 100 (2010), pp. 179-194 sul contemporaneo Palladas.
151 Si veda G. Fowden, Nicagoras of Athens and the Lateran Obelisk, in Journal of Hellenic Studies, 107 (1987), pp. 51-57.
152 Si veda S. Bassett, Urban Image, cit., p. 31: «Inclusion of a Capitoline temple in the fourth-century city plan was a developmental and institutional choice consistent with Roman urban tradition». L’autrice osserva comunque, correttamente (p. 35), che la sua posizione un poco fuori dal centro della città era un’innovazione sorprendente. Si veda P. Stephenson, Constantine. Unconquered Emperor, cit., p. 199; C. Mango, Le développement urbain de Constantinople, cit., p. 30. Mango crede che «il ne saurait remonter à» un’epoca precedente, ma il parallelo di Aelia Capitolina (la Gerusalemme di Adriano) sembra contraddire l’affermazione. Si veda M.D. Goodman, Rome and Jerusalem. The Clash of Ancient Civilizations, London 2007, pp. 486-488.
153 Lib., Or. 30,6.
154 Ostilità di Costantino ai sacrifici: Eus., v.C. II 44; e soprattutto ILS 705 da Hispellum (332-337). Si veda J.R. Curran, Pagan City, cit., pp. 169-181.
155 Ad esempio il santuario di Afrodite a Eliopoli; quello di Asclepio a Ege (e associato ad Apollonius di Tiana) e l’oracolo di Apollo a Mileto, luogo della comunicazione infame a Diocleziano: Lact., mort. pers. 52,5. Si veda T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, cit., p. 129 e appendice G per i templi pagani ‘risparmiati’.
156 Zos., II 31. Si veda J. Elsner, Perspectives in Art, in The Cambridge Companion, cit., pp. 255-277, in partic. 266-267; S. Bassett, Urban Image, cit., pp. 24, 34, 72, 155-156.
157 Si veda A. Alföldi, On the Foundation of Constantinople: A Few Notes, in Journal of Roman Studies, 37 (1947), pp. 10-16, in partic. 11-12.
158 R. Janin, Constantinople byzantine, cit., p. 26. Immagini della Tyche su moneta: RIC VIII, p. 578 n. 53.
159 N. Lenski, The Reign of Constantine, cit., p. 78.
160 S. Bassett, Urban Image, cit., p. 35 sullo spazio di Costantinopoli: «This organizational choice must have been deliberate and in a very real way was the concrete manifestation of the policy of religious toleration that was clearly stated nearly two decades before with the legalization of the Empire’s religions, Christianity included».
161 La più vicina è Cod. Theod. XIII 5,7.
162 Opt. Porf., carm. 4,6. Si veda N. Lenski, The Reign of Constantine, cit., p. 89 nota 113, e C. Kelly, Bureaucracy, cit., p. 192.
163 Socr., h.e. I 16: «dopo averla resa uguale alla Roma imperiale la chiamò Costantinopoli, stabilendo per legge che dovesse essere designata come Nuova Roma».
164 R. Krautheimer, Three Christian Capitals, cit., p. 45: «de facto it was a new Rome [...] de iure it was never meant to replace the old one on the Tiber».