Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Trecento e nel Quattrocento nelle città italiane e in alcuni regni europei va definendosi un sistema articolato relativo alla cura, con l’istituzione di corporazioni di mestiere e magistrature specifiche deputate a gestire con professionalità sia la salute pubblica che i rapporti tra curanti e pazienti.
L’abilitazione alla professione medica
L’idea che la sanità pubblica e l’igiene siano settori della medicina scientifica è un’acquisizione relativamente recente nella storia europea, ma l’intreccio tra politiche cittadine e statali e governo della salute è molto più antico. Già le città greche e quelle facenti parte dell’Impero romano, ad esempio, avevano l’uso di stipendiare medici che curavano la popolazione. Ma è nelle città italiane, e in alcuni regni europei, che nel Trecento e nel Quattrocento si stabilisce un sistema articolato di corpi e di magistrature deputati a regolamentare e governare non solo la salute pubblica, ma anche i rapporti tra curanti e pazienti. Alcuni di questi sono infatti inseribili a vario titolo nel panorama delle corporazioni di mestiere, e hanno un carattere di organizzazione professionale.
I collegi medici sono un’invenzione italiana (a Venezia il collegio esisteva fin dal 1316), poi esportata con successo in tutta Europa, anche se con caratteristiche differenti nelle diverse aree geografico-culturali. Nati dall’esigenza di differenziare la professionalità dei medici physici da quella degli altri curanti, specie dei chirurghi, sono l’espressione dell’élite dei medici cittadini e universitari; se la città ha uno Studium, il collegio agisce in stretto contatto con l’istituzione. La sua funzione principale è quella di abilitare all’esercizio della professione medica, controllando la preparazione e la condotta dei suoi membri, ma gradualmente esso assume anche la funzione di regolare la pratica degli altri curanti, e a questo scopo si dota di un’appendice con poteri giurisdizionali, il Protomedicato, che risolve i conflitti di competenza fra curanti, e fra curanti e pazienti.
I collegi non hanno sempre vita facile, e i conflitti con altre istituzioni e corporazioni sono vivaci. Sono abilitati a licenziare alla professione anche altre autorità: le città, i sovrani, le autorità ecclesiastiche; e le corporazioni di mestiere di altre professioni, come i chirurghi e gli speziali, finiscono per modellarsi anch’esse sulla falsariga del collegio medico. L’appartenenza ai collegi nel Quattrocento è ancora relativamente aperta, nel senso che le candidature vengono accettate ancora con facilità, anche se si va verso l’esclusione di talune categorie, quali per esempio i non cittadini, o gli ebrei. Sebbene la conflittualità tra physici e altri curanti in Italia sia abbastanza contenuta – esiste, ad esempio, presso diverse università, la possibilità di addottorarsi in chirurgia – la supremazia del medico su barbieri-chirurghi, speziali, ostetriche, ciarlatani e altre figure di curanti non è semplice da affermare, né la convivenza di queste figure del tutto tranquilla, anche se i casi di cooperazione fra curanti sono molto numerosi. In generale, si segue il principio secondo cui il medico è il solo a poter curare le malattie interne e prescrivere medicamenti, la cui preparazione è però riservata allo speziale, le cui botteghe potevano essere ispezionate dal collegio. Il chirurgo svolge operazioni sulla superficie del corpo, cura le fratture e salassa, ma sotto il controllo del medico; il barbiere-chirurgo svolge solo le più semplici di queste operazioni, e le ostetriche si occupano della gravidanza e del parto; i ciarlatani, infine, e altri empirici, possono avere licenza di vendere medicamenti e rimedi di propria invenzione. Nella realtà dei fatti la differenziazione non è osservata strettamente, e le sovrapposizioni di competenze sono frequenti.
Provvedimenti contro le epidemie
Diverso è invece il caso delle magistrature istituite in diverse città italiane e poi europee, a partire dalla peste del 1347-1348, e destinate a contrastare e impedire, nell’immediato e per il futuro, l’insorgenza di epidemie e pestilenze. A Milano, Venezia, Firenze e in altre città e piccoli centri le magistrature alla sanità si occupano della pulizia dell’aria, essenziale mezzo preventivo per una medicina convinta che le malattie derivino dai miasmi, e dunque dello stato delle fognature e dello smaltimento dei liquami, delle carcasse e dei resti animali lasciate da alcune attività artigianali, quali le concerie o la macelleria, ma anche dai residui di lavorazione dei vegetali come la canapa e il lino. Un settore particolarmente delicato è quello della regolazione della sepoltura dei cadaveri. In caso di epidemie, le magistrature alla sanità comprendono, talora contro il parere dei physici, che è essenziale provvedere con rapidità a misure di quarantena, sviluppate nella seconda metà del Trecento e nel Quattrocento, e messe in atto soprattutto nelle città di mare, ma anche altrove. La quarantena può riguardare anche le merci e altri oggetti di scambio (come le lettere), non solo gli uomini; essendo una misura fortemente impopolare, che causa danni gravi ai traffici, deve essere presa solo in caso di stretta necessità. La rete delle informazioni sulla diffusione delle malattie è dunque essenziale.
Nel corso del Quattrocento si affermano poi i lazzaretti, luoghi designati ad accogliere gli ammalati in caso di epidemia, per sottrarre il resto della popolazione al contagio. Nonostante la loro pessima fama, si tratta di istituzioni dotate di una precisa organizzazione e che impiegano personale sanitario – medici ma soprattutto chirurghi, più disposti ad affrontare un lavoro ingrato e pericoloso. I lazzaretti, nonostante vengano creati come istituzioni “di emergenza”, non sono che uno dei molti esempi di un’istituzione medico-assistenziale che inizia a diffondersi in Occidente in questo stesso periodo: l’ospedale.
Come già osservato, la civiltà bizantina e quella islamica avevano assistito alla nascita e all’affermarsi dell’ospedale, inteso come istituzione volta all’assistenza e alla cura dei malati. Alla sua origine e diffusione avevano concorso fattori diversi: il nuovo concetto di caritas elaborato dal cristianesimo e ripreso dall’islam, la presenza di luoghi cura presso le grandi istituzioni di istruzione, il patronage e l’appoggio offerto da personaggi importanti. In Occidente il fenomeno era stato presente nei primi secoli del cristianesimo, ma aveva assunto piuttosto il carattere di istituzione caritativa rivolta alla popolazione delle città e di coloro che viaggiavano: gli ospedali erano ospizi per il ricovero dei poveri, vagabondi, pellegrini ed esposti.
Nel Trecento-Quattrocento, intorno e dopo l’epidemia del 1348, negli ospedali italiani si afferma gradualmente la funzione di cura degli infermi, anche se non si perde mai del tutto, e anzi per certi versi si rafforza, quella di assistenza pubblica e di carità. Gli ospedali punteggiano la struttura urbana delle città italiane, con caratteristiche architettoniche specifiche (loggiati, corsie) e innovative. Accolgono sia uomini che donne, di solito appartenenti al ceto artigianale, con l’esclusione dunque dello strato più alto della popolazione, che si cura in casa, e dei ceti più umili. Al contrario di ciò che si sarebbe portati a credere, i tassi di mortalità non sono drammatici, e le condizioni igieniche e la qualità della cura prestata è spesso di buon livello.