Il credito e la moneta
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Tra il 1000 e il 1100 inizia in Europa una lenta e timida ripresa economica (più accentuata in Italia), accompagnata da una diffusione della moneta e del credito, che si lega ai contatti e agli scambi commerciali con il Vicino Oriente, già da tempo in fase espansiva.
L’assenza di trattati sulla moneta nell’Europa dei secoli XI e XII può in qualche modo far ipotizzare che per i contemporanei sia ancora valida e accettata la triplice funzione delineata da Aristotele: che la moneta sia uno strumento di misurazione del valore, di riserva del valore stesso e, infine, di mediazione degli scambi.
La diffusione delle zecche private e dei vari centri nei quali si batte la moneta nell’Europa occidentale, tra il IX e il X secolo, è la conseguenza diretta del ridimensionamento se non del vero e proprio fallimento della riforma carolingia in materia monetaria.
Avviata alla fine dell’VIII secolo, essa rappresenta, da un lato, il tentativo di riordinare l’unità monetaria circolante all’interno dell’impero romano d’Occidente e, dall’altro, la volontà di riavviare un’economia asfittica, ripiegata quasi esclusivamente sul mondo rurale e sull’agricoltura, nella quale i commerci e il credito sono divenuti del tutto marginali.
In precedenza, tra il VII e l’VIII secolo, nell’Europa settentrionale veniva battuto e circolava prevalentemente lo sceat, moneta argentea di scarso peso che può essere considerata con molta approssimazione il precursore del denaro. La sua diffusione è in larga parte dovuta alla timida ripresa in quel periodo delle attività minerarie, completamente abbandonate dopo il declino e la fine di Roma, concentrate quasi esclusivamente nell’estrazione delle vene argentifere.
Le disposizioni imperiali carolingie impongono, a chiunque batta moneta, di uniformarsi al principio del monometallismo argenteo coniando il denaro e i soli multipli ammessi: il soldo (12 denari) e la lira (240 denari) corrispondente a una libbra d’argento, pari a 410 grammi. Ogni denaro deve pesare 1,7 grammi, con 1,6 grammi di argento fino. La riforma, nonostante le intenzioni iniziali, rimane sostanzialmente formale sia in considerazione della circolazione diffusa in buona parte dell’Occidente del dinar d’oro e del dirham d’argento di coniazione araba, sia della svalutazione di circa un terzo del denaro d’argento carolingio che, durante l’XI secolo, perde buona parte del suo valore e vede la diffusione e la circolazione di monete con una percentuale di fino più bassa rispetto a quella stabilita inizialmente (950 millesimi).
Il massiccio ricorso nell’Europa occidentale alle monete provenienti da Bisanzio e dal mondo islamico se non addirittura a gioielli, lingotti e verghe negli scambi e nelle transazioni commerciali, dimostra innanzitutto l’ormai endemica carenza di metalli preziosi da utilizzare per la monetazione dopo la caduta dell’Impero romano e il quasi totale arresto delle attività minerarie ed estrattive la cui ripresa sarà molto lenta.
Contemporaneamente si è andato consolidando il ruolo preponderante e sempre più insostituibile dei mercanti e degli operatori arabi. La superiorità di questa area geografica, di cui Costantinopoli è il baricentro, trova riscontro e si collega alla tradizione romana, come si deduce dalla presenza e dall’attività di banchi pubblici impiantati appunto nei secoli imperiali e quasi scomparsi in Occidente.
Il Mediterraneo orientale, inoltre, grazie alla vasta rete commerciale creata, vede il diffondersi e l’affermarsi sempre più veloce e radicato di strumenti creditizi ampiamente usati dai mercanti, dai banchieri e dai cambiatori arabi. La diffusione del credito, nelle sue varie forme quali suftagia, sakk e hawala, incrementa sempre di più la crescita economica che, nel frattempo, stenta a decollare nell’Europa continentale. Tale arretratezza, in realtà, può essere addebitata proprio alla scarsa circolazione monetaria e alla secolare penuria di oro e argento, alla base della coniazione dell’epoca. Va anche aggiunto che a favorire l’espansione del mondo mediorientale contribuisce pure il più o meno contemporaneo affermarsi degli stessi strumenti monetari e creditizi nell’Impero cinese, col quale i contatti e gli scambi, se non continui e solidi, sono comunque in essere.
Timidi segnali di ripresa in Occidente si registrano già nei due secoli immediatamente precedenti l’anno Mille, quando soprattutto le città dell’Italia settentrionale, tra tutte Venezia, riscontrano una presenza più attiva della classe mercantile – comunque mai del tutto scomparsa – la quale, grazie allo svilupparsi di una politica basata su privilegi ed esenzioni concessi da vescovi, autorità municipali e dallo stesso imperatore, ottiene una visibilità e un ruolo che, seppur lentamente, va crescendo e rafforzandosi nel corso dei decenni.
A ciò va aggiunto che gli stessi mercanti iniziano ad allargare il raggio d’azione dei loro affari spostandosi con sempre maggiore frequenza da una nazione a un’altra, con la conseguente diffusione degli strumenti del credito già in uso nel mondo islamico. Nel resto della Penisola, mentre Pisa avvia la sua espansione marittimo-commerciale, alcune città meridionali come Amalfi, Palermo e Bari, in modo particolare, intrattengono scambi commerciali con Bisanzio e i porti mediorientali, beneficiando dei vantaggi derivanti da un’economia già consolidata e dotata di quegli strumenti ancora poco diffusi come la moneta e le diverse forme di credito.
Questo processo, avviato già nell’VIII secolo, produce i suoi effetti nel corso del IX e del X e fa dell’Italia, geograficamente favorita dalla prossimità all’area orientale, il paese più progredito, dove si concentra maggiormente la ricchezza e si registrano le prime forme di capitalismo commerciale. Anche Barcellona, già importante piazza mercantile, beneficia dei rapporti con il Mediterraneo meridionale vedendo affluire una certa quantità di oro che viene utilizzata nel conio dei manconos che prendono a circolare in tutta la Catalogna e da lì nella vicina Provenza. Nel resto d’Europa, anche se con un leggero ritardo, si assiste alla formazione e all’allargamento di un ceto mercantile che, nonostante, la marginalità economico-geografica, entra ugualmente in contatto con l’Europa meridionale, come è dimostrato dal ritrovamento di monete arabe nelle regioni scandinave. Inoltre, si battono nuove rotte commerciali e si aprono nuovi mercati, come, per esempio, quelli dell’Inghilterra e dei Paesi Baltici. Questa lenta ripresa dell’Europa continentale, anche se con modalità e tempi differenti, segna l’avvio della rinascita economica che si affermerà prepotentemente nei secoli successivi.
A tale processo contribuisce in maniera significativa la comunità ebraica che, per tradizione, è dedita all’attività del credito. Fino all’alto Medioevo le numerose comunità ebraiche, stabilite in moltissimi paesi, nonostante pregiudizi e limitazioni di legge, non subiscono persecuzioni, anzi l’attività da loro svolta viene tollerata di buon grado dalla società e dal potere istituzionale che ricorre con sempre maggior frequenza ai prestiti di denaro. Si può affermare che la presenza ebraica si stratifica nella società italiana ed europea su due livelli diversi: i grandi banchieri e prestatori che fanno affari con le corti, i vescovi e la nobiltà, e i piccoli operatori, presenti soprattutto nei piccoli centri urbani e rurali, che rivitalizzano – si può in qualche modo sostenere – l’economia quotidiana fatta di piccoli scambi, anticipazioni, pegni e di poca moneta circolante.
La presenza e il ruolo degli ebrei nella ripresa dell’economia in Occidente è favorita dal divieto imposto dalla Chiesa ai fedeli di svolgere attività di prestito a interesse. Sulla base della vecchia concezione aristotelica che il denaro debba favorire il commercio e non la speculazione, san Tommaso condanna la pratica del prestito a interesse come contraria ai principi cristiani. Dietro le motivazioni teologico-religiose, tuttavia, resta evidente la concezione del denaro inteso come un bene raro e pertanto non utilizzabile per attività speculative e, inoltre, appare chiara la necessità di sostenere una diffusa solidarietà tra popolazioni che, proprio perché prive di moneta, dovrebbero impoverirsi sempre di più per pagare gli interessi sui prestiti. Se questa concezione in qualche misura nasce e si adatta alla realtà tardomedievale, riflettendo anche una profonda distinzione che prende sempre più piede tra atteggiamento laico e atteggiamento religioso nei confronti della moneta, successivamente appare poco coerente con le trasformazioni in atto e, specialmente, con la necessità di “gestire” nel modo migliore uno strumento fondamentale dell’economia nel suo complesso quale la moneta. Nella dinamicità, seppure lenta e disomogenea, dei rapporti commerciali ed economici dell’Europa dell’XI e XII secolo la moneta va reclamando una presenza e una funzione che mal si presta ai precetti della Chiesa di Roma.