Il contributo italiano alla storia del pensiero: PRESENTAZIONE
La realizzazione del progetto che prende oggi l’avvìo si radica nella storia della Treccani e della sua principale e ormai classica opera, l’Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, e connette tale storia alla comprensione del tempo presente, fra crisi internazionale e rinnovato patto nazionale, a 150 anni dalla costituzione di questo. Il progetto Treccani più antico si snoda tra l’alba del Novecento e il 1925, data di fondazione dell’Istituto Treccani, sotto la guida scientifica di Giovanni Gentile. L’istanza postrisorgimentale di dotare il nuovo Stato, che si vuole espressione di nuova coscienza e nuova cultura, di strumenti di elevata informazione generale circa i saperi umani, e di educazione nella loro storicità, appare corroborata dallo straordinario dinamismo culturale italiano dei primi decenni del 20° secolo, profondamente intrecciato con i dibattiti europei. L’Enciclopedia è il luogo e l’opera in cui questi diversi fili, nazionalità come cultura e larga apertura internazionale, convergono, in un tempo, però, che lascia segni drammatici, di dura competizione ideologica e politica fra le nazioni e gli Stati, in primo luogo europei. In quegli anni – sullo sfondo della estensione della democrazia, ma anche della sua prima gravissima crisi, attraversata e dilatata dalla Prima guerra mondiale – in Italia si completa l’edizione nazionale di Galileo, fioriscono grandi scuole di fisica e di matematica, e si fonda il Consiglio Nazionale delle Ricerche; Grazia Deledda e Luigi Pirandello suggellano con il Nobel la loro notorietà mondiale, mentre con Guglielmo Marconi analogo riconoscimento premia la scienza applicata; la battaglia degli irrazionalismi e delle ‘crisi’ del sapere si conclude con un primo trionfo di pur contrapposte filosofie neoidealistiche – Croce e Gentile –, che si presentano o si percepiscono anche come modelli di concezioni pratiche, ma con apertura a istanze teoriche le più diverse, rielaborate dalla discussione internazionale. La Treccani di allora, cresciuta come poté durante il fascismo, assolse al duplice compito di rappresentare in sintesi nuova e aggiornata il sapere mondiale, e di postulare il ruolo in esso esercitato ed esercitabile da una nazione linguistica, artistica e culturale, diventata Stato. Gran parte del catalogo Treccani dei decenni postfascisti fu alimentata da opere concepite prima della Seconda guerra mondiale, o che onoravano o aggiornavano impegni assunti nella prospettiva di quel periodo. A metà degli anni Sessanta, in una fase nuova della democrazia italiana e della storia europea, il disegno della Enciclopedia del Novecento – pubblicata tra il 1975 e il 1984, con ampio concorso di intellettuali di altre parti del mondo – rappresentò una svolta. Il secolo era ancora di qua della sua conclusione e dei suoi motivi apocalittici (fine del comunismo, fine del bipolarismo, fine della storia), ma si avvertiva l’esigenza di registrare per scelte critiche e non più solo attraverso compilazioni d’aggiornamento i mutamenti verificatisi negli ultimi decenni; mentre l’impresa della biografia nazionale, integrata all’edificazione di una enciclopedia ‘italiana’, compiva i primi passi. La fine vera del 20° secolo e l’inizio del nuovo furono segnati, ancora una volta, dallo sviluppo delle due direzioni: aggiornamento sistematico e selettivo scavo problematico, la Piccola Treccani e le ultime Appendici, e XXI secolo. Mentre prodotti contermini, di impianto sistematico-disciplinare, offrivano slargamenti e approfondimenti di alto valore, in diverse aree delle scienze, del diritto, della lingua e della civiltà letteraria, della storia. Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia non avrebbe dovuto ispirare e non ha ispirato, nell’Istituto, la promozione di un mero ‘riepilogo’ storico-celebrativo del cammino compiuto dall’Italia unitaria, o del catalogo dei prodotti del preteso ‘genio’ nazionale. Sarebbe stata operazione desueta e controproducente. Fermo restando che le originali opere di riflessione storica sul Risorgimento e sulla religione degli italiani recentemente pubblicate dall’Istituto, e la riproposta di intramontati classici della letteratura nazionale sono apparse e sono indispensabili, e non sono banale ‘repertorio del passato’, è apparso urgente tentare anche una nuova sintesi di campo lungo, per un lato sulla saldatura tra questi ultimi 150 anni e i secoli di elaborazione culturale che li hanno preceduti, per un altro lato su altra saldatura: quella con un immediato presente e un prossimo futuro in cui le identità culturali del Paese si stratificano e si complicano. Il titolo di questa nuova sintesi, Il contributo italiano alla storia del pensiero, non generi equivoci. Non si tratta di una storia ‘nazionale’ o da un punto di vista ‘nazionale’, nel senso arretrato del termine. Ma di una sintesi dei problemi e delle soluzioni che la comunicazione dell’Italia con il mondo su certi ambiti sociali e culturali ha, rispettivamente, avvertito e proposto. Si tratta del ‘passaggio’ o ‘transito’ in Italia, e attraverso l’Italia, e la sua cultura, che solo nell’ultimo secolo e mezzo è cultura di una nazione politicamente unificata, di questioni e sfide che hanno riguardato anche altri popoli e altre culture. L’articolazione immediata, in sei volumi, è quella dei saperi fondamentali e dei loro contesti ‘pratici’: filosofia, pensiero economico, cultura giuridica, pensiero scientifico, tecnologia e industria, pensiero storico-politico. Questi concetti sono assunti pur nella consapevolezza dei continui sfaldamenti e delle persistenti crisi che essi hanno subìto, se non altro nell’ultimo secolo. Discipline ‘madri’ hanno prima contenuto, poi visto liberarsi da tutele o gerarchie discipline via via affrancantesi. Le relazioni tra sfere diverse sono nel tempo divenute più mobili. Inoltre, questa prima serie non esclude che si possa poi riflettere anche su estensioni ad altri campi: le arti, la letteratura, la poesia, dove forse la veduta ‘italiana’ è avvertita universalmente come caratteristica e spesso fondante, ma anche più banalmente universale, rispetto ai primi che abbiamo evocati e scelti. Nel Paese che storicamente ha visto piantata in precisi istituti di lunga vita la visione della ‘città di Dio’ e della sua preminenza orientante sulla ‘città dell’uomo’, molto forte, tipica, originale, diffusissima è stata l’interpretazione dei ‘saperi’ e delle ‘teorie’ come dotati di senso se rivolti alla costruzione o alla riforma della seconda delle due ‘città’, quella appunto dell’‘uomo’. Ovvia che possa sembrare questa considerazione per il diritto, l’economia, il pensiero politico, a non dire delle tecnologie, meno ovvia per la filosofia o per certe scienze, è di un’ovvietà solo apparente. Quel che si vuol dire è che la tendenza all’astrattezza, all’impeccabilità formale, alla neutralità o autoreferenzialità delle opzioni teoriche, e alla venerazione di dottrine date e dei loro corrispondenti assetti sociali o storici, è parsa spesso vivacemente contrastata, nel passaggio in Italia di certe tematiche; e invertita nella direzione del pensiero come prassi trasformatrice, con radicamento nell’Umanesimo. Questo non è detto per ‘contrasto’ rispetto ad altri percorsi di civiltà; è detto per la capacità che la cultura italiana ha spesso dimostrato di avvertire questa esigenza, e di dare ad essa risposte importanti e vitali; scontrandosi, in molte congiunture, con realtà politiche o correnti sociali tendenti piuttosto alla conservazione, o alla mutuazione non originale. Questi fondamentali saperi dell’uomo e per l’uomo sono qui visti per come son stati interpretati in Italia, nel suo spazio aperto alla comunicazione universale, non dalla cultura italiana intesa come angusta nazionalità; e come saperi operanti per una trasformazione dell’umano in vista di equilibri nuovi, o di situazioni rovesciate. In questa prospettiva, quel che è avvenuto nello spazio culturale italiano non è il prodotto di un ‘genio’ locale, ma di uno speciale contesto di interpretazione di movimenti europei e universali, che produceva certe conclusioni e certi esiti, privilegiando certe tendenze e negandone altre. È la ‘selezione’ compiuta nello spazio italiano che interessa, il suo risultato, valido o sentito o proposto come valido anche altrove e in altro momento, non la ‘nazionalità’ del selettore. Se il terminus a quo delle trattazioni è stato fissato nella elaborazione e nella crisi degli universalismi medievali, e nella genitura della grande rottura umanistica, la distribuzione della materia si è costituita nell’equilibrio fra esame di personalità storiche e ricostruzione di scenari problematici. La trattazione biografica può essere intesa ed esercitata come esemplificazione di correnti problematiche, e come agile strumento di integrata interrogazione. La ricerca del chi e quando si propone al lettore come ineludibile, allorché si percorrono fenomeni complessi. Quello che si vorrebbe ottenere, è uno sguardo lungo sulla relazione della cultura e della scienza fiorite in Italia con questi fenomeni universali; sguardo lungo che muove da un punto di partenza fissato in un’Europa che era ancora una, latina e cristiana, ma in eccezionale, per quanto non di rado aspro o turbolento, confronto con ebraismo e Islam, e con l’Oriente greco, e che giunge al momento nostro, quello di una nazione fra altre, che concorrono a rifarsi Europa su basi nuove e in una fase storica non meno agitata; una nazione che rinnova la sua unità politica a soli 150 anni dal suo compimento, in un mondo in cui nazionalità e cultura nazionale devono trovare un senso inedito di declinazione dell’appartenenza e della responsabilità.