COLLINO (Collini), Ignazio e Filippo
Ignazio nacque, a Torino il 26 ag. 1724da Giovanni Lorenzo e da Rosa Maria Damè. Il 26 febbr. 1772sposò Monaca Bert dalla quale ebbe otto figli, di cui solo due sopravvissuti, Luigi Francesco e Paolo Vittorio Michele. Morì a Torino il 26 dic. 1793.
Di Filippo non è accertabile, al momento, la data di nascita collocabile al 1737circa. Morì a Torino il 2 ag. 1800.
L'Elogio di Ignazio, scritto da G. Vernazza nel 1793(Schede Vesme, 1963, p. 332), ed il carteggio tra i ministri sabaudi dell'Estero, Gorzegno e Ossorio, e l'ambasciatore a Roma, conte di Rivera (ibid.., pp. 336 ss.)forniscono dati fondamentali sulla formazione culturale dei due scultori. Non si sono al momento rinvenuti documenti figurativi dei primi sei anni di noviziato (1738-44)di Ignazio nella bottega del Darnè, scultore in legno; e solo attraverso le opere più tarde si recuperano dati sui successivi indirizzi più aulici della sua cultura. Dal 1744 frequentò il Regio Studio di pittura diretto da C. F. Beaumont, dove disegnò e modellò in cera e creta: "i primi cartoni che gli furon dati a copiare non altro erano che lavori del Molinari" (G. Vernazza, Elogio del Molinari, 1793, in Schede Vesme, 1966, p. 705); poi, per due anni, frequentò lo studio dello scultore F. Ladatte. Sono andati distrutti anche i putti e fregi "prima maniera" (come li definisce il de Conti, 1794), eseguiti per l'altare maggiore di S. Francesco a Casale tra il 1744 e il 1748 (Bellini, 1978); e ancora da recuperare alla critica è quel gruppo del Martirio di S. Sebastiano, realizzato presso il Ladatte che, a detta del Vernazza, fece guadagnare a Ignazio il pensionato a Roma, finalizzato allo studio dell'antico. A Roma giunse nel dicembre 1748, ed ebbe come maestro G. B. Maini che "lo consigliò a frequentare il Campidoglio, e quivi sugli originali studiar con qual arte i sommi scultori avessero eguagliata la natura, ed imitarli, e far da sé..." (Vernazza, in Schede Vesme, 1963, p. 332).Anche il cardinale Alessandro Albani, che prese ad interessarsi ad Ignazio, lo indirizzò allo studio e rilievo delle sculture greche e romane, tanto da consentirgli di accedere alle sue stesse collezioni. Molti furono i rilievi, le statue, i busti e i gruppi copiati in creta o in marmo e spediti a Torino da Ignazio (dal 1749 in poi) e poi anche da Filippo (mandato anche lui a Roma, con appannaggio regio, nel 1753) come saggi dei loro progressi nell'arte, utilizzati anche per la costituzione, in quella città, di una raccolta di modelli. Non tutte le opere dall'antico realizzate dai C. a Roma, ampiamente documentate (Schede Vesme, 1963), ci sono pervenute. Oggi, in attesa di ulteriori verifiche, sono riconoscibili il MarcoAurelio di Ignazio (1751) nel busto (dall'originale del Museo Capitolino, inv. Albani A34) collocato nel palazzo reale di Torino, nella camera da pranzo del re al primo piano; la Vestale di Filippo (1754), opera data per dispersa dal Mallè, nel busto situato nella sala dei Paggi o delle Vittorie, sempre nel palazzo reale di Torino; i due medaglioni in marmo di Carrara nei quali Filippo, nel 1756, trasferì "due celebri busti che si trovano in questo Museo di Campidoglio, rappresentanti uno Alessandro il Macedone, e l'altro sua madre Olimpia" (lettera di Rivera a Ossorio del 14 ag. 1756: Schede Vesme, 1963, p. 340). I due medaglioni, di qualità straordinaria, ebbero subito grande fortuna in Piemonte, a conferma della funzione didascalico-operativa mantenuta nel tempo da questo tipo di oggetti: ne vennero fatte copie in scagliola per la villa Il Capriglio presso Sassi (Torino), conservate nel Museo civico d'arte antica (Mallè, 1965, p. 241, tav. 297); e vennero poi ostentati come modelli emblematici della promozione qualitativa delle arti in Piemonte (inseriti in due lunette, affrescate dal Comandù, nel 1788, nel soffitto della camera d'udienza della duchessa nell'appartamento del duca d'Aosta al secondo piano del palazzo reale a Torino). I due medaglioni risultano al momento i soli oggetti noti di questo tipo di produzione colliniana, di cui sono documentati altri due esemplari, nel 1883, presso il nipote Paolo, biografo di Ignazio, raffiguranti Mercurio e Minerva (di Macco, 1980, I, p. 37, n. 39). Quasi tutte le copie dall'antico eseguite dai C. a Roma sono documentate graficamente da Ignazio in una serie di disegni raccolti dal nipote Paolo nel 1883 in un Alburn (Torino, Biblioteca reale; cfr. ibid., I, pp. 32-36).
I disegni, specie di liber memoriae, confinalità più didattiche che antiquarie, sono associati nell'Album in modo casuale e disinformato, come peraltro è la Biografia che li precede, tanto da alterare pesantemente il significato del materiale che doveva costituire un utile strumento di lavoro.
Sembrerebbe di poterli suddividere in almeno tre classi (considerando gruppo a sé la serie di Nudi accademici): esercitazioni da opere moderne, disegni di opere di invenzione (fra cui alcuni, destinati probabilmente alla realizzazione in argento o bronzo, attestano l'alunnato presso il Ladatte), disegni eseguiti dall'antico come documentazione dell'attività svolta a Roma. Conservato fuori album, sempre nella Biblioteca reale di Torino, è un disegno romano di Filippo dalla Matilde di Canossa di N. Sale nel monumento berniniano in S. Pietro (Telluccini, 1922-23, p. 269; Bertini, 1958). I rilevamenti grafici risultano di estremo interesse come testimonianza della formazione culturale dei Collino. Protetti dal cardinale Alessandro Albani, i due scultori piemontesi vissero, nel primo periodo romano, in quel clima culturale promosso dall'Accademia dell'Arcadia, rivolto allo studio dell'antico e dei maestri del Rinascimento. Alla ricognizione della statuaria classica associavano perciò trascrizioni da Raffaello (disegno n. 40:particolare della Disputa del Sacramento) e da Michelangelo (disegno n. 15: la Pietà di S. Pietro)che Filippo copiò inviando a Torino nel 1758 una riduzione in marmo del Mosè (recentemente riesposto in palazzo reale nel Gabinetto cinese dove lo aveva segnalato il Rovere, 1858, p. m6); e non tralasciarono lo studio dei grandi maestri barocchi, dal Bernini (di cui annotarono singoli episodi come uno degli Angeli diponte S. Angelo, disegnato accanto alla Pietà, nello stesso foglio n. 15) al Duquesnoy (è nota la copia in terracotta della S. Susanna nell'Accademia Albertina di Torino, oltre a una affettuosa riduzione grafica del Busto femminile del Kunsthistorisches Museum di Vienna: disegno n. 46).
Segno della qualità operativa raggiunta dai C. e del conseguente favore regio fu la commissione delle quattro statue e dei quattro bassorilievi allegorici destinati alla galleria del Beaumont (oggi Armeria reale) in palazzo reale a Torino, uno dei monumenti più significativi ed emblematici del regno di Carlo Emanuele III.
I disegni per le quattro statue, la Beneficenza, la Fortezza d'animo, la Rettitudine, l'Affabilità, risalgono al 1758;mentre l'esecuzione ebbe luogo dal 1760 al 1763. I quattro bassorilievi raffigurano la Storia che scrive i fattigloriosi di casa Savoia dettati da Minerva, L'eroe incoronato dalla Fama, La città di Torino che riceve dalla Fama le insegne dellapace e del commercio, L'eroe consigliato daMinerva. Iniziati i bozzetti in terracotta nel 1763 (di questi, tre si conservano nell'Accademia Albertina, mentre uno è andato distrutto nel 1943), i quattro bassorilievi furono inviati, con varie vicissitudini attestate dai documenti, nel 1766 e nel 1767 (di Macco, 1977, p. 168). Testimonianza della pluralità di indirizzi acquisiti dai C., le statue sono partecipi dello scambio con il gusto rocaille; mentre i bassorilievi fanno più direttamente fede degli studi compiuti a Roma, anche sulla colonna Traiana. Comprova della autorevolezza raggiunta dai due scultori fu la promozione di Ignazio ad accademico di merito nell'Accademia di S. Luca a Roma, il 3 ag. 1760, mentre Filippo venne ammesso tra gli accademici il 5 giugno 1763 (Roma, Arch. dell'Accad. di S. Luca, vol. 62, f. 5v, 31v [I. Collino visitatore degli Infermi], 48, 50v).
Nel 1767 i C. partirono da Roma. Nel viaggio di ritorno passarono per Venezia e Bologna, dove furono aggregati all'Accademia Clementina. Giunti a Torino, l'8 maggio 1767 vennero nominati direttori dello Studio regio di scultura in sostituzione di S. Martinez ormai anziano (Schede Vesme, 1963, p. 333). Nell'ambito dei compiti istituzionali conseguenti a tale carica i C. si recarono in sopralluogo nei cantieri aperti in quegli anni (del 1770 è l'ispezione al duomo di Carignano: W. Canavesio, in Carignano, IV, Carignano 1980, p. 119).
Compiuto nel 1772 il S. Agabio per il duomo di Novara, i C. nello stesso anno diedero inizio ad un'opera prestigiosa, emblematica della volontà sabauda di ribadire la continuità dinastica del potere e del regno: l'arredo plastico per il Mausoleo di Umberto I Biancamano, leggendario capostipite della casa sabauda, nella chiesa cattedrale di Saint-Jean-de-Maurienne.
Nel 1773 era terminato il bassorilievo da porre sul fronte della tomba, raffigurante l'Omaggio di Umberto Biancamano all'imperatore Corrado, che si trova tuttora nella cattedrale di Saint-Jean-de-Maurienne (per le fasi di esecuzione, vedi Bertagna, 1980). In esso, tutto permeato dalla cultura classica di recente approfondita a Roma, la figura del capostipite deriva direttamente, con chiari intenti di esaltazione dinastica, da quella dell'eroe a colloquio con Minerva nel bassorilievo ovale della galleria del Beaumont. Sopra la tomba, a coronamento, doveva essere collocato un gruppo raffigurante Il Tempo incatenato dalla Fama e il genio della Moriana che, terminato assai più tardi (1788), non fu mai portato a Saint-Jean (oggi si trova, con qualche variante, nel cortile dell'università di Torino). Infatti le vicende politiche di fine secolo suggerirono ai Savoia di trasferire la simbolica celebrazione dinastica progettata a Saint-jean nel tempio di Superga dove anche il gruppo dei C. avrebbe dovuto trovare posto (per il programma iconografico-simbolico di Superga vedi di Macco, 1980, III, pp. 1421 s.). Esso restò invece nello studio dei C. (inventario del 1808, in Schede Vesme, 1963, p. 345); esposto nel 1820 all'università nella mostra per il centenario dell'istituzione (C. Gazzera, Lettera... al conte Giuseppe Franchi di Pont intorno alle opere di pitt. e di scult. esposte nel Pal. della R. Università..., Torino 1821, p. 7), fu ad essa donato da Vittorio Emanuele I (come si legge nell'iscrizione sul basamento: A. Bosio, Iscriz. torinesi, a cura di L. Tamburini, Torino s.d. [1969], p. 283). Il putto alato, che regge una medaglia su cui è inciso, nel recto, "ex marmore Pontino" (cioè della cava di Pont) e, nel verso, il nome degli scultori, da identificarsi con "il genio della scultura" inventariato dal Vernazza (Nota manoscritta, in Schede Vesme, 1963, p. 336), sostituì il "genio della Moriana", scolpito per il monumento sepolcrale in onore di Umberto I. La nuova iconografia non esaltava più eroiche continuità dinastiche, ma spostava l'obiettivo sul riconoscimento di merito dell'arte piemontese (sostenuta da un gruppo di intellettuali, fra cui C. Gazzera), dove i C. avevano una lettura di riconosciuta "radice" qualitativa e ancora promozionale per l'"affinamento del gusto". A testimonianza di due fasi progettualì del gruppo destinato a Saint-Jean, esistono, nel Museo civico d'arte antica di Torino, due disegni di G. A. Paracca, pubblicati da Bertagna (1980, p. 72, n. 72 h-i); altre due varianti sono riportate nell'Album raccolto da Paolo Collino nel 1883.
Nel 1773, oltre al bassorilievo per il mausoleo di Umberto Biancamano, molte erano le opere in lavorazione nei cantieri regi nelle quali i C. intervennero direttamente: dodici Vasi di marmo per la balaustra della terrazza verso il giardino di Venaria reale; i busti di Cerere, Pomona, una Naiade e una Napea per il salone di Stupinigi; due Leoni per la balaustra nel castello di Agliè; sei Putti per le consolles della galleria del Beaumont, in palazzo reale a Torino, integrativi degli altri sei già realizzati dal Martinez (Arch. di Stato di Torino, Sez. riunite, Sez. IV, Relazioni a S.M., vol. 25; di Macco, 1977, p. 166; 1980, III, p. 1422).
Come direttori del Regio Studio i due scultori avevano anche il compito di supervisionare, e realizzare in parte, gli apparati effimeri per le solennità di Stato: per l'apparato funebre del 1° apr. 1773 nel duomo di Torino, per la morte di Carlo Emanuele III, i C. fecero le quattro statue di Virtù in cartapesta, pagate in data 5 apr. 1773 (Torino, Bibl. reale, Registri Recapiti, vol. 13, f. 149; per i conti della Real Casa, vedi Schede Vesme, 1963, p. 343; sui C. e su tutti gli artisti presenti nell'allestimento, v., invece, di Macco, 1980, II, pp. 801-803); e per l'apparato realizzato nel 1775 per il matrimonio del principe ereditario (il futuro Carlo Emanuele IV) con Maria Clotilde di Borbone-Francia fecero la statua della Fama, in cartapesta, sovrastante il cupolino del padiglione centrale, due cariatidi e trofei (Relazioni a S. M., vol. 26).
Legato al matrimonio dell'erede al trono era anche l'incarico affidato ai C. di "restauro" delle statue poste sullo scalone del palazzo reale e, probabilmente, anche l'esecuzione della statua di Minerva, collocata nella nicchia della scala delle forbici, di accesso all'appartamento dei principi, oggi nel cortile d'onore di palazzo reale. La scultura, firmata e datata 1775, reca la significativa iscrizione "ex marmore patrio Vallis Suanae . Merito dei due scultori e garanzia per l'attività del loro studio era stata, infatti, l'apertura di una cava di marmo bianco statuario a Pont in valle di Soana, allo scopo di sostituire il marmo di Carrara troppo costoso soprattutto per il trasporto. Dalla cava piemontese, per sfidare il confronto qualitativo, fu estratto il blocco per l'ultimo dei quattro busti da collocare nel salone di Stupinigi, che erano, come si è visto, in lavorazione nel 1773.
Rigorosamente neoclassiche sono le due statue di Apollo e Cerere, firmate e datate 1776, ora collocate a pendant nell'atrio d'ingresso all'ala nuova di palazzo reale a Torino.
Fin dal 1775 i C. vennero impegnati per la realizzazione dell'apparato scultoreo e del rivestimento marmoreo per i mausolei reali di Superga. L'iter dei lavori, in parte documentato grazie alle Relazioni a S.M. conservate presso l'Archivio di Stato di Torino, ha inizio il 3 dic. 1775 con la visita di Filippo, insieme con il Ferroggio, alla cava di Pont e l'assenso al prelievo di tre blocchi di marmo, due per le statue di Superga ed uno per una statua equestre (Relaz. a S. M., vol. 26, f. 49). Il 19 giugno 1778 il preventivo di spesa per terminare l'ingresso ai sepolcri sotterranei comprendeva il rivestimento marmoreo spettante ai C. al di sopra delle sedie dei convittori (ibid., vol. 31, f. 448). Intanto nel 1777 i C. avevano terminato le sculture (tranne la Fama che è di Bernero e del 1774), datate appunto in quell'anno, per il mausoleo di Vittorio Amedeo II nella navata sinistra, ed avevano in opera la Fede, la Carità, la Pace e il Genio delle arti, firmate e datate 1778 e 1779, nella navata centrale. Per il mausoleo di Carlo Emanuele III, nella navata destra, i lavori furono più lunghi e laboriosi, tanto da costringere i C., nel 1782, a richiedere al re un ampliamento del baraccone per lo studio in previsione dell'impegno per Superga e, nel 1783, l'aiuto aggiuntivo di due "mastri piccapietra" (ibid., vol. 39, f. 522; vol. 42, f. 376). Dalla relazione del 1782 si ha la certezza che l'urna e le sculture per il mausoleo di Carlo Emanuele III erano in lavorazione presso gli scultori mentre i due candelabri in marmo di Pont, già compiuti dai C., venivano collocati presso l'altare mediano. Si progettava inoltre un gruppo, in marmo di Pont, per il mausoleo della coppia regnante, mai approvato da Vittorio Amedeo III e quindi mai realizzato (ibid., vol. 39). Nel 1786 il mausoleo per Carlo Emanuele III era terminato, compreso il rilievo con la Battaglia di Guastalla, ed i C. ne chiedevano il trasporto a Superga (ibid., vol. 47, f. 207). Il monumento reca incise firma e data: "Fratres Collini Taurinenses primi sculptores regii invenerunt et fecerunt anno 1786".
Nel corso degli anni che li vedono impegnati a Superga, i C. ottennero una serie di commissioni di prestigio, pubbliche e private, conseguenti all'effettiva qualità delle loro opere e alla carica assunta di professori nella Accademia di pittura e scultura, rifondata da Vittorio Amedeo III il 10 aprile 1778.
I C. risultano fra i docenti in tutte le adunanze registrate nelle relazioni (Torino, Arch. dell'Accad. Albertina, Relazione delle adunanze accademiche, 1778-1796).Coinvolti nelle polemiche per l'insediamento di L. Pécheux alla direzione della scuola torinese, i due scultori vennero attaccati proprio sulla qualità dell'insegnamento in quanto "avessero nel corso dei mese di loro delegazione corrette certe accademie, le quali fossero piuttosto guastate che migliorate e i medesimi fossero accusati di essere incapaci di disegnare e di fare il benché menomo buono lavoro per non saper nemmeno tener lo scalpello in mano" (Schede Vesme, 1968, p. 788).
I C. si avvicendavano ogni mese (a turno con gli altri professori) nella direzione della scuola del nudo, ricevendo periodicamente una medaglia premio per la "messa, in posa del modello". Resta ancora da stabilire se a tale attività rispondesse, nell'Accademia torinese, una realizzazione grafica che ne conservasse la memoria, confrontabile con i disegni conservati nell'Album. Gli studi di nudo avevano comunque una consueta funzione didattica, analoga a quella assunta dai disegni del Pécheux. Sempre in relazione con l'attività didattica potevano essere le versioni plastiche di nudo, come i dodici bassorilievi raffiguranti diverse accademie inventariati nel 1808 fra gli effetti provenienti dalla scuola dei due scultori (Schede Vesme, 1963, p. 345).Daconsiderarsi, al momento, disperse, quelle accademie avrebbero forse confermato, ancor meglio dei disegni, le analogie statutarie e di regolamento fra le diverse scuole italiane.
Precedono l'insediamento accademico le grandi statue di Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III, oggi nell'aula magna dell'università di Torino (i gessi sono a Racconigi). Intorno agli anni Settanta, posteriori all'impegno per la fontana nel giardino del castello di Agliè, sembrano essere databili alcune terrecotte conservate nell'Accademia Albertina di Torino: Ercole e il leone Nemeo; Sardegna; Vestale; Cerere; Ratto di Proserpina.
Ma ben più ampia doveva essere la presenza in Accademia di sculture dei C., non più confrontabile con la consistenza attuale: infatti gli inventari ottocenteschi conservati nell'Archivio dell'Accademia Albertina elencano numerosi pezzi fra modelli in cera o in legno, gessi, terrecotte (di Macco, 1980, I, p. 39). Più tarde e su posizioni culturali decisamente neoclassiche sono le due statue di Sacrificatore e Sacerdotessa inviate in dono al re di Napoli nel 1785, forse da identificare con le due sculture, firmate, comparse sul mercato antiquario londinese nel 1972 (Heim Gallery), erroneamente indicate come Apollo e Vestale.
Anche la produzione dei due scultori per la committenza privata doveva avere un carattere di ben diversa frequenza a confronto dell'elenco selettivo che al momento si può produrre. Vanno comunque ricordati i lavori in collaborazione con L. Marini a Casale, in palazzo Treville (Viale Ferrero, 1969), e ad Orbassano, in palazzo Tuminetti (Torino, Bibl. reale, Studi diversi di decorazione, Varia 218, f. 13v, n. 85).
Per la committenza religiosa, ma sempre con finanziamento regio, i C. realizzarono, nel 1787, i due Putti in marmo di Pont per la cappella del Crocefisso, nel duomo di Torino (Arch. di Stato di Torino, Relazioni a S.M., vol. 49, f. 436), l'altare per la demolita chiesa dei SS. Simone e Giuda in Borgo Dora a Torino, l'altare per la chiesa di Verrua, Paltare per l'ospedale dei lebbrosi ad Aosta: tutte opere in cantiere nel 1793 (ibid., vol. 62, f. 82). Dell'acquisito benessere economico di quegli anni è segno indicativo una relazione del 1787 inoltrata al re dove si comunica che i C., che abitavano in quattro camere nella casa del conte d'Arache, cambiavano abitazione andando a stabilirsi nella centrale contrada di Po, in otto stanze nella casa dei conte di Castellengo (ibid., vol. 49, f. 526). Nel 1789 gli scultori sottoponevano al re per l'approvazione il bozzetto per la tomba di Carlo Emanuele I (ibid., vol. 53). Il mausoleo, realizzato nel santuario di Vicoforte Mondovì nel 1792, conclude la programmatica parata di esaltazione dinastica attuata da Vittorio Amedeo III ed insieme, pur nei più avanzati segni neoclassici, rimane la migliore visualizzazione della cultura plastica dell'Ancien regime.
Ancora nel 1795 il re approvava la richiesta di Filippo (Ignazio era morto da due anni) di far trasportare da Pont un blocco di marmo "per una quarta statua" (ibid., vol. 65, f. 272). La richiesta è forse da mettere in relazione con le quattro sculture ora conservate nella Galleria Sabauda a Torino, raffiguranti Marte, Mercurio, Cerere e Flora, opere scalate negli anni, e con marginale intervento di finitura di Giacomo Spalla, epilogo di quella più stretta adesione dei C. alle teorie neoclassiche, già manifestata in anni precedenti.
Fonti e Bibl.: Ricchissima di notizie è la voce sui C. in Schede Vesme, I, Torino 1963, pp. 332-345, ampiamente corredata di documenti, fonti e bibl. ottocentesca (vedi anche, delle Schede Vesme, II, Torino 1966, pp. 705, 707; e III, ibid. 1968, p. 788). Vedi inoltre e in particolare: F. Barroli, Notizia delle pitture sculture... [Venezia 1776], Torino 1969, pp. 37, 47, 57; O. Derossi, Alman. reale, Torino 1780, p. 115; G. de Conti, Ritratto della città di Casale [1794], Casale 1966, p. 36; M. Paroletti, Turin et ses curiosités, Turin 1819, pp. 55, 57, 64, 332, 382; Torino, Bibl. reale. Miscell. patria, ms.113, n. 32: Stato generale delle statue, gruppi, busti e bassorilievi antichi e moderni appartenenti a SS.R.M. stati conservati e per la maggior parte restaurati dallo scultore G. Spalla [circa 1820]; C. Rovere, Descriz. del Reale Palazzo di Torino, Torino 1858, pp. 39-41, 68, 72, 93, 116, 118 s., 164 s., 174, 182; Torino, Bibl., reale, Varia 197: P. Collino, Biografia stor. del celebre scultore I. C. colla descriz. delle sue princip. opere marmoree ed alcuni cenni sulla successiva sua famiglia (ms. in copia anche in Arch. dell'Accad. Albertina), premessa all'Album di antichi disegni dello scultore I. C. (1883); G. Claretta, I Reali di Savoia munifici fautori delle arti, Torino1893, pp. 15 ss.;F. Rondolino, Il duomo di Torino, Torino1898, p. 159; A. Telluccini, I. e F. C. e la scultura in Piemonte nel secolo XVIII, in Bollettino d'arte, s. 2, II (1922-23), pp. 201-216, 254-271; N. Gabrielli, Inventario degli oggetti d'arte esistenti nella Regia Accademia Albertina... in Torino, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, XXXV (1933), pp. 150, 195; L. Rosso, La pittura e la scultura del '700in Torino, Torino 1934, p. 85; M.Bernardi, La mostra del barocco piemontese a palazzo Carignano, in Torino, XVII (1937), 8, p. 12; V. Golzio, Seicento e Settecento, Torino 1950, pp. 649, 717 s.; A.Bertini, I disegni ital. della Bibl. reale di Torino, Roma 1958, n. 634; A. Griseri, Una revisione nella Galleria dell'Accad. Albertina in Torino, in Boll. d'arte, s. 4, LIII (1958), pp. 84-86; M.Bernardi, Il pal. reale di Torino, Torino 1959, p. 48; A. Griseri, Il rococò a Torino e G. B. Crosato, in Paragone, XII (1961), 135, p. 63; L. Mallè, in Storia del Piemonte, Torino 1960, II, ad Indicem; J. Fleming, Piedmontese Sculpture in the Eighteenth Cent., in Apollo, LXXVII (1963), pp. 188-193; L. Mallè, in Mostra del Barocco piemontese (catal.), Torino 1963, II, Scultura, pp. 14, 54-59, tavv. 66-78; M. Bernardi, Barocco Piemontese, Torino 1963, pp. 45 s., 54; M. Strambi, La cultura dei C., scultori dell'ultimo '700in Piemonte, in Boll. della Soc. Piem. di archeol. e belle arti, XVIII (1964), pp. 120-134; A. Pedrini, Ville dei sec. XVII e XVIII in Piemonte, Torino 1965, pp. 124, 229, 304; L. Mallè, Le sculture del Museo d'arte antica, Torino 1965, pp. 53 s., 241; Id., Appunti e revis. per la scultura del'600 e '700in Piemonte, in Scritti di storia dell'arte... in on. di E. Arslan, Milano 1966, ad Indicem; N. Gabrielli-M. TagliapietraRasi-L. Tamburini, Museo dell'arredamento, Stupinigi. La palazzina di caccia, Torino 1966, pp. 90 s., 117-119; A. Griseri, Le metamorfosi del barocco, Torino 1967, ad-Indicem; Id., Juvarra-Bernero a Stupinigi, in Studi di storia dell'arte in on. di V. Viale, Torino1967, p. 58; L. Mallè, Stupinigi. Un capolavoro del Settecento europeo tra barocchetto e classicismo, Torino 1968, pp. 42, 93, 110, 114, 207, 227-229, 363, 449-451; L. Tamburini, Le chiese di Torino dal Rinascimento al Barocco, Torino s.d. [1968], p. 213; M. Viale Ferrero, Disegni e progetti di L. Marini per decorazioni eseguite in palazzi di Casale, in Quarto Congr. di antichità e d'arte... 1969, Torino 1974, p. 490; N. Carboneri, Antologia artistica del Monregalese, Torino 1970, p. 111; N. Gabrielli, Galleria Sabauda. Maestri ital., Torino 1971, pp. 260 s.; Heim Gallery, Paintings and sculptures 1770-1830. Autumn Exhibition, London 1972, p. 16, tavv. 24 s.; M. di Macco, L'Armeria reale riordinata, Torino1977, pp. 165-191; A.Bellini, B. Alfieri, Milano1978, p. 143; N. Carboneri, Lareale chiesa di Superga, Torino 1979, p. 219; M. di Macco, in Cultura figurativa e archit. negli Stati del re di Sardegna (catal.), Torino 1980, I, pp. 32-41, 72 s.; II, pp. 802 s.; III, pp. 1421 s.; U.Bertagna, ibid., I, pp. 69-72; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, pp. 234 s.; Encicl. Ital., X, p. 753.