Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Tra Due e Trecento il commercio conosce una forte fase di intensificazione, ampliamento e integrazione tra aree diverse. Le navi mercantili collegano ora i porti dal Baltico al Mar Nero, mentre gli uomini d’affari frequentano fiere e mercati all’estero organizzandosi in forme societarie sempre più complesse.
Il processo di cambiamento economico di lungo periodo iniziato alla fine dell’VIII secolo e articolatosi qualitativamente nell’XI e nel XII secolo, si intensifica quantitativamente e si estende geograficamente tra Due e Trecento. Il crescente aumento della popolazione e degli aggregati urbani, la stabilizzazione delle istituzioni politiche, lo sviluppo nel settore agricolo ed estrattivo, il diffondersi delle specializzazioni artigianali insieme al ripristino delle reti terrestri e fluviali favoriscono l’intensificazione dei commerci e il relativo sviluppo del credito. Causa, e allo stesso tempo effetto, della forte espansione dei commerci sono la disponibilità di argento e il ritorno in Occidente dell’oro che, dalla seconda metà del Duecento, giunge dal Nord Africa attraverso le vie transahariane.
In Lombardia, Inghilterra, Fiandre e Germania si diffondono fiere e mercati che hanno un forte peso sull’articolazione dei commerci in quanto luogo fisico in cui domanda e offerta si incontrano. Nel XIII secolo vivono il proprio splendore le fiere di Champagne, che si tengono quasi tutto l’anno nell’omonima regione a Provins, Troyes, Lagny e Bar-sur-Aube. I mercanti stranieri ottengono speciali condizioni da parte delle autorità politiche che gestiscono le fiere e i trasporti vengono organizzati in modo tale da facilitare le operazioni e i collegamenti tra Mediterraneo ed Europa settentrionale. Già dalla fine del XIII secolo le galee genovesi iniziano a connettere direttamente i porti ponentini in cui confluiscono le merci – Bruges, Anversa, Sandwich e Southampton – con quelli del Mediterraneo occidentale e del Levante. Presto su questa rotta si inseriscono anche Pisani, Veneziani e Catalani che, con i loro navigli, rendono regolari e frequenti le comunicazioni sulla rotta atlantica.
Il Mediterraneo di questi secoli conosce un fortissimo ampliamento delle reti commerciali e dei porti. L’area orientale e quella adriatica sono adesso strettamente connesse a quella occidentale, che comprende gli scali tirrenici, le coste a est della Penisola Iberica e il Nord d’Africa. Le imbarcazioni si muovono integrando i circuiti locali e interregionali con quelli internazionali. Per il trasporto di uomini e merci su lunghe tratte vengono impiegate imbarcazioni con caratteristiche diverse: le galee, lunghe e sottili, che viaggiano sia a propulsione velica sia a remi ed hanno la possibilità di essere armate; le navi tonde, più adatte al commercio, che privilegiano la capacità di carico alla velocità, e necessitano quindi di un minore equipaggio. A partire dal Trecento, fa la sua apparizione sul mare anche la cocca, una nave a uno o due alberi che utilizza una vela quadrata attraverso un sistema che permette di ampliare rapidamente la superficie velica e la rende più manovrabile. Il trasporto sull’acqua è quello che permette una maggiore rapidità degli spostamenti e il contenimento dei costi grazie all’introduzione, nel Trecento, della differenziazione dei noli sulla base della tipologia delle merci. Questi percorsi integrano le vie d’acqua a quelle terrestri, in cui i pedaggi si incrementano a causa della moltiplicazione delle iniziative, signorili, cittadine ed ecclesiastiche per il mantenimento della sicurezza sui diversi tratti stradali.
Tra le principali tecniche commerciali che consentono ai mercanti di svolgere operazioni a distanza con le maggiori piazze deve essere ricordata la lettera di cambio, strumento che si perfeziona con l’introduzione delle cifre arabe e lo sviluppo della contabilità e dei conti correnti. Anche le formule societarie si differenziano, divenendo progressivamente più elaborate. Si diffondono società temporanee come la commenda – o societas maris come viene definita a Pisa e a Genova – che, legata a un solo tipo di viaggio, contempla l’esistenza di uno o più soci viaggiatori, incaricati di portare a termine l’operazione, e di uno o più soci finanziatori. In modo simile il contratto di colonna, utilizzato nel traffico di cabotaggio, prevede la registrazione da parte dello scrivano di bordo della partecipazione a una società temporanea di tutti gli uomini della nave.
Nel nuovo contesto cittadino quella del commercio è l’unica attività veramente in grado di aumentare considerevolmente la ricchezza e di innescare processi di ascesa sociale. Tuttavia quella mercantile è una professione sempre più complessa e non può essere affatto improvvisata. Giovanni Boccaccio, da buon conoscitore del mondo commerciale in cui vive, narra le disavventure di Landolfo Rufolo, un piccolo mercante della costa amalfitana che si butta nel commercio internazionale e finisce – “balestrato dalla fortuna” – per dedicarsi alle attività di pirateria (G. Boccaccio, Decameron, II.4).
Nel XII secolo Venezia, Genova e Pisa stanno già superando per importanza e ricchezza le città commerciali più rilevanti dell’Antichità classica fino a estendere il proprio controllo da Ponente a Levante. Il commercio pisano si articola prevalentemente nel Mediterraneo occidentale, grazie al controllo della Sardegna e delle sue miniere, e attraverso i fondaci situati nel Maghreb. A partire dalla battaglia della Meloria (1284), che decreta la supremazia genovese sul Tirreno, e in seguito alla conquista della Sardegna (1323) da parte dei catalano-aragonesi la presenza pisana subisce un forte ridimensionamento. Nel Duecento i Genovesi, oltre che in Levante, sono presenti nei principali porti del Nord Africa a Bugia, Bona, Algeri, Orano, Ceuta e anche sulle coste atlantiche a Safi, Saleh e Marrakech e nel sud della Spagna.
Nella seconda metà del Duecento gli Angioini sperano di poter esercitare un’influenza predominante nel controllo del commercio mediterraneo. Tuttavia dalla fine del secolo si affaccia su questo mare una nuova potenza, la corona d’Aragona, che mette fine alle ambizioni della Casa d’Angiò a partire dai Vespri siciliani (1282) e poi con l’acquisizione della Sardegna (1323). L’espansione politica della dinastia aragonese va di pari passo con l’incremento della presenza dei mercanti e dei patroni catalani nei maggiori porti. I Catalani si affermano come potenza marittima anche grazie all’alleanza con i Veneziani e d’altra parte i loro interessi nel Mediterraneo occidentale danno vita a un secolare conflitto con i Genovesi.
Il forte incremento dell’attività commerciale si fonda sulle città che divengono centri di produzione e commercio. Il ruolo di piazze di redistribuzione determina la crescita di alcune tra le città più grandi e popolose, che godono di una posizione strategica di connessione tra aree diverse. Nella seconda metà del Trecento i porti più importanti del Mediterraneo sono Genova, Venezia, Barcellona, insieme a Porto Pisano, Marsiglia, Aigues Mortes, Ragusa e Ancona.
La rivoluzione commerciale porta alla ribalta alcuni scali della costa iberica, da Barcellona a Tarragona, Valencia, Tortosa, fino a Siviglia, senza contare i numerosissimi approdi intermedi e l’importanza delle Baleari nel commercio con il Nord Africa. Barcellona nel Trecento è il punto di intersezione tra le vie di comunicazione più importanti che congiungono la costa catalana con la Provenza, il Maghreb, la Sardegna con Pisa e Genova. I porti del Levante sono collegati con i maggiori scali della Sicilia e del Sud Italia, come Messina, Palermo, Napoli e Gaeta, con Barletta in Puglia, Tropea e Scalea in Calabria.
Veneziani, Genovesi, e in seguito Catalani, concentrano la propria attenzione sul Mediterraneo orientale. Costantinopoli rimane uno dei centri più vitali: oltre a produrre sete, armi, ori, smalti, avori e telerie, svolge una funzione di mediazione nelle comunicazioni tra l’Asia e l’Europa latina. Gran parte delle spezie proviene infatti dall’India, da Ceylon, da Giava, dalle Molucche e dalla Cina. Sono gli arabi a farsi intermediari di questo prezioso traffico percorrendo le vie di terra e le rotte marittime per portare tali beni nei maggiori porti del Levante – Giaffa, Acri, Beirut, Alessandria, Tripoli, Antiochia.
Dai primi decenni del Duecento al 1340 circa, la stabilità in Asia è garantita dall’unificazione sotto l’Impero mongolo e quella che viene definita la pax mongolica porta a un ampliamento degli spazi economici sulla via della seta. In questo periodo i mercanti occidentali, come il celebre veneziano Marco Polo, possono raggiungere direttamente i centri asiatici per l’acquisto della seta e delle spezie senza dover ricorrere alla mediazione dei mercanti arabi.
Venezia ha un antico predominio sull’Adriatico e un rapporto privilegiato con l’Impero bizantino che le garantiscono a lungo il controllo del commercio delle spezie e del cotone con cui vengono approvvigionate le industrie tedesche di fustagni. Questo impero marittimo è costituito da una serie di basi navali, avamposti e colonie situati a partire dall’Adriatico e poi nella parte settentrionale del Mediterraneo orientale, in Romania e a Costantinopoli, e sul Mar Nero. Il commercio con l’Oriente viene gestito attraverso la presenza di colonie di mercanti occidentali che operano in accordo con ciò che rimane del Regno di Gerusalemme e con l’ordine degli Ospitalieri fino alla caduta di San Giovanni d’Acri (1291). Il rapporto tra Venezia e gli imperatori bizantini conosce tuttavia momenti di tensione e nel 1172 i Veneziani vengono espulsi da Costantinopoli. La situazione culmina nella quarta crociatache nei propositi iniziali deve portare alla liberazione della Terrasanta, ma che invece si risolve nel saccheggio di Costantinopoli e nella spartizione dei territori bizantini (1204). I Veneziani contrattano con i crociati la prestazione dei servizi di trasporto navale e ottengono come ricompensa parte dei territori dell’Impero bizantino: la costa occidentale della Grecia, la Morea, Nasso, Andros, Negroponte, e Gallipoli, Adrianopoli, insieme ad altri porti della Tracia e sul Mar di Marmara, con un evidente vantaggio commerciale per la Serenissima che amplia e consolida il proprio circuito.
Allo strapotere veneziano in Oriente si contrappone con sempre maggiore forza quello genovese. Grazie all’appoggio dato a Michele VIII Paleologo nelle operazioni di riconquista dei territori bizantini, i Genovesi ottengono gli stessi privilegi garantiti prima ai Veneziani. Oltre a fissare il proprio quartiere a Costantinopoli, stabiliscono colonie commerciali a Cipro, sul Mar Nero a Trebisonda, Tana e Caffa, nelle isole egee di Chio, Creta e Rodi, e sulle coste della Turchia a Smirne, Efeso e Focea. Per Genova sono Pera e l’isola di Chio i principali centri di organizzazione del traffico di grano, vino, schiavi, legna, seta, cotone e allume. Il Mar d’Azov e il Mar Nero sono monopolio delle colonie genovesi e veneziane che là si riforniscono di quelle mercanzie che arrivano dall’Ucraina, dalla Russia e dall’area danubiana. Gli avamposti commerciali che la città della lanterna si assicura nel Levante alimentano una conflittualità continua con Venezia a partire dalla seconda metà del Duecento, che culmina con la guerra di Chioggia e l’affermazione della Serenissima (1381).
Già dal XII secolo i mercanti tedeschi iniziano a raggrupparsi in società, chiamate Hanse, per commerciare all’estero nell’area tra Bruges e Novgorod le pellicce rare scandinave e russe – ermellini, zibellini, castori o orsi –, il legname, il ferro e la pece. Nel Baltico il porto più importante è quello di Lubecca, che insieme a Haithabu e Schleswig funge da collegamento col Mare del Nord. Colonia acquista il predominio nell’area renana e diviene un mercato per i prodotti della valle della Mosa. Città come Londra, Parigi e Tolosa sono rispettivamente il fulcro del commercio che arriva dal loro entroterra e sono supportate dalla presenza dei trasporti fluviali. I porti atlantici come Bordeaux e Rouen collegano la Castiglia e l’Inghilterra.
Il grande traffico internazionale trova una sua tappa fondamentale nel porto di Bruges, città che fa capo a una delle regioni più popolate e produttive delle Fiandre. Dalla fine del XIII secolo i centri dell’Artois come Arras, Saint-Omer e della Fiandra meridionale come Douai, Lilla e Tournai insieme alle città di Ypres, Gand e Bruges diventano importanti per le manifatture tessili tanto che i panni fiamminghi sono uno dei beni più commerciati sulla rotta tra Ponente e Levante. Tra le merci trafficate in quest’area ci sono il lino, la lana inglese, il tessile, coloranti come il guado e la robbia, i metalli dall’argento al rame, dallo stagno al piombo e i loro manufatti di produzione inglese e tedesca.
A partire dal Duecento in tutta Europa si trovano mercanti provenienti dall’Italia settentrionale, come Astigiani e Piacentini, specializzati nel prestito. Questi mercanti, definiti all’estero genericamente “lombardi”, non vengono accolti sempre favorevolmente a causa della loro fama di usurai, come ricorda la novella del Decameron dedicata a Ser Cepparello da Prato: “Questi lombardi cani, li quali a chiesa non sono voluti ricevere, non ci si vogliono più sostenere” (G. Boccaccio, Decameron, I.1). Nelle Fiandre e in Inghilterra sono pure presenti le grandi società senesi del XIII secolo, come la Gran Tavola di Orlando Bonsignori, insieme alle Piccolomini, Tolomei, Salimbeni, quelle lucchesi dei Ricciardi e dei Battosi e ancora le fiorentine dei Frescobaldi e dei Mozzi, che operano allo stesso tempo come banchieri del Papa e delle principali monarchie europee.
Le fiere di Champagne declinano tra la fine del XIII e l’inizio del secolo successivo in un momento che segna un forte cambiamento nella gestione dell’attività mercantile. Il mercante smette di viaggiare con la merce e non gestisce più i propri affari recandosi periodicamente in fiere e mercati, ma lo fa sempre più da casa gestendo una rete di intermediari e fattori che si stabiliscono nelle maggiori città commerciali europee. L’attività mercantile si basa ora sullo studio e sull’analisi delle informazioni provenienti dalle diverse piazze, che servono a ottimizzare l’interazione tra i diversi circuiti commerciali.
Accanto alle società temporanee, a Firenze si formano grandi compagnie come quelle dei Bardi, Peruzzi, Acciaiuoli e Alberti: si tratta di organizzazioni nate su base familiare e costituite da un capitale sociale di partenza, il corpo di compagnia, composto dalle quote apportate dai soci, che può essere accresciuto successivamente con ulteriori quote. Di notevoli dimensioni, inizialmente hanno il carattere di aziende divise con succursali diramate nei principali centri commerciali e vengono gestite da direttori di filiale che operano avvalendosi di fattori, discepoli e garzoni. Tra 1343 e 1345 i Bardi, i Peruzzi e gli Acciaiuoli falliscono a causa di un ingente prestito accordato al re d’Inghilterra Edoardo II e provocano un vero e proprio tracollo economico a livello europeo.
Il Trecento si chiude quindi con un rallentamento a livello commerciale provocato da un insieme di fattori: epidemie, carestie, guerre, rivolte insieme ai grandi fallimenti delle compagnie fiorentine. A questi si aggiungono la fine della Pax mongolica, la crisi dell’industria tessile fiamminga e fiorentina, la penuria di metalli che implica una più contenuta circolazione del denaro e la guerra dei Cent’anni (1337-1453). Si tratta tuttavia di un fenomeno congiunturale che si fa sentire soltanto in alcune aree mentre in altre dà addirittura luogo al decollo di nuove produzioni e all’apertura di vie di traffico.