Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nonostante il Seicento sia generalmente identificato con il barocco, per tutto il secolo la tradizione del classicismo, inteso come ideale supremo di chiarezza ed equilibrio espressivo nonché come richiamo a contenuti nobili e morali, nella fedeltà al modello dei classici antichi, non viene mai meno e, se in certi Paesi essa viene messa in ombra dalla trionfante letteratura barocca, in Francia, nella seconda metà del secolo, si impone con autori della levatura di Racine, Molière e Boileau.
Barocco e classicismo
L’affermarsi del barocco nella letteratura del Seicento si accompagna alla consapevolezza e alla rivendicazione di una modernità rispetto al passato che si fa esplicita in un atto di rottura, in una poesia che trova nuovi contenuti e nuove forme espressive.
Il barocco si oppone al classico rifiutandone le norme e le regole, infrangendo i canoni, mescolando i generi e gli stili, facendo oggetto di poesia gli argomenti apparentemente più umili e insignificanti, senza rispettare le gerarchie stabilite né i criteri retorici di convenienza e di decoro.
Eppure il classicismo non venne distrutto dall’affermazione del barocco, ma semmai modificato dall’interno: anche i suoi sostenitori sono costretti a prendere atto che qualcosa è mutato nell’arte e a elaborare teorie adeguate ai tempi per affrontare gli avversari. La querelle des anciens et des modernes continua vivace per tutto il secolo.
Il classicismo in Italia
In Italia, dove la tradizione letteraria ha un carattere spiccatamente retorico, i classicisti non intendono rinunciare alla grande eredità rinascimentale, sia pur orientata moralisticamente in senso controriformista dai teorici gesuiti come Pietro Sforza Pallavicino o Famiano Strada.
La via percorsa dal classicismo accademico romano del primo Seicento è proprio quella del rinnovamento dentro la tradizione, con l’ambizione di mutuare forme e modelli della poesia greca e latina e di trasferirli in un universo cristiano, dando vita a una poesia solenne ed eloquente, ricca di sentenze e precetti.
Una poetica classicistica comune unisce i letterati, provenienti da esperienze diverse, che si raccolgono a Roma intorno al pontefice Urbano VIII, da Giovanni Ciampoli, che la teorizza nella Poetica sacra, a Virginio Cesarini, da Agostino Mascardi a Fulvio Testi: i modelli spaziavano dalla Bibbia a Orazio, da Pindaro ad Anacreonte.
Le cadenze gnomiche e riflessive, derivate dallo stoicismo e dominanti in Cesarini, si uniscono a un gusto magniloquente ed eroico nella poesia di Testi, caricandosi di suggestioni bibliche in Ciampoli e trasformandosi in una sensibilità scenografica un po’ fredda ed esteriore nel manierismo fine secolo di Alessandro Guidi o di Vincenzo da Filicaia.
L’eloquio alto e scandito dell’ode pindarica convive con la cantabilità musicale ed elegante della canzonetta anacreontica nella poesia di Gabriello Chiabrera (1552-1638), al quale spetta un posto importante nella storia letteraria italiana, per la varietà delle esperienze stilistiche e per le innovazioni metriche introdotte, trapiantando nella lirica italiana modelli classici.
Gabriello Chiabrera
Che in amor son pene
Canzonette
Cor, che d’atti empi e crudeli ti quereli,
non sai tu, che amore è reo?
A penar tu non sei solo:
in gran duolo già così piangeva Orfeo.
Cinta il crin d’oscure bende
notte ascende per lo ciel su tacit’ali;
e con aer tenebroso
dà riposo alle ciglia de’ mortali.
Non è riva erma e selvaggia,
non è piaggia di bei fior vaga e dipinta
nel cui seno alberghi fera così fiera,
che dal sonno or non sia vinta.
Chiuso ramo intra le foglie
ora accoglie gli augelletti volatori;
e nel mare in grembo a Teti
or quieti stansi i pesci notatori.
Io soletto, al duol che spargo,
gli occhi allargo, perché forte indi trabocchi;
e pasciuto di veneno giù nel seno
vegghia il cor, non men che gli occhi.
Per tal via non soffre un core
rio dolore, che appo me non sia felice;
ah, che in terra il mio conforto teco è morto,
amatissima Euridice!
Lasso me! Che far deggio io?
Rive, addio, troppo liete a’ dolor miei;
vegno a voi monti selvestri, fiumi alpestri,
vengo a voi ghiacci rifei.
in Opere di G. Chiabrera e lirici del classicismo barocco, a cura di M. Turchi, Torino, UTET, 1974
Accanto alla canzone d’argomento sacro, eroico o morale, Chiabrera pratica il genere della canzonetta melica, dal ritmo e dalla struttura agile e variata, che gli è certo più congeniale, e negli ultimi anni della sua vita tenta con successo la via della discorsiva satira oraziana, componendo i Sermoni.
Classicismo e nuova scienza
Non è un caso che la visione del cosmo e l’analisi dell’uomo proposte dai classicisti romani e in particolare dai poeti moralisti Ciampoli e Cesarini, che sono aggregati all’Accademia dei Lincei, si nutrano anche della nuova scienza di Galilei, con il quale entrambi hanno rapporti di stima e profonda amicizia.
Classicismo e nuova scienza procedono spesso uniti: in quella Firenze non toccata dalla moda del marinismo, che difende gelosamente la tradizione letteraria italiana, scienziati come Francesco Redi e Lorenzo Bellini praticano forme di poesia classicheggiante, mentre a Napoli letterati classicisti, come Pirro Schettini e Camillo Buragna, entrano nell’Accademia degli Investiganti.
Il petrarchismo e l’arcadia
L’esperienza lirica dei meridionali Schettini e Buragna, al pari di quella dei lombardi Carlo Maria Maggi e Francesco de Lemene, si inserisce nel solco della tradizione del petrarchismo, che si assume il compito di mantenere vivo il modello antico in polemica con il cattivo gusto dominante.
Carlo Maria Maggi
Pensieri di primavera
Poesie
E pure alfin ritorni,
Riso dell’anno, amor dei campi e festa
Della sciolta natura, april vezzoso.
Teco addolcisce i giorni,
E infiora le speranze e i semi desta
Di feconda beltà, spirto amoroso.
Teco in volto giocoso
La Providenza parla ai nostri cori,
Lieta di riportarci i suoi tesori.
Dice ogni fior del prato,
Della mente immortal che lo colora,
Bellissimi pensieri a chi lo mira.
Flora cortese il fiato
Co’ suoi profumi al venticel ristora,
Che d’affanno gentil per lei respira;
Ma più d’amarlo inspira
Quel Dio che manda a noi quella fragranza,
E conforta i sospiri alla speranza.
Fugge nel suol fiorito
Limpido il rio, che fra beltà terrene
Solo chi sa fuggir puro mantiensi.
Con mormorante invito
E consiglio e soccorso a render viene
A semplici bellezze, a labbri accensi;
E meglio insegna ai sensi
Allettando il desio con la chiarezza,
Che vien da purità sana dolcezza.
Espone al bosco fido
Della grata natura i lieti affetti
Augellin canoro in cari accenti.
Delle gioie del nido
Ringrazia il dolce tempo e par che detti
Sensi leggiadri ai pastorelli attenti;
Par che più modi ei tenti,
Mentre a quel Dio che sì beato il rende,
Vorria pur dir che i benefici intende.
Anche al rozzo pastore
Della vaga stagion l’ameno stile
La lingua al canto intenerisce e snoda.
Soave è il suo tenore,
che innocenza ed amor lo fan gentile,
E sempre con dolcezza il ciel si loda;
Onde qualunque l’oda,
Fra se stessa dirà mente discreta:
Delle grazie del ciel quest’alma è lieta.
Così, disciolto il verno,
Con le delizie il Facitor giocondo
Prepara il cibo alla mortal famiglia:
Così l’amore eterno
Nelle vaghezze, onde rinfiora il mondo,
Più noto a noi, di riamar consiglia.
il mio rigor ripiglia,
E in tanta amenità soavemente
il mio cor, come nol sente.
Ed io quel solo, a cui
Tanti diletti il Creator dispone,
Oppongo a tante grazie un’alma dura?
Alma ritrosa a lui,
Se mira tanti doni, onde ha cagione
D’essergli sconoscente, essere impura?
Quindi fuggir procura
Dell’alta Providenza i vaghi indici,
Che rimordon l’ingrato i benefici.
Vede il celeste amante,
Ch’io vilmente seguendo esche non degne
Di sensibili oggetti, altro non penso.
Sull’erbe e sulle piante
Perciò di sua bontà spiega le insegne,
E perch’io il senta, ancor si umilia al senso.
Ahi quell’amore immenso
Che mai potea far più? L’eccelso Dio
Pur mi vorria piacer col piacer mio.
in Scelta di poesie edite ed inedite di C.M. Maggi, a cura di A. Cipollini, Milano, Hoepli, 1900
Tutte le tendenze classicistiche che in Italia, sia pure in forme diverse e più o meno evidenti, continuano a dare frutti, opponendosi alla diffusione del marinismo, confluiscono alla fine del Seicento nell’Arcadia, l’accademia sorta con il proposito di restaurare il buon gusto nelle lettere, nella quale si ritrovano Redi e Filicaia, Maggi e Menzini, Guidi e Magalotti.
Gli orientamenti dell’Arcadia sono influenzati anche dalla grande esperienza del classicismo francese, originato dal razionalismo cartesiano e codificato nell’Arte poetica di Nicolas Boileau: esso proclama il culto della ragione cui spettava di frenare e indirizzare gli eccessi disordinati dell’immaginazione.
Il classicismo francese
L’affermazione del classicismo a partire dal 1660 in Francia è favorita dal mecenatismo di Luigi XIV: gli ideali di ordine, stabilità ed equilibrio sono in perfetta sintonia con la sua politica assolutistica. Avviene così anche in Inghilterra, negli stessi anni, quando dopo la Restaurazione Carlo II accorda i suoi favori alla letteratura classicistica di John Dryden.
Il classicismo francese dell’età di Luigi XIV produce innumerevoli capolavori: la tragedia di Jean Racine, la commedia di Molière, la prosa di La Rochefoucauld e di Madame de La Fayette, la poesia di Jean de La Fontaine, opere che nessuno definirebbe il prodotto dell’arido regolismo di Boileau.
È piuttosto vero che la codificazione di Boileau avviene dopo che nella letteratura è già avvenuto un mutamento: l’abbandono dei facili virtuosismi del preziosismo, delle spericolate acrobazie stilistiche, in favore di una espressione più misurata, di una sobrietà più esatta, di una naturalezza più veritiera.
Proprio nella ricerca tenace della verità umana, attraverso una indagine paziente della psicologia e delle passioni, risiede il nucleo della grande poesia classicista francese, che si misura con le regole e con la tecnica per trascenderle e conquistare una propria sublime purezza espressiva.
I grandi poeti francesi accettano le regole fondamentali, per esempio quella aristotelica delle tre unità drammatiche (tempo, luogo e azione), ma ne fanno una ragion d’essere interna della loro poesia, trasformando la norma in natura. L’esperienza del barocco, nella quale, nonostante tutto, il classicismo francese ha le sue radici, non è passata invano.
A ben guardare, elementi barocchi, nello stile o nel linguaggio, si possono ritrovare in molti autori del periodo classico, ma in definitiva andrà riconosciuto che la poesia francese dell’età classica è altra cosa dalla trattatistica coeva sul classicismo, tutta tesa a imbrigliare la fantasia poetica sottomettendola alla ragione.
La splendida fioritura artistica del regno di Luigi XIV, sostenuta dalla politica culturale del sovrano anche attraverso l’impulso dato all’Académie française, arreca lustro e prestigio alla Francia, diffondendo le teorie e le pratiche classicistiche in Europa, dall’Italia all’Inghilterra alla Germania, e trasmettendole alle generazioni del razionalismo e dell’Illuminismo che dominerà il secolo successivo.