Il fenomeno urbano. Periodo islamico
di Maria Adelaide Lala Comneno
Parlare di urbanistica islamica vuol dire affrontare lo studio sistematico delle città del mondo islamizzato con criteri che tengano conto delle specificità di questa vastissima, duratura koinè e dunque indagare, con gli strumenti più idonei, natura e funzioni degli insediamenti urbani, organizzazione interna degli abitati, distribuzione degli spazi, delle strutture religiose, economiche, amministrative ed abitative, proprie del mondo islamico, nonché le caratteristiche topografiche, per poter interpretare le forme assunte dai centri urbani, e le loro varianti regionali, oltre che temporali. Dall'analisi urbana non va disgiunta una indagine parallela dei fenomeni di organizzazione del territorio, retroterrra imprescindibile di ogni insediamento di una certa importanza. Vanno tenute ben presenti le differenze sostanziali tra quanto è stato prodotto nelle città del mondo "occidentale" e in quello islamico in genere. Un approccio di tipo storico all'urbanistica islamica, prevalente negli studi sull'argomento, peraltro non numerosi, ha permesso di evitare le complesse e spesso inestricabili problematiche teoriche che la questione suscita; lo studio, per quanto approfondito, dello sviluppo storico dei centri islamici, e di alcuni in particolare (Il Cairo, Damasco, Gerusalemme, ed altri minori), è stato finora considerato come sostanzialmente esauriente. Più raramente, e assai meno sistematicamente, lo sviluppo delle città islamiche è stato indagato come fenomeno scientifico da riportare in un ambito di leggi ricostruibili in base a vari determinati fattori, fenomeno scientifico di cui si possono dare interpretazioni diverse, ma tutte sostanziate di quelle specificità innegabili della koinè islamica, non ricondotte a schemi di origine sempre e comunque occidentali. Assai penalizzante per la ricerca è risultato tra l'altro il parallelismo con l'urbanistica del mondo europeo, inevitabile, in un certo senso, quando si pensa che gli studiosi di questa materia sono quasi tutti occidentali. Bisogna accennare anche al fatto che l'urbanistica islamica è stata trattata quasi sempre come argomento a latere rispetto agli interessi prevalenti degli studiosi che se ne sono occupati, a partire da L. Massignon e da U. Monneret de Villard, che peraltro ha lasciato pagine imprescindibili sull'argomento. Vanno ricordati, tra gli altri, per studi su singole aree, G. Marçais, J. Sauvaget e H. Terrasse per il Nord Africa, L. Torres Balbás per la Penisola Iberica, A. Gabriel per l'Anatolia, G. von Grünebaum per opere di più ampio respiro, cui hanno fatto seguito ricercatori più giovani (C. Brown, L. Gardet, H. Gaube, A. Hourani, I.M. Lapidus, A. Raymond, S. Tamari e altri), fra i quali va ricordato P. Cuneo, autore di un testo di base sull'intero mondo islamico. L'approccio storico ha comunque caratterizzato quasi ogni ricerca, limitata generalmente a una (o più) zone specifiche. Non ci sono stati, salvo poche eccezioni relative a studi su periodi relativamente recenti, diversi metodi di approccio e angolazioni disciplinari. In taluni studi si è cercato, però, di interpretare la città secondo simbologie astratte (definendo, ad es., maschili le zone destinate al culto e al lavoro, ossia le zone pubbliche, e femminili i giardini e gli ambiti privati). Si è cercato, altresì, di leggere i significati simbolici degli spazi religiosi, degli spazi per cerimonie, degli spazi sociali, interpretando il messaggio politico di alcune strutture urbane (l'importanza dell'architettura del potere, l'urbanistica in funzione celebrativa), nonché le corrispondenze astrali. Non va dimenticata, a questo proposito, la forte connotazione astrologica della fondazione della città, ben nota per alcune città, quali Baghdad e Il Cairo fatimide. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale gli studi di storia dell'urbanistica hanno costituito una sorta di introduzione a piani regolatori per nuovi quartieri di grandi città o per agglomerati da costruire ex novo in Paesi islamici, redatti da architetti o urbanisti quasi sempre occidentalizzati. Le differenze tra i due mondi, non sufficientemente valutate, hanno portato taluni studiosi occidentali ad un semplicistico giudizio di "disordine" per quanto riguarda, in generale, la città islamica. Una griglia a base in qualche modo geometrica veniva considerata indispensabile in ogni processo urbano, ma molte delle città islamiche non possono essere distese su questo "letto di Procuste", che la nostra forma mentis richiede. La città islamica si può e si deve ricondurre nella maggioranza dei casi ad altri principi ordinatori strettamente connessi da un lato con gli imprescindibili fattori geomorfologici e climatici, dall'altro con le specifiche esigenze religiose, etniche e sociali. Comunque, la durata del processo, la vastità delle zone interessate, le varietà degli insediamenti più antichi, dei quali l'urbanistica islamica è la continuatrice, rendono necessariamente diverse le forme delle città. Appare impossibile, d'altro canto, parlare di creazioni urbane in mancanza di progetti di largo respiro, quali sono gli odierni piani regolatori, o di principi ispiratori canonici, quali quelli dell'urbanistica classica, e romana in particolare, piani e principi realizzati soprattutto in impianti ex novo, rari invece nel mondo islamico. Una distinzione in questo senso riguarda la cosiddetta ville créée, o new city, rispetto alla ville spontanée, o spontaneous town, in cui la prima costituisce la non diffusa tipologia di città creata ex nihilo, la seconda quella, ben più frequente, di città che continua insediamenti urbani precedenti. Questa eredità costituisce un elemento imprescindibile nella lettura e nella comprensione dello sviluppo dell'urbanistica islamica, sia della Penisola Arabica, dove le permanenze delle precedenti civiltà urbane, spesso sottovalutate, hanno invece un loro peso, sia nei diversi contesti in cui l'Islam si è diffuso, dove l'impatto con le precedenti civiltà urbane ha portato dalla subordinazione alla trasformazione e, in alcuni casi, al rifiorire e all'espandersi di città in decadenza, come ad esempio Damasco, Balkh, Bukhara, Samarcanda, Cordova, Siviglia, e in epoca successiva, in un contesto unico, ma straordinariamente significativo, Costantinopoli. Si deve parlare di continuità, o piuttosto di imposizione di nuove tipologie insediative? La risposta ovviamente non può essere univoca per la varietà dei precedenti, delle vicende della crescita e dell'indispensabile riassetto dei singoli insediamenti. L'evoluzione interna della città, l'occupazione di aree esterne e la loro urbanizzazione, le interrelazioni con il territorio circostante sono state determinate dalle specifiche vicende storiche, economiche e politiche del sito, nonché, ovviamente, dalla sua posizione geografica. Nel mondo islamico non si può in genere parlare di nascita di società urbane, ma piuttosto di cambiamenti, quasi sempre graduali e non sempre facilmente individuabili, nelle diverse regioni, già ampiamente urbanizzate, che entreranno progressivamente nell'orbita del Califfato. Dalle funzionali città romano-bizantine, ancora impregnate di ellenismo, dai numerosi centri dell'impero sasanide, eredi e continuatori della cultura iranica e mesopotamica, agli insediamenti dell'India, l'Islam ha dovuto confrontarsi con problemi quali la risistemazione e il riadattamento alle nuove esigenze di edifici e di quartieri, nonché il ridisegnamento parziale di precedenti ambiti cittadini. Di conseguenza la crescita urbana è avvenuta in molti casi per semplice addizione, mentre la morfologia urbana ha risentito ovviamente di quanto, architettonicamente e urbanisticamente, la nuova religione imponeva. Infatti, le città islamiche sono caratterizzate da molti di quegli elementi che risultano costitutivi di qualsiasi città: si tratta sempre di un luogo collettivo, in posizione centrale rispetto al territorio circostante, quasi sempre al punto di convergenza di un certo numero di assi commerciali, servito al suo interno da sistema stradale, con evidente gerarchia di assi urbani, dove l'organizzazione dello spazio indica una precisa specializzazione delle aree e delle zone, secondo una suddivisione in quartieri, spesso su base funzionale. Vi è palese anche la presenza di una gerarchia sociale, di popolazione economicamente differenziata, di una varietà di tipologie lavorative (agricole, commerciali, industriali). Gli apparati statali si manifestano in sistemi amministrativi (che si occupano delle necessità fondamentali, compresi l'approvvigionamento idrico e quello alimentare) e relative opere (acquedotti, sistema fognario, magazzini), mentre le funzioni sociali trovano le proprie sedi differenziate, non sempre facilmente individuabili. Ma per intendere pienamente il valore degli elementi che le caratterizzano in particolare, bisogna tenere anche presente il peso sostanziale della religione nella vita sociale, economica e culturale, in una parola, nella totalità delle attività, pubbliche e private, di ogni credente. In ogni città i precetti fondamentali della religione, e non solo quelli, si riflettono significativamente nella struttura urbana: i Cinque Pilastri della Fede diventano una delle chiavi di lettura dello sviluppo e delle trasformazioni urbane. E così la professione di fede, la preghiera cinque volte al giorno, preferibilmente in comune, comunque in comune il venerdì a mezzogiorno, il digiuno nel mese di Ramadan, l'elemosina legale, il pellegrinaggio alla Mecca una volta nella vita, e tutto quello che ne deriva, hanno determinato costumi, usanze, leggi e istituzioni che trovano precisi riscontri nella struttura della città. La preghiera in comune rende indispensabile la moschea e, in particolare, una grande sala di preghiera, generalmente di larghezza maggiore della lunghezza perché i fedeli possano disporsi in file parallele di fronte al muro qibli, in direzione della Mecca; ciò determina una diversità sostanziale nell'impostazione urbana, nei casi in cui la moschea si sia sostituita alla chiesa o alla basilica, orientata diversamente e disposta con criteri non del tutto simili nel tessuto urbano. Lo stesso vale nei casi di trasformazione di edifici sacri di altre religioni (templi del fuoco zoroastriani, santuari Hindu). La necessità di stabilire con precisione l'ora della preghiera ha determinato, o comunque incrementato, lo studio dell'astronomia e la relativa costruzione di osservatori astronomici in quasi tutte le grandi città. La chiamata alla preghiera ha portato alla creazione del minareto, segno distintivo della città islamica (che manca però in alcuni Paesi, come l'Oman e l'Indonesia). L'abluzione rituale rende indispensabili le fontane e l'acqua in abbondanza in ogni moschea, nonché, in senso lato, le terme (ḥammām). La stessa elemosina obbligatoria (zakāt), amministrata e suddivisa nella moschea, determina, nei primi secoli, la costruzione nel sahn, di un apposito edificio bayt al-māl, per contenerla. Altre elemosine non obbligatorie, gestite come waqf, beni inalienabili le cui rendite vanno a beneficio di categorie particolarmente bisognose, hanno permesso la costruzione e la manutenzione di numerose costruzioni funzionali. Anche il pellegrinaggio, obbligatorio per chi ne abbia i mezzi, ai Luoghi Santi (La Mecca e Medina) e i pellegrinaggi in numerosissimi siti, soprattutto alle tombe dei santi più venerati (sunniti e sciiti) hanno cambiato in molti casi il volto delle città. Il territorio è stato largamente interessato a questo fenomeno con la costruzione di vie di pellegrinaggio (la più famosa, Darb Zubayda, attraversa gran parte della Penisola Arabica), di ponti, di cisterne, di ostelli (spesso mantenuti in buone condizioni da uno o più waqf ). Altri principi, di derivazione coranica, hanno determinato molte istituzioni e quindi parte dell'aspetto urbano, primo fra tutti quello dell'istruzione su base quasi esclusivamente religiosa, da impartirsi in edifici appositi, anche se inizialmente era la moschea ad assolvere anche a questa funzione. La madrasa (collegio dove si insegnavano il diritto e le altre scienze coraniche), tipologia architettonica estremamente diffusa in gran parte del mondo islamico, fino in Asia Centrale, dà ad alcuni centri un carattere simile a quello delle città universitaria dell'Europa medievale, come già aveva acutamente notato Ch. Texier a proposito di Amasya, definita "Oxford d'Anatolia". A partire dal IX secolo compaiono anche scuole e istituzioni accostabili alle Accademie, dove venivano insegnate materie non strettamente connesse con la religione (principalmente le scienze e la medicina; in quest'ultimo caso era annesso anche un ospedale). L'impegno nella diffusione della fede ha portato alla creazione di ordini religiosi combattenti, insediati in edifici fortificati, primo fra tutti il ribāṭ, fortino sempre dotato di moschea, a difesa delle conquiste dell'Islam, specie nei primi secoli (molti in Nord Africa e in Asia Centrale). Il culto dei martiri e dei santi, diffusissimo, segna con i suoi mausolei il tessuto urbano ed extraurbano, spesso mantenendo la sacralità di siti preislamici. L'estensione del concetto di elemosina ha avviato, tra l'altro, la formazione di gruppi, che, uniti su base religiosa e volti ad attività sia religiose sia caritatevoli, hanno costruito e mantenuto in efficienza in tutto il mondo islamico e fino ad epoche recenti numerosi edifici, sorta di conventi, diversificati per ordine e organizzazione (tarīqah, ḫanqāh, zāwiya), di notevole peso nel tessuto urbano, in molti casi elementi generatori di quartieri o di espansioni all'esterno del perimetro cittadino. Proprio la sacralizzazione del sociale, attuata sistematicamente nella nomocrazia ugualitaria, a cui tende il mondo islamico, porta ad una scarsità di edifici destinati a questo tipo di istituzioni, se concepite su base laica. Anche se all'apparenza non strettamente connesso con una visione religiosa, il sistema delle corporazioni di artigiani e di commercianti, fondamentale non solo nella struttura dei mercati, vere città nella città, dei depositi e dei magazzini, ma elemento di base nella suddivisione in quartieri, nonché di grande peso nella trasformazione del territorio attraverso la costruzione di magazzini-ricovero, sostituendosi all'iniziale divisione per tribù, ha segnato il trionfo definitivo dell'Islam dopo le conquiste iniziali. Nell'insieme, però, va notato che, se da un lato la città rappresenta il luogo dove, meglio che in qualsiasi altro, il credente può ottemperare a tutti gli obblighi impostigli dalla religione, dall'altro l'Islam non fornisce modelli di città precostituiti; è ridotto il numero delle fondazioni ex novo, quasi tutte città palatine, nelle quali peraltro prevalgono, o tendono a prevalere, elementi formativi extrareligiosi, mentre nelle città nate come accampamenti militari, nei primi tempi dell'espansione, mancano molti degli elementi (edifici per l'istruzione, bagni, elaborate strutture commerciali e artigianali) che caratterizzano pienamente i centri urbani islamici. Si possono individuare, dopo queste premesse, alcuni elementi caratterizzanti in generale la città islamica, che si configura principalmente come un aggregato di case, un organismo compatto ad alta densità, con scarsi elementi architettonici di spicco. Alla divisione iniziale dei quartieri per etnie o per minoranze religiose (non solo cristiani ed ebrei, ḏimmī, ossia protetti, soggetti la cui vita, i cui beni e la cui libertà religiosa erano garantiti e tutelati dalla legge islamica, ma anche zoroastriani, hinduisti e, in molte zone, sciiti o seguaci di altre sette islamiche), subentrerà una differenziazione per funzioni e per classi economiche (spesso quartieri poveri all'esterno, quartieri ricchi al centro, con l'eccezione di eleganti dimore dotate di vasti giardini situate in periferia). Comunque, i quartieri appaiono, nell'insieme, abbastanza simili gli uni agli altri. I tracciati stradali risultano assai spezzettati, tortuosi, talvolta in diagonale o, anche se meno frequentemente, curvilinei, spesso ad albero, o comunque en cul-de-sac, apparentemente labirintici con molte strade e vicoli a servizio di singole unità abitative, come testimonia estensivamente ancora all'inizio del XIX secolo la pianta del Cairo della Description de l'Égypte voluta da Napoleone. Pochi sono gli assi principali, comunque non confrontabili con quelli delle città occidentali, che tagliano un intrico di strade, quasi ovunque strette, veri corridoi, spesso coperte. Talvolta appare chiaramente una città più interna, detta madīna, mentre le cinte murarie, per quando diffuse, non costituiscono una caratteristica assoluta; le opere per l'approvvigionamento idrico nell'insieme ben strutturate si configurano diversamente per epoche e per regioni (spesso grandi bacini in Nord Africa, nello Yemen, nelle città dell'India, ma anche acquedotti sotterranei o in superficie, specie in Iran e in Asia Centrale). Altro elemento presente in ogni città, e non solo islamica, è il mercato, nelle sue varie forme, dalle più semplici, che vedevano le merci esposte per terra, in spiazzi scelti per la loro posizione, alle grandi strutture architettoniche di particolare pregio (Aleppo, Istanbul, Bukhara); il mercato si qualifica per la dislocazione, spesso adiacente alla Grande Moschea (Sanaa, Bukhara), in posizione centrale (ad es. il bazar stradale, abbastanza frequente, con botteghe concentrate lungo una o più strade, come ancora nel XIX secolo ad Argirocastro, nel Sud dell'Albania), ma anche in posizione eccentrica (in diverse città dell'Asia Centrale). La città islamica si configura, ad una prima lettura, come un luogo dove non sembrano essere facilitati né l'incontro né la sosta perché, eccettuati i mercati e i relativi caravanserragli e in parte gli ḥammām, mancano gli spazi deputati al sociale, gli spazi per cerimonie, gli spazi rappresentativi (anche se con qualche eccezione nelle città palatine e in alcune dell'area iranica e centro-asiatica); prevalgono infatti, e di gran lunga, tra gli edifici pubblici, quelli religiosi. Elemento costitutivo della struttura della città islamica appare quello della centralità della Grande Moschea, centralità che è fisica e funzionale, sì, ma anche fortemente simbolica, in una società modellata completamente dalla religione e dalla sua pratica. I palazzi, sede del potere, si trovano generalmente nelle immediate vicinanze della Grande Moschea (come era il caso della Baghdad abbaside, ma anche di tante città palatine), quando non addirittura isolati all'interno della cittadella (come, tra l'altro, in Asia Centrale). La loro mole, la loro estensione e spesso il loro isolamento li rende elementi urbani di spicco, dove sono presenti. Un cenno meritano nel contesto urbano i bagni pubblici esemplati su modelli tardoantichi variamente reinterpretati, utilizzati estensivamente fino ai giorni nostri, elementi architettonici facilmente individuabili nella struttura della città, per le loro dimensioni, per le diverse parti (spesso si tratta di ḥammām doppi, dove uomini e donne possono usufruire di tutti i servizi contemporaneamente), per le numerose cupolette con oculi di vetro che illuminano l'interno. Appare chiaro, quindi, che le tipologie edilizie delle città islamiche sono assai poco numerose, che il numero degli edifici pubblici è molto ridotto (l'evergetismo, generalmente reale, era limitato ad edifici religiosi o parareligiosi, quali fondazioni pie e ospizi) e che, pertanto, il nucleo di base della città risulta costituito da un'entità unitaria, geometricamente identificabile con facilità, la casa unifamiliare. Tale edificio, di dimensioni ridotte, quasi sempre ad un solo piano, con giardino o orto, replicato un gran numero di volte, costituisce l'elemento generatore del tessuto urbano. Le case del mondo islamico non rivelano né la forma interna, né la loro importanza: si tratta di edifici aperti verso l'interno, volutamente quasi del tutto chiusi verso l'esterno, spesso con lunghe mura a delimitarli verso la strada, costruiti secondo una tipologia che risulta ancora chiara nonostante i secoli trascorsi dall'occupazione araba persino in alcuni quartieri di Siviglia e in qualche paese del centro della Sicilia. Secondo alcuni studiosi molti dei caratteri della città islamica possono essere ricondotti a quelli della città orientale antica preislamica, che in genere aveva al centro gli edifici religiosi e i complessi palaziali, si estendeva radialmente, con abitato compatto, formato da case con cortile interno, modulo ripetuto senza molte varianti. Questa tipologia orientale, a cui aggiungere sia le fortificazioni sia alcune varianti (parte sacra isolata, posizione su uno o più tell, agricoltura intramuraria, case diverse), risulta accostabile a molte delle città islamiche, anche se vanno tenute nel debito conto per gli opportuni confronti alcune caratteristiche delle città altomedievali europee e medio-orientali, assai più vicine cronologicamente. La stessa divisione per etnie, per quanto non generalizzata, non era sconosciuta, come l'espansione extramuraria, le sepolture in ambito urbano (oltre che extraurbano), generatrici di luoghi di culto, mentre la rarefazione del tessuto abitativo, portato dalla contrazione del numero degli abitanti, pur interessando anche città dell'Impero d'Oriente, quali Efeso, Sardi (all'inizio del VII sec.) e la stessa Mileto (nel corso del VII sec.), non appare che raramente nelle metropoli islamiche (Kairouan, Samarra). E se la ruralizzazione di parte del centro urbano non interessa generalmente il mondo islamico, sono però presenti, come nelle città europee medievali, aree intramurarie destinate alle colture. Confronti ancora più stringenti appaiono quelli con siti urbani delle regioni orientali dell'impero bizantino, dove le strutture ecclesiastiche si trovavano generalmente in aree intramurarie, le acropoli venivano utilizzate in funzione difensiva (o, più raramente, per la sede vescovile) e le città si articolavano spesso in tre poli (difesivo, religioso e commerciale, in forma di mercato o di suburbio artigianale), diversificandosi vieppiù dalle città romane, inizialmente monocentriche. Alle città caratterizzate da vie colonnate, comunque commerciali, vere strutture portanti dell'impianto urbano (Apamea, Palmira, Gerasa, Damasco), prive di mura, si sostituiscono, nel periodo medio-bizantino (VIII-XI sec.), nelle regioni orientali, centri urbani finalizzati alla difesa che vengono dotati di robuste cinte murarie, secondo principi già anticipati nelle fondazioni ex novo (viabilità ortogonale, numerosi luoghi di culto, mancanza di edifici per gli spettacoli), con caratteri non molto dissimili dalle future città islamiche. Così, nell'Anatolia preislamica alcune città erano già topograficamente quasi irriconoscibili rispetto ai modelli classici e in diversi casi le città medio-bizantine apparivano "disordinate". Non stupisce, dunque, che anche nelle città sviluppatesi in epoca islamica come continuazione degli insediamenti grecoromani alcune zone della griglia ortogonale risultano illeggibili, anche per il taglio successivo di vicoli e per la costruzione di case, realizzate le une a ridosso delle altre, che hanno invaso le carreggiate antiche, restringendole, alterandole o coprendole completamente. Resta comunque molto spesso una traccia delle strade parallele di tradizione romana e bizantina, mentre manca invece la curvilineità caratteristica di molte città medievali dell'Europa occidentale. In un ambito quale quello islamico dei primi secoli, in cui hanno continuato a vivere grandi città del mondo antico (Alessandria, Antiochia, Damasco, precocemente in mano araba) e un numero forse eccessivo di siti urbani (molti, infatti, furono abbandonati), è difficile stabilire quali fossero i fattori poleogenetici e in quali casi si possa parlare di centri protourbani, piuttosto che urbani. Con l'evolversi della civiltà islamica, lato sensu, le necessità e le finalità affineranno le tipologie (peraltro non estranee a molte delle culture precedenti) e i centri urbani saranno differenziati funzionalmente in agricoli (oasi in zone desertiche o semidesertiche, dalla Penisola Arabica, all'Asia Centrale, ai margini del Sahara), militari (accampamenti che hanno dato luogo a vere e proprie città), carovanieri lungo le grandi direttrici commerciali e del pellegrinaggio, non solo verso La Mecca. Da un più che sommario confronto tra le città islamiche e quelle coeve del mondo occidentale, limitando l'analisi al periodo che corrisponde al nostro Medioevo, anche se per l'Oriente sino al XX secolo i cambiamenti sono stati ridotti, risultano chiare alcune differenze. Un primo esame delle piante degli insediamenti islamici rivela non solo la mancanza di quella regolarità estesa, in grande scala, che era un carattere proprio delle città classiche e, in parte, bizantine, ma anche l'assenza di piazze e di elementi di spicco nel tessuto urbano. Quello che aveva formato il cuore delle città di ascendenza classica, foro o agorà che fosse, presente in quasi tutte le città medievali, trova solo in qualche caso una eco: ad Aleppo, dove diventa sahn della Grande Moschea, o, in epoca assai più tarda, nella Samarcanda timuride, con il suo Registan, e nella Isfahan safavide con il suo monumentale Maidan. Non si vede, salvo casi rarissimi, la realizzazione di piani programmatici di sviluppo, peraltro infrequenti anche in Occidente. La mancanza di teatri, anfiteatri e di edifici per gli spettacoli in genere va piuttosto considerata come differenza con le città tardoantiche, dato che queste tipologie, per quanto presenti estensivamente nelle città classiche, erano scomparse completamente dai nostri insediamenti medievali. Edifici giudiziari e amministrativi non appaiono visibilmente nella struttura urbana, perché molte delle funzioni venivano espletate nelle moschee o comunque in sedi non specificatamente costruite (come erano, invece, ad es., nelle nostre città medievali i palazzi pubblici). Il potere, anch'esso non sempre visibile, si manifestava diversamente per zone e per epoche, con palazzi, spesso fortificati e su eminenze del terreno, tanto sontuosi all'interno quanto spogli all'esterno. Le tipologie edilizie delle città islamiche si riducono, dunque, ad edifici religiosi, i più evidenti e i più numerosi, edifici commerciali, terme, strutture difensive e case di abitazione. Lo studio sistematico della città islamica, che necessita, come quello di altri ambiti, dell'analisi critica dei testi degli storici e dei geografi locali, nonché della letteratura odeporica orientale e occidentale, dell'esame delle iscrizioni, della raccolta dei dati economici, del confronto dei diversi documenti iconografici (miniature, disegni, incisioni), della valutazione dei risultati degli scavi archeologici, dei dati della cartografia e della toponomastica, presenta specifiche difficoltà. È da aggiungere che le ricerche sistematiche risultano ostacolate, un po' in tutto il mondo islamico, da un grande numero di catastrofi naturali che, nel corso dei secoli, hanno cancellato gran parte delle città, da disastrose invasioni (tra le più catastrofiche quella dei Banu Hilal nel Nord Africa nell'XI sec. e quella dei Mongoli in gran parte del Califfato nel XIII sec., che hanno raso al suolo decine e decine di città, mai più risollevatesi) e da guerre, pressoché continue sino alla seconda metà del XX secolo (Hama, in Siria, semidistrutta negli anni Settanta, città della Bosnia bombardate negli anni Novanta), nonché dall'incontrollato e incontrollabile sviluppo dei centri urbani, più distruttivo, per le memorie urbane, di qualsiasi evento bellico. Un cenno particolare meritano le fonti, che costituiscono al tempo stesso uno degli elementi più importanti per la ricostruzione delle città islamiche e uno dei maggiori problemi sul piano dell'interpretazione, soprattutto per il carattere non probatorio dei testi islamici e per una inattendibilità in generale delle fonti. Persino gli storici raccolgono acriticamente il materiale e hanno come scopo il dimostrare l'opera di Dio su questa terra; così, storia e geografia risultano largamente aneddotiche. Contrasta questa tendenza generale l'opera di Ibn Khaldun (1332-1406), da considerare più che uno storico un teorico della storia, iniziatore della storiografia araba, sensibile anche alle problematiche urbane e teorico della città, vista come elemento fondamentale del territorio e della comunità, segno tangibile della superiorità intrinseca dei sedentari sui nomadi, dell'Islam sui non musulmani. Anche i testi dei geografi risentono della impostazione e della motivazione completamente religiosa di ogni studio. La geografia descrittiva (scientifica) e quella simbolica (sacra) tendono a coincidere: montagne, fiumi, isole sono i segni di un mondo celeste, con i problemi di attendibilità che ne derivano. Per di più le informazioni, di vario genere, generalmente di prima mano, vengono date quasi sempre in un ordine assolutamente casuale. Molti sono gli scrittori poligrafi e non sempre è chiara la divisione per generi, risulta difficile talvolta distinguere lo storico dal geografo come è difficile distinguere testi di geografia da resoconti di viaggio. Comunque, i testi, quasi tutti in arabo, raccolti in gran parte in edizione critica, costituiscono una fonte primaria per la ricostruzione delle città del mondo islamico nei vari secoli. Non si possono non citare, almeno, le descrizioni e i dettagli su Baghdad di al-Khatib, Yaqubi, Yaqut, Tabari, al-Baladhuri; sul Cairo di Maqrizi; su Palermo arabonormanna di Ibn Hauqal, al-Idrisi, Ibn Giubair; su Bukhara samanide di Narshakhi; su Raqqa di al-Qushayri; su Nishapur di al-Hakim; su Isfahan di Abu Nuaym; su La Mecca di al-Azraqi; su Damasco di Ibn Asakir; su Aleppo di Ibn Shaddad; su Gerusalemme di al-Maqdisi. Tra i numerosi, veri e propri resoconti di viaggio, finalizzati religiosamente e connotati come i coevi testi di occidentali da un forte senso del fiabesco e del meraviglioso, tutti imprecisi, moltissimi inattendibili, vanno almeno ricordati, nella loro diversità, quelli di Ibn Battuta (1304-1368), il viaggiatore islamico per antonomasia, e quelli, di molto posteriori, di Evlia Çelebi (1611-1681), preciso compilatore di elenchi di moschee e di altri edifici, sui cui testi è possibile ricostruire nel dettaglio moltissime città dell'impero ottomano. Generalmente gli autori arabi e persiani non considerano le città nel loro complesso e i riferimenti che vi troviamo sono spesso o frammentari o relativi a problematiche specifiche diverse. Così gli edifici sono spesso citati en passant e persino su monumenti notissimi mancano informazioni fondamentali, mentre su quelli distrutti i dati sono talmente imprecisi da non permetterne spesso l'identificazione. Leggendo molti di questi testi si rimane, dunque, stupiti per quanto ripetitive e scarne sono le descrizioni dei centri urbani, piccoli o grandi: "la più grande e la più ricca città della regione", "prospera e bella", "occupa un'area...", "dal clima salubre (oppure no)", "ha (oppure non ha) acqua di fonte". Raramente si fa cenno a edifici specifici, che peraltro non vengono descritti: "possiede una Moschea del Venerdì", "possiede una fortezza". Con maggiore frequenza si accenna a specificità religiose: "la Moschea del Venerdì è la più frequentata", oppure: "vi si trova la tomba del santo..., molto venerata". Significative per la loro sinteticità le descrizioni delle metropoli: Baghdad viene liquidata in meno di dieci righe nell'Ḥudūd al-῾Ālam (Le regioni del mondo), un testo persiano del X secolo, proprio quando la città, al suo apogeo, era probabilmente la più grande del mondo. Sulla città e sulle funzioni manca, come si vede nell'insieme, la copiosa letteratura latina sull'argomento, mancano un De aedificiis di Procopio, un De aquaeductu urbis Romae di Frontino e manca anche, rivolgendosi ad Oriente, un Vastuśāstra (Trattato della fondazione degli edifici, o dell'architettura) indiano, o un Mayamata (La dottrina di Maya), in cui viene descritta la figura dello sthapati indiano, che era non solo architetto ma anche urbanista, di grande cultura oltre che di ineccepibile moralità, figura anch'essa assente in ambito islamico. Per quanto riguarda l'epigrafia araba, e islamica in generale, scienza relativamente giovane, si è ancora ben lungi dal disporre di un Corpus completo: solo alcune aree sono state investigate in modo sistematico e, per di più, spesso le iscrizioni, soprattutto quelle di fondazione degli edifici, di grande aiuto per una ricerca di questo tipo, sono da tempo decontestualizzate e quindi quasi inutilizzabili. Per una ricerca sullo sviluppo economico di insediamenti di un certo peso, i dati di cui possiamo disporre, specie per i primi secoli (ma fino al XVII secolo, quasi ovunque) sono assai scarsi e di difficile reperimento, sia pure con qualche eccezione come quella rappresentata dai documenti detti "della Gheniza". Manca, comunque, la messe di informazioni che, per l'Occidente medievale, proviene dagli spogli notarili. Lo studio della legislazione, illuminante per l'evolversi della città, vasta ed articolata in Occidente, è necessariamente ridotto ai pochissimi testi e comunque non certo dei primi secoli: questa scarsità si deve al prevalere di un diritto non scritto consuetudinario, che trovava la sua base nel Corano e negli Ḥadīṯ ("tradizioni"), che, tra l'altro, non parlano di insediamenti urbani. I documenti iconografici, infine, molto difficilmente possono essere di valido aiuto nella ricostruzione storica delle città. Le miniature, raffinate opere pittoriche, sono per loro natura prive di elementi riferibili a una determinata realtà, come del resto quasi tutta la produzione artistica orientale. Manca in Oriente quella tipologia pittorica del paesaggio topografico, che riporta, con sufficiente attendibilità, l'assetto urbano e del territorio. Persino la documentazione, più tarda, dovuta agli occidentali tramanda immagini spesso fantasiose, atte a colpire l'immaginazione più che a documentare dettagliatamente. Per quanto riguarda l'indagine archeologica, elemento portante per ricerche sul tessuto urbano, va subito detto che nel pur vastissimo ambito islamico pochi sono i centri scavati sistematicamente. Molte città, dal Maghreb all'Asia Centrale, un tempo floride e abbandonate ormai da secoli, non sono state ancora oggetto di scavo, per motivi diversi, soprattutto per difficoltà economiche, per l'instabilità politica di molte regioni. Ad aggravare la situazione è il rapido, irreparabile degrado dei siti disabitati, che li rende quasi illeggibili già dopo poche decine di anni; è questo il caso ad esempio di Suakin, un tempo ricca città portuale sudanese sul Mar Rosso. Nei siti abitati, invece, gli scavi del passato sono stati quasi sempre distruttivi della facies islamica, tesi com'erano al riportare alla luce fasi precedenti; è il caso di Tadmur, la città araba sorta sulla Palmira classica, completamente rasa al suolo per liberare gli edifici tardoantichi, del complesso di fortificazioni della cittadella di Bostra per riportare alla luce il teatro romano, o di Baalbek, la cui pur modesta consistenza di cittadina islamica è testimoniata, ormai, solo in qualche dipinto dell'inizio del Novecento. Rari sono i siti urbani, ormai abbandonati, oggetti di scavi estesi e sistematici; solo Samarra (Iraq), effimera capitale degli Abbasidi dall'836 all'883, la città senza limiti e senza confini, è stata studiata per zone ma ancora non completamente. Il suo tessuto urbano, senza disegno unitario, ma con aree omogenee staccate le une dalle altre, appare chiarissimo dalle foto aeree più che dalle tracce archeologiche, tra le quali giganteggiano le due moschee con minareti a scala esterna spiraliforme. Di ben diverse proporzioni, ma studiata con accuratezza, è Angiar, nella Valle della Beqaa (Libano), antico insediamento militare dell'inizio dell'VIII secolo, che sembrerebbe esemplato sulle città classiche con perfetta griglia cardo-decumanica e cinta muraria. Fra gli altri siti parzialmente scavati vanno ricordati Raqqa e Balis (entrambe in Siria), Siraf nelle sue fasi dal VII al XII secolo, città portuale sul Golfo Persico, e Nishapur (entrambe in Iran), Merv (Turkmenistan), la seconda città del Califfato, ancora illeggibile nel suo insieme, così come Urgenc (Kunja Urgenč in Turkmenistan), mentre Afrasiab, la Samarcanda premongola, comincia a rivelare la sua struttura. Ghazni e Balkh (entrambe in Afghanistan) sono solo in parte conosciute, data l'incompletezza degli scavi. In Nord Africa, delle numerose città palatine si conoscono nelle grandi linee e per la posizione dei monumenti principali la Qala dei Banu Hammad e Ashir (entrambe città morte in Algeria). Insediamenti islamici subsahariani, come Kumbi Saleh (Mauritania), Gedi (Kenya) e Kilwa (Tanzania), oggetto di scavi sistematici, risultano abbastanza ben ricostruibili. Scavi archeologici accurati e di vasta portata potrebbero risolvere i casi di edifici dalla incerta destinazione, che rendono inattendibili alcune teorie urbanistiche e comportano, se interpretati diversamente, sostanziali diversità negli schemi urbani. Così, ad esempio, il Mausoleo di Sultan Tekesh (del 1200 ca.) a Kunja Urgenč secondo alcune teorie più recenti non sarebbe un mausoleo, bensì un edificio per "ricevimenti", una sorta di sala delle udienze; il Mausoleo di Muhammad Boshsharo (XI-XII secolo e 1342) a Mazar-i Sharif (Tajikistan) sarebbe stato, in origine, una moschea; infine, ma le citazioni potrebbero continuare, la Grande Moschea, con miḥrāb a pianta rettangolare, ad Afrasiab sarebbe invece un edificio civile. Appare chiaro, da quanto detto sinora, che ogni tentativo di divisione per tipologia planimetrica delle città islamiche è destinato ad essere approssimativo e impreciso in moltissimi casi, data la continuità con impianti precedenti. Una prima possibile suddivisione secondo la forma comporta: città circolari, a ferro di cavallo, ad impianto rettangolare compatto, a raggiera, radiocentriche, stellari, senza limite di estensione e anche città doppie, tripolari, pluricentriche ex novo e pluricentriche nel tempo. La forma circolare, pur singolarissima, non era però unica in ambito preislamico, come testimoniano diversi esempi, quali Ctesifonte, Takht-i Sulaiman, Hatra, Harran, Gur. Unica invece sarebbe la perfezione assoluta del cerchio, base della nuova capitale abbaside, Baghdad, come ci tramandano gli storici, ma di cui non restano incontrovertibili tracce archeologiche. Anche Hiraqla, visibilissima questa nelle foto aeree, perpetua tale tipologia, sia pure in dimensioni più ridotte. Riconducibili al cerchio sono anche Mossul, al-Mansur e Zabid (Yemen). Raqqa resta un raro esempio di pianta a ferro di cavallo. Un impianto rettangolare regolare si ritrova a Istakhr presso Persepoli, ad Angiar, nelle città aghlabite di Kairouan, Sfax, Sousse, Tunisi e Tripoli, Herat timuride con pianta quadripartita di origine forse greco- bactriana, ma anche in ambito diversissimo, a Shibam, nello Yemen, dove la presenza di una maglia planimetrica ortogonale potrebbe essere di tradizione preislamica. A raggiera, radiocentriche o stellari, tipologia peraltro assai diffusa, sono Marrakesh, fondazione ex novo degli Almoravidi, Saada (Yemen) capitale degli Zayditi, Zohra, nella Tihama (Yemen). Esistono anche centri urbani senza limite di estensione, illimitati in ogni direzione, quale Samarra, di oltre 30 km di lunghezza, estesa lungo il Tigri, e le città dello Mzab (Algeria). Città doppie e pluricentriche ex novo, anche se non sempre è possibile stabilirlo, sono Fez, rifondazione idrisita, che unifica il centro dei Kairuanesi e quello degli Andalusi, a cui si aggiungerà più tardi, in epoca marinide, un ulteriore centro, Ghadames, oasi della Libia occidentale, formata da due borghi gemelli abitati da due etnie diverse, Banu Ulid e Banu Wasit; El-Ateuf, nella Pentapoli algerina dello Mzab, con due Grandi Moschee; Aghmat (Marocco) con due nuclei situati uno in pianura e l'altro in montagna; Moulay Idriss che comprende due quartieri collinari (Khiber e Tasga) uniti dalla zāwiya; Hillah (Iraq), che nel X secolo si chiamava già al-Giamiain (le due moschee), cui fu aggiunta nel 1102 una nuova città fondata sulla riva occidentale dell'Eufrate; Isfahan, che continua una precedente città doppia formata da Yahudiyya insediamento ebraico e Jay sasanide, successivamente unificati in epoca islamica; Ahwaz, nel Khuzistan iraniano, formata da due quartieri separati dal fiume Jujail (Karoun), il più importante lungo la riva orientale, con la Moschea del Venerdì e i mercati; Bust e Ghazni (Afghanistan), capitali dei Ghaznavidi (977-1186); Tabriz (Azerbaigian iraniano) di epoca ilkhanide, con due centri satellitari, Ghazaniyya e Rab- i Rashidi, ora scomparsi; infine, in ben altro contesto, Mogadiscio, fondata nel X secolo, con due quartieri distinti, Amaruini e Shingani. Sicuramente pluricentrica nel tempo è quella che chiamiamo Il Cairo (in arabo Misr). Delhi, somma di sette città successive, tutte di epoca islamica, sarebbe, però, secondo gli studiosi indiani, continuazione di insediamenti precedenti tipicamente ariani, in nulla riconducibili a prototipi di urbanistica islamica. Le città tripolari, con arǧ oppure quhandiz (la cittadella), sede del potere, shahristan (la città dei nobili), rabad (i quartieri destinati ad artigiani e commercianti), continuano, generalmente, la locale tradizione iranica e centro-asiatica, come testimoniano Merv di epoca abbaside, Bukhara capitale samanide dall'819 al 1005, Afrasiab e Nishapur di epoca samanide. Le città possono essere suddivise anche secondo altre tipologie non strettamente planimetriche in città palatine (nelle diverse regioni staccatesi dal Califfato), in città carovaniere (e sono tantissime), oppure per la localizzazione di alcuni elementi urbani importanti, come quella dei mercati all'interno della città, in posizione centrale (caso frequente), oppure all'esterno della città (come succede spesso nello Yemen), oppure ancora per la localizzazione delle opere di fortificazione (quasi sempre su di un'eminenza del terreno, spesso decentrate), dei giardini e degli orti nel tessuto urbano (come a Sanaa) o suburbano (di grandissimo peso, soprattutto nelle città dell'Iran e del Subcontinente indiano). Una suddivisione, per quanto non rigorosa, per aree geoclimatiche e per epoche, nelle quali individuare ulteriori subaree e periodi più limitati, può costituire un utile punto di riferimento per una sistematizzazione dell'urbanistica islamica nelle sue fasi iniziali. Prima fra tutte, ovviamente, l'Arabia, con le sue città preislamiche e le loro persistenze e variazioni in epoca islamica, poi il Vicino Oriente con le città bizantine di ascendenza ellenistico-romana, il Nord Africa con città ancora nettamente romano-provinciali, l'area iranica con gli insediamenti partico-sasanidi, le regioni dell'Africa subsahariana in tutte le loro peculiarità. Va notato che oltre alle persistenze topiche, le più frequenti, esistono anche casi di slittamento tra centri preislamici di origine romano-ellenistica o iranico-mesopotamica e le successive città musulmane, come, ad esempio, in Nord Africa, Tamuda-Tetouan, Volubilis-Moulay Idriss, Sala-Salé, Hippo Regius-Annaba, Cartagine-Tunisi, Euesperides-Berenice- Bengasi, Babilonia d'Egitto-Fustat, in Mespotamia e nell'area iranica, Ctesifonte-Baghdad, Ninive-Mossul, Persepoli-Ishtar, Tus-Mashad. Slittamento che si è verificato anche tra insediamenti islamici primitivi e città musulmane più tarde, ad esempio, Kufa-Najaf, Basra antica-Basra più recente, Balkh-Mazar-i Sharif, Rayy-Teheran, Urgenc-nuova Urgenc. Comunque, restano al di fuori da tipologie applicate a posteriori moltissime città storiche, che, accomunate da una storia millenaria e dalla contiguità geografica, hanno avuto esiti urbanistici per molti aspetti comparabili, dimostrazione ad abundantiam che la civiltà islamica è una civiltà urbana. Nella Penisola Arabica (odierni Arabia Saudita, Yemen, Oman, Emirati Arabi Uniti), culla dell'Islam, le città, costruite prevalentemente in crudo, riflettono, almeno fino ad epoca premoderna, consuetudini abitative ben differenziate. Nelle regioni più settentrionali i centri appaiono estesi, con case a un solo piano e grande corte interna, moschee del tipo a sala ipostila, di grande semplicità; nella zona meridionale, invece, dove le civiltà preislamiche avevano prodotto una società agricola avanzata, dotata anche di una sua scrittura e di una sua arte raffinata, le città, assai differenziate, si distinguono, tra l'altro, per le inusuali case-torri, veri grattacieli nel deserto (soprattutto nello Yemen meridionale), ora in pietra, ora in crudo, diverse però da regione a regione, accostate le une alle altre e con zone riservate al mercato spesso fuori delle mura (Sanaa, Sada, Shibam), mentre le regioni orientali, e l'Oman specialmente, presentano tipologie assai diverse per gli insediamenti costieri (Zafar) e quelli interni (Nizwa, Bahla, Mana). Vanno almeno citati nelle loro diversità gli insediamenti dello Yemen centrale e settentrionale, Gianad, Gibla, Taizz capitale dei Rasulidi, Ibb, Dhamar, Rada, Hababa, Thula, e, nello Yemen meridionale e nell'Hadramaut, Aden Shihr, Musalla e Tarim. Da notare che dei due luoghi santi per eccellenza, non Mecca, senza mura, incardinata sull'Haram, centro generatore dell'insediamento da sempre, allungata a seguire le strade dei pellegrini, bensì Madina, murata, più compatta, con la Moschea del Profeta decentrata, è stata considerata generalmente modello di città islamica. Nel Vicino Oriente (odierni Siria, Libano, Israele, Giordania), i nuovi dominatori trasformano gradualmente i centri ellenizzati di cultura avanzatissima, quali Damasco, Gerusalemme (conquistata già nel 638) e Bostra, sostituendo moschee a chiese e costruendo nuovi quartieri, pur avvalendosi, nei primi secoli, di maestranze bizantine. Le diverse dinastie arabe prima, turche e ottomane poi, vi porteranno ulteriori notevoli cambiamenti, senza però alterarne sempre e completamente la struttura urbana originaria. Il Cairo, invece, costituisce di per sé stessa una epitome della formazione di una città islamica: nata dal progressivo aggiungersi di insediamenti contigui da Babylonia romana, poi al-Fustat e, via via, al-Aksar, al-Qatai, al-Qahira fatimide, fino alla megalopoli odierna, con i relativi sventramenti ottocenteschi. Dei centri del Nord Africa e del Maghreb (odierni Libia, Tunisia, Algeria, Marocco), molti hanno impianti urbani chiaramente definiti, talora ortogonali, da Kairouan alle città costruite spesso ex novo dai monarchi delle dinastie succedutesi nelle varie regioni: al-Abassiyya, Sabra Mansuriyya, Sfax, Sousse (Aghlabiti), Mahdiyya, Raqqada (Fatimidi), Sedrata Mzab, Tahert (Rustamidi), Qala dei Banu Hammad, Bigiaya, oggi Bougie (Hammadidi), Ashir (Ziridi), Fez Giadid, Qasr al-Saghir, al-Mansur presso Tlemcen (Marinidi), Hammamet (Hafsidi). Altre hanno caratteri diversi, come Ajdabiya, con funzioni difensive, Algeri, fondazione dei Berberi Ziridi, dalla inestricabile Madina (conosciuta anche come Qasbah), le città della Pentapoli, volute dagli Ibaditi, le città-capitali del Marocco, Tunisi trasformata in capitale dagli Hafsidi, fino a Tripoli, dall'ancora rintracciabile struttura parzialmente cardo-decumanica. In Spagna gli Omayyadi (come faranno i loro successori) continuano i fasti della perduta Damasco, trasformando i centri visigoti e quelli di origine romana in città dotate di tutte le strutture indispensabili alla società islamica, costruendo all'interno di solide cinte murarie ricercate moschee, bagni e palazzi, spesso vere imprendibili cittadelle, ma anche residenze sontuose come Madinat az-Zahra, non lontano da Cordova, da decenni ormai oggetto di scavi sistematici. Poche nell'insieme le tracce di quel periodo, sistematicamente distrutte dopo la Reconquista; della Siviglia almohade, porto fluviale sul Guadalquivir, di Almeria e di Malaga con i loro arsenali, di Valencia e di Saragozza islamiche non resta niente, mentre a Granada, caratterizzata dalla pluralità di quartieri dalla distribuzione funzionale, oltre all'Alhambra, resta qualche eco nella struttura di alcune zone. Tra i centri della Mesopotamia (Iraq), eredi di civiltà urbane millenarie, oltre a Kufa e Basra nel Sud, nate come campi militari, Baghdad, capitale degli Abbasidi, costruita ex novo, città ideale per eccellenza, Samarra, seconda capitale, Mossul, Erbil su tell troncoconico, Kirkuk, anch'essa su tell, rispecchiano le diverse esigenze amministrative e difensive degli insediamenti, ormai illeggibili nella quasi totalità. L'Iran, civiltà urbana raffinatissima, destinata per secoli a costituire il primo impatto con la città per i nomadi centroasiatici, presenta numerose capitali di diverse dinastie, da Maragha e Sultaniyya, in Azerbaigian capitali degli Ilkhanidi (1256-1353) a Shiraz buyide in grado di rivaleggiare con Baghdad, a Isfahan, la cui struttura urbana viene sostanzialmente modificata dai Safavidi, quando ne fanno la loro capitale dal 1598, rimodellata secondo concetti monumentali e scenografici, degni di una vera e propria teocrazia. Le città della regione di influenza iranica (Afghanistan, parte del Pakistan e dell'Asia Centrale), centri carovanieri all'interno di oasi verdeggianti e legati per secoli a tipologie preislamiche, con la zona commerciale al centro dell'intera rete viaria urbana, sono destinate in molti casi a sostanziali cambiamenti urbani sotto i Timuridi, quando, con la realizzazione di numerosi edifici di dimensioni più che imponenti e disposti spesso secondo percorsi processionali, si impone una concezione urbana di visibilità del potere (soprattutto a Samarcanda e Shahr-i Sabz, ma anche a Herat e a Kandahar). Città del Caucaso precocemente e durevolmente islamizzate, pur nella loro diversità, Derbent, già importante città in epoca sasanide, e Baku si contrappongono a città di provincia perse all'Islam, come Dvin in Armenia, o destinate più tardi a una più o meno forte slavizzazione (le città della Crimea, prima fra tutte Bahcesaray), Bolgar (scomparsa), e Kazan. Le città dell'Anatolia (odierna Turchia), già formate in epoca ellenistica, romana e bizantina, caratterizzate dalle splendide architetture in pietra selgiuchidi prima e ottomane poi, mantengono in molti casi schemi urbanistici lineari: Erzurum Konya, Qubadabad, Alanya, Diyarbakır. A queste vanno aggiunte le artuquidi Mardin e Bitlis, unico centro storico della Turchia conservato, le capitali di beylicati Karaman, Manisa, Aydın, Milas, Peçin-Kale, Selçuk, Urfa, biblica prima ancora che islamica, Bursa, presa dagli Ottomani nel 1326 e loro capitale fino al 1413, Edirne, in Tracia, ottomana nel 1362, sede di corte dal 1366, caratterizzata da monumentali opere di Sinan, il massimo architetto turco, e da un gran numero di fondazioni pie. Non si può non accennare in questo contesto a Istanbul, Costantinopoli, Bisanzio, lungamente nota come Kostantinye, dove alla capitale dell'Impero romano d'Oriente si è sostituita, apparentemente senza traumi, quella dello sterminato impero ottomano, dove tutte le chiese bizantine (salvo una) sono state sistematicamente trasformate in moschee, dove una città-giardino, città nella città, Topkapı, è stata costruita distruggendo i precedenti palazzi imperiali, mantenendo sostanzialmente la struttura urbanistica precedente, in gran parte immodificabile, di città chiusa nelle sue mura, ormai inutili, e divisa da due bracci di mare, in quartieri necessariamente diversi. Le brulicanti città del Subcontinente indiano (odierni Pakistan, India e Bangladesh, a cui sono da aggiungere, per motivi storici, quelle dell'Arakan, in Birmania), costituiscono, anche se in un ambito ridiventato in gran parte hinduista, il gruppo omogeneo più numeroso di centri urbani islamici: dagli insediamenti più antichi (Banbhore e al-Mansur, che recenti scoperte archeologiche hanno riportato in parte alla luce), a quelli del Sultanato di Delhi (1206-1526), di cui restano anche cospicue tracce archeologiche nelle cosiddette Sette Città della capitale, fino alle grandi fondazioni di epoca Moghul (Agra, Fatehpur Sikri, Lahore, Dacca), dove la struttura sostanzialmente rivela regolarità planimetrica, nonostante le eminenze del terreno, nonché influenze persiane nel gran numero di giardini. Altri centri in gran parte monumentali, come Gaur nel Bengala, Ahmedabad e Champanir nel Gujarat, Dhar e Mandu nel Malwa, Gulbarga, Bidar e Bijapur nel Deccan, non appaiono come spiccatamente islamici, al di là dell'abbondanza di edifici religiosi. In Malesia e in Indonesia, dove l'Islam è stato lentamente introdotto dai mercanti fin dal XIV secolo, alcune città, pur conservando in parte la precedente struttura, sono incentrate su vasti palazzi del Sultano locale, generalmente preceduti da ampie piazze: Medan (Sumatra), Banten, Yogyakarta e la vicina Kuta Gede e Solo (tutte a Giava). Le città dei Balcani, passate dal mondo tardobizantino a quello ottomano, che le ha spesso ridisegnate secondo le prevalenti esigenze dell'Islam, costituiscono un insieme relativamente unitario dal punto di vista urbanistico, caratterizzate come sono da sviluppo urbano policentrico, anche se in molti casi in gran parte compromesso: Sarajevo, che costituiva, fino a questa ultima guerra, l'unico centro storico ottomano ben conservato, Mostar, Skopje, Kastoria, Joanina, Plovdiv. Nell'Africa subsahariana, islamizzata a partire dal IX secolo, alcune città in Mauritania (Chinguetti ed altre ormai perdute nel deserto, come Kumbi Salah), nel Mali (Timbuctù, il centro religioso e culturale per eccellenza dal XV sec., e Djenné), in Nigeria (Kano), cinte di mura, si estendono, in apparente disordine, con i loro edifici in crudo, anche monumentali (le Grandi Moschee), mentre in altre regioni quali l'odierno Sudan (con Suakin), Somalia (con Mogadiscio), Kenya (con Gedi e Lamu), e Tanzania (con Kilwa e Zanzibar) riflettono ascendenze diverse nelle loro elaborate strutture urbane. Non si può non accennare alla peculiarità urbanistica delle isole Comore, precocemente islamizzate, i cui centri (soprattutto Moroni, Ikoni e Itsandra) sono caratterizzati, oltre che da un gran numero di moschee (oltre 600) e di altri edifici religiosi, da spazi pubblici detti bangwe, sorta di minuscole piazze chiuse da porte monumentali, create e mantenute da forti tradizioni locali.
R. Le Tourneau, Les villes musulmanes de l'Afrique du Nord, Alger 1957; L. Gardet, La cité musulmane: vie sociale et politique, Paris 1961; U. Monneret de Villard, Introduzione allo studio dell'archeologia islamica: le origini e il periodo omayyade, Venezia 1966; I.M. Lapidus, Muslim Cities in the Later Middle Ages, Cambridge (Mass.) 1967; T.G. McGee, Southeast Asia City, London 1967; X. de Planhol, Les fondements géographiques de l'histoire de l'Islam, Paris 1968; V. Strika, Origini e primi sviluppi dell'urbanistica islamica, in RStOr, 42 (1968), pp. 53-72; G. Tankut, The Seljuk City, Ankara 1968; J. Hanifi, The Central Asian Cities, New York 1972; L. Torres Balbás, Ciudades hispano-musulmanas, Madrid 1972; A.M. Belenitskij - I.B. Bentovich - O.G. Bol'shakov, Srednevekovyj gorod Srednej Azii [La città medievale centro-asiatica], Leningrad 1973; W.H. Naqvi, Urbanisation and Urban Centres under the Great Moghuls, 1556-1707, Simla 1975; N. Todorov, La ville balkanique sous les Ottomans (XVe-XXe s.), London 1977; H. Graube, Iranian Cities, New York 1979; E. Guidoni, La componente urbanistica islamica nella formazione delle città italiane, in F. Gabrieli - U. Scerrato (edd.), Gli Arabi in Italia, Milano 1979, pp. 575-97; R.B. Serjeant (ed.), The Islamic City, Paris 1980; A. Boudhiba - D. Chevallier (edd.), La ville arabe dans l'Islam. Histoire et mutations, Tunis 1982; S. Faroqui, Towns and Townsmen in Ottoman Anatolia, Cambridge 1984; L. Micara, Architettura e spazi nell'Islam. Le istituzioni collettive e la vita urbana, Roma 1985; A. Raymond, Grandes villes arabes à l'époque ottomane, Paris 1985; P. Cuneo, Storia dell'urbanistica. Il mondo islamico, Roma - Bari 1986; G.A. Pugachenkova (ed.), Kul'tura Srednego Vostoka. Grado-stroitel'stvo i arkhitektura [Cultura del Medio Oriente. Urbanistica e architettura], Tashkent 1989; I.A.S. Gelani, Architecture and Town-planning in the Holy Quran, Lahore 1991; V.L. Vorovina, Srednevekovyj gorod Arabskikh stran [La città medievale dei Paesi arabi], Moskva 1991; P. Cuneo, s.v. Città - Islam, in EAM, V, 1994, pp. 48-60; G. Jehel - Ph. Racinet, La ville médiévale. De l'Occident chrétien à l'Orient musulman. Ve-XVe s., Paris 1996; P. Costa, Urban Settlements in the Arabian Peninsula: Problems of Methodology and History, in Environmental Design, Trail to the East. Essays in Memory of Paolo Cuneo, 18 (1997-99) [2000], pp. 184-91.
di André Raymond
La città araba tradizionale può essere identificata in ciò che i geografi chiamano, nei moderni centri urbani, "medina" e corrisponde alla città dei secoli XVI-XIX, approssimativamente di epoca ottomana, con l'eccezione del Marocco e dello Yemen. A differenza della città classica, che deve essere "ricostruita", essa può essere individuata e studiata con i metodi dell'archeologia urbana e con l'ausilio di una documentazione, soprattutto archivistica, molto ricca. Una caratteristica fondamentale della città araba è l'assenza di uno spazio centrale civile e politico, la cui presenza e bellezza architettonica sono invece così evidenti nei centri europei, di cui Siena fornisce l'esempio più compiuto; ciò tradisce la mancanza di istituzioni comunali di tipo occidentale, motivo che ha condotto a conclusioni assai negative sulla vita urbana in terra d'Islam. Questo giudizio tuttavia non tiene in debito conto l'esistenza delle cosiddette tawā'if, ovvero corporazioni di mestieri, gruppi nazionali e religiosi, comunità di quartiere, che costituivano il crogiolo di una intensa vita collettiva e che contribuivano all'amministrazione e alla gestione della città: Il Cairo contava, alla fine del XVIII secolo, circa 250 corporazioni di mestieri ed un centinaio di quartieri, oltre a numerosi gruppi religiosi (specie minoritari, come copti ed ebrei) e nazionali (Maghrebini, Siriani). Lo spazio "civico" rispondente ai diversi bisogni della società urbana era la Grande Moschea: spazio religioso, centro didattico, luogo di riunione della comunità dei credenti, in particolar modo in occasione della preghiera collettiva del venerdì accompagnata da un sermone, discorso di edificazione religiosa ma anche di orientamento politico. La vocazione della Grande Moschea come luogo collettivo (se non comunale) è sostanziata ancora oggi dai decreti mamelucchi incisi sulle colonne del vestibolo della Moschea degli Omayyadi a Damasco e che riguardano la vita sociale ed economica dei membri della comunità nel XV secolo. La Grande Moschea era al tempo stesso il centro naturale della vita politica della città: quella di al-Azhar fu, ad esempio, il luogo in cui si esprimevano, fra XVII e XIX secolo, le sommosse o anche solo le emozioni popolari degli abitanti del Cairo. Benché i principi organizzativi della città araba tradizionale siano talvolta difficili da mettere a fuoco, soprattutto perché gli studiosi occidentali ne hanno invano tentato una spiegazione basata sui propri schemi, essa non è affatto "anarchica". I confronti con la città antica tendono inevitabilmente a dare risalto alla mancanza di una struttura regolare, organizzata attorno a luoghi pubblici, e di una regolamentazione specifica; i confronti con la città medievale occidentale inducono invece a stigmatizzare l'assenza di istituzioni comunali. La descrizione del tracciato irregolare delle strade, spesso senza sbocco, dell'apparente mancanza di organizzazione geografica, della carenza sul piano regolamentare, hanno portato a definirla come un "dedalo" confuso (Le Tourneau), frutto di un "non-urbanesimo" (Sauvaget). Se si esaminano le sue funzioni e la sua struttura, appare invece evidente la capacità di questo modello cittadino di evolversi in un mondo, quello arabo, che è stato fortemente urbanizzato. Esso obbedisce ad uno schema coerente di cui i sapienti arabi hanno avuto una coscienza operativa: i recenti lavori di B. Johansen hanno dimostrato al di là di ogni dubbio che essi distinguevano una città centrale "pubblica" da una periferica "privata". Presente nella giurisprudenza, questa distinzione è altresì leggibile sulle carte, che permettono di delimitare i due settori. Nella parte centrale della città si svolge una rete di strade relativamente regolari dirette verso le porte, che talora ricalca il tracciato antico (come a Damasco, ad Aleppo e a Tunisi), mentre in altri casi venne organizzata dagli stessi Arabi al momento della fondazione. La grande strada centrale del Cairo, la Qasaba, fu tracciata dai conquistatori fatimidi nel 969; era lunga più di 1500 m e larga 6 m, misure giudicate ottimali dai giuristi musulmani, sufficienti per un traffico che non si svolgeva con carri, ma con animali da basto (cammelli, asini, muli). Queste grandi strade erano teatro di imponenti parate civiche: sfilate di sultani nel Cairo mamelucco o di pascià in epoca ottomana, in occasione delle quali la città veniva addobbata e illuminata. Nelle zone periferiche le strade irregolari, spesso cieche, potevano essere il risultato di una crescita spontanea (tracciati arborescenti) oppure di un'espansione urbana organizzata (tracciati a pettine), spesso nell'ambito di fondazioni religiose. Poiché la funzione di queste strade era di assicurare le relazioni tra i quartieri e il centro della città, la loro irregolarità non poneva alcun problema. In rapporto all'estensione totale della città, il tracciato irregolare che si ritiene caratteristico dell'urbanistica araba non rappresentava che la metà della rete viaria, con una forte disparità tra zona centrale e zona periferica: ad Algeri la città bassa, destinata al commercio e alle attività pubbliche, contava soltanto il 24,5% di vie cieche, a fronte del 59% della città alta, residenziale. La zona centrale aveva un carattere così peculiare da essere designata talora con un nome specifico, come la Mdineh di Aleppo, o al-Qahira al Cairo, di fondazione fatimide. Non sempre essa coincideva col centro geometrico della città, poiché fattori fisici, storici, economici e sociali potevano interferire con la realizzazione della centralità teorica. Mossul costituisce un esempio pressoché unico di città circolare, con strade che si dipartono a raggiera dal centro verso la periferia. È in questa zona centrale che si concentravano le attività economiche principali, in strutture aperte (i sūq, o grandi mercati) o chiuse (i caravanserragli denominati, a seconda della regione, ḫān, qayṣāriyya, wakāla, fundūq), dove si svolgevano i commerci internazionali (stoffe, caffè, spezie) e all'ingrosso. La concentrazione di tali costruzioni poteva essere molto forte: ad esempio, la Mdineh di Aleppo (11 ha) riuniva 31 dei 56 mercati cittadini e 19 caravanserragli su 53. Al Cairo la zona di attività economica principale ai lati della Qasaba (ca. 60 ha) comprendeva 58 sūq su 144 e 229 dei 348 wakāla. In questa zona si svolgeva la maggior parte delle attività economiche: un buon esempio è fornito dal Cairo dove, nelle cinque aree principali dei mercati centrali, sono stati identificati un terzo dei mercanti e degli artigiani e la metà dei loro beni. Questo centro economico era storicamente legato alla Grande Moschea e ciò che spiega la stabilità abituale del nucleo centrale della città: Mossul costituisce l'unico esempio di trasferimento del centro economico in epoca ottomana. Questa immobilità globale non escludeva tuttavia spostamenti di attività in seguito a fluttuazioni economiche o storiche. Attorno alla Grande Moschea si concentravano anche le attività religiose e culturali, che costituivano un elemento importante del centro: al Cairo la moschea-università di al-Azhar raggruppava una popolazione di oltre 3000 insegnanti e studenti, che lavoravano e abitavano in prossimità del santuario. La presenza delle moschee- università della Qarawiyyin, della Zituna, degli Omayyadi segnavano anche i centri di Fez, Tunisi e Damasco. Con l'eccezione di Algeri, il cui centro ospitava il potere politico (il palazzo della Gianina, che il dey abbandonò tuttavia nel 1816 per trasferirsi alla Kasbah), generalmente i governanti e le loro forze militari risiedevano, per ovvie ragioni di sicurezza e di comodità, fuori dal centro, in cittadelle spesso poderosamente fortificate. Scarsamente amministrate, le città arabe non possedevano che pochi uffici amministrativi nel centro: ancora una volta, Algeri rappresenta un'eccezione, mentre al Cairo vi erano localizzati solo alcuni servizi minori (muḥtasib, ovvero polizia dei mercati, o wālī, preposti alla sicurezza notturna e alla vigilanza contro gli incendi). Nella zona centrale risiedeva solo una parte privilegiata della popolazione (negozianti, membri dell'establishment religioso e universitario): al Cairo, il 71% dei negozianti abitava all'interno della cittadella e il 58% degli ῾ulama risiedeva nelle vicinanze della moschea di al-Azhar. Gli artigiani e i bottegai generalmente non abitavano nelle proprie botteghe, che erano semplici locali di lavoro, cosicché i mercati centrali restavano deserti durante la notte. Solo al centro del Cairo esisteva un'area residenziale collettiva per i membri della classe media: il rab', che rappresentava un compromesso tra il desiderio di abitare in prossimità del posto di lavoro e la scarsità, oltre al costo, dei terreni. Altrove, i caravanserragli potevano accogliere una popolazione relativamente mobile di mercanti e militari. Le aree economiche e quelle residenziali si scaglionavano dal centro alla periferia in ordine di importanza, così che le città erano teoricamente organizzate in cerchi concentrici. Il fenomeno, per quanto concerne le attività economiche, è del resto ben noto: nelle aree periferiche si concentrano le manifatture inquinanti (concerie, forni), rumorose, bisognose di ampi spazi (stuoiai, cordai) e soprattutto le attività legate alla campagna (mercati di bestiame, granaglie, legumi, frutta). I cambiamenti urbani, ad esempio un ampliamento dell'abitato, potevano provocare spostamenti che possono essere letti come indizi importanti della storia della città: al Cairo esistevano un antico mercato di montoni (sūq al-ġanam) al centro ed un altro in prossimità del limite urbano meridionale; ad Algeri due mercati di granaglie si erano avvicendati l'uno all'altro; ad Aleppo, al Cairo e a Tunisi lo spostamento delle concerie rappresenta un indicatore della crescita urbana in epoca ottomana. La periferia urbana ed i sobborghi, zone residenziali non ambite a motivo di tali attività, erano destinate ad abitanti generalmente poveri. L'organizzazione delle zone residenziali rispondeva a principi analoghi. Nel caso di Aleppo, dove A. Marcus ha realizzato una pianta della città di XVIII secolo e J.-Cl. David per l'abitato tradizionale contemporaneo, è stata evidenziata questa disposizione a cerchi concentrici. Lo stesso schema si ritrova a Tunisi o al Cairo; per quest'ultima città N. Hanna ha quantificato i prezzi dei terreni edificabili per il XVIII secolo: in media 171 parā nella ricca area centrale, 76 nell'area intermedia, 17 nella zona periferica povera. Nelle aree medie e povere si sviluppò il caratteristico sistema di quartieri più o meno chiusi (ḥawma nel Maghreb, ḥāra nel Levante, maḥalla ad Aleppo e in Iraq), che trae origine da imperativi socio-religiosi (protezione della vita familiare) piuttosto che dalla ricerca di sicurezza. I quartieri popolari, situati ai margini della città, erano caratterizzati da abitazioni povere, articolate secondo diverse soluzioni, quali nuclei collettivi di tipo ḥawš o capanne rudimentali. Le zone periferiche erano però anche luoghi propizi allo sviluppo di aree residenziali ricche, che esigevano spazio, verde, acqua e relativo isolamento dall'attività economica e dal caos del centro urbano: la cintura di quartieri poveri del Cairo era interrotta dal quartiere dell'Azbakiyya, nel quale risiedevano l'élite borghese e l'aristocrazia mamelucca. Altre "anomalie" nell'organizzazione urbana riguardavano i quartieri delle minoranze, la cui localizzazione obbediva a logiche differenti, quali l'aspirazione ad un certo isolamento per ragioni sociali e culturali o la segregazione forzata per assicurare un controllo più efficace ed evitare i contatti con i ḏimmī (i protetti). La realizzazione geografica era dunque diversa a seconda delle condizioni storiche e sociali che regolavano l'equilibrio confessionale tra musulmani dominanti e gruppi minoritari: al Cairo il poverissimo quartiere ebraico aveva una posizione centrale, nelle immediate vicinanze del centro economico; ad Aleppo il ricchissimo quartiere cristiano sorgeva in una zona periferica, nel sobborgo settentrionale. La fortissima struttura globale delle città arabe tradizionali spiega la loro lunga durata e la loro tendenza ad evolversi con quella progressione lenta che caratterizza la storia urbana degli Arabi dall'epoca delle fondazioni al XIX secolo. Esse trovarono inevitabilmente grandi difficoltà ad adattarsi alle rapide trasformazioni imposte dalla modernizzazione nel XIX secolo, con condizioni economiche e demografiche radicalmente nuove.
Oltre alla bibliografia del contributo precedente cfr. W. Marçais, L'islamisme et la vie urbaine, in Articles et conférences, Paris 1961; I.M. Lapidus (ed.), Middle Eastern Cities, Berkeley 1969; G. Cladel - P. Revault, Medina, approche typologique, Tunis 1970; A. Hourani - S. Stem (edd.), The Islamic City, Oxford 1970; C. Brown (ed.), From Madina to Metropolis, Princeton 1973; E. Sims, Trade et Travel: Markets and Caravanserais, in G. Michell (ed.), Architecture of the Islamic World, New York 1978; D. Chevallier (ed.), L'espace social de la ville arabe, Paris 1979; B. Johansen, The Claims of Men and the Claims of God, in Pluriformiteit en verdeling, Nijmegen 1980; Id., The All-embracing Town and its Mosques, in ROMM, 32 (1981), pp. 139-61; I. Serageldin - S. El-Sadek (edd.), The Arab City, s.l. 1982; F. Fusaro, La città islamica, Roma 1984; H. Gaube - E. Wirth, Aleppo, Wiesbaden 1984; A. Raymond, Grandes villes arabes à l'époque ottomane, Paris 1985; P. Cuneo, Storia dell'urbanistica. Il mondo islamico, Roma 1986; L'habitat traditionnel dans les pays musulmans autour de la Méditerranée, Le Caire 1988-91; D. Panzac (ed.), Les villes dans l'empire ottoman, Paris 1991-94; G. Veinstein, La ville ottomane: les facteurs d'unité, in La Ciudad islámica, Zaragoza 1991; L. Serra (ed.), La città mediterranea, Napoli 1993; M. Bonine (ed.), The Middle Eastern City and Islamic Urbanism, an Annotated Bibliography, Bonn 1994; A. Raymond, Islamic City, Arab City: Orientalist Myths and Recent Views, in BJMES, 21, 1 (1994), pp. 3-18; M. Naciri - A. Raymond (edd.), Sciences sociales et phénomènes urbains dans le monde arabe, Casablanca 1997.
di Marianne Barrucand
Il mondo islamico ha prodotto differenti realtà urbane, i cui denominatori comuni sembrano potersi riconoscere nella presenza di moschee e di santuari commemorativi, di mercati (sūq, in persiano bāzār), forse di bagni (ḥammām) e, nella maggior parte dei casi, di una cinta muraria. Nel vasto campo dell'urbanistica islamica, un gruppo particolare, quello delle città reali, si distingue chiaramente e si oppone alle città borghesi, commerciali ed artigianali, soprattutto per i suoi apparati di difesa architettonici. Queste città, delle quali Baghdad fu la prima e Meshwar di Rabat è una delle più recenti, sono state create per volere di un sovrano e destinate ad ospitarlo insieme al suo entourage (familiare, domestico, militare), oltre a tutto ciò che era necessario per garantire una certa autonomia; tali centri superano, per le loro dimensioni e la loro complessità sociale e strutturale, sia la concezione di palazzo che quella di complesso palaziale e disponevano di sistemi di difesa particolarmente imponenti. Le prime comunità islamiche sembrano essere state poco tentate dalla costruzione o semplicemente dall'utilizzo di specifiche architetture difensive. In effetti, le fondazioni urbane della prima conquista, le "cittàaccampamento" (miṣr, pl. amṣār) avevano forse semplici circuiti murari, ma non erano in realtà veramente fortificate, e le difese precedenti, bizantine, romane o sasanidi, non furono rioccupate dai conquistatori, che preferirono nuove costruzioni, più leggere e più confacenti ai loro gusti e alle loro necessità. Durante l'epoca omayyade le città antiche conservarono le loro fortificazioni, che non furono ristrutturate, e i nuovi insediamenti, come Angiar o Qasr al-Hair ash-Sharqi, ebbero cinte murarie prive di reale valore difensivo. La loro efficacia era infatti ben minore di quella delle difese dei castelli omayyadi. Si ha l'impressione che queste fortificazioni, con mura a doppia cortina e porte monumentali, avessero soprattutto un valore delimitativo e simbolico. Il primo centro veramente fortificato sembra essere stato la città rotonda di Baghdad (762-766), con il fossato, quattro ingressi "a gomito" e due cinte murarie separate da un viale circolare per consentire la rapida concentrazione delle truppe; ma Baghdad costituisce un caso particolare, poiché si tratta di una città reale che, sebbene costruita in mattoni crudi, era una vera e propria fortezza. C'è una costante nell'urbanistica islamica: le cinte murarie più importanti e spettacolari sono quelle dei complessi palaziali e delle città reali. Piuttosto sommarie fino a tutto l'XI secolo, diventarono sempre più massicce, costruite più per suscitare il rispetto del popolo ed il timore dei nemici che per resistere all'usura del tempo e a veri e propri attacchi, tanto più che queste città non erano limitanee, ma si trovavano al centro dei territori. Le difese di Sabra Mansuriyya, città reale fatimide in Tunisia (946), ne offrono un esempio eloquente, con i bastioni circolari in mattoni crudi larghi 4 m. Il tracciato di questa cinta si richiama coscientemente a quello di Baghdad e può avere, al di là del valore di citazione, un significato simbolico e cosmologico ben più ampio. L'evoluzione dei sistemi di difesa architettonici delle città borghesi sembra non aver subito variazioni per molti secoli, e le loro mura ‒ se esistenti ‒ sembrano avere soprattutto un valore delimitativo. Così la prima fondazione di Fez, all'inizio del IX secolo, non aveva una cinta muraria; solamente la seconda fondazione, posta di fronte alla prima sulla riva opposta del Wadi Fas, dotata di un palazzo emirale, venne circondata da mura. Solo in una terza fase, nel X secolo, i due insediamenti vennero unificati da un'unica cinta di mura in pisé e senza grande valore sul piano militare. Un cambiamento radicale intervenne nel corso del XII secolo, sia nell'Oriente che nell'Occidente islamico, e fu dovuto, piuttosto che al clima d'instabilità e di minacce militari permanenti (che non costituivano un fatto nuovo), al perfezionamento delle tecniche poliorcetiche, soprattutto all'utilizzo del trabocco a contrappeso, che ebbe come conseguenza un'elaborazione più avanzata dell'architettura difensiva. La città di Damasco offre l'esempio classico di una città vicinoorientale antica che, sottomessa all'Islam nel 635/6, conservò a lungo le mura antiche, ampiamente dirute, senza restaurarle. Alla fine dell'XI secolo un governatore turco stabilì, nell'angolo nord-occidentale dell'insediamento urbano, una cittadella separata dalla città, costruita essenzialmente con materiale litico romano di reimpiego. Mezzo secolo più tardi Nur ad-Din, l'unificatore della Siria, si occupò anche delle difese urbane e fece restaurare o ricostruire la cinta muraria di Damasco. All'inizio del XIII secolo anche la cittadella venne protetta da mura: ancora oggi spettacolare, combina le tecniche più avanzate dell'architettura militare dell'epoca, ricca di esperienze acquisite nel corso dei combattimenti contro i Crociati. Le sue fortificazioni furono infinitamente più efficaci di quelle della città che, nel corso dei secoli precedenti, avevano comunque ricevuto strutture difensive proprie: ciascun quartiere era circondato da mura ed era accessibile solo attraverso una porta imponente che veniva chiusa la notte o in caso di pericolo. Questo sistema di difesa composito costituisce una risposta urbanistica proprio alle città borghesi del Medioevo islamico. La successione di cinte murarie del Cairo offre un altro caratteristico esempio dell'evoluzione delle città islamiche: la prima fondazione, al-Fustat (642), era forse circondata da un fossato, ma non possedeva certamente fortificazioni. Ben presto i quartieri vennero circondati da semplici cinte murarie, secondo una tendenza che si accentuò nel corso del IX secolo, soprattutto nei quartieri residenziali dei governatori abbasidi. Fu poi nel 972 che i Fatimidi fondarono, circa 7 km più a nord, una nuova capitale, al-Qahira, terza città reale della dinastia, che venne circondata da massicce fortificazioni in mattoni crudi con un impianto quadrangolare analogo a quello di Sabra Mansuriyya; ma nel 1048 questo apparato era già scomparso. Alla fine del secolo, in un periodo di pericolo vitale per il potere fatimide, il generale e visir armeno Badr al-Giamali fece circondare la città reale con un nuovo circuito murario, funzionale ed efficace, in pietre accuratamente lavorate, con porte precedute da una conversa, cammini di ronda coperti e piattaforme da tiro. Ma questo circuito circondava solo la città reale e al-Fustat, la città borghese, ne venne esclusa. Fu necessario attendere l'ayyubide Saladino, vincitore dei Fatimidi e poi dei Crociati a Gerusalemme nel 1187, che, attorno al 1176, lanciò un grandioso progetto, rimasto incompiuto, di un'immensa cinta muraria che avrebbe dovuto riunire e proteggere le due città del Cairo, al- Qahira, città reale decaduta, e al-Fustat, la città commerciale. Queste fortificazioni erano dominate, al centro del lato orientale, dalla cittadella ayyubide, nuova città reale, con difese autonome. I circuiti murari ayyubidi al Cairo, a Damasco, ad Aleppo, ecc. sono creazioni spettacolari, che rispondono alle nuove tecniche poliorcetiche della metà del XII secolo, oltre ad avere una valenza simbolica di ampio potere. I sistemi di difesa della città islamica medievale a partire dalla fine dell'XI secolo si presentano dunque sotto un duplice aspetto: da una parte ci sono le città reali circondate da fortificazioni efficaci, dall'altra le città borghesi, chiuse in circuiti murari di scarso valore difensivo, ma protette da cittadelle circondate da fossati, mura merlate e torri elevate. Certamente le difese architettoniche sembrano avere prevalentemente una funzione statica e passiva di rifugio; ciò nonostante, le cittadelle e le città reali costituirono spesso centri di raccolta delle truppe per le spedizioni militari ed ebbero dunque una funzione attiva nella difesa del territorio, tanto che erano dotate di strutture specifiche per l'addestramento dei soldati. Anche nell'Occidente islamico coesistettero città reali e città borghesi, con o senza cittadelle. Come in Oriente, le tecniche di difesa architettonica progredirono in modo sorprendente verso la fine dell'XI e soprattutto nel corso del XII secolo. Madinat az-Zahra, nei pressi di Cordova, fu la prima città reale del mondo ispano-magrebino: la sua cinta muraria, frutto delle competenze poliorcetiche del X secolo, non fu in grado di resistere agli attacchi delle truppe berbere all'inizio del XII secolo. Al contrario, la seconda città reale di al-Andalus, l'Alambra, fondata nel XIII secolo, beneficiò dei progressi sopravvenuti nell'architettura militare e pertanto non venne mai conquistata con le armi. Tra le città reali almohadi del Marocco, Marrakesh e Rabat, quest'ultima venne progettata con dimensioni immense, ma non venne mai completata e la sua cinta muraria resta simbolo di un'ambizione smisurata. La città reale di Mawlay Ismail a Meknes, datata tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo, è anch'essa immensa, circondata da mura in pisé che nulla avrebbero potuto contro eventuali cannonate, ma evidentemente il loro valore non consisteva nella connotazione militare. In conclusione si osserva, come regola generale, da una parte la modestia delle difese architettoniche delle città borghesi, che hanno comunque propri sistemi di difesa, quali la divisione socio-architettonica dei centri in quartieri circondati da mura, dall'altra le difese formidabili, sia tecniche sia soprattutto ideologiche, delle città reali.
K.A.C. Creswell, Early Muslim Architecture, Oxford 1932-40; A.U. Pope - Ph. Ackerman, A Survey of Persian Art from Prehistoric Times to the Present, London - New York 1938-39; K.A.C. Creswell, The Muslim Architecture of Egypt, Oxford 1952-59; D. Sourdel - J. Sourdel, La civilisation de l'Islam classique, Paris 1968; M. Barrucand, Urbanisme princier en Islam, Paris 1985; A. Raymond, Le Caire, Paris 1993.