Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dai romanzi di formazione di inizio secolo alle immagini di adolescenza ribelle degli anni Settanta, i giovani sono i reali protagonisti di gran parte della vita culturale del Novecento, e la loro presenza assume funzioni diverse a seconda dei momenti storici e delle opere in cui compaiono. La gioventù è innanzitutto un valore ideologico, e come tale si accompagna all’elaborazione di forme letterarie nuove o sperimentali. Ma i giovani sono anche personaggi che entrano nella letteratura con forza, facendosi portatori di realtà interiori complesse, difficilmente rappresentabili nel secolo precedente. Con i giovani non sono solo i contenuti della letteratura a rinnovarsi, ma spesso anche le stesse forme che devono esprimere realtà instabili e in continua mutazione.
Il romanzo di formazione
Thomas Mann
Tonio Kröger
La scuola era finita. Attraverso il cortile lastricato si riversavano frotte di allievi finalmente liberi, e usciti dal cancello si separavano andando in varie direzioni. [...] “Oh Hans, vieni finalmente?” disse Tonio Kröger, che aveva aspettato a lungo in mezzo alla strada; con un sorriso andò verso l’amico che chiacchierando con altri compagni usciva dal portone e già s’avviava con loro... “Perché?”, chiese questi e guardò Tonio... “Già, è vero! Dobbiamo fare un tratto insieme”. Tonio ammutolì e i suoi occhi si offuscarono. Hans aveva già dimenticato il loro progetto di fare una passeggiatina insieme dopo l’uscita di mezzogiorno? [...]
Così era Hans Hansen, e Tonio Kröger, dacché l’aveva conosciuto, al solo vederlo era preso da uno struggimento vicino all’invidia, che gli opprimeva il petto con una sensazione di bruciore. Poter avere gli occhi azzurri come i tuoi, pensava, e vivere come te, ordinatamente e in felice intesa col resto del mondo! Tu sei sempre occupato in qualcosa di decoroso e universalmente rispettato. Quando hai finito i compiti, prendi lezioni di equitazione, o lavori col traforo; e anche durante le vacanze, al mare, sai passare il tempo remando, nuotando, andando in barca a vela, mentre io me ne sto ozioso e solitario disteso sulla sabbia, intento al misterioso cangiar di espressioni che guizzano via sul volto del mare.
T. Mann, Racconti brevi, Roma, Newton Compton, 1990
Nell’Ottocento il romanzo di formazione propone il racconto di come la società borghese europea, in forme diverse, concepisce il passaggio dalla gioventù alla vita adulta, già sottolineando i due elementi tipici della condizione giovanile: dinamismo e instabilità interiore (Franco Moretti). Mentre nelle culture classiche la gioventù è semplicemente uno stato che prelude all’età adulta, l’Ottocento e poi con più forza il Novecento portano alla luce tutte le contraddizioni dell’essere giovani, fino a che questa condizione concentra, a Novecento inoltrato, tutte le attenzioni del mercato letterario e impone se stessa su tutte le altre.
Il romanzo di formazione si trasforma, all’inizio del secolo, nel romanzo di formazione dell’artista, o del letterato, e questo porta a realizzazioni diverse che corrispondono a esigenze espressive spesso complementari. Si consideri il gruppo formato dai grandi scrittori modernisti: Thomas Mann, Rainer Maria Rilke, James Joyce, Franz Kafka, Marcel Proust e Robert Musil. Ognuno di questi scrittori, prima di approdare al capolavoro che li segna per tutta la carriera, passa attraverso l’elaborazione di un romanzo, o racconto lungo, dove un adolescente si trova alle prese con le realtà esteriori della società e quelle interiori della sessualità, e spesso queste due realtà sono collegate al manifestarsi di una vocazione in campo letterario. Vediamo da vicino alcuni dei giovani personaggi in cui si proiettano questi grandi scrittori. Tonio Kröger (del 1903) è il titolo del racconto di Thomas Mann: diverso dagli amici borghesi che si mostrano sani e belli, Tonio scopre che la sua sensibilità artistica si acuisce contemporaneamente alla perdita della salute, e alla fine di un tormentato percorso esistenziale, si trova estraneo a tutto, sospeso tra il mondo dell’arte, che lo attrae ma lo spaventa, e il mondo della normalità borghese, che lo rassicura ma lo rifiuta. Con Mann si mostra immediatamente uno degli elementi principali che caratterizzeranno le avventure dei giovani per tutto il secolo, lo sradicamento, a cui si accompagna una difficile identificazione sessuale. E anche dal punto di vista formale nel racconto si susseguono pagine di tonalità fortemente lirica con pagine di natura saggistica, un’altra caratteristica che contraddistingue spesso la natura non troppo narrativa ma spesso meditativa di queste opere. Tutto ciò risalta ancor di più nel romanzo di Robert Musil I turbamenti del giovane Törless (Die Verwirrungen des Zöglings Törless, 1906), turbamenti che si fanno luce nella cupa atmosfera di un collegio, e dove si mescolano ambiguamente idee filosofiche e richiami del desiderio. Il giovane Törless viene sottoposto al sadismo dei compagni di collegio, ma diventa lui stesso sadico verso un compagno (l’effemminato Basini) per sperimentare fino in fondo cosa significhi quella passione. Attraverso di lui Musil comincia a teorizzare l’esigenza di una ricerca geometrica e astratta, che mette in luce l’inesattezza del linguaggio verbale per arrivare alla formula ricca di futuro “anima e precisione”: l’anima, cioè l’interiorità, può diventare esatta solo se il linguaggio lo diventa, l’emozione deve poter essere espressa attraverso parole precise. La duplicità tra gli strumenti della ragione, che domina le cose, e la vita oscura dell’irrazionale costituiscono la “doppia vista” di Törless, e nella loro impossibile conciliazione si consuma la sua avventura, tutta tesa allo “sviluppo dell’anima, dello spirito, o comunque si voglia chiamare ciò che si accresce in noi attraverso qualche pensiero”. Ai tormenti razionali si uniscono dunque i desideri e gli impulsi ambigui della sessualità. Non è un caso che siano questi racconti di giovani di inizio secolo i luoghi dove si fa strada per la prima volta l’urgenza di rappresentare gli stati d’animo oscuri che sono al centro del discorso psicanalitico. È nella stanza di una prostituta che Törless scopre la duplicità delle immagini femminili, e mette così in crisi la purezza del ricordo materno: “Questa donna per me è un groviglio di tutte le voglie sessuali; e mia madre una creatura che si è mossa attraverso la mia vita come una stella…”. Ed è la volontà di capire fino in fondo la natura delle sevizie subite da Basini che lo porta ad avere con lui un rapporto omosessuale, nato proprio dalla volontà di sondare “i remoti nascondigli dov’era accumulato tutto ciò che v’era di segreto, proibito, afoso, vago e solitario nella sua anima”. Di fronte alle sue bizzarre teorie prodotte da dubbi morali, saranno le stesse autorità del collegio ad assecondarne l’allontanamento, a indicare quindi che la formazione del giovane non può più avvenire in istituzioni tradizionali e che la soggettività si sta disgregando sotto i colpi prodotti dalla conoscenza profonda di sé.
Se il personaggio di Musil conclude il suo percorso teorizzando sulla doppia vita delle cose, sull’aspetto segreto della realtà, Stephen Dedalus, protagonista del Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce (A portrait of the Artist as a Young Man, uscito sulla rivista “The Egoist” nel 1914 per volontà di Ezra Pound, ma preceduto fin dal 1904 dai frammenti poi pubblicati con il titolo Stephen hero, in italiano Le gesta di Stephen), cerca nella rivelazione della realtà, quella che con termine desunto da Gabriele d’Annunzio, è chiamata “epifania”, lo strumento con cui poter rappresentare linguisticamente un’esperienza conoscitiva superiore. Anche la ribellione di Stephen parte da un collegio, in questo caso di Gesuiti, e si allarga dalla famiglia all’intera nazione, l’Irlanda. Ma da quegli stessi Gesuiti Stephen, come il suo creatore, ha imparato a ragionare attraverso Aristotele e san Tommaso d’Aquino, che egli mette alla prova di continuo nella sua ricerca artistica. Così le “epifanie” sono momenti del quotidiano che si caricano di valori simbolici intensi. Nelle primitive stesure del romanzo, Joyce immagina che Stephen colga frammenti di dialogo camminando per Dublino, e a partire da questi decida di costruire un libro intero. Il Ritratto sembra costruito secondo questo principio, e la critica vi individua 12 nuclei di epifanie, anche se Stephen qui non usa mai il termine e nell’Ulisse addirittura se ne parlerà ironicamente. Si può pensare dunque che all’altezza del Ritratto la tecnica dell’epifania, che sta per essere abbandonata, rimandi proprio alla volontà di cogliere rapidamente l’esperienza del protagonista, esasperandone la problematicità e le tensioni sia intellettuali sia spirituali. In Joyce risalta molto chiaramente come la messa in scena di un personaggio giovane sia connessa a problemi di natura artistica in via di elaborazione, a un continuo sperimentalismo. La dinamicità e l’instabilità del personaggio sono il riflesso della ricerca dell’autore. E l’ansia di ribellione di Stephen nei confronti della società si realizza ancora una volta in turbamento sessuale, come nella famosa scena finale del capitolo secondo, quando una prostituta lo bacia con determinazione: “Sul cervello, come sulla bocca, gli premevano quelle labbra, come fossero il mezzo di un linguaggio vago; e tra di esse sentì una pressione sconosciuta e timida, più cupa del deliquio del peccato, più molle di qualunque suono o odore” (trad. it. di Cesare Pavese, 1940).
Ancora più estrema l’operazione di Rilke nei Quaderni di Malte Laurids Brigge (Die Aufzeichnungen des Malte Laurids Brigge, del 1910), in cui si racconta dell’ossessione di un personaggio che viene aggredito da apparizioni sempre più angosciose della realtà, come se ogni aspetto del mondo rivelasse un eccesso di espressione che disgrega progressivamente il soggetto narrante. Rilke trasporta in prosa, senza forzare la forma narrativa, le esperienze della poesia, e crea catene di immagini che si collegano secondo la logica di un ritmo lirico. Ogni episodio del racconto rappresenta o un momento del presente parigino del protagonista o un ricordo del suo passato, secondo una logica complementare per cui alla dispersione caotica del presente si contrappone la solidità del mondo antico, in un alternarsi continuo di presenze e assenze che popolano il mondo del protagonista di visioni. L’angoscia continua di fronte alle percezioni alterate del reale porta Malte a rifugiarsi nella rievocazione dell’infanzia, tanto invocata quanto impossibile da raggiungere. Si trova qui una delle origini del mito dell’infantilismo che, derivando dalla rappresentazione della giovinezza, ricorre in molti momenti della letteratura novecentesca (ed è al centro dell’opera di un grande scrittore come Witold Gombrowicz).
Lo possiamo ritrovare in Proust, per esempio, che dedica molte pagine della sua Recherche du temps perdu (e dell’opera che la precede e la prepara, Jean Santeuil) a investigare sensazioni infantili o adolescenziali per trovare in esse la radice di un presente personale e collettivo ma soprattutto l’origine di una vocazione artistica. Ma la troviamo con forza anche in opere successive della cultura francese, come Il grande Meaulnes (Le grand Meaulnes , 1913) di Alain Fournier, o Il diavolo in corpo (Le diable au corps, 1923) di Raymond Radiguet, o I ragazzi terribili (Les enfants terribles, 1929) di Jean Cocteau. In quest’ultima opera, Cocteau fa dell’adolescenza un concentrato dove turbamenti sessuali e aspirazioni estetiche si mescolano indissolubilmente, nell’avventura di un invasamento che coglie due fratelli, Paul ed Elisabeth, rendendoli vittime di una malattia epocale, la Poesia. I due ragazzi cercano, nella loro bizzarria, di incarnare un’esistenza totalmente poetica, e sono nello stesso tempo dominati da un destino che li sovrasta come in un’opera classica. Cocteau trasferisce in un interno borghese di chiara natura déco il tema tragico dell’incesto, mescolando racconto e teatro, mito e pastiche (i greci e Racine), nel rapporto che unisce, ancora alla luce di cupi istinti sessuali, Paul al compagno di scuola Dargelos, bello e impossibile, ed Elisabeth al fratello Paul, in un crescendo di perfidie e complicità che porta alla morte parallela dei due giovani protagonisti. Ma che la giovinezza sia diventata una via di fuga di fronte al reale lo dimostra la continua descrizione di stati d’incoscienza dei due fratelli, desiderosi di “dormire da svegli un sonno che mette al riparo e restituisce agli oggetti il loro vero significato”. Cercando spesso di cadere in uno stato di dormiveglia volontario, i due giovani restano ancorati al mondo dell’infanzia e del sogno, che significa anche mondo del gioco, dell’arte e del desiderio protratto (una metafora, secondo alcuni critici, della dipendenza dall’oppio vissuta da Cocteau sulla propria pelle in questi anni).
Anche il Diavolo in corpo di Radiguet (che muore a 20 anni e riesce a pubblicare solo quest’opera) racconta di un’educazione che si sviluppa fuori dalle istituzioni scolastiche e di un adolescente che approfitta della sua libertà per dedicarsi completamente all’amore per Marta, sposata a un giovane militare assente, al fronte della prima guerra mondiale. Quando la ragazza rimane incinta e muore di parto, il protagonista si rende conto che la sua presunta eccezionalità si riduce a poco, e alla passione segue la presa di coscienza della sconfitta esistenziale alle soglie del mondo adulto.
Abbiamo dunque visto una serie di elementi che caratterizzano i racconti della gioventù nei primi decenni del secolo: sfiducia nelle istituzioni come luoghi di maturazione e ricerca di nuovi spazi esperienziali, rapporto di tensione con le regole della famiglia borghese ed emergere di pulsioni sessuali proibite, blocco sulle soglie del mondo adulto e regressione pericolosa dall’adolescenza verso l’infanzia, perdita di contatto con la realtà e ricerca espressiva orientata verso mondi alternativi (il sogno, l’invisibile, la memoria, la fantasia ai limiti del delirio). Non è un caso che tutte queste caratteristiche siano il segno di una sfiducia non solo nel normale processo di crescita ma nello stesso strumento tradizionale del romanzo che serviva a rappresentarlo. E infatti le opere ricordate sono anche tentativi per rinnovare profondamente la forma romanzesca, spesso concepita come contenitore di frammenti lirici o di lunghi inserti saggistici e ragionativi (elemento questo che rimane una costante in tutto il romanzo novecentesco).
Per quanto riguarda l’Italia, dopo le esperienze degli scrittori che gravitano intorno alla rivista “La Voce”, dove spesso si pone il problema delle nuove generazioni in rapporto a nuove forme della cultura, il blocco più consistente di opere dedicate alla rappresentazione dei mondi giovanili (dell’infanzia o dell’adolescenza) lo troviamo in momenti storici diversi lungo tutto il secolo, dagli anni Trenta in poi: Il garofano rosso (1933) di Elio Vittorini; Agostino (1944) di Alberto Moravia; Il sentiero dei nidi di ragno (1947) di Italo Calvino; Ernesto di Umberto Saba (1953, ma pubblicato solo nel 1975); La confessione (1955) di Mario Soldati; L’isola di Arturo (1957) di Elsa Morante; Una questione privata (1963, postumo) di Beppe Fenoglio. I protagonisti di queste opere sono diversi tra loro per età, per appartenenza sociale e per le realtà culturali e simboliche in cui si muovono. Basti pensare, ad esempio, che Pin, il personaggio di Calvino, è un orfano poverissimo che vive la guerra partigiana in Liguria con l’ottica immatura di un bambino che trasfigura fantasticamente le avventure degli adulti, mentre l’Agostino di Moravia, di ricca famiglia borghese, vive un’iniziazione mancata alle soglie dell’adolescenza durante una vacanza estiva in Versilia, che lo porta a contatto con un gruppo di coetanei di bassa estrazione sociale. Punti di consonanza si trovano invece se si guarda alla presenza di elementi costanti, soprattutto nei racconti che toccano da vicino l’adolescenza e l’educazione sentimentale o sessuale dei personaggi. Il Clemente di Soldati viene educato dai Gesuiti e vuole diventare gesuita egli stesso, ma l’incontro casuale con un’ignota signora in ascensore e poi con un’amica della madre gli rivelano la realtà spaventosa del peccato carnale che lui consuma con un amico, in un rapporto omosessuale favorito in un certo senso dalla sua stessa oppressiva educazione religiosa. L’Arturo della Morante prova i turbamenti dell’amore quando conosce la giovane matrigna, Nunziatina, che il padre Wilhelm conduce sull’isola dove il ragazzino vive quasi in solitudine selvaggia dal momento che la madre è morta partorendolo. Ma l’educazione di Arturo può completarsi solo dopo che egli stesso scopre l’omosessualità del padre e, rifiutato dalla matrigna, decide di abbandonare per sempre il luogo magico dell’isola. L’Ernesto di Saba, cresciuto a contatto simbiotico con la madre, deve passare attraverso un’iniziazione omosessuale prima di poter affrontare una complementare esperienza eterosessuale e infine la vocazione artistica e l’età adulta. In tutto queste opere emerge con forza una componente di natura psicanalitica che assume un valore politico molto esplicito, la crisi cioè della figura paterna, anzi l’assenza vera e propria del padre, che si traduce spesso in una messa in crisi di ogni valore borghese e nel compiacimento per gli aspetti oscuri, non definiti della personalità. Probabilmente ha molto peso sugli autori italiani la scoperta delle teorie psicanalitiche, ma anche il fatto che molti di questi autori nascono o si formano durante il ventennio fascista, e in loro la ribellione verso gli stereotipi maschili del regime è ben presto evidente.
Spaesati e ribelli
Bisogna aspettare gli anni Sessanta perché il ribellismo giovanile, e poi la volontà di contestazione, diventino a tutti gli effetti oggetti di interesse letterario. Anticipano i tempi Il giovane Holden (1951) dell’americano Jerome David Salinger (1919-2010), che racconta di Holden Caulfield, un giovane arrabbiato, anticonformista, che odia il denaro, la borghesia, la stupidità dei coetanei, e il famoso (anche grazie alla versione cinematografica di Stanley Kubrick) Un’arancia a orologeria di Anthony Burgess (A clockwork orange, 1962), ambientato in un’Inghilterra futura dove bande di giovani criminali operano violenze sotto l’influsso di droghe e ideali superomistici. Alex racconta in prima persona le avventure della sua banda, che lui escogita eccitato dalla musica di Beethoven. Quando si arriva all’omicidio, Alex, tradito dai compagni, viene catturato dalla polizia e accetta di sottoporsi a un piano di rieducazione definito “cura Ludovico”. Legato a una sedia, con gli occhi tenuti aperti da un marchingegno, il ragazzo è costretto a vedere filmati di violenza sempre crescente, mentre rimbomba nelle sue orecchie l’amata musica sinfonica. Finita la cura, Alex esce dal penitenziario guarito, ma ormai ridotto a un burattino, incapace di scelte morali, appunto un meccanismo a orologeria. Si trova così a subire tutte le violenze di coloro che erano stati oltraggiati da lui e finisce, per la disperazione, a cercare il suicidio buttandosi dalla finestra. Pur ridotto in pessime condizioni Alex si salva e sembra pronto a riprendere una vita normale, aiutato dagli stessi rappresentanti del potere che volevano guarirlo.
L’apologo di Burgess, con la sua mescolanza di violenza, ribellione, sopraffazione operata dal potere e ritorno all’ordine sembra preannunciare l’ultima parte del secolo, caratterizzata da un esplodere delle culture giovanili, quelle sottoculture teorizzate da Dick Hebdige nel 1979, in uno studio che assume Jean Genet a modello di operazione sovversiva. Teddy boy, punk, skinhead diventano, nelle realtà giovanili inglesi, i portatori di nuove verità che sembrano per sempre precluse alla cultura degli adulti. È quanto spiega nel 1973 Pier Paolo Pasolini in un articolo che esce sul “Corriere della Sera” e analizza il fenomeno dei capelli lunghi portati dai giovani a partire dalla metà degli anni Sessanta, un segnale corporeo che indica un nuovo modo di comunicare prescindendo dal linguaggio. Per Pasolini si tratta di una contestazione di cui presto si appropria l’ideologia politica, e gli stili giovanili vengono assorbiti nel giro di pochi anni dall’industria neocapitalistica che trasforma ogni fenomeno di contestazione in merce commerciabile: l’uso dei capelli lunghi diventa presto un fenomeno di moda.
Dalla prima e dalla seconda contestazione giovanile, quella del 1968 e quella del 1977, la letteratura italiana elabora nuove immagini della gioventù, ormai lontane da quelle di inizio secolo anche se alcuni elementi (la famiglia, la sessualità, la regressione, il viaggio) sembrano rimanere gli stessi. Gli scrittori da ricordare per questo momento sono Gianni Celati, che costruisce attraverso una serie di racconti fondati sulla riscoperta del comico (Le avventure di Guizzardi, 1973; La banda dei sospiri, 1976; Lunario del paradiso, 1978) le avventure picaresche di personaggi disadattati, disarmati di fronte al mondo adulto fatto di buon senso e discorsi seri, Pier Vittorio Tondelli, che inaugura con Altri libertini (1980) la stagione della nuova letteratura giovanile italiana, elaborando una scrittura ritmica vicina al parlato, con storie di emarginazione ambientate nella provincia emiliana, e infine Aldo Busi, che in Seminario sulla gioventù (1984) costruisce il racconto di una ricerca di identità fondata sulla messinscena di un io ipertrofico e imprendibile, dove si mescolano autenticità ed esibizione.
Tra le ultime istantanee del secolo dedicate all’instabilità e alla ricchezza del mondo giovanile si segnala La casa del sonno (The house of sleep, 1997) dell’inglese Jonathan Coe, un racconto di formazione vissuto da un gruppo di ragazzi che si trova a studiare in un vecchio college poi trasformato da uno di loro in apparente casa di cura per le malattie del sonno ma in realtà luogo di oscure sperimentazioni. Ambientato tra gli anni Ottanta e il decennio successivo, il racconto di Coe usa lo stato del sonno insieme al sogno e in parallelo al cinema per rappresentare l’ansia di trasformazione e di memoria delle ultime generazioni del Novecento. Conturbante è invece la rappresentazione dell’adolescenza offerta dallo scrittore inglese Ian McEwan in Il giardino di cemento (1978), aspra immagine di una famiglia in cui i ragazzi, dopo aver perso il padre, si trovano a far fronte al trauma della morte della madre amata e decidono di seppellirla in un baule nella cantina, per non farsi dividere dai servizi sociali. L’assenza dei genitori, il blocco psicologico alle soglie del mondo adulto, l’intreccio tra sessualità e ansie di morte, tra tenerezza e violenza, caratterizzano l’atmosfera del romanzo, capostipite di una vera e propria moda narrativa degli anni seguenti.