Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Se nel 1555, il principio del cuius regio, eius et religio, vale a dire la possibilità, da parte delle varie autorità politiche che facevano parte dell’impero, di imporre ai sudditi una determinata confessione, aveva preso in esame esclusivamente la confessione luterana e quella cattolica, nel 1648, con la fine della guerra dei Trent’anni a queste ultime, si aggiunge anche la confessione calvinista, concludendo così un percorso di ufficializzazione della fede ginevrina, che non le impedisce però di essere il frutto della Riforma che più di ogni altro era penetrato in Europa ad ogni latitudine e a ogni livello della società.
Le origini
Giovanni Calvino nasce a Nyon, in Piccardia, il 10 luglio 1509. Studia a Parigi, Orléans e Bourges dove, oltre a perfezionarsi negli studi giuridici, è in contatto con i circoli umanistici più importanti del regno di Francia. Accusato già nel 1533 di simpatie per la Riforma, è costretto a lasciare il Paese e a rifugiarsi prima a Ferrara, presso la corte di Renata di Francia, poi a Strasburgo dove, su invito del riformatore Martin Bucer, si occupa della comunità di rifugiati francesi residenti nella città. È in questo arco di tempo e in particolare tra il 1536 e il 1541 (forse anche stimolato dal compito concreto di organizzatore della comunità francese) che Calvino compone la sua opera più importante, l’Istituzione della religione cristiana, in cui, sia nella versione latina, sia in quella francese, incomincia a chiarire i principali punti della sua idea di religione cristiana e di Chiesa, in un dialogo continuo e fittissimo con gli altri riformatori europei: Bucer, Melantone, Lutero e Zwingli.
Nel 1541 è richiamato a Ginevra, da dove era stato espulso tre anni prima per un conflitto con il magistrato della città libera svizzera. Qui e nei successivi 23 anni Calvino ha modo di imporre, all’inizio contro la maggioranza del Consiglio della città, il suo modello di Chiesa e di comunità religiosa, rigorosamente fondata sulla dottrina sviluppata negli anni precedenti.
Ginevra
Nel breve giro di un anno, dal 1541 al 1542, Calvino riesce a trasformare l’abito religioso della città attraverso una serie di strumenti dottrinari e organizzativi: le ordinanze ecclesiastiche che definiscono gli ambiti in cui la Chiesa opera; il catechismo (composto secondo la forma di domanda e risposta); la forma della preghiera e dei canti ecclesiastici (che stabilisce la nuova liturgia). Mentre costruisce la nuova capitale della Riforma europea, negli anni successivi egli pubblica l’ultima edizione della Istituzione (1559) e fonda l’Accademia che pone sotto la direzione del suo alter ego Teodoro di Beza. Questi ultimi due atti, uniti alla diffusione tramite la stampa in tutta Europa delle opere e del pensiero del riformatore francese, contribuiscono a trasformare Ginevra nella “cittadella della nuova fede”, punto di riferimento per tutti gli esuli d’Europa.
La dottrina
Già nella versione del 1539 della sua Istituzione, Calvino traccia i principi della sua dottrina; le successive redazioni dell’opera non fanno altro che ampliare e sviluppare il suo pensiero e soprattutto difendere questi principi dalle critiche dei cattolici e degli altri riformatori. Essendo un uomo della seconda generazione della Riforma, egli si ispira al pensiero di chi lo ha preceduto, senza però rinunciare a introdurre elementi di novità. La base della sua dottrina è, come per Lutero, la salvezza attraverso la fede e, come Zwingli, egli crede che i sacramenti e in particolare la Cena abbiano un significato prettamente simbolico e di ricordo. Come gli anabattisti, infine, sostiene che la disciplina sia un elemento imprescindibile nella vita del cristiano.
Se questi erano i prestiti della tradizione nata dopo il 1517, Calvino non rinuncia a introdurre una serie di novità che contribuiscono a fare della sua riforma il movimento più dinamico allora presente in Europa.
Il primo punto che lo distingue dagli altri è il diverso concetto della sovranità di Dio. Sia Lutero che Calvino hanno un senso opprimente della maestà di Dio sull’uomo, ma mentre Lutero insiste sul miracolo del perdono di Dio, Calvino propone l’ineluttabilità dei suoi piani. Seguendo questa direzione il riformatore francese vede la realizzazione del destino dell’uomo non in una imminente fine del mondo, ma ben ancorata nella storia, cioè in una prospettiva che vede il ritorno del Signore all’interno delle vicende caratterizzanti la storia della Chiesa primitiva, facendo quasi coincidere l’avvento del regno di Dio con l’istituzione di una repubblica di santi.
In questo contesto il riconoscimento degli eletti ricopre un ruolo decisivo, che Calvino cerca di risolvere oltrepassando le incertezze degli altri riformatori e identificando in tre indizi gli strumenti di tale riconoscimento: professione di fede, dirittura di vita, partecipazione ai sacramenti. Il primo aspetto consiste nella pubblica accettazione del Credo, cioè nel riconoscere il patto con Dio; il secondo è rappresentato da una condotta di vita austera e sobria; il terzo riconosce nei sacramenti una via di comunione spirituale con la divinità e un’espressione di associazione con la comunità.
La dottrina che Calvino sviluppa nella sua opera non è sistematica, ma procede cercando di riconoscere il punto mediano tra due soluzioni estreme. Per quanto riguarda la morale cristiana, infatti, egli vede l’uomo compreso tra il rigorismo e la libertà di usare di tutte le cose: risolve l’ambiguità attraverso l’introduzione del concetto di sobrietà. Allo stesso modo il cristiano che medita sulla sua condizione è compreso tra la riflessione sul suo destino futuro e l’occupazione del ruolo che gli è stato assegnato nel mondo. Calvino riconosce che l’uomo è sospeso tra due mondi, ma proprio la consapevolezza della sua condizione gli impedisce di scivolare in uno solo di essi. Per quanto riguarda la predestinazione, Calvino riconosce che l’uomo cammina lungo un sentiero limitato ai lati da due “stanghe”: la sua dipendenza totale da Dio e la sua totale responsabilità. Questa condizione del cristiano viene esemplificata da Calvino quando affronta il rapporto che esiste tra la salvezza personale attraverso lo Spirito Santo e la Chiesa, comunità dei fedeli, fuori dalla quale non c’è salvezza: “individualismo ed ecclesiasticismo sono qui in equilibrio, si completano e si limitano a vicenda” (Strohl).
La Chiesa
La dialettica presente nella riflessione teologica di Calvino si esprime anche nella sua idea di Chiesa. Egli distingue tra una Chiesa invisibile, composta solo dagli eletti e conosciuta esclusivamente da Dio, e una Chiesa visibile, calata nella storia, di cui fanno parte sia gli eletti, sia i reprobi. Egli riconosce che dove la Parola è predicata e dove i sacramenti sono amministrati lì è possibile riconoscere una comunità degli eletti, ma sostiene anche che la comunità deve essere organizzata e vigilare sulla condotta dei suoi membri, che sono gli aiuti esterni attraverso i quali Dio crea nel cristiano la fede e l’aumenta gradualmente.
Calvino, partendo da questi presupposti e ispirandosi alla città di Strasburgo, organizza la Chiesa di Ginevra in modo rigido e rigoroso. Egli la articola sulla base di quattro cariche: i pastori riuniti nella Venerabile Compagnia dei Pastori, i dottori per l’insegnamento, i diaconi per il servizio ai poveri e ai malati, gli anziani o presbiteri per il mantenimento della disciplina della comunità.
Gli anziani, in numero di 12, insieme ad alcuni pastori (il cui numero poteva variare da 5 a 10) formano il Concistoro. I membri di quest’organo, eletti dalle altre cariche dei quattro ordini, hanno il compito di vigilare sulla condotta dei membri della comunità. In teoria questa istituzione è autonoma dal potere civile, né lo soverchia. Le due autorità sono probabilmente considerate complementari, anche se poi nella pratica i rapporti tra le diverse magistrature si rivelano più complessi.
L’esempio più famoso che coinvolge il rapporto tra il Governo delle questioni religiose e le magistrature cittadine è la condanna al rogo dell’eretico spagnolo Michele Serveto. Egli, già condannato in Francia per aver rifiutato il dogma trinitario, pubblica nel 1553 un’opera dal titolo Christianismi restitutio nella quale ribadisce il suo rifiuto della Trinità e del battesimo dei bambini. Il testo suscita una forte reazione da parte di Calvino, che rifiuta le teorie dell’opera. Nello stesso anno, Serveto arriva a Ginevra dove è riconosciuto e arrestato su ordine del Consiglio della città. Calvino fornisce al Consiglio della città le ragioni teologiche della condanna a morte, anche se cerca di convertire la pena del rogo in una più rapida condanna alla decapitazione. La morte di Serveto ha una larghissima eco in tutta Europa e suscita un intenso dibattito sui principi della tolleranza religiosa e il ruolo delle autorità civili nella condanna dell’eterodossia. Calvino, per il ruolo che aveva svolto nella vicenda, viene fortemente criticato, soprattutto da coloro che vedevano nella città svizzera un porto sicuro in cui sfuggire alle persecuzioni religiose. Nonostante ciò il calvinismo non cessa la sua avanzata che vede anzi un impeto maggiore proprio a partire dal 1555.
Diffusione del calvinismo
Mentre la dottrina luterana subisce un decisivo arresto nella sua diffusione in tutta Europa, soprattutto dopo la sconfitta della lega di Smalcalda nel 1547 e la pace di Augusta nel 1555, il calvinismo, proprio a partire da quegli anni, cresce in modo impetuoso in diverse regioni del continente. Le ragioni di questo successo internazionale della dottrina elaborata da Calvino nella città di Ginevra hanno diverse ragioni, non tutte ancora completamente chiare e stabilite. Un primo motivo è sicuramente riscontrabile nell’attivismo con il quale i membri della riforma ginevrina formano e inviano pastori nelle varie zone d’Europa. Tale attivismo è giustificato dal fatto che il Calvinismo, proprio per la sua natura di riforma nata all’interno di una città della Svizzera francese, non può contare sull’appoggio di istituzioni politiche forti, come, per esempio, è il caso del luteranesimo, né, dopo il 1555, viene legittimata dalla pace di Augusta all’interno dei territori imperiali. Tale apparente debolezza si trasforma, nella seconda metà del secolo, in un punto di forza, proprio perché lascia piena libertà a Ginevra di diffondere il proprio messaggio in ogni direzione. Un altro elemento da tenere presente è l’arco cronologico in cui la dottrina calvinista si diffonde in Europa; è possibile infatti distinguere tra un primo periodo precedente alla morte di Giovanni Calvino (1564) e uno successivo. I Paesi coinvolti sono la Francia, i Paesi Bassi, la Scozia, l’Inghilterra e alcune regioni dell’Impero tedesco come il principato del Palatinato.
Il calvinismo in Francia
Già a partire dagli anni Cinquanta del XVI secolo le idee religiose elaborate a Ginevra penetrano in modo massiccio in uno dei regni confinanti con la Svizzera francese: la Francia.
La genesi di questo rapporto è rintracciabile in diverse ragioni. La Francia, prima di tutto, è la terra di origine di Calvino, la lingua è lo strumento attraverso cui il riformatore scrive la sua opera principale, l’Istituzione, imitando in questo Lutero, che riconosce nella “volgarizzazione” dei principi dottrinari e delle Sacre Scritture uno degli elementi distintivi della nuova fede. Un’altra ragione è da ritrovarsi nella cura che Calvino dedica a organizzare i profughi francesi a Strasburgo e nell’accoglienza che Ginevra dà ai dissidenti del Regno. Al di là dello stretto rapporto che lega la Francia a Calvino, il Regno presenta alcune caratteristiche peculiari che, a partire dagli anni Venti e Trenta del XVI secolo, vedono la diffusione delle idee riformate. Grazie anche alla politica culturale del re Francesco I, Parigi diventa una delle capitali dell’umanesimo europeo: i principi di un ritorno alle fonti e della filologia non si limitano a rinnovare gli studi umanistici, ma, al contrario, investono il modo di pensare alla fede e all’organizzazione della Chiesa, favorendo la diffusione delle idee sia di Erasmo da Rotterdam sia di Lutero e poi, a partire dagli anni Quaranta, di Calvino. La reazione della corona a questa nuova temperie culturale è ambigua, condizionata in primo luogo dalle pressanti necessità politiche che muovono l’azione del re Francesco I. Egli infatti a partire dagli anni Venti si trova impegnato a difendere la supremazia del suo regno dalla soffocante presenza dell’Imperatore e re di Spagna Carlo V d’Asburgo. Le diverse vicende che vedono i sovrani francesi (Francesco I ed Enrico II) impegnati a contrastare la politica di egemonia europea della famiglia d’Asburgo, soprattutto in Italia e nell’Impero tedesco, condizionano fortemente anche la politica religiosa interna al Regno. I tentennamenti di Francesco I favoriscono il diffondersi del calvinismo (i cui esponenti in Francia sono chiamati ugonotti), che può contare sulla vicinanza della roccaforte Ginevra, rifugio per i dissidenti francesi, da dove Calvino invia messaggi e lettere di sostegno alla causa, immaginando una conversione del Regno alla nuova fede. La morte di Francesco e la salita al trono di Enrico II mutano in modo radicale la situazione. Egli infatti, a differenza del padre, promuove una politica di dura repressione delle fedi non cattoliche. È però in questo periodo, e soprattutto dopo il 1555, che l’opera di evangelizzazione da parte delle autorità di Ginevra si intensifica, attraverso l’invio di numerosi predicatori che riescono a organizzare un primo embrione della nuova Chiesa ugonotta in terra di Francia. Alla morte di Enrico II, sotto Francesco II e soprattutto con la reggenza di Caterina de’ Medici, a partire dal 1560, lo scontro tra cattolici e ugonotti si viene cristallizzando, prendendo la forma di due partiti rappresentati a corte da alti esponenti dell’aristocrazia. Il partito filocattolico era dominato dalla famiglia dei Guisa, in particolare dal duca Francesco, capo delle forze militari, e il cardinale di Lorena, amministratore delle finanze del Regno; l’altro partito è dominato dalla famiglia dei Borbone, in particolare da Antonio di Navarra, e da quella dei Coligny. Il decennio 1560-1572 è caratterizzato da una sostanziale debolezza della monarchia, perché governato dalla moglie di Enrico II, Caterina de’ Medici, e da un alternarsi di scontri violentissimi tra le due fazioni e tentativi di conciliazione, promossi in primis dalla reggente. L’ultimo tentativo compiuto da Caterina per porre fine alle lotte che dilaniano il Regno è quello di organizzare il matrimonio tra sua figlia Margherita e l’erede della casata dei Borbone, Enrico di Navarra.
L’occasione del matrimonio, che si svolge a Parigi il 23 agosto 1572, invece che favorire una conciliazione, provoca un inasprirsi del conflitto tra le due fazioni. Parigi diviene il luogo dove si scaricano tutte le ambiguità, le incertezze e i sospetti che hanno caratterizzato il decennio precedente, scatenando la furia cattolica contro gli ugonotti che si riuniscono in città per assistere all’evento. La strage di San Bartolomeo fa sprofondare la Francia nel caos di guerre senza quartiere che raggiungono il loro apice nel così detto scontro dei tre Enrichi, che vede confrontarsi Enrico di Guisa, a capo della Lega Cattolica, e alleato della Spagna di Filippo II, Enrico di Borbone e il re Enrico III, succeduto al fratello Carlo IX (1550-1574). Dopo la morte del Guisa e del re, Enrico di Borbone rimane l’unico erede al trono di Francia e decide di ottenere la corona non più attraverso la forza delle armi, ma piuttosto con una opportunistica conversione alla fede cattolica. La sua ascesa al trono pone ufficialmente termine alle guerre di religione e contemporaneamente anche al sogno accarezzato da Calvino di trasformare la Francia nel primo Regno che abbracciasse la nuova fede. Nel 1598 Enrico IV promulga l’editto di Nantes, con il quale concede agli ugonotti libertà di culto secondo precise norme: il culto privato è libero per tutti, mentre quello pubblico riservato solo ad alcuni luoghi e in particolare all’interno delle proprietà dei nobili; agli ugonotti vengono riconosciuti i diritti civili, l’accesso alle università e alle cariche pubbliche e ai tribunali. Per far sì che tali principi vengano rispettati, egli concede loro anche duecento piazzeforti, trasformando di fatto la comunità ugonotta in uno Stato dentro lo Stato.
Il calvinismo nei Paesi Bassi
La lingua non è il solo tramite attraverso cui il calvinismo si diffonde in Europa. Altre zone infatti vengono coinvolte, sempre grazie alla strategia di evangelizzazione che Ginevra, anche dopo la morte di Calvino, mette in atto. La seconda zona in Europa ad essere investita dalla nuova fede sono le Province dei Paesi Bassi. Questa regione, dopo la divisione dell’Impero fatta da Carlo V nel 1556, viene destinata alla corona di Spagna di Filippo II. Se Carlo, durante il suo regno, concede ai Paesi Bassi una relativa autonomia, il figlio, sin da subito, ne vuole fare uno strumento del governo spagnolo: alte tasse, l’introduzione di magistrati spagnoli e soprattutto una rigida politica di soppressione di ogni eterodossia non cattolica. Il duro governo di Filippo II provoca la rivolta di tutte le province contro il sovrano; a ciò si aggiunga che il mosaico religioso della regione è assai complesso: la sua particolare posizione geografica favorisce infatti sia la penetrazione del luteranesimo sia del calvinismo, rendendo di vitale importanza per la sopravvivenza delle istituzioni una riflessione sulla tolleranza religiosa più viva e urgente rispetto ad altre zone dell’Europa. Inoltre la convivenza dei tre gruppi religiosi non è affatto pacifica, ma la regione è spesso teatro di scontri che vedono, per esempio, alleati tra loro luteranesimo e cattolicesimo contro la nuova fede ginevrina. In questo contesto, e soprattutto a partire dal 1566, quando lo scontro tra le province e Filippo II si fa più evidente, il calvinismo diviene, soprattutto per le province del Nord, il collante con cui il fronte si unisce fino alla conquista dell’indipendenza.
Quali siano le ragioni della supremazia del calvinismo rispetto alle altre fedi non è facile a dirsi. Al di là della situazione francese, a partire dagli anni Cinquanta il calvinismo dimostra una capacità straordinaria di penetrazione in diverse zone d’Europa, in molti casi già coinvolte nella riforma luterana, come per esempio il Principato del Palatinato. Il caso olandese e la peculiare situazione in cui il calvinismo si impone, vale a dire il momento della ribellione al sovrano spagnolo, possono suggerire alcune ragioni. Il calvinismo francese, proprio per le sue peculiarità, che coinvolgono una grossa parte della classe dirigente francese, sviluppa prima e dopo la morte di Calvino e, soprattutto, prima e dopo la strage di San Bartolomeo, un’ampia e approfondita discussione sulla possibilità per un gruppo minacciato per la sua fede di resistere con le armi a un’autorità politica.
Proprio questa discussione diviene patrimonio anche della classe dirigente dei Paesi Bassi e contribuisce a rendere il calvinismo la fede adatta per resistere e opporsi al sovrano spagnolo. Al di là delle dottrine politiche espresse dagli ugonotti e abbracciate dai ribelli all’Impero spagnolo, la storia dell’affermazione del calvinismo in questa regione è molto complessa. La profonda divisione confessionale caratterizza il fronte degli oppositori, divisione che le autorità a capo della rivolta e in particolare Guglielmo d’Orange cercano di risolvere introducendo di volta in volta politiche di tolleranza più o meno larga. Ma ogni tentativo di convivenza pacifica fallisce, tanto che l’unica soluzione trovata è la divisione territoriale, favorita anche dal cambio di politica intrapreso da Filippo II tramite il suo rappresentate Alessandro Farnese. Si arriva dunque a una spaccatura del fronte delle regioni ribelli in cui le zone del sud, cattoliche, si sfilano dalla guerra alla Spagna in cambio del riottenimento degli antichi privilegi, le regioni del nord come l’Olanda e la Zelanda, calviniste, nel 1581 dichiarano la propria indipendenza dalla corona spagnola e continuano la loro lotta fino all’ufficiale riconoscimento nel 1648.
Il calvinismo in Scozia
Il calvinismo si diffonde in altre zone d’Europa, come in alcune parti dell’impero tedesco, in Scozia, Polonia, Ungheria e Transilvania, e in Inghilterra, dove influenza l’evoluzione dell’anglicanesimo.
La grande differenza nella storia del calvinismo o meglio lo iato che può aiutare a distinguere e capire la diffusione della fede nata a Ginevra è da identificarsi con il 1564, anno di morte di Giovanni Calvino.
La città di Ginevra è da subito, sotto la guida del riformatore francese, un motore straordinario di diffusione della nuova fede in Europa: la capacità di attirare esuli, di addestrare efficaci predicatori e di inviarli in varie regioni del continente è una politica non imitata dagli altri riformatori europei. Il successo del calvinismo, contemporaneo al progressivo arroccarsi del luteranesimo nelle regioni dell’impero, è dovuto sia alla dottrina sviluppata da Calvino nelle sue opere, meno rigida delle altre, sia soprattutto all’intuizione che egli ha di riconoscere l’importanza dell’organizzazione e delle strutture ecclesiastiche per la conservazione e lo sviluppo del movimento religioso. Alla sua morte i suoi seguaci vogliono applicare anche alla sua dottrina la stessa organizzazione sistematica che egli ha speso per la Chiesa visibile. Sta soprattutto in ciò, vale a dire nell’irrigidimento della dottrina e in particolare in certi suoi aspetti, come la predestinazione, la grande differenza tra il prima e il dopo, differenza che è accompagnata da un adattamento anche organizzativo del calvinismo nelle diverse regioni in cui si radica. Alla metamorfosi del calvinismo si accompagna il progressivo declino della centralità di Ginevra come cuore della fede. In particolare la città svizzera perde il suo ruolo di formazione culturale, sostituita, nella seconda metà del Cinquecento, da centri come Heidelberg e Leiden, luoghi più adatti, per il loro prestigio, ad attirare calvinisti da tutta Europa: paradossalmente la marginalizzazione del cuore della riforma di Calvino, favorisce la diffusione del suo pensiero.