CHIAVRIE, Ignazio Somis conte di
Nacque a Torino l'8 (o 10) luglio 1718 da Giovanni Battista Somis e da Maria Elisabetta Bertolino.
Il padre era violinista di fama, uno dei musicisti italiani più notevoli del periodo, ed è probabilmente da lui che il C. derivò l'interesse artistico che sempre associerà a quello medico-scientifico. Fu affidato ancora giovanissimo alle cure didattiche di Girolamo Tagliazucchi, personalità centrale dell'erudizione piemontese nella prima metà del Settecento, con il quale mantenne per diversi anni un sodalizio, molto stretto, vivendo nella sua casa e studiando con lui pressoché tutte le materie del corso scolastico. Tuttavia questo periodo di formazione ebbe impronta prevalentemente umanistica, non solo per l'influsso esercitato dal maestro, ma per quelle che sembravano essere le sue inclinazioni: ancora nel 1744, nella prefazione alla seconda edizione torinese della sua Raccolta di prose, nel ringraziarlo per l'aiuto datogli per ampliare la raccolta, Tagliazucchi lo descrive come "giovane di eccellente ingegno e giudizio, non tanto nelle materie matematiche e mediche, quanto nelle umane lettere".
La decisione da lui presa nel 1737, dopo un periodo di interesse per il diritto, di seguire i corsi universitari di medicina, fu dunque forse una sorpresa per il maestro. Già allora il C. non era uno sconosciuto negli ambienti colti torinesi, perché nel 1734, in occasione d'una delle consuete "accademie", incentrata "intorno l'utilità del tradurre e dell'imitare", si era fatto notare traducendo gran parte dell'orazione d'Isocrate a Demonico e meritando una citazione nelle Novelle della repubblica letteraria di Venezia per l'anno 1737 (p. 20); aveva poi iniziato un'attività poetica che, sia pure in misura limitata, svolgerà parallelamente alla professione lungo tutto l'arco della sua esistenza.
Nel 1740, ancora studente, intervenne in difesa del Tagliazucchi, implicato in una violenta polemica sorta in seguito a certe critiche alla poesia petrarchesca espresse dal carmelitano Teobaldo Ceva. La querelle, una delle più rilevanti della vita letteraria di quegli anni, era trascesa in attacchi personali violenti, e su questo binario si mantenne anche il C., scrivendo una Lettera di Ser Telacocca al molto reverendo p. frate T. Ceva carmelitano calzato,colle annotazioni degli spettabili seri Bentistà,Tumenti e Stazitto,dedicata a' Signori Accademici di Modena (Belvedere 1740); nonostante l'uso dello pseudonimo l'autore dello scritto fu presto noto, se già nel 1747 il Quadrio dava per certa l'attribuzione, rilevando che l'interessato non l'aveva smentita.
Nel 1741 il C. conseguì la laurea, e si dedicò alla preparazione di dissertazioni su argomenti medico-biologici, richieste per l'ammissione al Collegio dei medici; vi fu ammesso il 3 maggio 1743 dopo la discussione pubblica delle tesi, che nello stesso anno furono stampate a Torino (De nervis in cordis fabrica; Gallanum; de convulsione; de febris natura; de morbis capitis; de morbis pectoris;de peripneumonia, Augustae Taurinorum 1743).
Si trattava, come consueto in produzioni del genere, di accurati resoconti dello status quaestionis, sostenuti e avvalorati da osservazioni ma privi di reali innovazioni, se lo stesso De Renzi, sempre attento e talvolta eccessivamente generoso nel reperire sintomi d'originalità, non ve ne trovò. In seguito la produzione medica del C. non muterà carattere e sarà esigua, e ciò consente di porre la sua figura scientifica nel gruppo di quelle dell'illuminismo italiano non rilevanti in una rigorosa dimensione concettuale, bensì in quella più lata delle connessioni e condizioni sociali e organizzative della pratica clinica e dell'acquisizione, nella didattica e nella terapia, dei risultati della ricerca più accreditata.
Si può ricordare, come indicativa del carattere un poco occasionale e non rigoroso di questa produzione, una lettera da lui inviata a Parigi all'abate Nallet in data 25 nov. 1749, e da questo pubblicata nell'Histoire de l'Académie des sciences (Paris 1753, p. 454).
In essa il C. spiega come quell'anno, nel corso di un viaggio per l'Italia, avesse compiuto a Venezia alcune esperienze sulle proprietà di sostanze quali la scammonea e l'oppio. Avendone ingerito delle dosi unitamente ad altre persone, senza alcuna reale discussione della quantità ingerita di ciascuna sostanza, della sua purezza chimica e di altre consimili fondamentali circostanze, egli tendeva a concludere per l'esiguità - o l'inesistenza - delle proprietà loro attribuite. Altro documento di questo modo d'intendere la discussione scientifica è il solo altro scritto medico pubblicato dal C. dopo le tesi del 1743, il Ragionamento sopra il fatto avvenutoin Bergemoletto in cui tre donne,sepolte fra lerovine della stalla per la caduta d'una granmole di neve,sono state trovate vive dopo trentasette giorni (Torino 1758) dove il C. trae l'ipotesi che gli organismi in fase di sviluppo dispongano di minore resistenza e riserve energetiche, suffragandola col tema dantesco dei figli del conte Ugolino ed altri analoghi della tradizione letteraria.
Ai caratteri generali finora delineati si riallaccia, nel suo intento minuzioso ed erudito, anche l'opera di maggior lena avviata dal C., la raccolta di osservazioni meteorologiche da lui continuata per quaranta anni e registrata in due grossi volumi manoscritti, che ancora nel 1825 il Bonino poté vedere nella biblioteca dell'Accademia torinese delle scienze.
I prevalenti interessi del C. per gli aspetti istituzionali della professione medica risultano chiari da tutto il corso della sua carriera, che pur nell'esiguità della produzione scientifica ebbe notevole successo e risonanza. Nel 1747, con regio biglietto del 23 ottobre, fu nominato supplente di G. A. Badia all'università, succedendogli poi come docente d'istituzioni mediche, medicina teorica e pratica (regie patenti del 6 ott. 1750, 26 sett. 1754, 30 ag. 1770); nel 1766 fu nominato medico di corte, nel 1773 archiatra regio e nel luglio del 1783 capo del protomedicato. Il favore del sovrano gli fu concretamente attestato dal conferimento nell'agosto 1787 del feudo e titolo comitale, estensibile ai discendenti, di Chiavrie (l'odierna Caprie, in Val di Susa). Fu membro di numerose accademie ed istituti scientifici: dell'Arcadia, col nome di Genunte; delle accademie degli Agiati di Rovereto, degli Umbri di Foligno, della Reale di Napoli, nonché della Società reale di Gottinga, dell'Istituto delle scienze di Bologna e del Collegio delle arti di Torino. Partecipò ai lavori dell'Accademia reale delle scienze di Torino fin dalla sua origine come società privata ad opera di Lagrange, Saluzzo e Cigna, e ne fu vicepresidente per tre anni a partire dal 1788. Ebbe perciò una nutrita corrispondenza con medici e fisiologi tra i più noti del periodo, come L. M. A. Caldani e A. von Haller e rapporti con figure come M. V. Malacarne, A. Matani, V. Pico, il Giobert ed altri.
Tuttavia l'aspetto forse più noto, anche se quantitativamente esiguo, della sua presenza nella vita culturale del momento fu quello poetico. Le poesie del C., per lo più sonetti e canzoni anacreontiche del più tipico modo arcadico (per un elenco di questa produzione si vedano gli scritti di Bonino e Vallauri in bibliografia), ebbero quasi sempre carattere d'occasione, come celebrazione di eventi della vita della famiglia reale o di torinesi illustri. Unitamente ad alcune orazioni tenute in circostanze analoghe, presentano una notevole fluidità stilistica, frutto dell'accennata consuetudine con i classici (esempio curioso di tale consuetudine è l'uso di redigere in greco le note quotidiane da lui tenute per molti anni sulla salute della famiglia reale), senza tuttavia passare mai dall'ambito delle esercitazioni eleganti a quello dell'espressione sofferta ed impegnata.
La vita familiare del C. si svolse secondo i moduli tipici d'un professionista e funzionario di grande prestigio; egli sposò Rosa Tempia, che gli dette tre figli ed una figlia. Due dei figli, Giovanni Battista e Luigi, avranno un ruolo di qualche importanza nella vita piemontese tra Settecento ed Ottocento. Il primo (1763-1839), magistrato e anch'egli cultore di letteratura, fu amico del Manzoni nei suoi anni parigini, e nel 1825 sarà presidente della Camera dei conti di Torino; il secondo, dottore in legge, sarà in seguito segretario di Stato per gli affari interni.
Il C. morì nella sua villa presso Cavoretto (Torino) il 25 giugno 1793.
Bibl.: Alcune notizie sul C. sono presenti nelle dediche a lui delle seguenti opere: A. Matani, M. A. Giacomelli prologi in Terentium ab A. M. illustrati, Pistorii 1777, in particolare p. LXXXV; M. V. Malacarne, Discorso sulla litiasi delle valvole del cuore, Torino 1787; G. B. Faleti. De abdita morbi causa per anatomem indagata in mulierem infoecunda,ad Clarum Virum I. Somis,S. M. Regis Sardiniae Archiatrum, Venetiis 1790; V. Pico, Melematha inauguralia..., Augustae Taurinorum 1788, p. 114, tav. 2, fig. 3 (con dedica al C. d'una specie di Mucoracea ivi descritta, Mucor somisii). Si vedano inoltre: F. S. Quadrio, Della storia e ragione d'ogni poesia, II, 2, Milano 1747, p. 69; A. Zaccaria, Storia letter. d'Italia, II, Venezia 1750, VIII, p. 451; Novelle letter. di Firenze, XII (1751), coll. 365 s.; A. von Haller, Elementa physiol. corp. humani, Bernac 1766, VIII, 3, p. XI; P. Giulio, Riflessioni sopra la morte del conte Ugolino e de' suoi figli, in Giornale scientifico,letterario e delle arti (Torino), I (1769), p. 280; P. A.del Borghetto, Lettere familiari, Milano 1770, pp. 36-40; [A. Tana], Vita di Pier Romengo poeta chierese, in Piemontesi illustri, III, Torino 1783, p. 359; A.Vernazza, Elogio del conto Somis, Torino 1794; G. G. Bonino, Biografia medica piemontese, II, Torino 1825, pp. 225-235; T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, II, Torino 1841, pp. 115, 454; S. De Renzi, Storia della medic. in Italia, V, Napoli 1848, pp. 80, 751, 755; B. Trompeo, Dei medici e degli archiatri dei principi di casa Savoia, Torino 1875, p. 68; C. Dionisotti, Storia della magistr. piemontese, II, Torino 1881, pp. 360, 412 s., 419;L. Piccioni, G. Baretti prima della "Frusta letteraria", Torino 1912, pp. 22, 26, 28 s., 238, 243, 249, 251 s., 255; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, pp. 364, 396, 448, 503; G. Natali, Il Settecento, I, Milano 1964, p. 227.