Il fenomeno urbano. Periodo tardoantico e medievale
di Letizia Pani Ermini
A partire dal VI secolo nelle fonti occidentali l'impiego del termine urbs sembra essere sempre più raro e sostituito da quello di civitas sia in riferimento alla popolazione che alle strutture materiali: i testi parlano di civitas a solo constructa, di civitas destructa, di civitas diruta, ecc. e i riferimenti topografici indicano costantemente, ad esempio, extra ovvero intus o infra civitatem. Il termine urbs rimane il più delle volte riferito a Roma per l'Occidente e a Costantinopoli per l'Oriente. Dal medesimo periodo la città, specie in trattati militari o in resoconti di guerra, è indicata spesso come castrum riferendosi in particolare al suo carattere di insediamento fortificato. Alla caduta dell'Impero romano d'Occidente, che segna convenzionalmente l'inizio del Medioevo, non tutto il territorio conosciuto è urbanizzato: l'opera di urbanizzazione antica aveva interessato i Paesi del Mediterraneo comprendendo in Occidente la Gallia sino al Reno e le Isole Britanniche. Pertanto l'Europa settentrionale, centrale e orientale dovrà attendere ancora alcuni secoli per avere strutture cittadine. Nei territori di più antica romanizzazione lo studio della città dal V al IX secolo deve innanzitutto valutare, pur con la dovuta attenzione alle coordinate spaziali e temporali, tre diversi fenomeni oggettivi: abbandono degli antichi centri, continuità di vita in quelli esistenti, fondazione di nuovi insediamenti. A questo ultimo gruppo parteciperanno chiaramente anche le regioni non romanizzate. È noto che per l'Italia non tutti i municipi romani sono sopravvissuti come tali nell'Alto Medioevo: secondo talune stime molti, meno però di un terzo del totale, andarono in rovina o scomparvero. La storiografia ha per lungo tempo attribuito il loro abbandono a cause belliche, riconoscendo nella discesa oltre le Alpi dei Visigoti, culminata nella presa di Roma nel 410 ad opera di Alarico, l'inizio delle distruzioni perseguite poi dai Vandali e quindi dai Longobardi. La critica attuale, pur riconoscendo la portata negativa delle azioni militari, vede nell'abbandono un fenomeno di lunga durata attribuibile piuttosto a cause economiche e/o a calamità naturali. Nelle altre regioni urbanizzate non si riscontrano in genere fenomeni di abbandono del sito geografico, anche se le forme di sopravvivenza sono ancora scarsamente definibili, ad eccezione dell'Asia Minore, per la quale si è parlato di fine dell'urbanesimo antico all'inizio del VII secolo, riconoscendone la causa nei mutamenti politici.Di fatto il fattore continuità assume forme estremamente diversificate nei modi e nel tempo a seconda delle aree geografiche. La stessa tesi di H. Pirenne (1925), che basandosi sulla sostanziale tenuta della vita urbana e degli scambi commerciali durante i secoli caratterizzati dalle migrazioni dei popoli germanici aveva riconosciuto nelle invasioni degli Arabi e nella conseguente insicurezza del Mediterraneo il reale momento di cesura fra mondo classico e mondo medievale, ancorché dibattuta dalla critica è stata recentemente riaffermata ad esempio per quanto attiene la Penisola Iberica, dove la cesura si realizzò unicamente al momento della caduta del regno visigoto nell'VIII secolo. Sullo stesso tema è ancora aperto il dibattito su quali possano essere i criteri di definizione dei centri urbani nell'Alto Medioevo: in sostanza ci si domanda a quali città del mondo classico possa ancora essere attribuita tale dignità nei secoli che vanno dalla caduta dell'Impero romano d'Occidente alla loro rinascita in età comunale. È stato proposto di riconoscere la città come tale per la sua componente fisica ben determinata (lo spazio circoscritto dal circuito delle mura, che costituiscono l'elemento che la distingue dal territorio e nello stesso tempo determinano l'essere o il non essere un dato spazio abitato considerato città), per la sua componente demografica (i cives), per la sua componente giuridica (il regime che si instaura entro la cerchia muraria fra i cives stessi), asserendo quindi che la sua definizione deve tener conto delle funzionalità istituzionali dell'amministrazione tardoantica, dell'insediamento demico, ovvero del tessuto e delle strutture urbanistiche. Nella storiografia sino agli anni Ottanta l'essere città si basa sostanzialmente sulla valutazione degli aspetti politico-amministrativi da un lato, ovvero dei caratteri economici e demografici dall'altro. Una formulazione più articolata dei criteri affida il riconoscimento della dignità di centro urbano ad un insediamento che risponda a precisi requisiti, quali la posizione centrale rispetto ad un territorio da esso dipendente, l'autonomia amministrativa, la presenza di opere pubbliche, una base economica differenziata con un surplus che stimoli le attività artigianali e determini un sistema di scambio, una percentuale di lavoro non agricolo, la presenza di una gerarchia sociale, il concentramento e la consistenza quantitativa della popolazione. Requisiti difficilmente riscontrabili in toto nel singolo insediamento, almeno sulla base delle attuali conoscenze, ma che, anche se riconosciuti parzialmente, hanno indirizzato verso l'accettazione di una sostanziale sopravvivenza nell'Alto Medioevo di molte delle città romane. Al contrario, anche di recente, ponendo come "modello" la città classica, sulla base di giudizi negativi in tema di scambi, di regressione qualitativa delle strutture materiali e dell'affermazione del concetto di "città rustica", è stato negato il carattere urbano dei centri altomedievali (Carandini 1993). In sostanza, in tale periodo si avrebbero sistemi gerarchizzati di villaggi o centri protourbani e non centri urbani. A parte la dubbia legittimità di assumere il "modello" classico come riferimento nella definizione di città nell'Alto Medioevo, sembra più giusto richiamare un ulteriore criterio, che appare in verità meno controverso e fuorviante, e che pone come discriminante la percezione dei contemporanei: "si parlerà di città là dove le fonti stesse ricorrono al termine civitas per indicare un insediamento demico contrapposto a villa o vicus" (Bordone 1980). In tema di istituzioni è convinzione diffusa che a partire dal V secolo e in quelli immediatamente successivi entri definitivamente in crisi il sistema urbano classico: in area occidentale tale convincimento può ritenersi giusto nei limiti di una valutazione che interessi un ampio arco cronologico. Per quanto riguarda l'ordinamento, questo alla fine dell'Impero d'Occidente aveva raggiunto una fondamentale unità e la vita urbana si era raccolta nella curia, che nominava i magistrati cittadini e deliberava sulle materie riguardanti gli interessi comuni; tale ordinamento si conservò almeno formalmente nel periodo goto e nella restaurazione bizantina in linea di diritto le città continuarono ad essere amministrate dalle curiae, anche se di fatto entrate in crisi. Con l'avvento dei Longobardi lo stato di guerra più o meno permanente portò di fatto al prevalere delle necessità militari su quelle civili e, quantunque la qualifica urbana sia stata in taluni casi tolta per punizione (Fredegarii Historia Francorum, I, IV, 7), pur tuttavia rimase inalterato il valore della città intesa come centro di potere e di difesa anche se si parla, almeno in parte, di altre città (Verona, Pavia, Lucca, Spoleto, Benevento, ecc.) rispetto a quelle che erano preminenti in età classica. È stato anzi sottolineato come nella costruzione del regno longobardo si evidenzi il controllo degli insediamenti urbani i cui abitanti continuarono a portare il nome di cives, tant'è che si ritiene che anche gli arimanni divenissero cives, in quanto avevano residenza in città e ivi possedevano anche beni. In area orientale nella persistenza in vita della fitta rete di città che caratterizza il territorio all'avvento di Giustiniano, secondo quanto documentano le fonti scritte, si manifesta con maggiore evidenza la crisi delle istituzioni urbane: di fatto nelle città si assiste ad un vuoto di potere locale, a favore di un'amministrazione centralizzata con l'autorità imperiale che interviene anche nella gestione dei fondi per la costruzione e la conservazione del patrimonio edilizio. Accanto al potere civile e a quello militare, divenuto spesso preponderante, non solo si mantenne, ma fu potenziato il potere del vescovo nella capillare organizzazione diocesana costituitasi dal IV al VI secolo e ridimensionata da Gregorio Magno con l'accorpamento di diocesi limitrofe. Un potere sempre più riconosciuto ufficialmente, al punto che più di una disposizione imperiale testimonia l'avvenuto assorbimento di funzioni pubbliche da parte dell'autorità vescovile. Già Anastasio I (491-518) aveva esteso per legge le prerogative dei vescovi e spesso ad essi sono demandate la costruzione di nuove cinte murarie e la responsabilità della loro manutenzione subentrando ai curatores civitatis, come già da tempo doveva avvenire se, ad esempio, per Edessa è il vescovo ad elevare conventi, come di sua spettanza, ma anche a costruire torri e ponti e ad assumersi la tutela della sicurezza delle strade, con compiti precipui dell'amministrazione civile. Una costituzione del 530 poneva, per volere di Giustiniano, i vescovi a capo dell'amministrazione finanziaria della città affidando loro il controllo delle spese relative ai lavori pubblici. La presenza della sede vescovile mantiene infine la dignità di civitas di un insediamento, al di là della sua consistenza e dello stato delle sue strutture materiali. Nello studio della città devono essere riconosciuti due aspetti condizionanti e operanti nel passaggio dall'Antichità al Medioevo: la trasformazione religiosa e sociale avvenuta a seguito della penetrazione del nuovo credo cristiano e la presenza limitatamente ad alcune regioni del Mediterraneo dei popoli delle migrazioni. Questi due aspetti si traducono sul piano urbanistico nell'inserimento degli edifici a carattere cristiano nel tessuto preesistente e nel duplice rapporto di distruzione da parte degli eserciti e di ricostruzione da parte delle nuove classi dirigenti germaniche. L'avvio al processo di mutazione del paesaggio urbano fu dato dall'edificazione di chiese, oratori e monasteri che si sostituirono inizialmente e il più delle volte alla proprietà privata e, a partire dal V secolo sempre in maggior misura, agli edifici di carattere pubblico. Tale processo è maggiormente apprezzabile nelle città sedi di diocesi, nelle quali il complesso episcopale divenne frequentemente il maggior fattore poleogenetico nella formazione della città medievale. A partire dal VI secolo è codificata una sostanziale inversione di tendenza nel progettare una città: i dettami dei trattati militari bizantini raccomandano di non dare peso alla bella apparenza delle strutture urbane, quanto invece alla sicurezza. Naturalmente nelle città già esistenti si deve provvedere alla costruzione di opere che adeguino gli impianti alle nuove esigenze. Le mura divengono l'elemento essenziale e qualificante i centri urbani: la loro antica sacralità viene potenziata dalle dediche delle porte a martiri i cui sepolcri erano ubicati lungo le vie di accesso, a santi militari e agli angeli; sulle medesime porte è attestata la presenza di oratori o "cappelle", anche lignee, come menziona già Gregorio di Tours per le città di Parigi, Amiens e Rouen, ovvero come conosciamo nell'antico Palazzo di Diocleziano a Spalato. E l'intera città sarà posta sotto la protezione divina: Civitatem istam / tu circumda D(omi)ne et / angeli tui custo/diant muros eius (Corvey). Dalla solidità e dall'efficacia delle mura dipenderà molto spesso la sopravvivenza o meno della città. Il processo di fortificazione dei centri urbani del nuovo impero di Giustiniano si articola secondo procedimenti diversificati nelle singole regioni. Nella parte orientale si assiste alla ristrutturazione delle città, segnatamente lungo il limes persiano, città che vengono cinte da mura per l'intero spazio urbano (Dara, Sura, Zenobia, Resafa, ecc.) in continuità dal secolo precedente che aveva visto già applicato un sistema di triplice linea di difesa costituito da mura, antemurale e fossato messo in opera, ad esempio, a Costantinopoli sotto Teodosio II. Nelle regioni dell'Africa settentrionale Giustiniano, avendo trovato le città prive delle cinte abbattute dai Vandali che, poco esperti nell'arte degli assedi, avevano preferito rinunciare ai centri fortificati ed eventualmente affrontare i nemici in campo aperto, avviò un sistematico sistema difensivo attrezzando tali città con forti interni o esterni allo spazio abitato: ne sono relativi esempi Leptis Magna ove fu cinto di mura il cosiddetto Foro Vecchio, ovvero Sufetula ove si assiste ad una proliferazione in urbe di nuclei fortificati, o ancora Limisa, Thamugadi (Timgad), Ammaedara (Haidra) con castra ai limiti dell'insediamento romano; le due tipologie si riscontrano nella Sardegna appartenente all'epoca alla provincia d'Africa. In Italia è possibile riconoscere la presenza dei diversi sistemi fortificatori: a città interamente cinte da mura di fondazione classica se ne affiancano altre in cui la difesa fu attrezzata con castra; sono esempi emblematici Ancona e Cuma, ove le rispettive acropoli furono rifortificate per accogliere la cittadinanza nel momento del pericolo bellico. Anche in talune città bizantine sono stati riconosciuti simili nuclei difensivi di dimensioni ridotte rispetto ai relativi spazi urbani: i casi di Ankara, di Sardi, ove ugualmente furono fortificate le alture, quello di Mileto, con il caposaldo difensivo attestato sul teatro, e l'altro di Efeso, con un castrum all'esterno sulla collina ove era ubicato il santuario giustinianeo di S. Giovanni, sembrano potersi ascrivere ad interventi del VII secolo. Tale processo di fortificazione necessita ancora di ulteriori approfondimenti segnatamente nell'ottica dei rapporti fra castra e spazio urbano, rapporti male interpretati con l'aver voluto identificare nel castrum la nuova realtà urbana sin dal momento della loro costruzione, con il conseguente abbandono dell'antico spazio abitato. Tale fenomeno indicato nella storiografia come "retrazione" della città è senza dubbio attestato, ma nella lunga durata e con inizio di norma nei secoli successivi. Le ricerche di archeologia urbana hanno evidenziato i fenomeni seguenti che, pur nel particolarismo che domina i secoli dell'Alto Medioevo, possono essere riconosciuti come caratteri comuni: l'abbandono più o meno precoce degli edifici pubblici (ad eccezione naturalmente delle chiese); il mantenimento, generalmente attestato sino all'VIII secolo, dei tracciati viari che però non riescono a salvaguardare di norma i propri limiti rettilinei e le quote di pavimentazione; l'innalzamento dei livelli di calpestio determinato dall'accumulo di terre, di crolli e di rifiuti; la limitazione dello spazio costruito nelle singole unità edilizie a favore di orti e di aree aperte; la destinazione funeraria di ampie zone in urbe; l'impiego in larga misura nell'edilizia di materiale di spoglio. Fenomeni da inquadrarsi in una generalizzata situazione di crisi, segnatamente sul piano economico, accompagnata da una parabola discendente del livello demografico. Ad ogni modo sia l'organizzazione urbanistica che le diverse tipologie edilizie sono conosciute ancora per un assai scarso numero di città e in queste relativamente a taluni quartieri ed inoltre sono state lette il più delle volte in chiave di persistenza o meno delle strutture classiche, e raramente è stato posto l'accento sul "nuovo". Per l'area bizantina è stato di recente riconosciuto come uno dei fattori più importanti per misurare il sensibile declino delle città il quadro quantitativo fornito dai ritrovamenti numismatici che, nei luoghi oggetto di ricerche archeologiche, durante i secoli dal VII al IX registrerebbero una flessione marcata nella circolazione delle piccole monete bronzee impiegate nei commerci quotidiani, ad indicare quindi un abbandono anche se graduale dell'economia di mercato. È un elemento che va utilizzato con molta prudenza e non disgiunto mai da una precisa valutazione della funzione che il singolo ritrovamento monetale ricopriva nel contesto archeologico di provenienza, funzione quanto mai soggetta a molteplici varianti di tempo e di luogo. Uno degli elementi originali e caratterizzanti gli insediamenti nell'arco dei secoli suddetti è senza dubbio rappresentato da quegli empori commerciali, menzionati nelle fonti come vici o burgi (Wike o Burgen), che si diffusero nelle regioni centro-settentrionali dell'Europa a partire già dal VII secolo. I termini generalmente designavano insediamenti sorti fuori delle mura delle città ovvero piccoli agglomerati indipendenti e fortificati. Nati come punto di incontro di mercanti e organizzati sul piano urbanistico con edifici in legno allineati su un'unica via, accolsero presto una popolazione stanziale e articolata socialmente, ma che non raggiunse nella maggioranza dei casi un effettivo radicamento nel territorio; per tale ragione e per la mancanza di fatto dei requisiti propri degli insediamenti urbani, essi ebbero breve durata e sparirono nell'arco di due secoli passando le loro funzioni a nuovi e vicini Wike. Esempi di continuità restano Magonza e Colonia, mentre ebbero questa origine, ma a partire dal IX secolo, Bruges (Vicus Brutgis) e Anversa (Vicus Antwerpis). È opinione convinta e suffragata da documenti scritti e archeologici che a partire dal IX secolo si assista, nelle città a continuità di vita, ad opere di generale ripristino e all'attuazione di progetti urbanistici su larga scala. Dalla città monocentrica del periodo romano si passa alla città policentrica: le sedi e gli spazi deputati al potere civile, al religioso e all'economico divengono fattori poleogenetici nella formazione della città medievale. Per l'Occidente è esemplare il caso di Roma, ove a cominciare dal pontificato di Adriano I (772-795), durante il quale la città fu di fatto un enorme cantiere di restauro, si assiste ad una sistematica ripresa dell'attività edilizia volta non solamente ai complessi di carattere religioso, bensì anche al ripristino delle strutture pubbliche, comprese quelle difensive. Tale piano trova la sua più qualificante attuazione nella fondazione della civitas Leoniana ad opera di Leone IV (847-855): di fatto ci si limitò a cingere con mura una realtà insediativa già esistente, sorta in relazione e in funzione della tomba venerata dell'apostolo Pietro. Quello dell'urbanizzazione dei borghi sorti ai limiti delle città classiche, in connessione nella maggioranza dei casi a santuari martiriali di larga frequentazione nei pellegrinaggi altomedievali, è fenomeno ancora da valutare nella sua ricaduta sul piano urbanistico. I casi di Ostia con la costituzione della Gregoriopoli, di Lucca con il borgo di S. Frediano, di Nola con il complesso di S. Felice si pongono come altrettanti esempi delle diverse valenze che tali borghi possono assumere in rapporto alle città di pertinenza: se infatti nel primo caso è lecito riconoscere al borgo il carattere di cittadella fortificata, ultimo resto della città romana, nel secondo si assiste ad un ampliamento dello spazio urbano come era avvenuto per Roma; per Nola infine il nucleo abitativo sorto intorno al polo cultuale ha dato vita nel tempo ad un insediamento autonomo, il centro di Cimitile. Una medesima ripresa cittadina è attestata nelle regioni orientali, a cominciare dalla stessa Costantinopoli, che pur è stata riconosciuta come unica vera grande città nei territori bizantini per i primi secoli dell'Alto Medioevo. Accanto a fenomeni rivitalizzanti nelle città di fondazione classica inizia ora un processo di nascita di nuovi centri, specie nelle regioni estranee alla cultura urbana romana. Nei territori dell'Europa centrale e settentrionale, se inizialmente le vicende dello sviluppo urbano furono legate a fattori militari di difesa dai popoli dell'Est, con la costituzione di numerosi castra ai quali fu presto dato diritto di mercato, dai secoli IX e X tali insediamenti mercantili si consolidano avviandosi alla loro caratterizzazione in senso urbano. Polo militare e polo mercantile sono dunque i fattori poleogenetici delle città europee, poli a lungo riconoscibili negli impianti urbani (ad es., Bruges, Magdeburgo). Un terzo elemento, la presenza episcopale, è stato riconosciuto come forza generante la città, specie nelle regioni ad est del Reno: ivi emblematico è il caso di Amburgo ove sono presenti, anche se con destini diversi a seguito del saccheggio operato dai Vichinghi nell'845, i tre elementi generatori. Nei territori anglosassoni la presenza romana aveva favorito una serie di castra più che vere città; in essi la ripresa sul piano urbanistico della maglia viaria ortogonale fu caratterizzata dalla prevalenza dei due assi principali intesi in chiave chiaramente cristiana come crux viarum (meno evidente in centri come Canterbury e York per le numerose fasi succedutesi a partire dal VII secolo, definisce centri come Chichester Exeter, Wareham, Cricklade, Wallingford, Chester). Caso emblematico di riutilizzo di un antico castrum è Winchester, oggetto di una sistematica e vasta indagine archeologica: la maglia della nuova città è caratterizzata dal mancato attraversamento da parte delle vie trasversali dell'asse stradale (high street) che la divide in due metà. Castelli e attività commerciali sono all'origine delle città nell'Europa orientale, dalla Grande Moravia alla Polonia. Nella Russia si assiste ad una vistosa diffusione di centri abitati a partire dal X secolo: è ancora in discussione se l'origine delle città sia da attribuire ad influenze esterne, slave o scandinave, ovvero sia il risultato di un naturale e autoctono sviluppo: il caso di Novgorod, indagato archeologicamente, ha consentito di proporre una possibile diretta derivazione dalle tre comunità agricole individuate, con una unificazione intorno al X secolo e la definitiva designazione a città con l'istituzione della sede diocesana. In Italia il fenomeno dell'abbandono di taluni centri portò alla nascita di nuove città: esempio emblematico rimane la laguna veneta con la fondazione di Torcello, Murano, Rialto, Iesolo, Caorle, Eraclea, Malamocco e Chioggia; al 604 sembra potersi attribuire l'erezione del castrum Ferrariae, noto attraverso i documenti e confermato dai dati archeologici, con un ruolo di scalo fluviale in un punto di passaggio obbligato all'interno della Pianura Padana. In altri casi la scelta dei nuovi siti porta a privilegiare i luoghi di altura al riparo dai danni delle catastrofi naturali, specie inondazioni, e maggiormente difendibili da attacchi militari: forse già al IX secolo si può attribuire la nascita della nuova Otricoli sul colle prospiciente la pianura attraversata dal Tevere ove sorgeva l'Ocriculum romana, ed è dell'854 la fondazione a solo di Leopoli, la civitas creata da papa Leone IV per dare rifugio agli abitanti di Civitavecchia oppressi dalle incursioni dei Saraceni. Nell'856 è fondata la nuova Capua, con un impianto di cui è stata riconosciuta l'originalità anche se furono condizionanti i resti della romana Casilinum. Come a Winchester e in altre città anglosassoni, il disegno urbano si impernia su un asse centrale rettilineo, la via maior o platea, sul quale si innestano a baionetta le vie trasversali, secondo una derivazione di carattere militare dall'impianto delle porte urbiche, ripreso nelle fortificazioni bizantine e arabe, cui si è voluta aggiungere una precisa ispirazione alla cultura islamica; nell'ambito urbano sono state riconosciute almeno due aree racchiuse da un recinto difensivo, il castrum episcopi e il palatium. Nel corso del medesimo secolo si affermano alcuni processi di ampliamento già iniziati nel secolo precedente: nelle scarse operazioni edilizie attribuibili ai Longobardi si pongono gli interventi delle città di Benevento, con la civitas nova, e di Salerno patrocinati da Arechi II (758-787), costituiti da ampliamenti con l'estensione del circuito difensivo che viene a racchiudere una maglia realizzata con poche strade principali ( plateae) alle quali si aggiungono vie secondarie (trasendae a Benevento), stradine o vicoli residenziali (strectolae). L'esempio di Venezia, infine, con le nuove provvidenze difensive, la cinta murata verso est e lo sbarramento con una catena all'altezza del Canal Grande dell'accesso a Rialto (un medesimo accorgimento era stato operato a Roma sul Tevere dal pontefice Leone IV come difesa contro i Saraceni), con la trasformazione del castellum bizantino in palatium, con la costruzione delle chiese ducali di S. Marco e di S. Teodoro e forse con l'erezione della torre cittadina, costituisce senza dubbio un modello di riassetto e consolidamento delle strutture in chiave dichiaratamente urbana. In area bizantina il IX secolo è stato visto come il momento in cui si pongono le basi per la rinascita delle città e dell'economia di mercato che culminerà nei secoli XI e XII. Sul piano archeologico, il positivo fenomeno è meglio documentato in Grecia (ad es., Patrasso, Corinto, Sparta, Tebe e Salonicco). In particolare a Lacedaemonia, la Sparta bizantina, uno dei centri principali del Peloponneso, dopo un abbandono a partire dal VI, si assiste ad una rioccupazione del sito nel IX secolo. A Corinto invece sembra risalire al X secolo l'occupazione con edifici dell'antica agorà, come era avvenuto anche ad Atene; il nuovo insediamento risulta caratterizzato da una fitta maglia di strade e di vicoli, con riutilizzo anche dei monumenti antichi ancora in alzato. A Salonicco infine rimane invariato lo spazio urbano, anche se sembrano attestate zone di disabitato intervallate alle aree edificate. La ripresa mediobizantina delle città presenta peraltro caratteri diversi da quella degli insediamenti urbani dell'Occidente. È stato notato infatti come non si possa parlare di progetto urbanistico intorno ai diversi poli istituzionali, il civile, il religioso, l'economico, ma lo sviluppo è fondamentalmente legato ai numerosi edifici di culto e ai monasteri che vengono a moltiplicarsi nell'ambito urbano, suddividendolo in quartieri, piuttosto che unificandolo in una nuova immagine, per cui anche nelle città sedi di diocesi il potere vescovile non rappresenta più un punto di coesione. A partire dall'XI secolo si assiste ad una generale crescita delle città sul piano urbanistico, in corrispondenza di un accertato sviluppo economico, di una migliorata produttività delle campagne per il perfezionamento dei sistemi e degli strumenti di coltivazione, di una sostanziale ripresa demografica nei secoli dell'apogeo della civiltà medievale europea. Il fenomeno interessa sia i centri a continuità di vita sia le numerose nuove fondazioni soprattutto al di là dell'antico limes romano e nella Penisola Iberica riconquistata, ove la creazione delle città si deve all'opera di signori locali e di sovrani che concessero diritto di mercato e franchigie che favorirono il processo di inurbamento. Ancora una volta i nuovi insediamenti risposero ai due principi di presidiare il territorio e di favorire l'incremento dei mercati: così le salvitates sul Camino de Santiago, le villeneuves e le bastides in Francia, le poblaciones in Spagna, le fondazioni dei re normanni in Inghilterra, dei duchi di Brabante, degli Hohenstaufen in Alsazia e in Svezia, degli Zahringer per Friburgo, degli Schaumburg per Lubecca. Il fenomeno della nascita su larga scala di nuove città non interessò di fatto l'Italia ove l'incremento demografico e le favorevoli condizioni economiche che attrassero non pochi proprietari liberi del contado determinarono lo sviluppo e l'ampliamento dei vecchi centri urbani, in parallelo alla nascita sul finire dell'XI secolo di un nuovo e originale sistema di governo, il Comune. Il potere comunale, distinto da quello vescovile, si afferma attraverso un processo di identificazione che copre un arco cronologico tra la fine del X e l'inizio del XII secolo: in tale periodo si compie anche la trasformazione delle città che raggiunsero tale autonomia di governo. Sul piano delle strutture edilizie si può sottolineare l'eliminazione non solo dall'ambito urbano, bensì anche dal suburbio della curtis e del palatium regio che viene sostituito dalla costruzione del palazzo comunale, la domus comunis, sede stabile del potere comunale. Su quello delle autonomie si arriva con la formulazione degli statuti a costituirsi una tradizione giuridica locale ormai libera dalla legislazione imperiale e statuale, mentre perdura il controllo sul vescovo e sulla sua elezione e di conseguenza anche sulla cattedrale. L'attività economica infine si esplica attraverso numerose fiere e mercati che si erano già consolidati in età ottoniana. L'aspetto urbano viene ampiamente modificato innanzitutto con la sostituzione in muratura delle molteplici strutture lignee o comunque in materiale vegetale che avevano caratterizzato le città altomedievali, sia con l'erezione da parte di ciascun nucleo famigliare della classe nobile di una dimora in città e perlopiù fortificata: la torre infatti diviene l'elemento qualificante il paesaggio della città comunale.
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di Francesca Romana Stasolla
L'organizzazione della città medievale trae le sue origini dal lascito classico nelle regioni già precedentemente urbanizzate dell'Europa sud-occidentale. Altrove, lo sviluppo o il nuovo impianto avvengono sotto la spinta di molteplici esigenze (commerciali, militari, ecc.) che danno luogo a fenomeni urbani diversificati. Sono comunque i centri a continuità di vita a presentare con più evidenza gli elementi caratteristici dell'urbanistica tardoantica e medievale. L'approccio alla lettura della storia urbana è duplice: da un lato vanno considerate le modificazioni che i nuovi assetti religiosi e amministrativi hanno apportato alla topografia urbana di età classica, dall'altro una lettura della cartografia e della toponomastica nei centri ancora in vita consente di ricavare informazioni non altrimenti rilevabili da altre fonti. Le indagini archeologiche nei siti abbandonati e gli interventi di archeologia urbana, oltre alle letture stratigrafiche degli elevati, rappresentano strumenti privilegiati di conoscenza e di verifica delle trasformazioni urbanistiche postclassiche. All'inizio del IV secolo, i primi mutamenti nella topografia urbana sono percepibili nelle nuove sedi imperiali, dove la presenza di palazzi, magazzini, terme altera la gerarchia esistente nella struttura romana di tali città. Nelle altre aree dell'Impero, la crisi istituzionale ed economica, oltre al calo demografico e alla tendenza delle classi agiate a trasferirsi in aree extraurbane, comporta un depauperamento della vita urbana, tanto da aver fatto dubitare alcuni della persistenza di veri e propri centri urbani. Comunque, una prima caratteristica delle città postclassiche è costituita dalla meno percettibile delimitazione del perimetro urbano, i cui confini appaiono di fatto più labili e sfumati, dati i frequenti mutamenti nell'utilizzo delle aree all'interno del circuito murario e la diffusione dell'abitato extramurario. L'inserimento nel tessuto urbanistico degli edifici di culto cristiano costituisce, tra IV e VII secolo, la nota dominante dei mutamenti topografici nelle città romane. Esso determina, nelle città che già in epoca costantiniana avevano funzione di capitale, una modifica della centralità dei principali luoghi del potere e del sacro caratteristica del periodo classico, modifica tanto più sentita in quanto alle strutture ecclesiastiche sono destinate, soprattutto nelle prima fase della cristianizzazione, le aree periferiche, se non addirittura suburbane. Una tale collocazione è tipica delle r ealtà urbane occidentali, mentre nel mondo bizantino le strutture religiose, in particolare quelle monastiche, tendono con maggiore frequenza ad essere intramurarie. La localizzazione degli edifici cristiani nella trama urbanistica, non esclusivamente dettata dalla casualità delle aree edificabili o degli edifici disponibili, come si riteneva in precedenza, sembra ora, secondo le più recenti tendenze degli studi, essere sempre più dovuta a scelte precise. Infatti, prima della pace religiosa (313) i luoghi di culto cristiani (domus ecclesiae) si collocano in edifici privati che subiscono in genere eventuali modifiche solo interne, senza incidere quindi sul panorama urbanistico, come appare evidente dai ritrovamenti sotto le prime chiese titolari romane e dallo stesso complesso di Dura-Europos, il più antico luogo di culto cristiano noto archeologicamente. Le prime costruzioni espressamente ecclesiastiche si devono a Costantino, che a Roma, a Costantinopoli, a Gerusalemme, a Betlemme commissiona edifici religiosi martiriali e devozionali. Gli edifici romani sono particolarmente emblematici nell'analisi della dislocazione topografica del complesso episcopale: la cattedrale venne edificata nell'area del Laterano, su terreni di proprietà imperiale, in una zona intramuraria ma fortemente decentrata, immediatamente a ridosso delle mura. Infatti, non è ancora possibile in questa fase pensare alla collocazione di strutture del nuovo culto in zone centrali della città, non solo per l'ostacolo costituito da una società non ancora cristianizzata, ma anche perché tali aree, a connotazione sia civile sia religiosa, sono ancora in uso nelle loro funzioni originarie. Questa situazione non è caratteristica solo di Roma: anche negli altri centri, come ben evidenziato da recenti studi, il complesso episcopale sin dal periodo paleocristiano si caratterizza, con alcune eccezioni, come urbano, sia pure variamente configurato sul piano topografico. La sua posizione varia appunto dalla periferia urbana (Roma) alle zone intermedie tra quelle sedi del potere civile e quelle di forte concentrazione abitativa in età imperiale (Bergamo), alle aree più centrali della città (Napoli, Ravenna, Benevento) e solo occasionalmente si configura come forense (Ascoli Piceno, Isernia, Imola); talora occupa un intero settore dello spazio intramurario, costituendo così una sorta di cittadella (Ginevra). In altri casi il complesso episcopale è invece extraurbano, sia pur nell'immediato suburbio (Sardegna), comunque sempre in relazione con le principali direttrici viarie (Torino, Parma). Uno dei fenomeni più caratteristici delle città altomedievali è costituito dal recupero dell'acropoli, o comunque dall'uso dell'area più elevata dell'insediamento per la costruzione di edifici di culto, sovente con dignità episcopale (Costantinopoli, Atene), e, soprattutto in Oriente, per la costituzione di castra a scopo difensivo. La posizione di tali castra in rapporto alla topografia urbana può variare, ma la loro collocazione si presenta comunque alternativa rispetto al gruppo episcopale, sottolineando così il dualismo urbanistico tipico delle città altomedievali. Nell'Europa orientale a questi due poli se ne aggiunge sovente un terzo, il mercato, a conferma dell'origine commerciale di molti insediamenti, o un suburbio a forte connotazione artigianale, che talvolta riesce ad agglutinare l'intero abitato. Nella città tardoantica viene generalmente conservata la trama essenziale della viabilità romana, con un progressivo allentamento del reticolo viario che nel corso dell'Alto Medioevo comporterà la progressiva invasione del suolo stradale da parte di privati, fino alla nascita della "curvilineità" caratteristica di molte città medievali. Proprio l'assetto viario tradisce in molti casi l'origine del centro urbano, come nei centri anglosassoni, dove la derivazione da insediamenti castellari appare evidenziata dalla presenza della crux viarum, con due assi principali e vie secondarie dal percorso irregolare, o come nell'andamento a strade parallele di tradizione bizantina e monastica. In altri casi, le opere di monumentalizzazione determinano una nuova gerarchia di percorrenze, come nel caso degli interventi ottoniani che prevedono l'inserimento di aule di culto in una disposizione spaziale cruciforme che fa perno sulla cattedrale. Parallelamente al degrado della viabilità romana si assiste, nei primi secoli del Medioevo, all'alterazione dei livelli pavimentali, con rifacimenti e risarcimenti continui che determinano un progressivo innalzamento di quota di alcune aree. Le prime, sostanziali modifiche alla viabilità romana sono comunque determinate dal costituirsi dei percorsi funzionali ai nuovi poli di interesse costituiti dagli edifici cristiani. In area bizantina, l'organica politica edilizia promossa dagli imperatori Anastasio (491-518) e Giustiniano (527-565) consente di apprezzare gli schemi urbanistici approntati ex novo da architetti imperiali, quali Artemio di Tralle e Isidoro da Mileto il Vecchio realizzatori, insieme con Crise d'Alessandria, di Dara; Isidoro da Mileto il Giovane e Giovanni da Bisanzio, ai quali si deve l'impianto di Zenobia sull'Eufrate. Pur nella mancanza di un modello urbanistico univoco, appaiono evidenti alcune costanti che tracciano il profilo dell'organizzazione degli spazi urbani. Tali città tradiscono in primo luogo le esigenze difensive, che si esprimono spesso nella realizzazione di un nucleo fortificato autonomo ed in posizione dominante, nella conseguente cura destinata alle strutture di approvvigionamento idrico ed alimentare, nel valore simbolico attribuito alla ripartizione degli spazi intramurari in relazione agli edifici del potere laico e religioso. Esemplificativo a questo proposito è l'impianto di Caričin Grad, la Iustiniana Prima voluta da Giustiniano nel sito del suo villaggio natale nell'Illirico, fondata attorno al 530 ed indagata sistematicamente. La città si articola in tre nuclei fortificati autonomamente: l'acropoli, con le sedi amministrative e il complesso episcopale ai lati di una via porticata, la città alta con il foro circolare e la città bassa, di qualche decennio posteriore (540-550), a carattere eminentemente residenziale. Il panorama urbano è caratterizzato da una viabilità ortogonale e dalla presenza di vie porticate e si discosta dai prototipi classici anche per l'assenza degli edifici di spettacolo, oltre che per la presenza massiccia delle aule di culto, almeno sette oltre alla sede vescovile. Tra il III e il IV secolo i più importanti centri urbani sono oggetto di un'intensa attività edilizia, sia pubblica che privata, con la realizzazione tra l'altro di domus caratterizzate da ambienti a terminazione curvilinea. Dall'inizio del V secolo, quasi ovunque si assiste a processi di lento abbandono e degrado, con la mancata diffusione dell'edilizia privata di medio livello, salvo qualche intervento di restauro, e le nuove costruzioni sono pressoché esclusivamente edifici di culto. In Italia gli interventi di renovatio teodoriciana costituiscono l'ultimo tentativo di ripristinare l'aspetto classico delle città. I dati archeologici sull'edilizia abitativa altomedievale sono piuttosto scarni, ma ben si integrano con quanto noto dalle fonti documentarie, attestando un frazionamento delle domus in più cellule abitative di pochi ambienti affacciati sul fronte stradale, con uso intensivo del legno e la riutilizzazione delle strutture romane come fondazioni dei nuovi edifici o come cave di materiali. Spesso le abitazioni non avevano che un piano ed utilizzavano materiali molto eterogenei. Meno noti ancora sono i dati sulle abitazioni auliche, con qualche eccezione per quanto concerne i palazzi vescovili. La presenza archeologicamente rilevante di strati di "terre nere" nelle città tradisce la rarefazione del tessuto abitativo in favore di aree coltive o adibite all'allevamento, oltre a costituire la spia del disfacimento delle strutture lignee e della concentrazione di scarichi di materiale organico. Il problema della ruralizzazione del centro urbano ha costituito a lungo il nodo centrale da sciogliere nella definizione della città nell'Alto Medioevo, problema affrontato a partire dal concetto di città in epoca classica, secondo parametri che difficilmente possono essere applicati tout court alla realtà altomedievale. Si è quindi parlato di destrutturazione della città romana, che tra V e VI secolo va organizzandosi secondo parametri differenti, sovente legati alle necessità difensive: in tal senso, pozzi e cisterne garantiscono l'approvvigionamento idrico anche in occasione di assedi; le aree intramurarie a coltura consentono la sopravvivenza di uomini ed animali; il riuso di materiale da costruzione favorisce un'edilizia magari povera, ma funzionale. In questa ottica, non stupisce la diffusa presenza intramuraria, soprattutto a ridosso del circuito murario, di aree destinate ad orti, di ricoveri per animali e di fosse per i rifiuti. In età altomedievale, la polarizzazione di alcune componenti sociali o la presenza di stanziamenti di popolazioni germaniche, non use ai canoni dell'organizzazione urbanistica romana, facilitò l'accentuarsi di tali fenomeni e in alcuni centri la presenza di etnie diverse si manifestò sul piano topografico, talvolta con la definizione di raggruppamenti distinti di popolamento, come nella divisione ravennate della pars Gothorum e della pars Romanorum, o con la formazione di borghi extramurari. Più spesso si assiste comunque alla convivenza o al recupero di edifici classici all'interno del tessuto urbano da parte dei nuovi venuti. Sempre più frequentemente le indagini archeologiche attestano la presenza di edifici lignei accanto alle precedenti costruzioni in pietra, come ben evidenziato ad esempio a Brescia, dove tra l'insula romana e il monastero di S. Salvatore si collocano capanne di tipo pannonico, riferibili all'insediamento longobardo. La rarefazione del tessuto abitativo è testimoniata in numerosi casi (da Parigi a Mérida, da Ginevra a Brescia, da Arles a Tarragona, a Milano), senza che ciò abbia necessariamente comportato una contrazione dell'agglomerato urbano: sovente il restringimento della cinta muraria sembra dovuto a esigenze militari (possibilità di difendere più agevolmente un'area ridotta, esiguo numero dei difensori, ecc.) piuttosto che a un'effettiva riduzione dell'area cittadina. Il rapporto con il suburbio si fa in epoca tardoantica sempre più stretto: la fascia immediatamente extramuraria non è più solo destinata ad usi agricoli per le necessità cittadine, o sede di necropoli. Se con le sepolture venerate e lo sviluppo dei centri martiriali si intensifica il rapporto città-suburbio, la presenza di strutture architettoniche tipicamente urbane fuori delle mura determina la proiezione della civitas al di fuori del perimetro della città e sancisce topograficamente la dilatazione dello spazio cittadino, la cui definizione non è più data esclusivamente dal perimetro murario. Milano costituisce a questo proposito un caso emblematico, con la costruzione nel IV secolo di una via porticata e di un arco onorario fuori delle mura, mentre una rete di canali funge da raccordo tra le aree entro e fuori le mura. Quando, nel V-VI secolo, i portici vanno in disuso, costituendo probabilmente una delle fonti principali di colonne e capitelli destinati al riutilizzo, anche nelle nuove costruzioni ecclesiastiche, la dilatazione dello spazio urbano fuori delle mura sarà garantita dai complessi martiriali. La presenza di tombe venerate in aree cimiteriali romane extraurbane e la frequentazione che ne consegue generano gruppi monumentali e veri e propri nuclei insediativi che talvolta attraggono la popolazione. La venerazione delle sepolture particolari, incentivata dalla presenza di aule di culto (a cominciare dalle costruzioni costantiniane sulle tombe dei principi degli apostoli a Roma) e dalla consuetudine di farsi seppellire nelle loro adiacenze, genera una frequentazione non solo locale di devoti e pellegrini e la creazione di strutture di supporto sempre più diffuse ed imponenti. Talvolta lo stesso fenomeno ha origine da un preciso programma di cristianizzazione monumentale che prevede la costruzione di santuari legati a reliquie, come le basiliche volute da Ambrogio a Milano, secondo uno schema cruciforme dalla forte pregnanza ideologica. A partire dal V secolo la presenza sul piano urbanistico dei santuari suburbani è determinante ai fini della definizione del popolamento, in un processo che produrrà i borghi fortificati ed attirerà l'abitato medievale, come nei casi della civitas Leoniana a Roma e del santuario di Efeso, il cui nome nel IX secolo sostituisce quello della città stessa. La diffusione delle sepolture nell'ambito del circuito urbano si profila come un fenomeno diffuso già nel V secolo, anche se in alcune aree se ne vedono gli inizi già dalla fine del secolo precedente. Questo dato è stato interpretato a lungo nella storia degli studi come un indizio della ruralizzazione dei centri urbani, fondandosi sulla legislazione di età romana che prevedeva una netta distinzione tra spazi abitativi ed aree sepolcrali e che trova riscontro nelle ricerche archeologiche dei siti di epoca classica. La mancata distinzione tra "spazio dei vivi" e "spazio dei morti" si profila come una delle caratteristiche della città altomedievale, che assiste da un lato al diffondersi delle sepolture in urbe, dall'altro all'espandersi del popolamento attorno a santuari e centri martiriali. L'insistenza della normativa giuridica sulle proibizioni in merito alle sepolture urbane, lungi dal confermare l'uso di seppellire extra moenia, è rivelatrice piuttosto della sua deroga abituale. Il fenomeno, che inizialmente si è voluto vedere come limitato a sepolture di personaggi laici o ecclesiastici di alto rango, pare comprendere ogni classe sociale ed interessa non solo aule di culto e strutture chiesastiche, ma anche gli spazi pubblici ormai destituiti dalla loro originaria funzione. Sul piano urbanistico, l'aspetto più interessante è dato proprio dai rapporti tra aree funerarie e pubblici edifici, nell'analisi della loro funzionalità ancora parziale o ormai cessata, ai fini della loro situazione possessoria e delle dinamiche di popolamento. Proprio in merito alla distribuzione della popolazione urbana sono state avanzate svariate ipotesi, a partire dalla possibilità di un abitato urbano a "macchie di leopardo", con aree ruralizzate destinate alla coltivazione e a scopi funerari alternati ad agglomerati di insediamento che avvicinano il panorama urbano ‒ se ancora può dirsi urbano ‒ ad un abitato sparso. Di contro, è però evidente dalle fonti letterarie come i centri abitati così organizzati mantengano la denominazione di civitas e le caratteristiche di vita urbana. Gruppi di sepolture più o meno estesi occupano talvolta edifici pubblici anche di ampie dimensioni, come nel caso romano delle Terme di Caracalla, così che è legittimo porsi dubbi in merito alla possibilità di funzionalità parziale, sia pure con destinazioni diverse, delle strutture in oggetto, in una configurazione della "sensibilità urbana" che prevede l'ingresso entro le mura dello spazio funerario e parallelamente accetta il dilatarsi dello spazio cittadino extra moenia. Sin dalla Tarda Antichità si assiste al fenomeno, progressivamente più diffuso, di spoliazione degli edifici classici in disuso a vantaggio delle nuove costruzioni, secondo modalità che riguardavano non solo gli arredi architettonici e i materiali di pregio, ma sovente anche i materiali da costruzione più umili ed i manufatti metallici che li legavano (grappe, ecc.) e che la ricerca archeologica evidenzia praticamente in tutti i centri urbani a continuità di vita. Le norme legislative, dopo aver tentato invano di arginare questo fenomeno, ne prendono atto e cercano di fissare delle regole, finendo di fatto con l'autorizzare la spoliazione e il riutilizzo di strutture antiche. Il fenomeno, se da una parte consente un indubbio risparmio e promuove l'arredo architettonico con l'uso di pezzi decorativi apprezzati anche per le qualità estetiche, dall'altro comporta una minore qualità nella tecnica costruttiva, che utilizza materiale disomogeneo e spesso non integro. Parallelamente al riuso dei materiali si assiste allo sfruttamento dei resti degli edifici che non svolgono più la loro funzione originaria. Tale riutilizzo può avere scopi difensivi, come nei numerosi casi di edifici di spettacolo trasformati in roccaforti (il Colosseo a Roma, le terme di Faustina a Mileto) o inglobati nel circuito murario (nel noto caso di Arles), o adibiti ad abitazioni, con ampi esempi sia in territorio orientale (ad Efeso all'inizio del VII sec., a Mileto alla fine del secolo, a Corinto al termine del X sec. nell'area dell'agorà), sia in ambito occidentale, come nel famoso esempio dell'anfiteatro di Lucca, tuttora ben leggibile nell'apparato urbanistico grazie alla presenza di case che ne descrivono il perimetro. Nell'Europa continentale e nell'Italia comunale i possenti cantieri delle cattedrali romaniche accentrano gli spazi urbani e qualificano gerarchicamente gli spazi circostanti; queste nuove aule di culto insieme con le nuove sedi del potere ricompongono una visione urbanistica unitaria. Nel pieno Medioevo, soprattutto dal XIII secolo, le città europee quindi sono caratterizzate da un nucleo politico-religioso centrale e accentrante, ma insieme articolate sul piano topografico e architettonico per la presenza di aree di mercato interne alla città e dei complessi dei nuovi ordini monastici ai margini dell'abitato, secondo schemi generalmente tripartiti o quadripartiti. Parallelamente, la viabilità si dipana in strade più ampie e regolari e si articola per il collegamento tra centro e periferia, nell'alternanza tra la piazza centrale, le piazze secondarie ed i sagrati destinati alla predicazione; si moltiplicano i portici anche in funzione commerciale, talvolta negli stessi palazzi comunali (Padova). Tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo viene avviata una serie di programmi urbanistici che caratterizza molte città odierne, che prevede talvolta l'evidenziazione degli edifici più rappresentativi del potere (Siena, Viterbo), fino alla realizzazione di piazze recintate (Parma), talaltra la programmazione dei quartieri residenziali (Parigi) e che riassume in Firenze il prototipo di riferimento per il mondo occidentale.
La presenza delle fortificazioni costituisce una costante delle rappresentazioni di città tardoantiche, a garanzia di difesa dalle aggressioni esterne e di definizione dello spazio. Nella pratica, la cinta muraria non costituisce un elemento fondamentale nella delimitazione del circuito urbano: la sua realizzazione in tempi e modi differenti, come ben evidenziato dalla ricerca archeologica, la mette piuttosto in relazione con esigenze difensive specifiche e non generalizzabili di vaste aree. A partire dal III secolo la precarietà dettata dalla crisi dell'Impero e dalle prime incursioni germaniche comportò il ripristino delle fortificazioni urbane o la costruzione ex novo di cinte murarie con modalità analoghe a quelle romane, ma con un massiccio uso di materiale di recupero e con lo sfruttamento di strutture preesistenti. Successivamente allo stabilirsi delle popolazioni germaniche, fortificazioni urbane fiorirono proprio nei regni "barbarici", promosse da Goti e Longobardi in Italia, mentre nei territori franchi la mancanza di difese creò seri problemi alla popolazione in occasione delle incursioni vichinghe e saracene. In gran parte del mondo mediterraneo nel VI secolo le città sono difese, come noto da Procopio di Cesarea e come confermato archeologicamente, o da una cinta muraria oppure mediante l'edificazione di un castrum urbano. Nel primo caso, poteva trattarsi del ripristino, talora solo parziale, delle mura romane eventualmente rafforzate, in alcuni casi con caratteristiche torri a base pentagonale (Roma, Verona) di tradizione orientale (Dara). Altrettanto usuale è la tendenza ad includere nei circuiti murari tardoantichi ed altomedievali edifici romani non più in uso e posti in posizione eccentrica, quali teatri, anfiteatri, oppure di fortificarli come roccaforti autonome (Capua, Verona, Arles, Nîmes, Tours). Nei centri urbani attraversati da un corso d'acqua, generalmente le strutture portuali, per ovvie ragioni di opportunità, restano al di fuori del circuito murario, che si limita il più delle volte a proteggere solo il nucleo più consistente dell'abitato. Nel caso della costituzione dei castra, può trattarsi di una riduzione topografica, e sovente anche di ruolo, della città retratta entro le ridotte mura castrensi, come in Gallia e come a lungo proposto anche per la penisola italiana, oppure, come sembra più credibile in quest'ultimo caso, della costituzione di un'area fortificata all'interno o ai margini del centro urbano (Ancona, Tortona, Cesena, Cuma), senza che per questo lo spazio intramurario corrisponda con il perimetro urbano e senza soprattutto che il nucleo fortificato abbia una particolare valenza nella definizione giuridica della città. Tale area, in alcuni casi, coincide con il recupero dell'acropoli preclassica, oppure comunque con la scelta della parte più elevata dell'insediamento, secondo costanti ben evidenti in Oriente (Sparta, Aigai, Sardi, Filippi), ma che sembrano ripetersi anche in alcuni casi occidentali (Firenze). Al centro della città antica si collocano ad esempio le fortificazioni di Sabratha in Tripolitania, e di Umm ar-Rasas in Giordania, casi che ben documentano archeologicamente i programmi di difesa di età giustinianea, mentre ai margini dell'agglomerato urbano si trovano le difese bizantine del Nord Africa e della Sardegna. È stato comunque rilevato come, quale che sia la posizione del castrum, questo è topograficamente distinto dal complesso episcopale, sovente anch'esso fortificato a partire dall'Alto Medioevo, generando così un interessante fenomeno di bipolarismo urbano. La presenza del castrum in talune città ha fatto ipotizzare un fenomeno di restringimento dell'abitato al solo nucleo fortificato, dato non valido per tutte le realtà e che spesso ha trovato proprio nelle risultanze delle ricerche archeologiche la propria smentita e la conferma di una differenziazione di funzioni. In altri casi, la fortezza può essere esterna all'abitato, in posizione dominante, a costituire un nucleo munito che, in caso di necessità, poteva essere aperto ai civili e che stabilmente ospitava un corpo di guardia. Tali piazzeforti sono abbastanza frequenti nel programma di difese urbane avviato da Giustiniano nel Nord Africa a seguito della riconquista bizantina della regione occupata dai Vandali, che durante la loro campagna di conquista avevano distrutto le fortificazioni. Vengono previsti nuclei fortificati all'interno (Leptis Magna) o all'esterno dei circuiti murari (Timgad, Madaura, Haidra), sul modello orientale (Zenobia sull'Eufrate). All'organica politica difensiva promossa da Anastasio (491-518) a Giustiniano (527-565) si deve la realizzazione di sistemi di difesa urbani e limitanei che caratterizzano i territori bizantini e che vengono canonizzati in centri come Dara e Caričin Grad (Iustiniana Prima), progettati dagli architetti imperiali. Tale modello prevede una cittadella fortificata autonoma che comprende gli uffici amministrativi ed una chiesa, talora sede episcopale, ed è collocata in posizione dominante, mentre i quartieri abitativi e commerciali sono posti in basso, extramurari. In alcuni casi, in seguito ai danni prodotti dall'invasione persiana ed al successivo crollo demografico, l'abitato si focalizza in queste piazzeforti (Efeso, Ankara), mentre la dilatazione dell'abitato in nuovi circuiti murari appare evidente in epoca tardobizantina (XIII-XIV sec.), come ben esemplificato dal modello franco di Mistrà. Nell'Europa continentale il modello prevalente prevedeva un nucleo fortificato ( gorod) spesso con strutture lignee ed un suburbio, talvolta anch'esso munito, che ospitava le attività economiche ed artigianali (Biskupin in Polonia). Nei casi delle città sedi diocesane, a questi due nuclei fortificati se ne aggiunse sovente un terzo, il complesso episcopale, generando così una tripartizione dello spazio urbano, ognuna delle quali godeva di difese autonome. Nelle aree baltica ed anglosassone, talvolta la parte di agglomerato a connotazione commerciale ha costituito il primo nucleo di un successivo centro urbano (Anversa, Bruges). In altri casi da insediamenti castellari si sono sviluppati veri e propri nuclei urbani (Kiev, Novgorod, Amburgo). Dalla fine del IX e soprattutto nel X e XI secolo il fenomeno dell'incastellamento determina la realizzazione di nuove fortificazioni in nuclei già esistenti, sovente nella rioccupazione di siti preromani, o la realizzazione di nuovi nuclei urbani ben muniti. I centri abitati potevano essere protetti mediante circuiti murari oppure con fortificazioni esterne, in cui rifugiarsi in casi di necessità, a seconda della topografia del sito e della tipologia dell'insediamento, più o meno sparso, comunque consolidando nel tempo una forma di abitato accentrato attorno al nucleo fortificato. Tipica fortificazione dell'Europa centro-settentrionale è la motta, inizialmente in terra e legno, successivamente talora in pietra, di origine altomedievale e diffusa soprattutto tra XI e XII secolo a protezione di un abitato disperso. Un nuovo impulso alla costruzione di difese urbane avviene tra XI e XII secolo e successivamente nel XV, a seguito dell'introduzione delle armi da fuoco. La città pienamente medievale in Europa si presenta ‒ ed è presentata iconograficamente ‒ come un nucleo unitario proprio per la definizione di un circuito murario ben visibile ed articolato. Accanto alle fortificazioni di città vanno presi in considerazione i casi di insediamenti di più modeste dimensioni, nati per esigenze difensive (come nel caso di Gregoriopoli, di Leopoli-Cencelle, ecc.) oppure originatisi da santuari martiriali o da sepolture venerate (S. Aurea ad Ostia, Abu Mina e Sergiopoli-Resafa in Egitto, ecc.), che vengono comunque fortificati e che fungono da fattori poleogenetici per la nascita di veri e propri centri urbani. La stessa evoluzione ebbero i nuclei commerciali di area anglosassone e gli empori fortificati nord-europei (Birka, Hebeby). All'interno dei nuclei urbani, possono essere fortificate alcune aree a specifica connotazione, come nel caso del borgo frisone di Colonia del X secolo. Ancora nel XIV secolo l'isolamento della piazza principale e delle sedi del potere in molte città europee è sancito dalla loro fortificazione (Parma, Vicenza). La relazione tra spazio urbano e circuito murario si fa progressivamente sempre più serrata, fino alla realizzazione di cellule abitative immediatamente a ridosso delle mura, come ben noto dalla documentazione scritta e dalle risultanze archeologiche. Altrettanto frequente, soprattutto nei secoli del pieno Medioevo, è la consuetudine di rendere abitabili le torri, con la diffusione di torri e case-torri all'interno dell'area urbana, la cui valenza simbolica connota il panorama di molte città.
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di Sara Magister
"Impero bizantino" è un termine convenzionale dato dalla storiografia moderna per indicare l'Impero romano con capitale Costantinopoli. I limiti cronologici convenzionali sono 324, fondazione di Costantinopoli, e 1453, sua conquista da parte dei Turchi Ottomani. L'Impero dei secoli V e VI è ancora "romano" e le città sono le sue cellule amministrative e culturali di base, il centro organizzativo del territorio circostante. Impero è sinonimo di urbanizzazione. Secondo una definizione di G. Ostrogorski, "forma romana dello Stato, cultura greca e fede cristiana sono le sorgenti fondamentali dello sviluppo storico bizantino". La città per lungo tempo, quindi, ha una definizione giuridica ben precisa e come tale può anche essere rappresentata dalla Tyche con corona turrita. Non c'era divisione giuridica e quindi contrapposizione tra città e campagna, quanto piuttosto tra capitale e province. Una separazione che marcherà profondamente la storia urbana dell'Impero. Nel periodo paleobizantino (da Costantino a Giustino II, IV-VI sec.) è difficile parlare della città bizantina come di un insediamento con sue peculiarità. Nella maggior parte dei casi si tratta piuttosto di continuazione della città tardoantica (sono rare le città di nuova fondazione), sia di origine romana che ellenistica. Delle città antiche si mantengono gli impianti stradali, le strade colonnate, i fori, gli ippodromi, le terme. Con il tempo vengono tuttavia abbandonati i teatri, gli stadi, i bouleuteria e il mercato viene spostato dall'agorà alla strada colonnata (embolos), elemento fondamentale della città bizantina. L'invasione delle botteghe (ergasteria) su queste strade regolari porterà a lungo andare alla perdita della regolarità dei tracciati tardoantichi e alla formazione dei bazar orientali. Ma le novità principali riguardano gli edifici religiosi e di assistenza, come gli ospedali, i ptochotropheia (case per i poveri), i gerokomeia (case per gli anziani) e i ricoveri (xenodocheia). Le chiese arriveranno a sostituire, in un processo graduale che dura circa due secoli, i santuari pagani e assumeranno progressivamente un ruolo predominante all'interno del tessuto urbano. Su questi cambiamenti si riflettono alcune modifiche nell'amministrazione delle città: al gruppo dei notabili si affianca infatti il vescovo, eletto dai cittadini, che, grazie a speciali concessioni governative, specie nel VI secolo, acquisisce col tempo alcune funzioni un tempo prerogativa dell'amministrazione civile, come quella di curator civitatis e dell'amministrazione finanziaria della città. Eloquente esempio di queste trasformazioni è la città di Gerasa nell'attuale Giordania. Di fondazione ellenistica, venne rinnovata tra il I e il II sec. d.C. con impianto a cardo colonnato, due decumani, mura che racchiudevano un'area di 847.000 m², due teatri, due templi principali, terme, ninfei, ippodromo e una piazza commerciale di forma circolare con tetrapylon al centro. Divenuta nel IV secolo sede vescovile, solo nel V secolo, mentre gli altri edifici pubblici continuavano a essere restaurati e usati, i santuari pagani vennero sostituiti con una cattedrale, una basilica, un martyrion e numerose altre chiese. Lo stesso avvenne anche in altri centri classici dell'Asia Minore, come Efeso, Pergamo, Mileto, Sardi, Smirne. Insediamenti precoci si hanno anche nel Sud italiano come, ad esempio, in Sicilia, a Ragusa, Siracusa e Cefalù. Le maggiori città dell'Impero restano comunque in questo periodo Costantinopoli, Alessandria e Antiochia. Una grande città di provincia poteva estendersi per 2 km circa e avere circa 50.000 abitanti. La sopravvivenza era assicurata dall'agricoltura ma anche dal commercio e dalla manifattura. L'erezione o il restauro di edifici pubblici, per tutto il IV e V secolo era nelle mani dello Stato. Più variegato era il panorama quando si trattava di chiese o strutture a carattere religioso. Dalle fonti risulta che a Gerasa il vescovo era il committente più importante o comunque il principale coordinatore nell'erezione di edifici religiosi, mentre l'architetto era un semplice esecutore. La nuova capitale dell'Impero, Costantinopoli, venne fondata sul sito dell'antica Bisanzio nel 324 e dedicata l'11 maggio del 330 dall'imperatore Costantino. La creazione di sedi centrali del governo nelle province rientrava nella politica della Tetrarchia. Diocleziano aveva stabilito la sua residenza vicino a Nicomedia, ma Costantino preferì, forse per ragioni strategiche, il sito di Bisanzio. Questa antica città di origine greca, sebbene infelice dal punto di vista delle risorse naturali e idriche, si trovava infatti a controllare sia l'accesso al Mar Nero che importanti tracciati viari. Inoltre era più prossima alla difficile frontiera orientale e lontana dalle ingerenze del senato romano. Precisi decreti dell'imperatore obbligarono i proprietari di terre della diocesi asiatica e pontica a possedere una casa nella città. La città ebbe quindi un nuovo impulso demografico anche se di difficile quantificazione. Si pensa che la Costantinopoli del IV secolo avesse circa 100.000 abitanti, mentre, nel periodo di massima espansione, nel VI secolo, raggiunse i 400.000 abitanti, ma le valutazioni degli storici sono soggette a forti oscillazioni. L'idea che Costantino volesse fondare una nuova capitale cristiana è forse da ridimensionare, vista la convivenza di santuari pagani con i nuovi edifici cristiani e, soprattutto, visti i chiari richiami al modello di Roma imperiale. D'altra parte la popolazione si aspettava che la "nuova Roma" fosse dotata di tutti i beni e i divertimenti dell'antica capitale. La città, originaria del VII sec. a.C., era stata ricostruita e fortificata da Settimio Severo e l'impianto severiano condizionerà fortemente quello costantiniano. Vennero mantenuti i principali complessi civili: terme, agorà, ippodromo, che venne ingrandito per ospitare le cerimonie ufficiali. Venne costruito ex novo il palazzo dell'imperatore, che resterà in uso con questo scopo fino all'XI secolo. Vennero realizzate ex novo anche la sede del senato, la basilica per uso civile, alcune chiese (forse due o tre), il foro a pianta circolare. L'invasione gotica e la disfatta di Adrianopoli (378) sottolinearono la vulnerabilità di Costantinopoli, priva di difese naturali, e resero necessaria una nuova opera di fortificazione, compiuta entro il 413, con il fine soprattutto di difendere l'acquedotto e di inglobare i suburbi che si erano creati a ridosso delle antiche mura a causa della continua crescita demografica. I principali abbellimenti alla città fatti da Teodosio (379-395) e dai suoi successori sono descritti nella Notitia urbis Constantinopolitanae (425 ca.). Sono elencati: 14 regioni urbane, 5 palazzi, 14 chiese, 161 bagni tra pubblici e privati, 4 fori, 4 porti, 52 strade principali colonnate, 322 strade minori, 4388 domus. L'evidente sovraffollamento (Zos., II, 35) rese necessarie alcune leggi speciali per regolare l'altezza dei palazzi (max. 100 piedi), la distanza tra le case, la larghezza delle strade, ecc. (Cod. Iust., VIII, 10, 12). All'epoca di Giustiniano (527-565) una serie di incendi (il più grave nel 465) e alcune rivolte (v. quella di Nika nel 532) avevano causato la distruzione di gran parte della città, rendendo possibile una consistente opera ricostruttiva da parte dell'imperatore. Con Giustiniano si porterà, a Costantinopoli come in altre città dell'Impero, piena conclusione al lungo processo di trasformazione dalla città pagana alla città cristiana. La nuova Costantinopoli giustinianea è descritta nel dettaglio da Procopio, tra il 553 e il 555 (Aed., I). Oltre che sulla capitale l'attenzione di Giustiniano fu rivolta anche alle altre città dell'Impero. Nel corso del VI secolo la città ha ancora valenza strategica e politica come baluardo difensivo dei confini di un territorio. Procopio stesso (Aed., II ss.) analizzando gli interventi giustinianei nelle città di confine, fa intendere che l'opera del grande imperatore, come del suo predecessore, fu soprattutto il frutto di un accurato piano difensivo. I principali interventi costruttivi di Anastasio (491-518) e Giustiniano sono infatti concentrati sul limes, la fascia fortificata che delimitava i confini territoriali e giuridici dell'Impero, specie sul limes orientale minacciato dalla temibile Persia. L'altissima civiltà persiana richiedeva una difesa ingegnosa e sofisticata e proprio sui confini con questo impero si trovano le migliori espressioni dell'ingegneria del periodo. Eloquenti sono le possenti mura di Amida, una città tardoantica sul Tigri ristrutturata dopo il 502, e Dara in Mesopotamia, fondata da Anastasio, nei primi anni del VI secolo, come avamposto sul confine con la Persia. Nonostante Dara sia una fondazione ex novo, la sua planimetria ripropone a larghe linee le principali caratteristiche delle città tardoantiche. In età giustinianea Dara venne dotata di difese più solide e sofisticate, ad opera degli architetti Antemio di Tralle ed Isidoro di Mileto il Vecchio. Il fatto che Dara venga considerata dalle fonti una città "molto grande" ma che la sua pianta (irregolare) misuri solo 1000 × 750 m circa è eloquente esempio dei criteri di giudizio di allora. A parte la capitale, caso più unico che raro, le altre città erano infatti di dimensioni assai ridotte. Lo stesso vale per Zenobia sull'Eufrate, una città fondata dalla regina di Palmira e rifondata da Giustiniano tra il 531 e il 550 ad opera degli architetti Isidoro di Mileto il Giovane e Giovanni da Bisanzio (Procop., Aed., II, 8, 25). Le costruzioni (terme, foro rettangolare, due chiese) visibili all'interno delle mura, che salgono ripide verso la fortezza e che racchiudono un'area di 500 × 400 m circa, sono principalmente di questi anni. Le medesime maestranze operano anche nella costruzione delle mura (550 × 400 m ca.) di Resafa, stazione carovaniera tra Palmira e l'Eufrate e centro di pellegrinaggio per la presenza del santuario di S. Sergio, anch'essa trasformata in città da Giustiniano. Interventi giustinianei sono riconoscibili anche ad Antiochia e Apamea, in seguito ai terremoti del 526 e 528, e a Palmira. Qui venne eretta nel 527 una nuova cinta di mura e venne creato un nuovo quartiere bizantino con due basiliche. Il rafforzamento delle fortificazioni interessò anche la Grecia. In Africa e in Sardegna l'esigenza di difendere i territori tolti ai Vandali nel 533/4 portò alla restaurazione della vita urbana, anche se le nuove mura vennero, con poche eccezioni (Cartagine, Cesarea), a racchiudere spazi ben più ridotti di quelli originari (ad es., Sabratha e Leptis Magna). In altri casi gli antichi centri abitati vennero lasciati senza mura, ma affiancati da una fortezza in cui la popolazione poteva rifugiarsi (Madaura, Timgad, Ammaedara). Impianti similari sono anche lungo il limes danubiano (Procop., Aed., IV, 1, 2; 24-30). A volte più fortezze affiancate formavano una vera cinta difensiva estesa nel territorio (Sufetula, Tolemaide). Anche nei Balcani ci fu una ripresa della vita cittadina, come a Singidunum (Belgrado), Naisso (Niš), Serdica (Sofia); si veda Procop., Aed., IV, 1, 31-32. Città di nuova fondazione giustinianea (530) è nel Nord Illirico Iustiniana Prima, sul luogo del villaggio natale dell'imperatore: è di forma allungata, 500 × 100 m circa, mentre la planimetria generale a cardo colonnato e decumano, con foro circolare al centro, è ancora classica; mancano i luoghi di divertimento e gli edifici religiosi occupano gran parte nell'area cittadina dominata dalla cattedrale. VII-IX secolo - Le invasioni, specie quella persiana e araba, epidemie, terremoti e cataclismi naturali portarono in questo periodo a un costante calo demografico che si ripercosse sulle città, determinando drastici ridimensionamenti dei perimetri murati se non addirittura la scomparsa materiale degli stessi insediamenti. Il fatto che le liste episcopali del tempo continuino a elencare un gran numero di città (quasi 1000) attesta più la persistenza del titolo di polis, e quindi delle funzioni di sede vescovile e di giurisdizione ecclesiastica, piuttosto che l'esistenza materiale delle città stesse. In Asia Minore le principali città ellenistiche vennero ridotte a semplici kastra, piccoli centri fortificati, occupando solo una ristretta porzione dell'antica area urbana (Mileto, Efeso, Ankara). I nuovi insediamenti vengono denominati dalle fonti del periodo alternativamente kastron o polis, evidenziando di volta in volta non tanto le condizioni materiali quanto piuttosto le funzioni militari (prevalenti) o amministrative delle città. La presenza di un vescovo e di una cinta muraria bastavano infatti perché qualsiasi kastron pretendesse il titolo di città. All'interno delle nuove mura si abbandona progressivamente il tracciato viario regolare di un tempo: eloquenti i casi di Efeso, Sardi, Mileto e Ankara. Un forte crollo demografico si ha anche a Costantinopoli e Tessalonica, pur rimanendo queste le due più importanti città dell'impero. IX-XIV secolo - Una lenta ripresa è attestata in seguito alla fine dell'iconoclastia, al recupero di alcuni territori e al passaggio sotto la diretta influenza bizantina di alcuni temibili stati confinanti, come quello bulgaro e quello russo. Nelle regioni greche risorgono Patrasso (Teofane Continuato, Chronographia, V, 74-75), Corinto, nel periodo paleobizantino una delle più grandi città della Grecia, Sparta (Lacedaemonia), Tebe, Salonicco, ma non si raggiungerà più l'assetto monumentale e dimensionale tardoantico. La rinascita cittadina segue un andamento spontaneo e irregolare, privo di interventi pubblici e piani regolatori. Conseguente è l'assenza, all'interno del tessuto cittadino, di veri e propri centri catalizzatori e unificanti, mentre l'edilizia religiosa è affidata all'iniziativa privata piuttosto che all'azione, un tempo unificante, del vescovo. Si vengono così a creare una serie di quartieri, ognuno autonomo e con il proprio edificio religioso. Anche a Costantinopoli, dal IX secolo, si ha una ripresa demografica e urbana, ma determinanti sono le nuove attività commerciali e artigianali che ne fanno un centro di scambi di prim'ordine e portano alla creazione di nuovi quartieri per ospitare le colonie mercantili straniere. Questa espansione venne bloccata dall'incendio del 1203 e dalle gravi conseguenze economiche e politiche dell'occupazione occidentale (1204-1261), che portarono alla spoliazione della città e al suo progressivo abbandono. Quando venne conquistata dai Turchi nel 1453 Costantinopoli aveva solo circa 50.000 abitanti. Anche nel Mezzogiorno italiano, prima dell'arrivo degli Arabi e dei Normanni, le città diventano dei baluardi fortificati. Esempio eloquente è la fondazione di Troia e di altri insediamenti, nell'XI secolo, ad opera del catapano Basilio Boiohannes, con l'idea di creare una frontiera difensiva contro la pressione longobarda. La perdita di territori in Asia Minore e le conseguenze della quarta crociata (1204) portarono alla frammentazione dell'impero in una serie di principati provinciali: quello di Nicea, di Trebisonda, dell'Epiro, di Costantinopoli, della Morea (Peloponneso). L'impero di Nicea sembra essere il più dinamico nell'attività costruttiva: alla dinastia dei Lascaridi che lo ha retto si devono i restauri di Smirne, Efeso, Priene, Magnesia sul Sipilo, Nymphaion. Lo schema urbano segue regole precise: più cinte di mura circondano l'abitato, in basso si trova l'emporion con funzione commerciale e residenziale, in alto il kastron, con la sede dell'amministrazione. Lo stesso schema si ritrova in quasi tutte le città del frammentato impero, come a Trebisonda sul Mar Nero.
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