Il Golfo di Napoli
Nella Regione Campania il turismo del secondo Novecento si presenta come l’esito di una lunga e complessa storia di pratiche di soggiorno e di viaggio, che si sedimentano a partire dall’antichità. Un numero di fonti sterminate e della più diversa natura ne danno testimonianza, ma gli studi sono rari e parziali, anche perché gli archivi degli enti pubblici locali preposti al turismo sono in una condizione generale di abbandono, quando non di degrado, e le fonti e le analisi disponibili documentano soprattutto l’offerta turistica, lasciando in ombra il profilo dei turisti. Fatte queste premesse, per comprendere la storia più recente del Golfo di Napoli è indispensabile risalire almeno all’ultima età moderna e accennare alle pratiche di viaggio e di soggiorno che, da quel tempo, con sorprendente continuità, si sono stratificate sull’area, alimentandone la notorietà.
È nel Settecento che Napoli rafforza la sua fama di grande città del Mediterraneo, quando ritrova la sua autonomia con Carlo III di Borbone Farnese (1716-1788). Questi nel 1738 fa edificare una reggia a Portici, ai piedi del Vesuvio, dove dà il via agli scavi di Ercolano, raccogliendone i pezzi più singolari in una collezione. Seguendo la corte, l’aristocrazia del regno dà vita a un insediamento di ville nei pressi della reggia, che per il loro splendore sarà detto il Miglio d’oro. La villeggiatura si combina con il viaggio di italiani e stranieri, che arrivano a Napoli per interesse antiquario, scientifico, culturale, artistico. Attraggono l’eccezionale bellezza di natura e cultura dei Campi Flegrei, l’attività del Vesuvio e della Solfatara, gli scavi archeologici di Pompei e di Ercolano, la musica e il Teatro San Carlo, il miracolo di San Gennaro. Napoli è la più ricercata località climatica del Mediterraneo, capace di offrire grandi attrazioni e distrazioni.
Fino a metà Ottocento tutti i servizi sono concentrati in città, che funge da base sia per le escursioni giornaliere, sia per le partenze per visitare le altre regioni meridionali. Già nel 1874 questo eccezionale concentrato di attrazioni consente all’agente e guida Russel Forbes, che opera a Roma, di offrire al prezzo di duecento lire «A week in Naples», un tour organizzato che combina tutte le attrazioni individuate dalla cultura classica, scientifica e romantica, ma colorandole di pittoresco. La discesa dal Vesuvio diviene un divertente ruzzolone, il paesaggio sorrentino è uno sfondo per la tarantella, l’ingresso alla Grotta azzurra di Capri è un’emozione mozzafiato. Questo tour, perfezionato anche dall’inglese Thomas Cook (1808-1892), avrà tale forza da riprodursi fino ai giorni nostri.
Contemporaneamente, in linea con l’Europa, che sta reinventando il soggiorno alle acque, nel Golfo di Napoli si impone Castellammare di Stabia, poco a sud di Napoli, facilmente raggiungibile ed economicamente vivace, sede dei cantieri navali del regno. Un’eccezionale ricchezza di acque minerali, un sito reale chiamato Quisisana e l’apertura di cantieri di scavo archeologico avviano al successo la cittadina, che ai primi dell’Ottocento attrezza anche il proprio litorale per la recentissima moda del bagno di mare.
Questo è il panorama del Golfo, quando, alla svolta degli anni Settanta dell’Ottocento, dopo l’unificazione italiana, Napoli, non più capitale, comincia a scontare la sua disattenzione per la cultura dell’igiene, che intanto è in veloce diffusione in Europa.
L’architetto Lamont Young (1851-1929), napoletano di origini scozzesi, ne propone un rilancio, progettando nel 1888 un complesso turistico balneo-termale, destinato a una frequentazione altoborghese, da realizzare sul litorale di Bagnoli, a nord della città. Invece proprio su quest’area nel 1906 verrà impiantato il polo siderurgico dell’Ilva, occupando una vastissima area sul mare.
Le carenze igieniche in città e gli impianti industriali dell’area flegrea spostano gli interessi degli operatori e degli investimenti, pubblici e privati, sulle località meridionali del Golfo. Castellammare diviene un’elegante ville d’eaux, anche se di richiamo regionale. Sorrento, già stazione climatica dell’high life europea, combina il turismo ad altre attività economiche in eccezionale espansione: agricoltura specializzata in agrumicultura, artigianato di pregio ed economia marittima; nella cittadina l’ascesa di gruppi borghesi porta a investimenti in funicolari, ascensori, riscaldamenti, illuminazione e trasporti. Infine a Capri il capitalismo milanese, impegnato nelle regioni meridionali nella produzione di energia elettrica, opera importanti investimenti in infrastrutture e nell’acquisizione e ristrutturazione dei primi alberghi, lanciando così l’isola nel turismo internazionale.
Tra le due guerre la politica fascista ritocca appena la geografia turistica del Golfo: i servizi al turismo si concentrano ancora a Napoli, la cui immagine è opportunamente ripulita. La città è rilanciata come ponte per l’Oltremare. Quanto alle località minori, il regime guarda con particolare attenzione a Sorrento, essendo la località che riceve più flussi stranieri, ragione per la quale è subito dotata di un’Azienda autonoma nel 1926, per la gestione dell’imposta di soggiorno. A Capri, anch’essa dotata di Azienda nel 1927, la cosiddetta bonifica turistica provvede a ripulire l’immagine dell’isola, che in realtà continua a essere rifugio di eccentrici italiani e stranieri e in qualche caso di critici del regime. Castellammare, città operaia difficile da allineare politicamente al fascismo, perde lo splendore della ville d’eaux di età liberale e ripiega sul soggiorno termale per fasce popolari. Infine Pompei: qui il regime è interessato non solo al sito archeologico, bensì anche al Santuario della Beata Vergine del rosario che già attrae flussi di pellegrini italiani, e che diviene anche meta di gite del dopolavoro.
A Napoli le operazioni belliche del secondo conflitto mondiale, e in particolare i bombardamenti al porto e alla stazione, colpiscono anche gli alberghi collocati in prossimità dei due luoghi di arrivo. I danni comunque coinvolgono quasi tutto il patrimonio alberghiero, danneggiato da requisizioni e occupazioni militari. A Sorrento e a Capri, invece, risparmiate dalle distruzioni, giungono prima colonie di soldati tedeschi feriti, poi i comandi militari alleati e subito dopo, a turno, i flussi di soldati americani e inglesi in riposo.
La ricostruzione è avviata con slancio e nel 1948 Alcide De Gasperi (1881-1954) inaugura il tratto della Circumvesuviana che arriva fino a Sorrento. È una vera e propria ferrovia turistica, che abbraccia l’intero arco meridionale del Golfo. Le stazioni sono collocate in prossimità delle attrazioni: all’ingresso degli scavi di Ercolano, di Pompei, delle terme di Castellammare di Stabia, delle terme Scrajo di Vico Equense, fino a raggiungere Sorrento. Nel 1952 viene aperta la funivia del Faito che, partendo dalla stazione Circumvesuviana di Castellammare di Stabia, sale dal mare alla montagna in otto minuti; dallo stesso anno è attiva la seggiovia del Monte Solaro di Anacapri, che consente di ammirare il panorama dell’isola. Sulle vette i turisti trovano solarium e American bar.
Nel 1950 nelle regioni meridionali, e dunque anche nel Golfo di Napoli, l’intervento pubblico avviato con i fondi del Piano Marshall, destinati alla ricostruzione, continua in regime straordinario con la Cassa per il Mezzogiorno. I primi progetti, interessanti anche il turismo, mirano a potenziare le infrastrutture e a sostenere beni culturali e ambientali, molti dei quali non avevano mai ricevuto attenzione. Con i primi stanziamenti vengono impiantati gli acquedotti sottomarini per le isole di Ischia e di Capri (1958); viene prolungata l’autostrada Napoli-Pompei fino a Salerno; si riprende a scavare a Cuma, a Ercolano, a Pompei, a Paestum e a Stabiae e vengono recuperate le regge e i parchi di Caserta e di Capodimonte, devastati dalle occupazioni militari. È una stagione importante, nel corso della quale il nesso tra turismo e beni culturali è testimoniato dall’attività di Amedeo Maiuri (1886-1963), archeologo, non a caso chiamato a presiedere l’Ente provinciale per il turismo di Napoli.
Contemporaneamente appare urgente anche valutare il livello dei servizi, perché la ripresa dei flussi è veloce e chiede un’offerta adeguata. Si scopre così che a Napoli proprio la gravità delle distruzioni procurate dalla guerra ha prodotto una ricostruzione radicale e dotato la città di un’offerta ricettiva che per un terzo è praticamente nuova, mentre per un’altra parte, assai consistente, è radicalmente ristrutturata. Della ricostruzione si sono avvantaggiate anche le località minori del Golfo. Il credito alberghiero promosso dalla Cassa per il Mezzogiorno è concentrato soprattutto nelle località del Golfo di Napoli, e in particolare a Capri, nei comuni della Penisola sorrentina e nell’isola d’Ischia, dove si cerca «per diverse vie, ma senza successo», di frenare lo sfruttamento delle sorgenti con metodi improvvisati e artigianali – carattere che le strutture sull’isola conserveranno – e di organizzare l’offerta termale secondo un piano industriale (Cassa per le opere straordinarie 1956, p. 20). In ogni caso, un po’ ovunque molti alberghi sono stati rinnovati e/o costruiti ex novo, impiegando maioliche locali e arredi di artigianato; le camere affacciano tutte sul paesaggio, sono solari e luminose e molte hanno la vista sul mare (Ente provinciale per il turismo di Napoli 1956, p. 50). D’altra parte, il turismo del dopoguerra italiano ed estero, anche nel Golfo di Napoli, come nel resto del Mediterraneo, ricerca solarità, musica, divertimento, spensieratezza.
Angelo Rizzoli (1889-1970), editore e produttore cinematografico, elegge Lacco Ameno, centro dell’isola di Ischia, come sua residenza estiva. L’imprenditore milanese riqualifica e amplia le terme Regina Isabella, e attira a Ischia attori di fama mondiale, assieme a giornalisti e politici. A Capri intanto il jet set internazionale si ripopola e detta moda. Anzi, la mondanità dell’isola è tale da spingere gli artisti a spostarsi sulla Costiera amalfitana, la cui costa alta non agevola però l’arrivo di elicotteri, l’attracco di panfili e lo sbarco di star. È un mondo parodiato da Totò nel film L’imperatore di Capri, girato sull’isola da Luigi Comencini nel 1949. Nel Golfo, infatti, è il momento della cinematografia, avida del paesaggio italiano più solare e dell’umanità più calorosa, celebrati nel 1955 da Dino Risi, che ambienta a Sorrento Pane, amore e…, con Vittorio De Sica e una superba Sophia Loren. Ovunque nel Golfo i caratteri luminosi e colorati dei centri balneari estivi hanno la meglio sui vecchi profili dei luoghi di soggiorno climatico e termale, anche se continuano a convivere antiche e nuove pratiche turistiche, come la villeggiatura dei napoletani e la cura termale. La forza terapeutica delle acque di Castellammare di Stabia e di Casamicciola, i fanghi e le stufe flegree continuano ad attirare impiegati, operai, commercianti, contadini provenienti dalle province interne e dalle regioni vicine, che si adattano a un’ospitalità semplice e privata, persino in convivenza.
Per completare il quadro va ricordato che negli anni Cinquanta la ripresa del turismo nel Golfo di Napoli si combina con il rilancio degli investimenti industriali: l’intervento straordinario sostiene l’insediamento di nuovi impianti sull’intero arco del golfo, escludendo solo le isole e la Penisola sorrentina. Ovunque sorgono capannoni e, soprattutto, si fa spazio al petrolchimico; a Torre Annunziata nel 1951 si installa la Lepetit, che diventerà in pochi anni una delle più importanti produttrici di antibiotici. Dunque, industria e turismo continuano a convivere, ma in alcuni spazi sono ormai incompatibili.
Negli anni Sessanta la domanda di mare italiano è in continuo aumento, e i litorali dell’Adriatico settentrionale e di Liguria e Toscana, più vicini ai confini e dunque ai Paesi emettitori, già dagli anni Cinquanta rispondono a flussi di turismo di dimensione ormai massificata. In questa dinamica il Golfo di Napoli accumula uno svantaggio, visto che l’Autostrada del Sole sarà inaugurata solo nel 1964 e che sull’aeroporto di Napoli ancora per molti anni non opereranno voli charter. Tuttavia, come attesta un’indagine sui gusti dei turisti stranieri, condotta dall’Ente nazionale italiano per il turismo (1965, p. 23), Napoli è la città più desiderata dopo Venezia, Roma e Firenze. Proprio in virtù di questo appeal così forte, alcuni agenti napoletani, cresciuti nel comparto dei servizi a terra alle crociere, riescono a ritagliare per le località del Golfo una parte dei flussi attratti in Italia da agenti ‘ricettivisti’ (operatori italiani residenti in Centro Italia che organizzano servizi per turisti stranieri nella fase di arrivo), i quali utilizzando l’aeroporto ‘charteristico’ di Pisa, fanno incoming, ovvero organizzano viaggi per turisti stranieri, operando in questo caso soprattutto a favore delle località balneari, dei litorali toscani e romagnoli. Questi, da una posizione di indubbio primato, fanno da intermediari tra la domanda europea, raccolta e organizzata all’estero da piccoli e medi operatori, e l’offerta del Golfo di Napoli.
Tra le agenzie attive a Napoli in questi anni ricordiamo la Cima Tour, fondata da Adamo Maddaloni nel 1949, che ha sede nella piazza della stazione ferroviaria e che si specializzerà soprattutto sul mercato tedesco, e la Aloschi Bros., fondata dai fratelli Alessandro e Adolfo Aloschi nel 1946, specializzata nel fornire servizi a terra per i passeggeri delle navi che viaggiano tra Europa e Americhe. È la Aloschi che invia a Pisa i propri bus e bus leader che, dopo aver accolto i gruppi all’aeroporto, scendono nel Golfo percorrendo le strade statali e provinciali, le uniche allora disponibili. Sono turisti in gran parte destinati ad alberghi della Penisola sorrentina, anche se la domanda eccezionale di turismo balneare comincia ad assalire anche Ischia, che rompe così con secoli di storia, nel corso dei quali non era mai riuscita ad agganciare lo sviluppo del termalismo.
Così, anche il Golfo conosce il turismo di massa, con tutti i suoi ‘strascichi’: ogni anno sono migliaia le contravvenzioni per molestia ai turisti, per accattonaggio, per i minori lasciati per strada, per pappagallismo e per rumore molesto (Ente provinciale per il turismo di Napoli 1964, p. 127).
Intanto, negli stessi anni Sessanta, la Napoli turistica e pittoresca, seducente per popolarità e mondanità, musicale, solare e piena di attrazioni culturali, comincia a vacillare. Gli alberghi napoletani, rinnovati nel dopoguerra, appaiono già vecchi a confronto di quelli sorrentini e capresi. La Cassa del Mezzogiorno ha infatti destinato il suo intervento a cittadine con meno di 400.000 abitanti, escludendo praticamente il capoluogo da ogni beneficio, e favorendo invece i centri costieri minori e le isole. Edificare a Napoli, ormai satura urbanisticamente, costa infatti di più: tra il 1955 e il 1961 con 512 milioni di lire, assegnati dal Ministero del Turismo, erano stati costruiti 10 alberghi in città, ma nella provincia, con 806 milioni, ne erano stati edificati ben 40. E tra il 1961 e il 1966 nella sola Penisola sorrentina ne vengono costruiti altri 38.
A Napoli dunque non resta che un turismo invernale di natura commerciale, mentre i musei e le gallerie cominciano a svuotarsi: a fine anni Sessanta non raggiungono il mezzo milione di visitatori l’anno, mentre Firenze già ne conta circa due milioni e Roma, nei soli Musei vaticani, riceve un milione di visitatori, tutti paganti. Ma a Napoli, essendo i tour sempre più rapidi, le agenzie di viaggio tendono a eliminare dai programmi di visita le attrazioni minori.
In un incontro pubblico, organizzato nel 1969, a Enzo Fiore, presidente dell’Ente provinciale per il turismo (EPT), che dichiara la necessità di fare dei musei e dei monumenti il «motivo di attrazione principale per i turisti», Raffaello Causa, soprintendente alle Gallerie, risponde: «Vi dirò che a noi, uomini dei musei, i turisti non interessano, perché sono pochi, sono distratti, sono impreparati, sono incolti, mentre normalmente il museo deve essere un istituto culturale alla stregua di una biblioteca, di una sala di concerto, di un’aula universitaria» (Ente provinciale per il turismo di Napoli 1969, p. 16). Evidentemente i primi segni di crisi del turismo in città producono incomprensioni sia del fenomeno turistico nella sua dimensione massificata, sia dell’immaginario dei turisti, biasimati perché a Capri «vengono portati ai grandi magazzini, affinché vi facciano acquisti di souvenirs; invece della visione del ricordo dei Faraglioni e dell’Arco Naturale essi portano via la scatoletta intarsiata, il foulard e le cravatte» (Ente provinciale per il turismo di Napoli 1969).
Di fatto per l’Italia gli «anni facili» del turismo sono volati via (Ente provinciale per il turismo di Napoli 1965, p. 4) e, già ai primi degli anni Sessanta, Spagna, Grecia, Iugoslavia, Bulgaria e Tunisia, grazie al potenziamento dei mezzi di trasporto aereo, sono entrate nel mercato turistico. Da Roma partono indagini e studi per concentrare l’intervento straordinario su quei tratti di costa meridionale dove è possibile sviluppare un’offerta balneare. Si sa però che sulle coste dell’Adriatico settentrionale lo sviluppo veloce del turismo ha prodotto squilibri territoriali, e allora si prevede di intervenire comunque sulle coste, ma coinvolgendo anche le aree interne. Sulla carta dell’Italia meridionale vengono disegnati così 30 comprensori turistici: sono tutte aree suscettibili di sviluppo tranne una, quello del Golfo di Napoli, che, dicono i progettisti, è già matura e necessita piuttosto di interventi mirati ad attenuare gli squilibri.
Il piano di coordinamento degli interventi pubblici nel Mezzogiorno, pubblicato nel 1970, prevede infatti la perimetrazione di un «comprensorio turistico vesuviano, delle isole del Golfo di Napoli, della Penisola sorrentina e della Costiera amalfitana», nel quale occorre rompere con lo sfruttamento «monodirezionale» delle risorse balneo-marine, redistribuendo i flussi, concentrati sulla costa, sulle aree interne più prossime (Occasioni di investimento nel Mezzogiorno: il comprensorio turistico vesuviano, delle isole, del golfo di Napoli, della penisola sorrentina e della costiera amalfitana, a cura dello IASM, Istituto per l’Assistenza allo Sviluppo del Mezzogiorno, suppl. «IASM-Notizie», 1970, 71, p. 2). Ma questa resterà solo una proposta, perché il mondo del turismo vi si opporrà decisamente: «In modo assoluto, […] nessuno si faccia prendere dalla tentazione di ostacolare ogni ulteriore sviluppo del turismo nelle zone costiere o, peggio, addirittura di comprimerlo» (Ente provinciale per il turismo di Napoli 1971, p. 7). Sono ancora parole di Enzo Fiore, presidente dell’EPT di Napoli, che sostiene che bisogna invece continuare a concentrare gli interventi sulla Penisola sorrentina e sulle isole, perché le aree interne della Campania non hanno speranze, non potendo competere nemmeno con l’Abruzzo. Il disegno dall’alto di territori turistici confligge con la storia turistica del Golfo di Napoli, dove da circa due secoli la domanda e l’offerta si incontrano liberamente. La politica di piano è avvertita come un freno inopportuno alla velocità di flussi che sono ancora in aumento.
Nel 1970, all’atto dell’istituzione dell’ente Regione, la Campania è al sesto posto in Italia per arrivi turistici – dopo Lombardia, Toscana, Veneto, Liguria e Lazio – e al settimo per presenze, dopo l’Emilia-Romagna. Nella geografia turistica del Mezzogiorno è la regione più forte, ma è ormai chiaro che questo primato, così come la performance della provincia di Napoli all’interno della regione, sono indici di squilibri, piuttosto che di vantaggi (Ente provinciale per il turismo di Napoli 1971, p. 5). È su questo scenario che, nel 1973, a Napoli scoppia un’epidemia di colera, causata da frutti di mare contaminati provenienti dall’Africa settentrionale. I contraccolpi sul turismo sono immediati e, come in un’emorragia, Napoli perde posti letto. Mentre la pratica turistica del momento osanna il mare e la spiaggia, in più della metà dei litorali del Golfo viene vietata la balneazione.
L’EPT di Napoli, avvertendo il turismo in una «posizione di stallo», insedia d’urgenza un comitato tecnico. Una serie di mappe tematiche mettono nero su bianco la situazione del turismo nel Golfo, rapportando la distribuzione dei servizi ricettivi e complementari e dell’offerta culturale alle condizioni dell’inquinamento e della mobilità. Le conclusioni dell’indagine denunciano prima di tutto l’assenza di un piano territoriale di coordinamento, che aggrava lo squilibrio tra zone costiere ad alta densità di strutture produttive e zone più interne che ristagnano economicamente; a questo si aggiunge una mobilità su gomma che in alcune zone è «paralizzante» e «prossima al collasso», penalizzando direttamente il movimento turistico, che non usa più il treno, bensì l’autobus. Abusivismo e disordine urbanistico soffocano non solo Napoli: per salvare quel che resta delle 122 ville straordinarie del Miglio d’oro, già devastate da bombardamenti e saccheggi durante la guerra, è stata necessaria una legge speciale nel 1971, ma nel resto della provincia, al 1974, solo un terzo dei comuni ha approvato il piano regolatore e tra questi «mancano le tre isole del Golfo e quasi tutti i comuni della Penisola sorrentina!» (Ente provinciale per il turismo di Napoli 1974, p. 18).
La giovane Regione, alla quale viene contestata la «mancanza di chiari indirizzi programmatici» (p. 16), nel 1974 vara una legge (la nr. 17 del 13 maggio 1974) che vieta le costruzioni su una fascia costiera larga 500 m, in attesa dei piani regolatori. È uno sforzo per salvare dalla speculazione più selvaggia le coste delle isole e in particolare quelle della Penisola sorrentina, che attende uno specifico piano di assetto, allo studio di una commissione regionale.
D’altra parte le statistiche parlano chiaro: gli sbarchi a Capri, dopo un trend di crescita già sostenuta e continua dal 1950 al 1970, crescono di oltre un milione negli anni Settanta, passando da 1,9 a 3,2 milioni. Nella Penisola sorrentina, dalla metà degli anni Sessanta a fine anni Settanta, le strutture hanno risposto al raddoppio di arrivi e presenze aumentando più del doppio i posti letto. Certamente le imprese hanno reinvestito i profitti, visto che i posti letto in prima categoria sono raddoppiati e quelli in seconda sono triplicati, ma la concentrazione eccessiva dei flussi ogni stagione provoca una crisi sulla mobilità, aggravata dalla presenza dei villeggianti napoletani. Napoli, infatti, chiede con insistenza seconde case e riproduce sulle isole e in particolare a Sorrento il proprio modello di espansione, o meglio di speculazione edilizia: il condominio organizzato in ‘parco’, nel quale i napoletani vivono in vacanza replicando la propria dimensione quotidiana in città. E non è solo un problema urbanistico, bensì di sostenibilità dell’intero sistema turistico, visto che Sorrento, con 8000 posti letto, possiede la maggiore concentrazione di capacità ricettiva esistente in Campania e nel Mezzogiorno, ma la forza del suo turismo, fondato su una dimensione esclusivamente alberghiera, è anche la sua debolezza. Si riflette allora sulla necessità di penetrare ancora di più i mercati, di destagionalizzare, di non forzare l’accumulazione dei posti letto, di diversificare ciò che la domanda tende a uniformare e standardizzare, offrendo un ventaglio di offerte e prezzi e, magari, di strutture complementari. Ma sono argomenti che per ora hanno poca presa, come si desume anche da un interessante dattiloscritto del 1976, conservato presso l’archivio dell’Azienda autonoma di cura, soggiorno e turismo di Sorrento e Sant’Agnello. Piuttosto, per bilanciare l’aumento del costo del lavoro, che fa seguito all’introduzione dello Statuto dei lavoratori nel 1970, le imprese turistiche cominciano a consorziarsi, allo scopo di contenere i costi e investire in promozione.
Il terremoto del 23 novembre del 1980 chiude definitivamente i pur stretti orizzonti di un governo regolato e coerente del turismo regionale, delineati e auspicati dalla stagione di impegno e di denuncia degli anni Settanta. Il sisma devasta i centri dell’interno, ma mette in ginocchio anche la città di Napoli. Per rispondere all’emergenza dei senza tetto vengono utilizzati gli alberghi sulle coste. Tuttavia, mentre nella Penisola sorrentina, già nella primavera del 1981, la forza dell’imminente stagione turistica porta a liberare le strutture occupate, nel resto della provincia la presenza dei terremotati graverà su una condizione di degrado già consistente: sul litorale flegreo ai danni del terremoto si aggiungeranno quelli prodotti nel 1973 dal bradisismo, una forma di vulcanesimo secondario che già nel 1970 ha costretto Pozzuoli a evacuare interamente l’antichissimo quartiere di Rione Terra.
Gli anni Ottanta vedono dunque una concentrazione ancora maggiore del turismo nella Penisola sorrentina e sulle isole del Golfo, che, assieme alla Costiera amalfitana e alla linea di costa salernitana e cilentana, rappresentano un polo turistico attivo, ma collocato in un contesto meridionale che non cresce. Tra il 1983 e il 1988 le presenze straniere nel Mezzogiorno crescono poco più del 7%, mentre in Spagna aumentano dell’11%, in Grecia del 26%, del 47% in Iugoslavia e del 38% in Portogallo, grazie a politiche che incoraggiano i voli charter. In una stagione nella quale il turismo è fortemente intermediato e standardizzato nella formula del pacchetto ‘viaggio aereo e soggiorno’, tutto incluso in mezza pensione, i turisti stranieri arrivano nel Golfo di Napoli ancora in autobus, visto che i voli charter sono ancora limitati su Napoli e operano in gran parte su Roma. In questa fase, che va dalla metà degli anni Sessanta a tutti gli anni Ottanta, il ruolo degli agenti locali è fondamentale, visto che intermediano tra l’offerta degli alberghi e la domanda estera organizzata. Nella sola Penisola sorrentina le strutture alberghiere nel corso degli anni Ottanta raddoppiano di nuovo i posti letto. È un fenomeno parossistico. Complice il terremoto e una cultura dell’abusivismo dilagante, gli alberghi lievitano di anno in anno, sopraelevando o scavando nel tufo e nella roccia. Sempre a Sorrento troviamo concentrati numerosi agenti che addirittura rappresentano in zona tour operator europei, ai quali offrono i servizi in loco. Tra questi Giovanni Galati, già attivo dalla fine della guerra per conto dell’Agenzia Pier Busseti, che fonda l’AVI (Agenzia Viaggi Internazionali), Alfonso Fiorentino, con l’omonima agenzia, e Stragazzi e Mastellone, che creano la Goldentour, corrispondente dell’austriaca Loacker tours e di operatori inglesi. Contemporaneamente, Vinicio Morelli fonda nel 1953 la Ovest viaggi e nel 1970 nasce la Acampora travel di Adolfo Acampora, che ha tra i suoi clienti operatori inglesi aggressivi, tra i quali Clarksons travel group. Va citata ancora la Russo travel, prima agenzia rappresentante di operatori inglesi, come Lunn Poly e la Thompson. Nel 1977 Antonino Amuro dà vita alla Executive travel service (ETS), specializzata in particolare sul mercato scandinavo, che comincia a mostrare interesse per Sorrento e le isole del Golfo e il turismo su gomma, per conto di operatori inglesi con clienti di mezza età; quando nel 1982 nasce l’Associazione agenti di viaggio della Penisola sorrentina, lo stesso Amuro ne diviene presidente. La storia delle agenzie di viaggio è un capitolo della vicenda del turismo in Campania ancora tutto da ricostruire.
Di certo, questa indubbia capacità operativa assegna una rilevante autonomia a poche località turistiche, che funzionano come delle enclave nella geografia regionale. Il colloquio con lo spazio pubblico è dunque irrilevante e non va oltre la necessità di avere come interlocutori amministrazioni locali sostanzialmente conservatrici, capaci cioè di garantire i servizi necessari affinché gli operatori locali e stranieri operino con tranquillità. Ed è chiaro anche perché non ci siano pressioni politiche per riformare l’assetto istituzionale. Già all’atto della sua istituzione, l’ente Regione ha conservato gli organismi pubblici preposti al turismo a livello provinciale e locale e che risalgono al ventennio fascista, vale a dire i cinque Enti provinciali e le Aziende autonome di cura, soggiorno e turismo, negli anni divenute ben quindici, ma alcune delle quali tra le più antiche d’Italia, come quelle di Sorrento, Capri e Pozzuoli.
Nel 1983 una legge quadro – la l. 17 maggio 1983 nr. 217 – giunge a definire in maniera dettagliata l’organizzazione turistica nazionale, proponendo un modello di governance al quale le Regioni devono uniformarsi, individuando all’interno del proprio territorio gli «ambiti territoriali turisticamente rilevanti», da affidare a delle Aziende di promozione. Nel 1987 anche la Regione Campania si allinea alla norma nazionale e tenta una «riorganizzazione delle strutture turistiche pubbliche in Campania», con la «istituzione delle Aziende di promozione», emanando la l. 25 ag. 1987 nr. 37. Pur considerando l’intero territorio regionale «a vocazione turistica», la Regione individua 17 aree rilevanti. Nell’area del Golfo di Napoli, peraltro, il piano non prevede grandi cambiamenti, eccetto l’assegnazione a Sorrento dei territori di Vico Equense e di Castellammare di Stabia, con la soppressione delle vecchie Aziende turistiche. In realtà, così come i comprensori degli anni Sessanta, anche gli ambiti territoriali turisticamente rilevanti degli anni Ottanta resteranno un puro esercizio e le Aziende di promozione non vedranno mai la luce. Intanto, per effetto della legge, dal 1987 le Aziende autonome e gli Enti provinciali per il turismo vengono affidati a commissari liquidatori ed entrano così in un regime di transizione mai risolto, destinato a protrarsi fino ai giorni nostri.
Negli anni Novanta la provenienza e il profilo della domanda turistica si rinnovano e si arricchiscono. Ai tradizionali flussi, generati dalle regioni italiane e dall’Europa nord-occidentale, si aggiungono quelli provenienti dai Paesi dell’ex Unione Sovietica. Napoli, la straordinaria città dell’arte e della cultura, riprende a interessare il turismo, dopo circa trent’anni di trend negativo, nel corso dei quali il milione di arrivi e i tre milioni di presenze dei primi anni Sessanta si sono ridotti, ai primi degli anni Novanta, rispettivamente a mezzo milione e a poco più di uno (Eramo 2004). Nel 1992, dunque, arrivano i primi segnali di ripresa: nasce l’iniziativa Maggio dei monumenti, che cerca di rianimare l’offerta culturale e quella commerciale lungo gli antichi decumani, ponendo, con un successo di pubblico indiscutibile, l’urgenza di rendere fruibile e sicuro il centro antico, che nel 1995 entra nella lista del Patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO.
Tuttavia, rispetto alle grandi città mediterranee, come Genova o Barcellona, Napoli ha accumulato ritardo nella fase di riqualificazione delle sue aree industriali e da più parti si ritiene che la sua gentrification promossa dal governo di Antonio Bassolino – prima nel ruolo di sindaco, dal 1993 al 2000, poi in quello di governatore della Regione, nel decennio successivo – non sia affatto convincente. Mentre Napoli vive questa debole ripresa, le località turisticamente più avanzate del Golfo non possono che seguire i mutamenti del mercato turistico europeo, che negli anni Novanta va verso una politica di fusioni e acquisizioni di piccoli e medi operatori da parte degli operatori maggiori. Il risultato è la crescita a dismisura di pochissimi brand, che, riuscendo a controllare l’intera filiera turistica, arrivano a dettare la politica sul territorio, provocando la fine dell’intermediazione locale.
Dai primi anni Novanta i colossi del turismo europeo dominano dunque nel Golfo, operando addirittura con propri buyers. Si tratta, per es., della TUI (Touristik Union International), agenzia tedesca fondata nel 1923, che nel 2000 acquisisce la Thomson travel e nel 2002 l’Hapag-Lloyd, trasformandosi in società per azioni; nel 2007 la divisione turismo della TUI AG si fonderà con l’inglese First choice holidays PLC (nata nel 1973 come Owners abroad), divenendo così la più grande azienda per il turismo del mondo, capace di muovere 30 milioni di passeggeri l’anno. Dimensioni analoghe ha il Thomas Cook group, che nel lontano Ottocento iniziava la sua fortuna operando proprio nel Golfo di Napoli, anch’esso frutto di fusioni continue a partire dagli anni Ottanta del Novecento – con Airtours, Neckermann, Condor airlines ecc. – e capace di muovere circa 20 milioni di passeggeri. Questi giganti del tour operating già nei primi anni Novanta, per abbattere i costi, chiedono la mezza pensione e stringono contatti direttamente con gli hotel, sancendo così la fine dei piccoli e medi operatori campani. L’intermediazione locale si riduce dell’80% e mentre alcune aziende si esauriscono per età anagrafica dei loro proprietari, altre si specializzano in servizi specifici, soprattutto nelle escursioni. Ed è proprio il settore delle escursioni che in questi anni comincia ad avere più prospettive: con l’aumento delle crociere nel Mediterraneo il porto di Napoli si candida di nuovo, come nel primo Novecento, a essere anche porto turistico.
A partire dal nuovo millennio anche nel turismo sono visibili gli effetti dell’accelerazione dei processi di deindustrializzazione, della diffusione di Internet agli utenti privati, avviata nel 1995, e della liberalizzazione dei voli aerei nell’Unione Europea. Inizia a farsi spazio il turismo individuale, e con esso un mutamento di immaginari, di culture e di pratiche turistiche.
Potremmo assumere il limone a simbolo di quest’ultima fase del turismo nel Golfo di Napoli, e con esso il limoncello, che, partendo dalla Penisola sorrentina e da Capri tra il 1989 e il 1990, diviene presto un fenomeno mondiale. Lo straordinario successo di questo rosolio sintetizza mirabilmente il profilo della nuova domanda turistica, che anche sul Golfo non cerca più destinazioni standardizzate, ma territori capaci di offrire autenticità e specificità. È un mutamento che la ristorazione riesce a cogliere subito, occupando anche lo spazio lasciato vuoto dalla chiusura dei reparti cucina e ristorante negli alberghi, visto che i tour operator, per contenere ancora di più i prezzi, preferiscono il trattamento di pernottamento e prima colazione. La cultura della certificazione, presto accolta e diffusa, avvantaggia e innalza non solo la qualità delle produzioni tipiche locali, bensì anche la ristorazione.
Tuttavia, una certa ripresa della ricettività a Napoli e lo sforzo di individuare prodotti turistici nelle aree interne restano tentativi che non riescono a bilanciare le difficoltà nelle quali si dibattono da un secolo quelle aree del Golfo che pure hanno conosciuto il turismo. Basti pensare ai Campi Flegrei, dove la bonifica delle aree industriali non riesce a essere completata e in alcuni casi, come a Bagnoli, resta aggravata da infiltrazioni malavitose; alla fruizione parziale della magnifica area archeologica di Rione Terra, restaurata, inaugurata e chiusa più volte; oppure alle difficoltà che Castellammare di Stabia incontra per riprendere a fare turismo a causa di una bonifica del tratto costiero che si protrae da troppi decenni; oppure al contesto di degrado nel quale sono calate le ville del ‘Miglio d’oro’. A queste antiche criticità si aggiungono le difficoltà fisiologiche delle aree nelle quali il turismo è vitale. Ne ricordiamo qualcuna: prima di tutto le condizioni dei siti archeologici di Pompei e di Ercolano, che troppo spesso riempiono la cronaca nazionale; poi l’abusivismo edilizio sull’isola di Ischia, che non è stata in grado di avvantaggiarsi a pieno della nuova, straordinaria domanda di termalismo in chiave olistica. In generale, non ovunque sul Golfo è chiaro lo slittamento del modello di consumo turistico, in particolare di quello europeo, verso un turismo individuale, che chiede trasparenza e comparabilità di prezzi e servizi; così come non sembra del tutto chiaro che la domanda si va spostando dalle destinazioni ai territori, ai quali gli ospiti chiedono una cittadinanza piena e non parziale e alterata dalla condizione di turisti.
Sono incomprensioni che potrebbero essere attenuate da un intervento politico di raccordo, di guida e di programmazione. Nel 2001 si ritenta un riassetto del governo del turismo regionale: il 13 dicembre la giunta presieduta da Bassolino licenzia un disegno di legge che prevede una consulta che affianchi l’assessorato al turismo, un’Agenzia con un Osservatorio e otto Aziende di promozione turistica. Il testo dovrebbe recepire anche le novità introdotte dalla l. 29 marzo 2001 nr. 135, seconda legge quadro del turismo, che intanto rivede l’intera materia: rispetto alla prima, varata nel 1983, le regioni hanno facoltà di scegliere la forma istituzionale più opportuna da dare agli organismi pubblici incaricati di attuare la politica turistica sul territorio, senza essere vincolate all’istituzione di enti dalle caratteristiche prefissate, prevedendo, inoltre, l’istituzione di sistemi turistici locali promossi da enti locali e/o da soggetti privati, singoli o associati. Tuttavia nel corso del decennio (2000-10) che copre i due mandati di Bassolino tutto resta immutato. La Regione, pur trascurando la necessità di delineare una governance, interviene in ambiti specifici, come nella disciplina dei bed & breakfast, delle strutture extralberghiere o degli interventi promozionali.
Con l’insediamento in Regione di Stefano Caldoro nel 2011 si giunge a un nuovo testo di legge, che riesce ad approdare in Consiglio all’inizio del 2013 ma che, un anno e mezzo dopo, non risulta ancora approvato. L’assenza di un orizzonte di politica regionale si accompagna all’antica mancanza di cultura turistica della città di Napoli, che non riesce, con la propria domanda, a modellare nuovi prodotti turistici nelle province interne e che invece continua ad affollarsi sulle aree costiere e sulle isole. Questo vuoto culturale si riverbera anche nella formazione, in particolare in quella accademica. Negli atenei napoletani è presente un’offerta che associa il turismo sia alla gestione dei beni culturali, sia alla gestione aziendale, ma senza visibilità e presenza nel panorama della ricerca scientifica nazionale e internazionale. Ne consegue, da un lato, che gran parte della comunicazione divulgativa turistica della Campania resta delegata a un’editoria prodotta nelle regioni settentrionali e, dall’altro, che la qualità dell’informazione prodotta nella regione, anche nella rete Internet, risulta in gran parte inadeguata e inefficace.
Questo complesso di criticità è emerso di recente nelle analisi condotte per la redazione del Piano strategico del turismo nazionale, voluto dal governo tecnico di Mario Monti, nel quale le città d’arte riconosciute come grandi poli attrattori per i flussi provenienti dai Paesi emergenti, come Cina, India e Brasile, sono Roma, Firenze, Venezia e Milano, ma non Napoli. Le condizioni dei servizi e della fruibilità di beni e valori pesano gravemente sulla valutazione (Presidenza del Consiglio dei ministri 2013). In conclusione, appare dunque certamente urgente una riflessione profonda sulla consapevolezza della città di Napoli e delle località del Golfo di essere custodi, e dunque responsabili, delle testimonianze fondanti della cultura occidentale, ma anche di essere esse stesse testimoni viventi di una storia del turismo che da due secoli alimenta l’immaginario di molta parte del mondo.
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